Dichiarazione fraudolenta con false fatture, il ravvedimento consente di patteggiare

Per accedere al patteggiamento in caso di dichiarazione fraudolenta mediante utilizzo di fatture false è possibile aderire al ravvedimento: occorre infatti che il contribuente estingua completamente il proprio debito anche attraverso questa particolare regolarizzazione. A fornire questo principio è la Cassazione con la sentenza 5448/2018 depositata ieri.

La legale rappresentante di una società, imputata del reato di dichiarazione fraudolenta mediante utilizzo di fatture false definiva il procedimento penale patteggiando la pena.

La Procura proponeva ricorreva per Cassazione lamentando che il giudice avesse omesso di verificare i requisiti necessari per il patteggiamento di questa tipologia di delitto.

In particolare, in base all’articolo 13-bis del Dlgs 74/2000, la pena patteggiata è subordinata per i reati tributari all’integrale estinzione del debito, compresi oneri e accessori, ovvero all’ipotesi di ravvedimento operoso.

I giudici di legittimità, riformando la decisione, hanno ritenuto fondato il ricorso. Innanzitutto la Cassazione ha rilevato che la nuova formulazione della norma stabilisce espressamente che per i delitti tributari, l’adesione al patteggiamento può essere chiesta dalle parti solo quando ricorre l’integrale pagamento prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, dei debiti, comprese le sanzioni amministrative e interessi ovvero in presenza di ravvedimento operoso. Fanno eccezione i reati di omesso versamento, di indebita compensazione di crediti non spettanti e di dichiarazione omessa o infedele, per i quali l’integrale pagamento anche tramite ravvedimento configura una causa di non punibilità.

Il reato contestato era di dichiarazione fraudolenta mediante fatture false per il quale l’integrale pagamento o il ravvedimento operoso avrebbero consentito l’accesso al patteggiamento.

Il giudice territoriale aveva omesso qualunque valutazione sulla sussistenza di uno dei due requisiti e di conseguenza che la sentenza doveva essere riformata.

La decisione fa emergere che l’interpretazione dell’amministrazione finanziaria, recentemente confermata a Telefisco 2018, secondo la quale questa tipologia di violazione non è ravvedibile (si veda Il Sole 24 Ore del 2 febbraio scorso), non è corretta. La circolare 180/E/1998 ha precisato che il ravvedimento non era possibile per regolarizzare infedeltà dichiarative riconducibili a condotte fraudolente, quali ad esempio l’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti. A tale conclusione l’Agenzia giungeva a seguito di una interpretazione restrittiva dell’articolo 13 del Dlgs 472 del 1997 secondo cui sono possibili le regolarizzazioni di «errori e di omissioni». Tuttavia con le novità introdotte nel sistema sanzionatorio penale tale interpretazione sembrava superata.

In occasione di Telefisco 2018, Entrate e Guardia di Finanza hanno sostanzialmente confermato l’esclusione del ravvedimento operoso per l’ipotesi di costi per operazioni inesistenti. La Cassazione ha ora chiaramente affermato che per accedere al patteggiamento, la norma prevede espressamente tale regolarizzazione, senza alcuna esclusione per tipologia di reato, e quindi anche l’utilizzo di fatture false può essere ravveduto.

Fonte “Il sole 24 ore”