Accertamento. Quando il fisco sbaglia con il “ricarico”

 Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Sentenza della Cassazione in tema di accertamento induttivo dei ricavi

Quanto le scritture contabili non presentano irregolarità, l’Ufficio non può contestare maggiori ricavi sol perché il contribuente ha applicato una percentuale di ricarico molto bassa per il settore di appartenenza.

È quanto emerge dalla sentenza n. 22464/15 della Corte di Cassazione – Sezione Tributaria.

Un contribuente, esercente attività di installazione di impianti idraulici e sanitari e di commercio dei relativi articoli, ha ottenuto dalla Cassazione il definitivo annullamento dell’atto impositivo con cui l’Agenzia delle Entrate gli aveva contestato maggiori ricavi, quindi maggiori imposte, in virtù della rettifica con metodo induttivo della dichiarazione dei redditi.

La rettifica, nella specie, è scaturita dall’applicazione di una percentuale di ricarico diversa da quella dichiarata poiché quest’ultima è risultata di oltre 20 volte inferiore a quella di settore.

Nel giudizio dinanzi alla Suprema Corte la difesa erariale ha lamentato la violazione dell’art. 39 del D.P.R. 600/73 e degli artt. 2727 e 2697 C.c., in quanto la CTR, alla luce di un ricarico dichiarato molto basso rispetto al settore di appartenenza, avrebbe dovuto ravvisare una legittima presunzione di maggiori ricavi e quindi non dichiarare l’illegittimità della ripresa.

Ebbene, la Suprema Corte ha respinto la doglianza del fisco avendo ritenuto corretto il ragionamento decisionale del giudice di secondo grado.

In tema di accertamento delle imposte dirette, hanno ricordato i supremi giudici, “per presumere l’esistenza di ricavi superiori a quelli contabilizzati e assoggettati ad imposta, non bastano semplici indizi, ma occorrono circostanze gravi, precise e concordanti. Ne consegue che non è legittima la presunzione di ricavi, maggiori di quelli denunciati, fondata sul raffronto tra prezzi di acquisto e di rivendita operato su alcuni articoli anziché su un inventario generale delle merci da porre a base dell’accertamento, né si rende legittimo il ricorso al sistema della media semplice, anziché a quello della media ponderale, quando tra i vari tipi di merce esiste una notevole differenza di valore ed i tipi più venduti presentano una percentuale di ricarico inferiore a quella risultante dal ricarico medio”.

L’Ufficio ha sostenuto di aver proceduto alla determinazione del ricarico in base alla “media ponderata”, ma la CTR ha messo in luce le numerose falle di questo procedimento.

Il giudice d’appello ha rilevato che la determinazione del ricarico è stata “tutt’altro che puntuale e precisa” per avere l’Ufficio “erroneamente attinto i prezzi di vendita da confrontare con i prezzi di acquisto dalle fatture emesse a carico di enti pubblici; per aver, talvolta, rapportato il prezzo di vendita con Iva al prezzo di acquisto senza l’imposta; per essere ‘troppo disomogenei’ i beni raggruppati per categorie omogenee, in realtà non coerenti, con conseguente troppo elevato scarto fra prezzo minimo e prezzo massimo”; per essere stato falsato, inoltre, il rapporto tra prezzo d’acquisto di oltre 7000 articoli e i prezzi di vendita oltre 2000 articoli; per aver l’Ufficio considerato nei prezzi d’acquisto sconti e abbuoni di competenza dell’anno precedente, e per non aver tenuto conto che nei prezzi di vendita era compresa la posa in opera degli articoli acquistati, con evidente incidenza del costo della mano d’opera sul prezzo di vendita praticato.

A fronte di questi rilievi, la CTR ha giustamente ritenuto inficiato il risultato ottenuto, poi posto a base dell’accertamento impugnato, anche perché, con riguardo all’oggetto dell’attività del contribuente, attività di fatto rappresentata da merci molto disomogenee, non può dirsi legittimo un accertamento che non sia basato sul rigoroso calcolo della media ponderata. Pertanto la CTR ha affermato, trovando l’avallo dei Supremi Giudici, che “in presenza di scritture contabili corrette e quindi non contestate dall’ufficio, il solo rilievo che il contribuente abbia applicato una percentuale di ricarico diversa dal settore di appartenenza non è sufficiente a legittimare una presunzione di maggior reddito, come nel caso di specie”.

L’Agenzia delle entrate è stata condannata al pagamento delle spese del giudizio di legittimità.

Autore: redazione fiscal focus