Confronto tra POS e scontrini: presunzione di cessioni “in nero”

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

E’ noto come l’Amministrazione finanziaria nel corso di un’attività ispettiva, in presenza di una contabilità esistente e regolare, possa comunque procedere alla ricostruzione indiretta del volume d’affari del contribuente verificato, sulla base di elementi probatori di carattere, appunto, indiretto – presuntivo.

Sovente, nell’ambito di verifiche eseguite nei confronti di esercenti attività di commercio al minuto, soggetti all’obbligo di emissione dello scontrino o della ricevuta fiscale, le prove indirette – presuntive vengono acquisite dai verbalizzanti attraverso il confronto tra gli scontrini fiscali emessi (dati rilevabili dalle matrici delle ricevute fiscali e dal giornale di fondo del registratore di cassa) e gli accrediti sul conto dell’esercente, mediante utilizzo di carte di debito (bancomat), ovvero di carte di credito.

Il regime sanzionatorio dell’omessa certificazione dei corrispettivi. Il regime sanzionatorio concernente la mancata emissione dello scontrino o ricevuta fiscale è disciplinato dal combinato disposto dagli artt. art. 6, comma 3 e 12, commi da 2 a 2-quater del D.Lgs n. 471/1997.

In base alla prima disposizione richiamata, la mancata emissione dello scontrino o ricevuta fiscale è punita con una sanzione amministrativa pecuniaria pari al 100% dell’imposta corrispondente all’importo non documentato. La stessa sanzione si applica in caso di omesse annotazioni su apposito registro dei corrispettivi relativi a ciascuna operazione in caso di mancato o irregolare funzionamento degli apparecchi misuratori fiscali.

Le sanzioni accessorie. L’art. 12, di contro, disciplina le sanzioni accessorie connesse alla violazione sopra citata; in particolare, a mente del comma 2, in caso di contestazione, nel corso di un quinquennio, di quattro distinte mancate emissioni del documento certificativo dei corrispettivi, commesse in giorni diversi, viene disposta la sospensione della licenza o dell’autorizzazione all’esercizio dell’attività, ovvero dell’esercizio dell’attività medesima per un periodo da tre giorni ad un mese.

Peraltro, trattasi di un provvedimento immediatamente esecutivo, in deroga al principio sancito dall’art. 19, comma 7 del D.Lgs n. 472/1997, per il quale l’esecutività della sanzione accessoria tributaria interviene con la definitività del provvedimento di irrogazione.

L’art. 12, comma 2 in commento prevede inoltre un’aggravante speciale, per cui, se l’importo complessivo dei corrispettivi oggetto di contestazione eccede l’importo di 50 mila euro, la sospensione è disposta per un periodo da uno a sei mesi.

La ricostruzione indiretta dei corrispettivi. Sovente l’Amministrazione finanziaria, nel corso delle verifiche fiscali nei confronti di aziende obbligate alla certificazione dei corrispettivi tramite scontrino o ricevuta fiscale, procede alla ricostruzione indiretta del ciclo d’affari, confrontando i singoli documenti certificativi emessi (dati rilevati dalle matrici delle ricevute fiscali conservate, ovvero dal giornale di fondo del registratore di cassa) con i singoli pagamenti effettuati dal cliente tramite carte di debito o di credito.

Tale riscontro, oltre ad interessare masse di operazioni, viene anche eseguito per singola operazione di cessione o prestazione, nel senso che il personale ispettivo cerca tendenzialmente di rilevare la precisa corrispondenza tra la somma indicata nel documento certificativo emesso e l’importo accreditato sul conto aziendale mediante strumenti elettronici di pagamento.

La mancanza di tale corrispondenza può indurre i verificatori a ricostruire (in modo appunto indiretto) il volume d’affari imputando in aumento a quanto dichiarato dal contribuente le differenze positive tra gli accrediti operati con strumenti di pagamento elettronico e i singoli documenti dal medesimo emessi.

