L’avviamento va dedotto per intero

di Primo Ceppellini e Roberto Lugano

 Il conferimento di azienda ha da tempo trovato una disciplina fiscale stabile nell’articolo 176 del Tuir. C’è però una fattispecie sulla quale le istruzioni dell’agenzia delle Entrate portano a conclusioni anomale: si tratta del caso in cui viene conferita una azienda acquistata in precedenza, per la quale è stato contabilizzato un avviamento.

La posizione ufficiale delle Entrate è stata espressa nella circolare 8/E del 4 marzo 2010; in modo abbastanza sorprendente, l’avviamento è stato considerato come un elemento scindibile dal complesso di beni aziendali che non può essere oggetto di conferimento: «Considerato che il valore dell’asset avviamento non è oggetto di trasferimento (ma viene stornato dalla contabilità del soggetto conferente in conseguenza della perdita di valore scaturente dalla dismissione del compendio aziendale di riferimento), si ritiene che tale posta contabile debba essere esclusa dal concetto di azienda conferita».

La dottrina ha ampiamente criticato questa posizione, propendendo per una ipotesi diametralmente opposta: la norma di comportamento Aidc n. 181 del 10 giugno 2011 ha infatti affermato che in caso «di conferimento d’azienda, in relazione alla quale sia già iscritta nella contabilità del conferente una posta a titolo di avviamento, il conferitario acquisisce l’avviamento unitamente agli elementi che compongono l’azienda e subentra nel valore fiscale che l’avviamento aveva in capo al conferente».

In ogni caso, secondo le Entrate, l’ammortamento dell’avviamento prosegue presso il soggetto conferente; trattandosi nel caso di specie di una società che continua a dichiarare reddito di impresa, non vi sono penalizzazioni derivanti da questa impostazione.

Diversa è la situazione in cui il soggetto conferente perde lo status di imprenditore, cosa che avviene nel caso di conferimento dell’impresa individuale. Sul tema è stata interpellata la Dre della Lombardia, che nella sua risposta (interpello n. 904-1573/2017) ha però ritenuto ancora applicabili, nonostante il caso diverso, le conclusioni della circolare 8/E/2010: «La deduzione del valore fiscale residuo dell’avviamento preesistente (che si ribadisce non viene trasferito alla conferitaria, ma resta presso il conferente), deve avvenire per intero, ai sensi dell’articolo 101, comma 5, del Tuir, nell’ultimo periodo d’imposta del conferente, quale ultimo evento fiscale che lo riguarda prima della perdita della qualifica di imprenditore».

L’effetto penalizzante in capo all’impresa, secondo la Dre, è comunque scongiurato grazie alla possibilità di riporto delle perdite: «L’eventuale risultato fiscale negativo (emergente dal quadro RF del modello redditi persone fisiche) cui concorre anche la deduzione del valore fiscale residuo non ammortizzato dell’avviamento, è utilizzabile, ai sensi dell’articolo 8 comma 3 del Tuir, da parte dell’ex imprenditore individuale (nel quadro RH dei successivi periodi d’imposta) in compensazione con altri redditi della stessa natura».

Il risultato sembra simile a quello raggiunto con la circolare del 2010, ma è solo un’apparenza: nel caso generale, le perdite fiscali nel mondo Irpef (articolo 8, comma 3, del Tuir) sono infatti riportabili solo nei cinque periodi di imposta successivi. Il risultato di questa impostazione, chiaramente non condivisibile, è che per cinque anni il reddito di partecipazione nella conferitaria viene abbattuto dal riporto delle perdite, mentre dal sesto anno in poi le perdite residue sono inutilizzabili e quindi perse.

La vicenda diviene paradossale, poi, nel caso di conferimento in società di capitali (non trasparenti): gli unici redditi futuri saranno dividendi, quindi una tipologia non compensabile con le perdite riportate.

Sarebbe auspicabile in futuro un ripensamento dell’amministrazione, volto soprattutto a tenere in considerazione l’aspetto economico-aziendale del tema, e cioè il fatto che l’avviamento non può mai essere scisso dall’azienda a cui si riferisce.