Fatture false, commercialista reo in concorso

Dichiarazione fraudolenta per uso di documenti falsi noti al professionista

Risponde in concorso con il cliente del reato di dichiarazione fraudolenta per utilizzo di fatture false il commercialista che, da precedenti controlli della Gdf, era a conoscenza della falsità dei documenti.

Ad affermarlo è la Corte di cassazione con la sentenza 28158 depositata ieri. Il commercialista di una società veniva condannato in concorso con altri imprenditori per il reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti. Il professionista ricorreva così in Cassazione lamentando l’assenza di prove relativamente al suo contributo nell’illecito commesso da terzi. La Suprema corte confermando la decisione di appello ha innanzitutto ricordato che in giurisprudenza è pacificamente ammessa la configurabilità del concorso del commercialista con il contribuente sia in generale nei reati tributari, sia, più in particolare, nei delitti dichiarativi.

Il commercialista, infatti, può concorrere nel reato di emissione di fatture false (Cassazione 28341/2001), così come nell’indebita compensazione (Cassazione 1999/2017) o di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistenti (Cassazione 39873/2013 e 7384/2018). I giudici di legittimità hanno precisato che il contributo causale del concorrente nel reato può manifestarsi attraverso forme differenziate e atipiche. Il concorso, quindi, può essere sia morale, sia materiale, ma occorrono le prove delle modalità della sua esecuzione, del rapporto con le attività poste in essere dagli altri concorrenti e della reale partecipazione. Con riguardo alla colpevolezza, la Cassazione, ha così chiarito che il dolo specifico richiesto per integrare il delitto di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistenti, è compatibile con il dolo eventuale, ravvisabile nell’accettazione del rischio che la presentazione della dichiarazione comprensiva delle fatture false, possa comportare l’evasione delle imposte.

Nella specie il professionista era consulente della società e dei suoi soci, anche gestendo per loro conto mandati fiduciari. Predisponeva i bilanci di esercizio e disponeva di un accesso diretto in remoto al sistema informatico della società per ottenere dei report contabili periodici. Inoltre, dalle intercettazioni telefoniche e da altri elementi in atti, era emerso di essere a conoscenza, da controlli effettuati dalla Gdf per esercizi precedenti, che le fatture di alcuni fornitori fossero già state considerate false. Infine, era consapevole delle irregolarità fiscali della società come l’omessa istituzione e tenuta della contabilità di magazzino, l’irregolare tenuta del registro degli inventari e così via. Violazioni peraltro, periodicamente segnalate dal collegio sindacale. Perciò la Suprema corte ha ritenuto che il concorso del professionista alla commissione del delitto fosse individuabile nella predisposizione e nell’inoltro delle dichiarazioni contenenti l’indicazione di elementi passivi fittizi supportati da false fatture nonchè nell’attività di supporto per la sistemazione documentale di gravi violazioni contabili.

Fonte “Il sole 24 ore”