Professionisti: quando il rimborso spese fa reddito

Il Testo unico delle imposte sui redditi, all’articolo 54, definisce la nozione di reddito di lavoro autonomo derivante dall’esercizio di arti e professioni, costituito dalla differenza tra i compensi in denaro o natura percepiti nel periodo di imposta e le spese sostenute nello stesso periodo, in relazione all’attività svolta. Dalla lettura della norma emerge che la tassazione di tali compensi, nonché la deducibilità delle spese, avviene secondo il principio di cassa, e che, in ogni caso, ci si deve trovare innanzi a compensi incassati e spese sostenute inerenti all’attività svolta. A tal proposito, la risoluzione n. 69/E del 2003 ha precisato che rientrano nella nozione di compenso anche i rimborsi spese, a condizione che risultino inerenti alla produzione del reddito di lavoro autonomo.

In generale, i rimborsi spese possono essere suddivisi in tre categorie: le anticipazioni effettuate in nome e per conto del committente, le spese a forfait e i rimborsi a piè di lista.

Le anticipazioni effettuate in nome e per conto del committente, pur debitamente documentate, non rappresentano un reddito per il professionista, anche nel caso in cui siano state sostenute per la produzione del reddito di lavoro autonomo. Il documento di spesa, in questo caso, dovrà essere intestato al cliente, e il professionista non potrà portare in deduzione dal proprio reddito il relativo onere. Parimenti, nel momento in cui il committente provvede al rimborso delle anticipazioni, il professionista dovrà emettere un documento in cui evidenzierà tali anticipazioni che, ai fini Irpef, non saranno soggette a ritenuta d’acconto, e, ai fini Iva, saranno escluse ex articolo 15 del Dpr n. 633/1972.

Nel caso in cui, invece, il professionista sostenga delle spese per conto del cliente, ma a nome proprio, con relativo documento di spesa intestato all’esercente la professione, le stesse concorreranno alla formazione del reddito di lavoro autonomo, saranno soggette a ritenuta d’acconto e saranno imponibili ai fini Iva.
Le spese forfetarie, come peraltro i rimborsi a piè di lista, concorrono a formare il reddito e saranno assoggettate a ritenuta a titolo d’acconto nella misura del 20 per cento, se erogate a soggetti residenti, o del 30 per cento, a titolo di imposta, se erogate a soggetti non residenti; risultano, inoltre, imponibili ai fini Iva. Nel caso in cui il committente riconosca al professionista, oltre al compenso vero e proprio, anche un rimborso forfetario per le spese sostenute, queste ultime saranno deducibili nel limite del 2 per cento del proprio fatturato.

Per quanto attiene ai rimborsi a piè di lista, un discorso a parte meritano le spese relative a prestazioni alberghiere e somministrazioni di alimenti e bevande in pubblici esercizi sostenute dal committente per conto del professionista e da questi addebitate in fattura. Come chiarito dalla circolare 28/E del 2006, ai sensi dell’articolo 36, comma 29, decreto legge n. 223/2006, con effetto dal 4 luglio 2006, tali spese sono integralmente deducibili dal reddito di lavoro autonomo e non soggiacciono al limite del 2 per cento, previsto dal comma 5 dell’articolo 54 del Tuir. La deduzione integrale, però, è subordinata al rispetto di una serie di adempimenti tributari tassativi. In particolare, l’esercente il servizio alberghiero o di ristorazione dovrà consegnare al committente il documento fiscale a lui intestato, con l’esplicito riferimento al professionista che ha usufruito del servizio. Il committente dovrà comunicare al professionista l’ammontare della spesa sostenuta, mediante l’invio della copia della documentazione fiscale ricevuta. Il professionista dovrà emettere la parcella, comprensiva dei compensi e delle spese pagate, al committente, e, qualora siano state rispettate tutte le condizioni, considererà il costo integralmente deducibile. L’impresa committente, infine, solo dopo aver ricevuto la parcella dal professionista, potrà imputare a costo la prestazione, comprensiva dell’importo a titolo di rimborso spese.