Sgravi per assunzioni. Sanzioni per evasione contributiva

Cassazione Lavoro, sentenza depositata il 15 ottobre 2015

Fornire all’INPS un quadro della consistenza dell’obbligo contributivo non conforme al vero integra l’ipotesi di denuncia infedele, con la conseguenza che l’istituto previdenziale può legittimamente applicare all’azienda il regime sanzionatorio previsto per l’evasione contributiva. 
È quanto emerge dalla sentenza n. 20845/15 della Sezione Lavoro della Suprema Corte.

Ricorre per Cassazione l’INPS, in una controversia riguardante un verbale ispettivo nei confronti di una società alla quale è stato contestato di aver fruito di sgravi contributivi senza averne diritto.

La società ha riconosciuto il proprio debito nel corso dell’ispezione, salvo poi contestare la validità dell’atto di ricognizione per un vizio riguardante la sua sottoscrizione; ma il documento è stato ritenuto inoppugnabile dalla Corte d’appello, che ha pure dichiarato la non spettanza degli sgravi per i dipendenti assunti dalla società negli anni 2000, 2001 e 2002. La Corte territoriale ha ravvisato un’ipotesi omissione contributiva, con applicazione delle relative sanzioni.
Ebbene, proprio con riguardo al regime sanzionatorio, l’INPS ha lamentato l’errore di diritto del giudice di merito e la Suprema Corte ha accolto tale censura.

Gli ermellini hanno ricordato l’orientamento, oramai pacifico, secondo cui, in tema di obbligazioni contributive nei confronti delle gestioni previdenziali e assistenziali, l’omessa o infedele denuncia mensile all’INPS (attraverso i cosiddetti modelli DM10) di rapporti di lavoro o di retribuzioni erogate, ancorché registrati nei libri di cui è obbligatoria la tenuta, concretizza l’ipotesi di “evasione contributiva” di cui alla L. n. 388 del 2000, art. 116, comma 8, lett. b), e non la meno grave fattispecie di “omissione contributiva” di cui alla lett. a) della medesima norma, che riguarda le sole ipotesi in cui il datore di lavoro, pur avendo provveduto a tutte le denunce e registrazioni obbligatorie, ometta il pagamento dei contributi.

Si deve ritenere che l’omessa o infedele denuncia configuri occultamento dei rapporti o delle retribuzioni o di entrambi e faccia presumere l’esistenza della volontà datoriale di realizzare tale occultamento allo specifico fine di non versare i contributi o i premi dovuti. Conseguentemente, grava sul datore di lavoro inadempiente l’onere di provare la mancanza dell’intento fraudolento – quindi la sua buona fede -, onere che non può, tuttavia, reputarsi assolto in ragione dell’avvenuta corretta annotazione dei dati, omessi o infedelmente riportati nelle denunce, sui libri di cui è obbligatoria la tenuta.

In tale contesto spetta al giudice del merito accertare la sussistenza, ove dedotte, di circostanze fattuali atte a vincere la suddetta presunzione, con valutazione intangibile in sede di legittimità ove congruamente motivata.

Ebbene, secondo gli ermellini, ha ragione la controricorrente INPS quando sostiene che le sanzioni applicabili alla società sono quelle per l’ipotesi evasione contributiva e non quelle, più lievi, previste per il caso di omissione contributiva, come invece sostenuto dalla Corte d’appello: “e difatti”, scrivono i supremi giudici, “l’autoliquidazione degli sgravi operata dal datore di lavoro, che ha fornito all’istituto previdenziale un quadro della consistenza dell’obbligo contributivo non conforme al vero, integra l’ipotesi di denuncia infedele”.

La società, peraltro, non ha assolto all’onere di provare la mancanza dell’intento fraudolento e, quindi, sulla base di specifiche risultanze fattuali, l’effettiva trasparenza del proprio comportamento.

Insomma, la Suprema Corte rigetta il ricorso principale della società, mentre accoglie quello incidentale dell’INPS e, decidendo la causa nel merito, dichiara che per il calcolo delle sanzioni ricorre l’ipotesi di evasione contributiva. Conferma nel resto la statuizione del giudice di secondo grado.

Autore: Redazione Fiscal Focus