Dagli studi di settore all’eredità, tante liti senza speranza per l’Erario

di Salvina Morina e Tonino Morina

Sono frequenti le condanne a carico degli uffici che proseguono il contenzioso perdente, subendo una doppia beffa. L’erario non incassa nulla e l’ufficio è condannato a pagare le spese di giudizio. Sono diversi i casi in cui gli ufficipotrebbero evitare la prosecuzione del contenzioso. Ecco, di seguito, quelli più frequenti.

La rinuncia all’eredità «salva» dal Fisco
Per la Cassazione, ordinanza 13639/18, depositata il 30 maggio 2018, chi rinuncia all’eredità non ha alcuna responsabilità per i debiti del contribuente deceduto. Sbaglia perciò l’ufficio che insiste nella richiesta di pagamento agli eredi rinunciatari, e, quindi, deve essere accolto il ricorso dei contribuenti con condanna alle spese a carico dell’agenzia delle Entrate per 15mila euro, oltre rimborso forfetario ed accessori di legge.

L’ufficio deve provare che le operazioni sono inesistenti
Per la Cassazione, l’ufficio che nega la detrazione dell’Iva per presunte operazioni soggettivamente inesistenti, deve fornire la “prova” che le operazioni non sono mai state poste in essere. In mancanza di questa prova, l’accertamento del Fisco deve essere annullato, l’ufficio non incassa nulla ed è condannato a pagare le spese di giudizio, a favore del contribuente, per oltre 6mila euro.

Stop alle sanzioni sugli errori formali
Per i giudici di legittimità, ordinanza 14933 del giorno 8 giugno 2018, non è punibile il contribuente che presenta in ritardo le scritture contabili, a condizione che la violazione «sia priva di incidenza sulla determinazione della base imponibile dell’imposta e sul versamento del tributo e sia inidonea ad arrecare pregiudizio all’esercizio delle azioni di controllo». Il “guaio” è che, dopo quasi 13 anni di contenzioso, l’erario, dopo avere subìto una triplice bocciatura, primo grado, in secondo grado e in Cassazione, non incassa nulla e deve anche pagare le spese di giudizio per circa 5mila euro.

La media semplice non è ponderata
Per la Cassazione, è illegittimo il ricorso alla media semplice, anziché alla media ponderata, quando tra i vari tipi di merci esiste una notevole differenza di valore ed i tipi più venduti presentano una percentuale di ricarico inferiore a quella risultante dal ricarico medio (Cassazione, n. 13319 del 2011; n. 4312 del 2015). Sono diversi i contenziosi in materia di applicazione sbagliata della media aritmetica semplice, “scambiata” per media ponderata. Per giurisprudenza consolidata in materia, è costante l’accoglimento del ricorso dei contribuenti, con conseguente bocciatura dell’operato della Finanza e degli uffici delle Entrate che non applicano correttamente il ricarico medio ponderato.

Il rimborso Iva è soggetto alla prescrizione decennale
Per la Cassazione, sentenza n. 19510 del 19 dicembre 2003, il credito del contribuente per il rimborso dell’Iva si consolida decorsi due anni dal termine per la presentazione della dichiarazione annuale senza che l’amministrazione finanziaria abbia notificato alcun avviso di rettifica o di accertamento ed è esigibile alla scadenza dei successivi tre mesi. Pertanto, il termine di prescrizione decennale del diritto al rimborso decorre a partire da due anni e tre mesi dalla data di presentazione della dichiarazione annuale, non essendo il diritto medesimo esigibile prima del decorso di detto termine.

L’Inps chiede i contributi in base agli accertamenti
L’Inps non ha alcun titolo per chiedere i contributi che scaturiscono dagli accertamenti del Fisco definiti con la chiusura delle liti pendenti. È perciò priva di effetti la richiesta fatta dall’istituto previdenziale, con un avviso di addebito, sulla base dell’accertamento emesso dall’agenzia delle Entrate, direzione provinciale di Siracusa. Per il Tribunale di Siracusa, deve essere perciò accolto il ricorso del contribuente, e, per l’effetto, deve essere annullato l’avviso di addebito emesso dall’Inps (sentenza n. 108/2018, pubblicata il 5 febbraio 2018).

Stop agli studi di settore automatizzati
Proseguono le bocciature della Cassazione nei confronti degli uffici che emettono accertamenti standardizzati da studi di settore. Un esempio è nella sentenza 9755/17, depositata il 18 aprile 2017. Per la Cassazione, sbagliano gli uffici che considerano gli studi di settore uno strumento di accertamento.

Dopo 5 anni di silenzio il Fisco perde i soldi
Le richieste di pagamento, così come i fermi amministrativi notificati dopo i 5 anni dalla notifica della cartella di pagamento, sono prive di effetto. Per la Cassazione, sezioni unite civili, sentenza 23397/16, depositata il 17 novembre 2016, le pretese della Pubblica Amministrazione, agenzia delle Entrate, Inps, Inail, Comuni, Regioni, e altri enti impositori, si prescrivono nel termine “breve” di cinque anni, con l’eccezione dei casi in cui la sussistenza del credito non sia stata accertata con sentenza passata in giudicato o a mezzo di decreto ingiuntivo.

I conti fittizi devono essere provati
Per la Cassazione, deve essere annullato l’accertamento dell’ufficio, relativo all’anno 2002, che non ha “provato” in alcun modo che i versamenti rilevati sui conti personali del socio e della figlia fossero effettivamente riferibili alla società (ordinanza 9212/2018, depositata il 13 aprile 2018). Dopo tre bocciature, primo grado, secondo grado e Cassazione, e dopo oltre 10 anni, il Fisco rimane con un pugno di mosche in mano e con una condanna al pagamento delle spese che la Cassazione liquida in 6mila euro per compensi, più 200 euro per esborsi e il 15% a titolo di spese forfettarie.

Contraddittorio preventivo obbligatorio
Gli atti emessi dal Fisco senza alcun confronto con il contribuente devono essere annullati. Per la Commissione tributaria provinciale di Vicenza, sentenza 48/02/2018, depositata il 17 gennaio 2018, «la violazione del diritto del contribuente al contraddittorio preventivo, ossia antecedente all’emanazione dell’atto di accertamento, determina pertanto l’illegittimità dell’atto, e di conseguenza, il suo annullamento».

Fonte “Il sole 24 ore”