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L’impatriato dichiara il conto aperto all’estero

Obblighi di monitoraggio nel quadro RW e imposta sulle successioni e donazioni a geometria variabile per chi si trasferisce in Italia mantenendo attività e investimenti all’estero. Sono sempre più i regimi fiscali di attrazione per i contribuenti stranieri che vogliono spostarsi nel nostro Paese e per gli italiani che, dopo un periodo all’estero, vogliono rientrare. Ma va fatta attenzione alla corretta gestione fiscale in Italia degli asset mantenuti oltreconfine.

Gli obblighi di monitoraggio 
L’articolo 4 del Dl 167/1990 impone alle persone fisiche residenti in Italia di indicare, nel quadro RW della dichiarazione annuale dei redditi, gli investimenti all’estero (ad esempio immobili, opere d’arte) e le attività estere di natura finanziaria (come i conti correnti e da quest’anno anche le criptovalute). Il quadro RW va compilato anche per il calcolo dell’imposta sul valore degli immobili all’estero (Ivie) e dell’imposta sul valore delle attività finanziarie estere (Ivafe), rispettivamente nella misura dello 0,76% e dello 0,2 per cento. La violazione degli obblighi può comportare sanzioni sino al 30% per le attività localizzate in Paesi black list.

I regimi di attrazione fiscale
Chi si trasferisce in Italia può aderire al regime previsto dall’articolo 24-bis del Tuir per i «neo residenti» (i cosiddetti «Paperoni») che, al ricorrere di determinate condizioni, consente di optare per un’imposta sostitutiva pari a 100mila euro annui su tutti i redditi prodotti all’estero a prescindere dall’importo dei redditi medesimi.

L’adesione al regime garantisce ai beneficiari, per tutta la durata dell’opzione (massimo 15 anni), l’esonero dalla compilazione del quadro RW e dal versamento dell’Ivie e dell’Ivafe. Inoltre, non si applica l’imposta sulle successioni e donazioni ai trasferimenti di beni detenuti all’estero dal neo residente (le imposte si applicano, invece, ai trasferimenti di beni e diritti esistenti in Italia).

Discorso parzialmente diverso per i pensionati esteri che trasferiscono la residenza in un Comune del Sud Italia con meno di 20mila abitanti (articolo 24-ter del Tuir), i quali potranno optare per un’imposta sostitutiva del 7% su tutti i redditi esteri (non solo sulle pensioni). I pensionati non saranno così tenuti a compilare il quadro RW e saranno esonerati dall’Ivie e dall’Ivafe, ma, a differenza dei «neo residenti», non godranno di agevolazioni per l’imposta sulle successioni e donazioni. Nessun esonero, invece, per i lavoratori «impatriati» (articolo 16 del Dlgs 147/2015) e per i ricercatori e docenti (articolo 44 del Dl 78/2010) che si trasferiscono in Italia. Tuttavia, per questi soggetti il Dl crescita, ora all’esame in prima lettura alla Camera, ha previsto un potenziamento delle agevolazioni già esistenti.

Le peculiarità dei regimi di attrazione fiscale
Chi si trasferisce in Italia può aderire al regime previsto dall’articolo 24-bis del Tuir per i cosiddetti «neo residenti» che, al ricorrere di determinate condizioni, consente di optare per un’imposta sostitutiva pari a 100mila euro annui su tutti i redditi prodotti all’estero a prescindere dall’importo dei redditi medesimi. L’adesione al regime garantisce ai beneficiari, per tutta la durata dell’opzione (massimo 15 anni), l’esonero dalla compilazione del quadro RW e dal versamento dell’Ivie e dell’Ivafe.

Inoltre, non si applica l’imposta sulle successioni e donazioni ai trasferimenti di beni detenuti all’estero dal neo residente (le imposte sono ordinariamente applicabili ai trasferimenti di beni e diritti esistenti in Italia). Discorso parzialmente diverso per il regime applicabile ai pensionati esteri che trasferiscono la residenza in un Comune del Sud Italia con meno di 20mila abitanti (articolo 24-ter Tuir), i quali potranno optare per un’imposta sostitutiva del 7% su tutti i redditi esteri (non solo sulle pensioni).

