Cooperative di tipo B: la fine di un modello?

Le cooperative sociali nascono con la finalità di perseguire l’interesse generale della comunità, garantendo la promozione umana e l’integrazione sociale dei cittadini. Proprio questa “vocazione collettiva” le distingue dagli altri tipi di cooperative che mirano esclusivamente a rispondere agli interessi “individuali” dei singoli soci.
Le cooperative sociali, nell’espletamento delle proprie funzioni, operano bilanciando il legittimo interesse economico al profitto con l’altrettanto fondamentale obiettivo a perseguire questo attraverso l’inserimento di soggetti svantaggiati che devono essere almeno il 30% sul totale della forza lavoro impiegata.
La Legge 381/1991 che disciplina le cooperative sociali distingue tra:
• Cooperative sociali di tipo A che si occupano della gestione dei servizi socio sanitari ed educativi rivolte a persone che per svariate ragioni (età, salute, condizione personale e sociale) si trovino in una condizione di svantaggio;
• Cooperative sociali di tipo B che si rivolgono ai medesimi destinatari ma svolgono attività diverse: agricole, industriali, commerciali o servizi.
Per favorire l’inserimento lavorativo delle categorie più svantaggiate, la Legge prevedeva per le cooperative di tipo B la possibilità di stipulare convenzioni con gli Enti Pubblici finalizzate alla fornitura di beni e servizi (ad esclusione di quelli di natura socio sanitaria ed educativa, di competenza delle cooperative di tipo A) in deroga alla normativa del Codice dei contratti, purché gli affidamenti riservati fossero di importi inferiori alla soglia di rilevanza comunitaria fissata a 40.000 euro.
Il comma 610 dell’art.1 Testo Unico della Legge di Stabilità 2015 ha de facto eliminato l’affidamento diretto aggiungendo all’art.5 della Legge 381/1991 quanto di seguito:
“Le convenzioni di cui al presente comma sono stipulate previo svolgimento di procedure di selezione idonee ad assicurare il rispetto dei principi di trasparenza, di non discriminazione e di efficienza”.
Tre righe che cambiano tutto e che rischiano di svuotare di senso il ruolo della cooperazione nel panorama politico-economico italiano.
Il disposto in oggetto va a smantellare un sistema efficiente che ha garantito fino a questo momento la tutela di categorie di lavoratori altrimenti esclusi dal mercato del lavoro, snaturando di fatto lo spirito insito nella Legge 381/91.
La scelta politica che sembra emergere, alla luce dei recenti scandali di Mafia Capitale, è quella di andare a “punire” quegli esempi virtuosi che costituiscono la stragrande maggioranza del panorama delle cooperative.
Più che la trasparenza e la non discriminazione l’unico obiettivo che sembra volersi perseguire è quella dell’efficienza economica tout court. L’aspetto sociale rischia di passare in secondo piano alla luce di criteri ispirati esclusivamente alla logica del vantaggio economico totale.
La norma, inoltre, va nella direzione opposta a quanto stabilito dalla nuova Direttiva Europea sugli appalti pubblici 2014/24/UE la quale al comma 1 dell’articolo 20 stabilisce che: Gli Stati membri possono riservare il diritto di partecipazione alle procedure di appalto a laboratori protetti e ad operatori economici il cui scopo principale sia l’integrazione sociale e professionale delle persone con disabilità o svantaggiate o possono riservarne l’esecuzione nel contesto di programmi di lavoro protetti quando almeno il 30% dei lavoratori, operatori economici o programmi sia composto da lavoratori con disabilità o da lavoratori svantaggiati.
Tale orientamento viene riaffermato dalla Risoluzione Legislativa del Parlamento Europeo del 15 gennaio 2014 sulla proposta di direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio riguardante la modifica della Direttiva 18/2004 sugli appalti pubblici. L’articolo 36 sottolinea come porre sullo stesso piano le imprese sociali con le altre sul mercato costituirebbe di fatto una distorsione delle regole. Il disposto, in questo senso, è chiarissimo: “Lavoro e occupazione contribuiscono all’integrazione nella società e sono elementi chiave per garantire pari opportunità a tutti. In questo contesto, i laboratori protetti possono svolgere un ruolo significativo. Lo stesso vale per altre imprese sociali il cui scopo principale è l’integrazione o reintegrazione sociale e professionale delle persone con disabilità e delle persone svantaggiate, quali i disoccupati, le persone appartenenti a minoranze svantaggiate o comunque a categorie socialmente emarginate. Tuttavia, detti laboratori o imprese potrebbero non essere in grado di ottenere degli appalti in condizioni di concorrenza normali. Appare pertanto opportuno prevedere che gli Stati membri possano avere la facoltà di riservare la partecipazione alle procedure di aggiudicazione di appalti pubblici o di determinati lotti di appalti a tali laboratori o imprese o riservarne l’esecuzione nel contesto di programmi di lavoro protetti”.
L’Europa prende ad esempio il nostro sistema di tutele ma l’Italia prosegue in “direzione ostinata e contraria” e in tutto ciò viene da chiedersi se l’obiettivo finale sia il superamento del sistema cooperativo, relegando nuovamente ai margini quelle categorie “svantaggiate” a cui fino ad oggi le cooperative hanno dato la possibilità di essere cittadini attivi.

Fonte UNSIC