La contabilità in nero costituisce un valido elemento indiziario

Nell’ambito dell’accertamento sulle imposte sui redditi, la contabilità in nero, costituita da appunti personali e da informazioni dell’imprenditore, rappresenta un valido elemento indiziario dotato dei requisiti di gravità, precisione e concordanza prescritti dall’articolo 39 del Dpr 600/1973 in quanto, nella nozione di scritture contabili disciplinate dall’articolo 2709 e successivi del Codice civile, devono ricomprendersi tutti i documenti che registrino, in termini quantitativi o monetari, i singoli atti d’impresa, ovvero rappresentino la situazione patrimoniale dell’imprenditore e il risultato economico dell’attività svolta, competendo poi al contribuente l’onere di fornire un’adeguata prova contraria. A tale conclusione è giunta la Cassazione attraverso l’ordinanza 3738/2019 (clicca qui per consultarla ).

Nel corso di una verifica tributaria può accadere che gli accertatori si imbattano in documenti fiscali dai quali sia possibile evincere la sussistenza di una contabilità parallela, dalla quale si comprenda che il reddito dichiarato dal soggetto verificato non corrisponde a quello effettivamente prodotto.

La Suprema corte, con la sentenza 26141/2016, ha in passato affermato la legittimità dell’accertamento induttivo in presenza di una contabilità in nero, in quanto la stessa rappresenta un valido elemento indiziario dotato dei requisiti di gravità, precisione e concordanza.

È tuttavia necessario individuare in quale ambito accertativo si muovono i verificatori in presenza di documentazione parallela ovvero se il rinvenimento di documenti non ufficiale renda inattendibile la contabilità del contribuente (accertamento induttivo puro o extracontabile (ex articolo 39 comma 2) o se, invece, la documentazione extracontabile costituisca elemento per una ricostruzione presuntiva del reddito, a condizione che un riscontro con la contabilità ufficiale abbia fornito a tale documentazione i requisiti di gravità, precisione e concordanza (accertamento analitico-induttivo, ex articolo 39 comma 1 lettera d).

Talora la Cassazione ha affermato (sentenza 17952/2013) che il ritrovamento da parte della Guardia di Finanza di una contabilità parallela a quella ufficialmente tenuta dalla società sottoposta a verifica fiscale, legittima di per sé il ricorso all’accertamento induttivo-extracontabile in quanto si tratta di dati e notizie da cui possono essere desunte omissioni o false o inesatte indicazioni atteso che, fermi restando i limiti di efficacia delle scritture contabili delle imprese soggette a registrazione, anche le altre scritture provenienti dall’imprenditore possono operare come prova.

Tuttavia pare maggiormente condivisibile la tesi sostenuta dalla Suprema corte (sentenza 22465/2015) la quale, pur riconoscendo piena validità alla documentazione extracontabile, perfettamente idonea alla ricostruzione presuntiva dell’imponibile, ritiene che una contabilità in nero non legittima di per sé, a prescindere dalla sussistenza di qualsivoglia altro elemento, il ricorso all’accertamento induttivo all’articolo 39 comma 2), occorrendo pur sempre la ricorrenza di «omissioni, false, inesatte indicazioni» o di «irregolarità formali», così «gravi, numerose e ripetute» da consentire all’ufficio di prescindere, in tutto o in parte, dalle risultanze delle scritture contabili.

Pertanto l’Agenzia, in presenza di una contabilità parallela, è tenuta a procedere attraverso un accertamento analitico-induttivo ex articolo 39, comma 1, lettera d) in quanto, tale documentazione, possiede i requisiti tipici della presunzione grave, precisa e concordante (Cassazione, sentenza 26141/2016 e 4168/2001).

 Fonte “Il sole 24 ore”