I pensionati non saranno così tenuti a compilare il quadro RW e saranno esonerati dall’Ivie e dall’Ivafe, ma, a differenza dei «neo residenti», non godranno di agevolazioni ai fini dell’imposta sulle successioni e donazioni. Nessun esonero, invece, per i cd. lavoratori «impatriati» (articolo 16, Dlgs 147/2015) e per i ricercatori e docenti (articolo 44, Dl 78/2010) che si trasferiscono in Italia. Tuttavia, per questi soggetti il recente Dl Crescita ha previsto un potenziamento delle agevolazioni già esistenti: per gli impatriati (la cui platea oggi è più ampia), la detassazione per cinque anni del reddito passa dal 50% al 70% ed arriva sino al 90% per chi si trasferisce al Sud (con estensione per ulteriori cinque anni e detassazione al 50% se il lavoratore ha figli o acquista un’abitazione in Italia); per docenti e ricercatori resta ferma la detassazione dei redditi da lavoro al 90% e la durata delle agevolazioni sale da quattro a sei anni per arrivare sino a 13 anni in presenza di tre figli.

Fonte “Il sole 24 ore”

La sanatoria degli errori formali «assorbe» la definizione delle liti

Con 200 euro si può chiudere anche la vertenza ancora sotto giudizio
Con l’alternativa meno costosa si verificherà la cessazione del contendere
La sanatoria delle irregolarità formali potrà essere utilizzata in luogo della definizione delle liti pendenti qualora le violazioni risultino “comuni” ad entrambe le sanatorie.
La sanatoria delle irregolarità formali (articolo 9 del Dl 119/2018) contempla le violazioni che non incidono sulla determinazione dell’imponibile e/o sul pagamento del tributo e si riferisce alle irregolarità commesse per ciascun periodo d’imposta. Il comma 7 dell’articolo 9 stabilisce che risultano escluse dalla regolarizzazione le violazioni contestate in atti divenuti definitivi alla data del 19 dicembre 2018. Il punto 1.3.3. del provvedimento del 15 marzo aggiunge che la sanatoria non si applica alle violazioni formali oggetto di rapporto pendente al 19 dicembre 2018, in riferimento al quale sia intervenuta pronuncia definitiva oppure altre forme di definizione agevolata antecedentemente al versamento della prima rata della somma dovuta per la regolarizzazione.
Ciò significa, in sostanza, che gli effetti della sanatoria, pur riguardando il singolo periodo d’imposta, si estendono agli atti di contestazione emessi dall’Agenzia e non divenuti definitivi al 19 dicembre 2018 e, se il rapporto risultava pendente a tale ultima data, non divenuti definitivi prima del 31 maggio 2019 (data di versamento della prima rata).
In tutto questo va considerato che la definizione agevolata delle liti pendenti (articolo 6 del Dl 119/2018) prevede la possibilità di definizione delle controversie riguardanti esclusivamente le sanzioni non collegate al tributo, con il pagamento del 15% del valore della controversia in caso di soccombenza dell’Agenzia e con il pagamento del 40% negli altri casi.
Chiaramente, le sanzioni non collegate al tributo sono quelle che, nella gran parte dei casi, scaturiscono da violazioni che non rilevano ai fini della determinazione della base imponibile e sul pagamento del tributo, rientranti nella sanatoria delle irregolarità formali di cui all’articolo 9 del Dl 119/2018. Si sottolinea che ciò vale «nella gran parte dei casi», per significare, ad esempio, che le violazioni da quadro RW, oggetto di un atto “pendente” secondo la nozione stabilita dall’articolo 6 del Dl 119/2018, può essere definito soltanto con quest’ultima forma di definizione (essendo tali violazioni espressamente escluse dalla sanatoria delle irregolarità formali).
Tuttavia, altri contenziosi pendenti – in base all’articolo 6 – per violazioni che rientrano tra quelle incluse nella sanatoria delle irregolarità formali, possono certamente essere definite con i 200 euro previsti da tale ultima sanatoria. Questo alla condizione che l’atto non risulti definitivo in base alle disposizioni previste dall’articolo 9.
Evidentemente, non aderendo alla definizione delle liti pendenti, non si avrà l’estinzione del processo in base a quanto previsto dalle disposizioni delle liti pendenti. Si dovrà però successivamente realizzare la cessazione della materia del contendere, a norma dell’articolo 46 del Dlgs 546/1992.
© RIPRODUZIONE RISERVATA Fonte “Il sole 24 ore”
Dario Deotto