Indicazioni di prassi. La stessa Guardia di Finanza, nell’istruzione operativa n. 1/2008 in tema di verifiche fiscali, segnala ai propri Reparti la possibilità di esperire tale tipologia di riscontro, associandola di norma ad altre tipologie di verificazioni esperibili in locali aperti al pubblico (quali, bar, ristoranti, pub, pizzerie, discoteche, stabilimenti balneari, etc.); in particolare vengono evidenziate, quali attività utili per acquisire elementi di fatto su cui impostare un procedimento di ricostruzione del reale volume d’affari dell’azienda, la rilevazione delle presenze giornaliere della clientela mediante rilevamenti diretti da parte del personale ispettivo (anche in forma riservata), ovvero mediante rilevamenti fotografici.

Trattasi di rilevamenti (quelli delle presenze) che difficilmente possono, per se stessi, validamente supportare una ricostruzione di tipo indiretto e le conseguenti proposte di recupero a tassazione; tuttavia, qualora siano corroborati da altre circostanze, tra le quali, appunto, la discordanza tra importi certificati e importi risultanti dai pagamenti elettronici, ben possono fornire un quadro generale di carattere fortemente indiziario, su cui impostare proficuamente la ricostruzione del reale ciclo d’affari.

Lo stesso documento di prassi osserva, con specifico riferimento al confronto fra documenti fiscali emessi e risultanze degli strumenti di pagamento elettronico, come la stessa giurisprudenza di legittimità abbia, tra l’altro, “riconosciuto fondata, ex art. 54, comma 2, del D.P.R. n. 633/72, la presunzione di occultamento di maggiori ricavi ove dalla documentazione contabile risulti un divario tra la somma degli importi coperti da scontrini fiscali e la somma, superiore, degli importi incassati tramite carte di credito, in relazione all’obbligo del contribuente, ex art. 24 del medesimo decreto, di indicare, nell’apposito registro, l’ammontare complessivo dei corrispettivi giornalieri, ivi compresi quelli relativi a pagamenti parziali e nel giornale di fondo tutti i corrispettivi, anche se non riscossi”.

La difesa del contribuente. E’ evidente, tuttavia, come non esista alcuna norma positiva che imponga al contribuente una perfetta coincidenza tra importo certificato con scontrino o ricevuta fiscale e importo risultante dal pagamento elettronico.

Si pensi, a titolo esemplificativo, ai casi in cui la prestazione del ristorante sia stata fornita ad una comitiva di persone le quali, al termine della stessa, abbiano pagato separatamente le proprie consumazioni, alcuni con bancomat, altri con carta di credito, altri infine in contanti, a fronte dell’emissione di un unico scontrino fiscale per l’importo complessivo: l’organo verificatore, riscontrando in tal caso una serie di pagamenti elettronici a fronte dei quali non esistono documenti certificativi per ogni singolo importo, potrebbe contestare la mancata documentazione della sommatoria dei corrispettivi risultanti da tali pagamenti, nonché la mancata emissione di tanti scontrini, quanti sono numericamente gli accrediti bancari privi di riscontro.

E’ vero che in numerose occasioni la giurisprudenza di merito ha affermato che la mancata corrispondenza tra le risultanze del Pos e gli scontrini fiscali, rientrando nell’ambito delle ccdd. “presunzioni semplici”, non è, da sola, significativa della mancata emissione degli scontrini stessi (cfr, ad esempio sentenza CTR dell’Aquila, sezione distaccata Pescara, n. 188/2013); è anche vero che il contribuente, in sede di contraddittorio, potrebbe riuscire a giustificare le incongruenze evidenziate dai verbalizzanti utilizzando, ad esempio, documenti extracontabili normalmente emessi per la gestione dei tavoli; ma è altrettanto vero che, a distanza di tempo, tale ricostruzione analitica potrebbe risultare di fatto impossibile al contribuente che, di conseguenza, potrebbe trovarsi a gestire un contenzioso dall’esito incerto.

Il rischio connesso alla verbalizzazione di tali violazioni, soprattutto con riferimento alla possibilità per l’Amministrazione finanziaria di irrogare, dopo aver accertato quattro mancate emissioni in giorni diversi, la sanzione accessoria della chiusura dell’esercizio, dovrebbe suggerire al contribuente l’opportunità di uniformare le proprie procedure di certificazione dei corrispettivi, facendo sì che ad ogni accredito elettronico corrisponda necessariamente uno scontrino o una ricevuta fiscale per l’esatto importo, ancorché tale modus operandi si possa rivelare particolarmente oneroso.

Autore: Marco Brugnolo