Archivi categoria: Reati tributari

Sanatoria per tutte le violazioni relative alle comunicazioni Iva

È possibile definire anche le sviste e le carenze sui dati per gli studi di settore
La regolarizzazione vale solo per violazioni che non impattano sull’imponibile
Il provvedimento 62274/2019, attuativo della sanatoria delle violazioni formali (articolo 9 del Dl 119/2018) varato venerdì dall’agenzia delle Entrate, non individua precisamente le fattispecie interessate dalla regolarizzazione, enunciando invece principi di carattere più generale: in particolare, la violazione, per essere considerata formale, non deve incidere sulla determinazione della base imponibile, dell’imposta e sul versamento del tributo precisando, a scanso di equivoci, che l’omessa presentazione delle dichiarazioni (imposte sui redditi, Irap o Iva), anche qualora non dovesse risultare alcuna imposta dovuta, non rientra nella sanatoria delle irregolarità formali, perché questa omissione rileva sempre ai fini della determinazione della base imponibile.
Per individuare esattamente le violazioni sanabili occorre quindi interrogarsi sulla precisa latitudine della sanatoria tenendo a mente che la definizione non è subordinata al solo pagamento della quota fissa di 200 euro per anno, ma anche alla regolarizzazione postuma della violazione.
Si possono senz’altro considerare formali e quindi rientranti nella sanatoria, tutte le violazioni che vengono punite dall’articolo 8 del Dlgs 471/1997 (violazioni relative al contenuto e alla documentazione delle dichiarazioni) con la sanzione fissa. È il caso, ad esempio, dell’omessa o irregolare presentazione dei dati afferenti l’applicazione degli studi di settore. Inoltre, sono da considerarsi formali e, quindi, rientranti nella sanatoria, la gran parte degli obblighi di comunicazione previsti dall’articolo 11 dello stesso Dlgs 471/1997, come, ad esempio, la comunicazione di sintesi delle liquidazioni periodiche, la comunicazione dei dati delle fatture e degli elenchi Intrastat. Rientrano, inoltre, sicuramente nella sanatoria anche le violazioni relative all’inversione contabile quando l’imposta è stata assolta dalla controparte (articolo 6, commi 9-bis1 e 9-bis2), l’omessa presentazione del modello F24 a saldo zero e diverse altre per le quali si rimanda alla tabella a fianco.
Il provvedimento precisa anche che rientrano nella sanatoria non solo le violazioni formali commesse dai contribuenti, ma pure quelle che riguardano i sostituti d’imposta, gli intermediari ed i soggetti, più in generale, tenuti alla comunicazione di dati fiscalmente rilevanti. In quest’ambito vanno quindi segnalate le eventuali violazioni commesse dagli intermediari abilitati nelle trasmissioni delle dichiarazioni dei propri assistiti, sanzionabili ai sensi dell’articolo 7-bis del Dlgs 241/1997 e quelle più in generale inerenti le varie comunicazioni all’anagrafe tributaria .
Più dubbia è l’applicabilità della sanatoria alle violazioni che non sono state già regolarizzate grazie al ricorso alla cosiddetta remissione in bonis. Ci riferiamo, ad esempio, all’accesso ai regimi fiscali opzionali, subordinati all’obbligo di preventiva comunicazione o di altro adempimento di carattere formale. Vista la posizione assunta nel provvedimento si potrebbe sostenere che queste violazioni possono aver inciso sulla determinazione della base imponibile, dell’imposta e sul versamento del tributo per cui resterebbero estranee alla sanatoria.
© RIPRODUZIONE RISERVATA Fonte “Il sole 24 ore”
Dario Deotto
Gian Paolo Ranocchi

Promosse le soglie di rilevanza penale per le omissioni Iva

di Giovanni Negri

La Corte di giustizia europea promuove le soglie di rilevanza penale per l’omesso versamento dell’Iva. Anche dopo la riforma che le ha sensibilmente elevate da 50mila a 250mila euro.

Con la sentenza depositata ieri nella causa 574 C-574/15, i giudici europei sottolineano innanzitutto che, sebbene le sanzioni che gli Stati membri approvano per contrastare le violazioni in materia di Iva rientrino nella loro autonomia procedurale e istituzionale, quest’ultima è tuttavia limitata, oltre che dal principio di proporzionalità, da un lato, dal principio di equivalenza, che implica che tali sanzioni siano analoghe a quelle applicabili alle violazioni del diritto nazionale simili per natura e importanza e lesive degli interessi finanziari nazionali e, dall’altro, dal principio di effettività, il quale impone che dette sanzioni siano effettive e dissuasive.

