Le contestazioni sul bonus R&S portano al «credito inesistente»

 

Primi controlli dell’Agenzia sulle modalità di utilizzo dell’agevolazione
Sanzioni da qualificare in maniera corretta per l’indebita compensazione
L’utilizzo dei crediti di imposta per ricerca e sviluppo inizia ad essere al centro dei controlli dell’amministrazione finanziaria. Le questioni interpretative interessano, innanzitutto, il requisito della novità. Queste contestazioni si riflettono sul piano sanzionatorio, quando l’ufficio ritiene di elevare sanzioni per indebita compensazione di un credito considerato inesistente o non spettante.
Sul concetto di novità va detto che l’agenzia delle Entrate ha sempre legato la definizione di prodotto o processo nuovo al concetto di innovazione nelle sue diverse gradazioni, chiarendo che – ai fini dell’eleggibilità delle attività – rimarrebbero escluse tutte quelle trasformazioni di processo o di prodotto che rappresentano un mero «adattamento della tecnologia esistente» (circolare 10 maggio 2005, n. 25/E). Quando l’oggetto dell’attività di ricerca e sviluppo costituisca il miglioramento di un processo produttivo, l’eventuale contestazione relativa alla non spettanza non potrebbe operare. Più in generale, va sgombrato il campo da un equivoco. È ovvio, infatti, che qualunque ricerca parta dai risultati di ricerche precedenti. Ragionare in maniera differente equivarrebbe a dire che, siccome il campo magnetico rotante è stato studiato da Galileo Ferraris, da allora nessun lavoro sulle macchine elettriche sarebbe degno di essere chiamato ricerca.
Nello stesso senso si sarebbe pure espressa l’agenzia delle Entrate, secondo cui sarebbero agevolabili «le modifiche di processo o di prodotto che apportano cambiamenti o miglioramenti significativi delle linee e/o delle tecniche di produzione o dei prodotti (quali, ad esempio, la sperimentazione di una nuova linea produttiva, a modifica delle caratteristiche tecniche e funzionali del prodotto)» (circolare 10 maggio 2005, n. 25/E).
Quanto ai profili sanzionatori, gli uffici sono soliti elevare, quanto meno in un primo tempo, la sanzione per indebita compensazione di un credito d’imposta considerato «inesistente per mancanza del requisito costitutivo», piuttosto che «non spettante». Si tratta di una scelta di non poco conto, dal momento che la sanzione per utilizzo del credito d’imposta non spettante è pari al 30% del credito. Viceversa, nel caso di contestazione di un credito inesistente si applicherebbe la sanzione dal 100% al 200%, senza possibilità, peraltro, di potere fruire della «definizione agevolata delle sanzioni».
Si è dell’avviso che questo approccio sia contrario agli obiettivi dell’articolo 13, comma 5 del Dlgs n. 471/1997, pure considerando i chiarimenti forniti dalla Relazione illustrativa al Dlgs n. 158/2015 di «revisione del sistema sanzionatorio».
La sanzione prevista per l’indebita compensazione di crediti inesistenti dovrebbe riguardare le sole ipotesi in cui ricorra un comportamento fraudolento del contribuente, come nel caso in cui venga allestito un apparato contabile ed extracontabile per documentare (sulla carta) attività di ricerca e sviluppo che, in realtà, non sono mai state svolte; o ancora, laddove il credito d’imposta venga creato artificiosamente in sede di compilazione del modello F24 (Risoluzione 8 maggio 2018, n. 36/E).
Viceversa, nel caso di questioni interpretative, quali ad esempio la lamentata carenza del requisito della novità della ricerca per potere beneficiare dell’agevolazione, non potrebbe certo ricorrere l’ipotesi del credito inesistente, ma al più quella del credito «non spettante». Pare indubbio, infatti, che laddove il credito d’imposta sia stato inserito nella dichiarazione, accompagnato dalla relazione illustrativa dei progetti, come pure dalla certificazione del revisore legale dei conti attestante l’effettività dei costi sostenuti, non possa essere addebitato al contribuente alcun comportamento fraudolento.
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Diego Avolio
Benedetto Santacroce