Finanziamenti soci: necessaria la prova scritta

La documentazione utile per il corretto inquadramento

Premessa – La disciplina normativa relativa al finanziamento da parte dei soci, cerca di porre un freno alla sottocapitalizzazione delle “piccole” società. L’inquadramento del finanziamento soci non è agevole: in concreto può oscillare tra capitale di rischio e capitale di credito. Tale difficile classificazione, oltre ad essere possibile causa di contenzioso tra le parti, può ingenerare problemi di natura fiscale. 
Versamento da pare di soci – Nella prassi è in uso, soprattutto nelle società di piccole e medie dimensioni, sopperire al fabbisogno finanziario, oltre che con il ricorso a terzi (banche, fornitori), anche con l’acquisizione della disponibilità direttamente dai soci sia sotto forma di finanziamento che sia sotto forma di versamenti atipici

Finanziamento – Il finanziamento dei soci, è una operazione distinta da quella del conferimento di capitale di rischio. Con l’acquisizione di capitali tramite il finanziamento dei soci, la società si obbliga a remunerare il capitale ricevuto (se non è prevista la gratuità) pattuendone il rimborso, con una operazione che, per giurisprudenza e dottrina consolidate, è assimilabile al contratto di mutuo, di cui apprende la disciplina dettata dall’art. 1813 e seguenti del Codice Civile. In termini generali, gli apporti dei soci rappresentano erogazioni a vantaggio della società partecipata per accrescerne la dotazione finanziaria, o anche patrimoniale, necessaria per l’equilibrato svolgimento della gestione.
Individuazione – Sul piano concreto, se da un lato è facile individuare il conferimento di capitale sociale da parte del socio, dall’altro non è sempre agevole accertare se un versamento effettuato dal socio a favore della società rappresenti un reale apporto di capitale proprio o una operazione di finanziamento concessa alla società.

Convenienza – Nella prassi, invero, spesso accade che i versamenti dei soci trovino giustificazione non nella incapacità dell’azienda di acquisire credito da terzi, ma in calcoli di convenienza, tra cui, ad esempio l’arbitraggio fiscale dato dal risparmio di imposta in capo alla società, per la deduzione dal reddito di impresa degli interessi passivi maturati, se maggiore delle imposte dovute dai soci sugli interessi percepiti. Può risultare utile anche per la volontà dei soci di non superare la soglia minima del capitale sociale prevista per l’obbligatorietà del collegio sindacale e, quindi, per ottenere un risparmio in termini di costi amministrativi di gestione e per evitare le verifiche di legge che competono all’organo di controllo. Altro aspetto da considerare è la volontà di sottrarre al rischio imprenditoriale i capitali investiti nell’impresa, considerato che le somme versate a titolo di finanziamento sono rimborsabili dalla società senza i vincoli di legge dettati per il rimborso del capitale di rischio, perché l’operazione è assimilabile al contratto di mutuo.

Accordo scritto – Non di rado, nella pratica corrente, il rapporto di finanziamento non viene regolato da alcun accordo scritto e il suo trattamento si può dedurre esclusivamente dal comportamento concludente delle parti e dall’iscrizione di tale operazione tre i debiti esposti in bilancio d’esercizio. Tale modo di operare può ingenerare problemi di natura fiscale.

Comunicazione – Tali problematiche si riverberano anche per l’adempimento in scadenza a fine mese riguardante la comunicazione dei beni/finanziamenti soci. L’ottemperanza a tale obbligo tributario può costringere la società a raccogliere e mettere in ordine i documenti necessari ed effettuare una ulteriore utile verifica sulla correttezza di questi ultimi e del comportamento contabile relativo al finanziamento.

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti