Liti pendenti, il concetto di «atto impositivo» al test di quelli liquidatori

La nuova disposizione finalizzata alla chiusura delle liti fiscali pendenti impone un’attenta valutazione derivante dalla struttura della norma nella parte in cui delimita il perimetro di applicazione ai soli atti qualificati come impositivi.
Tale contesto lascia intravedere che le controversie riguardanti atti con i quali l’agenzia delle Entrate si è limitata a liquidare le somme dovute in esito a quanto dichiarato dai contribuenti, resterebbero prive di una soluzione bonaria. L’ultima conferma, in tal senso, arriva dalla Cassazione con lasentenza n. 7099 del 13 marzo 2019 .
Tra queste situazioni potrebbero rientrare, ad esempio, l’avviso di liquidazione dell’imposta di registro e dell’imposta principale di successione e donazione, così come le cartelle che fanno seguito agli avvisi bonari.

Per il momento, quindi, ci sono perplessità sulla possibilità di definire gli atti con i quali l’ufficio richiede il pagamento dell’imposta principale (ad esempio, registrazione d’ufficio, richiesta di registrazione di atti giudiziari), dell’imposta suppletiva e dell’imposta complementare diversa da quella di un maggior valore accertato (ad esempio, decadenza dalle agevolazioni tributarie).
Tuttavia, se nei precedenti provvedimenti di pacificazione fiscale l’amministrazione finanziaria aveva prevalentemente escluso che la semplice attività liquidatoria avesse la connotazione di attività impositiva, rimane comunque margine per far rientrare nel novero degli atti impositivi, attraverso un’attenta lettura sistematica delle norme e degli indirizzi giurisprudenziali, anche quei provvedimenti che per la prima volta esternalizzano la pretesa tributaria.
A questo proposito, la linea di demarcazione tra l’ atto che ha natura impositiva e quello che non ce l’ha non può essere ricavata dalla semplice denominazione del provvedimento, ma deve essere verificata sulla base della sostanza e sull’incidenza che lo stesso produce nella sfera patrimoniale del contribuente.
Su questi presupposti l’agenzia delle Entrate chiarì, in merito alla chiusura delle liti fiscali minori (circolare 48/E 2011), che in tema di liquidazione dell’imposta principale di successione, affinché l’atto avesse natura impositiva, occorreva che dal contenuto finale dell’atto amministrativo tributario si ricavasse l’esercizio dell’attività discrezionale e valutativa dell’ufficio di carattere non seriale.

In quell’occasione, inoltre, in merito all’imposta di registro fu anche precisato, richiamando un precedente giurisprudenziale di legittimità (Cassazione 20731/2010), che all’avviso di liquidazione non può essere esclusa la natura di atto impositivo quando questo è destinato ad esprimere per la prima volta una pretesa maggiore rispetto a quella applicata al momento della registrazione.
In sostanza, per essere definibile, bisogna guardare alla natura sostanziale del rapporto giuridico d’imposta che si intende chiudere. In altre parole, l’atto rientra nella sanatoria tutte le volte che dal suo contenuto si evincono passaggi cognitivi e valutativi necessari per arrivare alla formazione del provvedimento tributario. E questo può avvenire anche quando oggetto del giudizio è un avviso di liquidazione in quanto primo atto con cui viene richiesta l’imposta.
Da tale contesto emerge chiaramente come una valutazione oggettiva e consapevole non può prescindere, per coloro che intendo attivare la procedura agevolativa, da un intervento chiarificatore che specifichi le singole fattispecie rientranti nell’ambito della sanatoria.

 Fonte “Il sole 24 ore”