Sanatoria per tutte le violazioni relative alle comunicazioni Iva

È possibile definire anche le sviste e le carenze sui dati per gli studi di settore
La regolarizzazione vale solo per violazioni che non impattano sull’imponibile
Il provvedimento 62274/2019, attuativo della sanatoria delle violazioni formali (articolo 9 del Dl 119/2018) varato venerdì dall’agenzia delle Entrate, non individua precisamente le fattispecie interessate dalla regolarizzazione, enunciando invece principi di carattere più generale: in particolare, la violazione, per essere considerata formale, non deve incidere sulla determinazione della base imponibile, dell’imposta e sul versamento del tributo precisando, a scanso di equivoci, che l’omessa presentazione delle dichiarazioni (imposte sui redditi, Irap o Iva), anche qualora non dovesse risultare alcuna imposta dovuta, non rientra nella sanatoria delle irregolarità formali, perché questa omissione rileva sempre ai fini della determinazione della base imponibile.
Per individuare esattamente le violazioni sanabili occorre quindi interrogarsi sulla precisa latitudine della sanatoria tenendo a mente che la definizione non è subordinata al solo pagamento della quota fissa di 200 euro per anno, ma anche alla regolarizzazione postuma della violazione.
Si possono senz’altro considerare formali e quindi rientranti nella sanatoria, tutte le violazioni che vengono punite dall’articolo 8 del Dlgs 471/1997 (violazioni relative al contenuto e alla documentazione delle dichiarazioni) con la sanzione fissa. È il caso, ad esempio, dell’omessa o irregolare presentazione dei dati afferenti l’applicazione degli studi di settore. Inoltre, sono da considerarsi formali e, quindi, rientranti nella sanatoria, la gran parte degli obblighi di comunicazione previsti dall’articolo 11 dello stesso Dlgs 471/1997, come, ad esempio, la comunicazione di sintesi delle liquidazioni periodiche, la comunicazione dei dati delle fatture e degli elenchi Intrastat. Rientrano, inoltre, sicuramente nella sanatoria anche le violazioni relative all’inversione contabile quando l’imposta è stata assolta dalla controparte (articolo 6, commi 9-bis1 e 9-bis2), l’omessa presentazione del modello F24 a saldo zero e diverse altre per le quali si rimanda alla tabella a fianco.
Il provvedimento precisa anche che rientrano nella sanatoria non solo le violazioni formali commesse dai contribuenti, ma pure quelle che riguardano i sostituti d’imposta, gli intermediari ed i soggetti, più in generale, tenuti alla comunicazione di dati fiscalmente rilevanti. In quest’ambito vanno quindi segnalate le eventuali violazioni commesse dagli intermediari abilitati nelle trasmissioni delle dichiarazioni dei propri assistiti, sanzionabili ai sensi dell’articolo 7-bis del Dlgs 241/1997 e quelle più in generale inerenti le varie comunicazioni all’anagrafe tributaria .
Più dubbia è l’applicabilità della sanatoria alle violazioni che non sono state già regolarizzate grazie al ricorso alla cosiddetta remissione in bonis. Ci riferiamo, ad esempio, all’accesso ai regimi fiscali opzionali, subordinati all’obbligo di preventiva comunicazione o di altro adempimento di carattere formale. Vista la posizione assunta nel provvedimento si potrebbe sostenere che queste violazioni possono aver inciso sulla determinazione della base imponibile, dell’imposta e sul versamento del tributo per cui resterebbero estranee alla sanatoria.
© RIPRODUZIONE RISERVATA Fonte “Il sole 24 ore”
Dario Deotto
Gian Paolo Ranocchi