Così, la sentenza precisa che la legislazione italiana prevede, per l’omesso versamento dell’Iva (sotto i 250mila euro), una sanzione amministrativa pari al 30 % dell’imposta dovuta, che sono previsti degli interessi di mora da versare all’amministrazione fiscale, che il contribuente può beneficiare di una riduzione della sanzione in funzione del momento in cui regolarizza la propria situazione: tutti elementi che portano a ritenere che il principio di effettività appare rispettato. Conclusione valida anche se le sanzioni sono inflitte soltanto alla persona giuridica (società) e non ai suoi amministratori o dirigenti.

Quanto al principio di equivalenza, la Corte osserva che il reato di omesso versamento Iva (reato lesivo degli interessi dell’Unione) non è paragonabile all’omesso versamento delle ritenute da parte del sostituto d’imposta (reato lesivo degli interessi dell’Italia). Infatti, il sostituto d’imposta può rilasciare a favore del contribuente una certificazione di avvenuto pagamento dell’imposta alla fonte, consentendogli di farla valere davanti all’amministrazione fiscale. Il contribuente è liberato dall’obbligo di pagamento anche se la certificazione non risponde al vero (e cioè persino se il sostituto d’imposta non ha in realtà versato le ritenute all’Erario).

In queste condizioni, è evidente ai giudici che l’omesso versamento dell’imposta sui redditi, reato commesso dal sostituto d’imposta è più difficile da accertare rispetto all’omesso versamento dell’Iva, reato commesso direttamente dal contribuente. Pertanto, il principio di equivalenza non è di ostacolo a una normativa, come quella italiana, che fissa soglie di punibilità diverse per l’omesso versamento Iva (250mila euro) e per l’omesso versamento delle ritenute (150mila euro).

I giudici hanno considerato superata l’altra questione posta, a sua volta centrata sulla legittimità dell’estinzione del procedimento penale in caso di pagamento tardivo, sanzioni comprese.

Fonte “Il sole 24 ore”

Evasione fiscale, alla prova analitica non serve conferma

Se l’imposta evasa superiore alla soglia penale è stata quantificata in misura analitica dalle Dogane è irrilevante ai fini della sussistenza del reato che poi vi sia stata una ricostruzione induttiva da parte dall’agenzia delle Entrate.

A precisarlo è la Corte di cassazione, terza sezione penale, con la sentenza n. 11919 depositata ieri (15/03/2018).

Il Tribunale aveva condannato un imprenditore per i reati di occultamento delle scritture contabili e per omessa presentazione della dichiarazione dei redditi per più anni di imposta. La Corte di appello confermava solo parzialmente la pena con riferimento all’omessa dichiarazione per un solo periodo di imposta.

L’imputato ricorreva così in Cassazione lamentando che il giudice territoriale non aveva verificato la corretta quantificazione dell’imposta evasa. Nell’appello, infatti, era stato evidenziato che tutto derivava da una ricostruzione induttiva compiuta dall’agenzia delle Entrate, con la conseguenza che non poteva dirsi certo il superamento delle soglie di punibilità rilevanti ai fini penali.

I giudici di legittimità hanno ritenuto inammissibile il ricorso perché con la doglianza proposta era stata richiesta una nuova valutazione di merito non consentita nel giudizio di legittimità.

La Suprema Corte ha rilevato che l’imputato aveva riconosciuto le operazioni illecite oggetto di contestazione. Inoltre, l’agenzia delle Dogane, intervenuta nel controllo al contribuente, aveva quantificato l’imposta evasa in oltre 600mila euro.

Ne conseguiva che, a prescindere dalla ricostruzione induttiva e quindi solo presuntiva operata dalle Entrate, la soglia di rilevanza penale (all’epoca 77.468,53 euro), era stata sicuramente superata.

In altre parole, la quantificazione operata dalle Dogane, essendo analitica, era sufficiente per dimostrare il superamento della soglia e quindi non smentire la ricostruzione induttiva delle Entrate.

La decisione induce ad una riflessione sulla valenza presuntiva in ambito penale degli accertamenti tributari.

Le presunzioni tributarie non possono di per sé essere utilizzate ai fini della quantificazione dell’imposta penalmente rilevante, poiché è il giudice a dover accertare l’ammontare dell’evasione mediante una verifica che privilegi il dato fattuale rispetto ai criteri formali che caratterizzano l’ordinamento fiscale. Esiste così un “doppio binario”:

nel processo penale, l’onere della prova è sempre a carico dell’accusa e non è ammessa un’inversione probatoria attraverso l’utilizzo di presunzioni;

nel giudizio tributario, invece in presenza di presunzioni pro fisco deve essere il contribuente a fornire la prova contraria.

Per completezza va detto che, in ambito penale, la presunzione viene invece ritenuta sufficiente ai fini della richiesta del sequestro.

Fonte “Il sole 24 ore)