Cessazione di attività, rimborso Iva per i beni ceduti al valore inferiore di acquisto

In caso di cessazione dell’attività, il diritto al rimborso dell’Iva non può essere negato se il rifiuto si fonda su di un avviso di accertamento basato sull’incongruità che il corrispettivo dei beni ceduti fosse inferiore rispetto al costo di acquisto, soprattutto qualora l’operazione siano state considerate, dallo stesso Ufficio, come effettive ed esistenti. Va da se che, il diritto alla detrazione e, di conseguenza il rimborso dell’Iva, non possono essere negati in presenza del solo scostamento del corrispettivo rispetto al valore di mercato dei beni e in assenza di intenti fraudolenti o abusivi, come confermato anche dalla giurisprudenza di legittimità in senso favorevole al contribuente.
A confermare tale orientamento è la Commissione tributaria provinciale di Caserta con le sentenze 6405 e 6406 del 21 dicembre 2018.

La vicenda tra origine, in sintesi, dal diniego di rimborso dell’Iva opposto dall’amministrazione a seguito della notifica di un avviso di accertamento. In pratica era accaduto che il contribuente, resosi conto che l’attività intrapresa non era remunerativa, provvedeva alla vendita dei beni aziendali ad un prezzo inferiore al costo e conseguentemente cessava l’impresa richiedendo il rimborso dell’Iva maturata nel corso del periodo d’imposta. Secondo l’Ufficio si trattava di operazioni prive dei requisiti di economicità e, pertanto, rettificava l’operazione sia ai fini Iva sia ai fini delle imposte dirette. Quest’ultime però, venivano annullate avendo l’Ufficio riconosciuto l’emersione di una minusvalenza in luogo della plusvalenza originarmene accertata.

La verifica degli atti in causa ha portato il collegio a rilevare la mancanza dei presupposti giuridici legittimanti l’avviso di accertamento poiché, la scelta di svendere i beni materiali era maturata a seguito della presa di coscienza dell’insussistenza della marginalità economica dell’impresa che l’Agenzia non aveva mai contestato. Quindi, il diniego del rimborso emergente a seguito della cessazione dell’attività d’impresa risultata improduttiva non poteva essere giustificato in assenza di elementi e altre circostanze finalizzate al risparmio fiscale.
Secondo i giudici, pertanto, la sola antieconomicità non può essere motivo sufficiente per negare la detrazione; quest’ultima, infatti, può essere contestata nel caso in cui il comportamento contrario ai canoni dell’economicità rilevi come ulteriore indizio di non veridicità dell’operazione o di non inerenza.
I giudici convergono nel ritenere che, negare il diritto alla detrazione, basandosi sul valore di mercato, senza tener conto dell’effettivo corrispettivo percepito, non solo contrasterebbe con i canoni del diritto unionale, ma lederebbe il principio cardine della neutralità dell’Iva in capo ai soggetti passivi.

Fonte “Il sole 24 ore”