Costi pluriennali, stop ai controlli «infiniti»

di Laura Ambrosi e Antonio Iorio

Per i costi pluriennali la rettifica da parte dell’amministrazione è possibile solo se nell’esercizio di sostenimento, ossia il primo di imputazione, il potere di accertamento non è ancora decaduto, a nulla rilevando le successive imputazioni annuali. È questo l’importante orientamento assunto recentemente dalla Corte di cassazione.

La questione
I costi di «utilità pluriennale» non sono dedotti integralmente nell’esercizio di sostenimento, ma vengono imputati anche negli anni successivi.Ne consegue così che in un determinato periodo di imposta potrebbero esserci quote di ammortamento relative a beni acquistati in anni il cui potere di accertamento è già decaduto.

La circostanza ha suscitato dubbi nell’ambito dell’attività di controllo: secondo la prassi seguita dai verificatori, infatti, poiché “parte” di quel costo ha rilevanza in esercizi ancora accertabili, è possibile verificarne la congruità fin dall’origine e, quindi, è legittimo disconoscere parte o tutto del valore di acquisto.

Si pensi ad esempio a un macchinario acquistato al prezzo di 100mila euro nel 2010 (periodo di imposta per il quale è decaduto a fine 2015 il potere di rettifica da parte dell’amministrazione) e ammortizzato al 10% annuo, pari cioè a 10mila euro imputati in ciascun esercizio. Cosa succede se nel corso di una verifica nel 2018 e relativa al 2014 (anno ancora accertabile), nell’ambito del controllo dei beni strumentali, i verificatori ritengono per le più svariate ragioni che solo 20mila dei 100mila euro sostenuti siano deducibili?

Secondo l’interpretazione dell’amministrazione, poiché la quota di ammortamento ha rilevanza in anni ancora accertabili, è possibile recuperare a tassazione la parte ritenuta indeducibile rispetto al costo originario. E quindi, seguendo l’esempio, è legittimo il recupero di 8mila euro dei 10mila imputati in ammortamento.

Il principio della Cassazione
È stato richiesto alla Suprema corte di stabilire se per i costi che danno luogo a una deduzione frazionata in più anni la decadenza del potere di accertamento dell’amministrazione si realizzi al 31 dicembre del quarto anno successivo a quello di ciascun periodo di imposta in cui è dedotto il costo ovvero a quello in cui è stato iscritto il costo originario.

Con la recente sentenza 9993/2018 i giudici di legittimità hanno innanzitutto ricordato che in conformità dei principi affermati dalla Consulta (sentenza 352/2004), l’interpretazione della norma sulla decadenza non può lasciare il contribuente esposto all’azione esecutiva del fisco per termini eccessivamente dilatati. Ciò anche perché il contribuente è tenuto alla conservazione dei documenti per gli anni oggetto di possibile controllo.

Per non violare questi principi, secondo i giudici di legittimità nell’ipotesi di costi la cui deducibilità è frazionata nel tempo, il computo della decadenza decorre dall’anno in cui è stato iscritto in bilancio il valore da ripartire. Perciò, se il Fisco non ha disconosciuto tale originaria iscrizione, le relative quote imputate negli esercizi successivi divengono deducibili.

L’unica contestazione in tali periodi di imposta, può riguardare un’eventuale errata determinazione perché ad esempio imputata in misura superiore o malamente calcolata.

Gli acquisti non rettificabili
Alla luce di questo principio occorre individuare se l’acquisto del bene strumentale in ammortamento sia avvenuto in un anno non ancora decaduto:

fino al periodo di imposta 2015 (modello Unico 2016), gli uffici potevano notificare accertamenti entro il 31 dicembre del quarto anno successivo a quello di presentazione (o quinto in caso di omessa dichiarazione). Quindi, se la dichiarazione è stata presentata, nel 2018 risultano decaduti gli acquisti effettuati fino al 2012, a prescindere dal fatto che il relativo ammortamento sia ancora in corso. Inoltre, la norma prevedeva il raddoppio dei termini se la violazione comportava l’obbligo di denuncia di un reato tributario. È pertanto verosimile che in tale ipotesi, il maggior termine consenta all’ufficio di verificare gli acquisti di cespiti anche se avvenuti in periodi precedenti al 2012;

dal periodo d’imposta 2016 (modello Redditi 2017), invece, gli uffici possono notificare gli accertamenti entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione (ovvero se omessa o nulla entro il 31 dicembre del settimo anno successivo a quello in cui si sarebbe dovuta presentare). E quindi, ad esempio, il bene strumentale acquisito nel 2016, potrà essere verificato e nel caso contestato solo fino al 2022, senza peraltro alcuna possibile proroga anche in presenza di reato, dato che la modifica ha abrogato il raddoppio dei termini.

Fonte “Il sole 24 ore”