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Integrativa sprint per usare il credito in F24

di Giorgio Gavelli e Riccardo Giorgetti

 

Termini ristretti per presentare una dichiarazione integrativa “a favore” sul periodo d’imposta 2016, almeno se si vuole usare subito il credito emergente da tale modello. L’approssimarsi delle scadenze dei versamenti (2 luglio per le imposte sui redditi e l’Irap senza maggiorazione, oggi – 18 giugno – per Imu e Tasi) rende opportuno affrettarsi nelle correzioni di eventuali errori commessi nelle dichiarazioni presentate nel 2017 (dal modello 730 al modello Redditi, sino a quello Irap), nel caso in cui la rettifica consenta di maturare un credito compensabile. Infatti, come affermato dalle Entrate a Telefisco 2018 , «il credito derivante dalla dichiarazione integrativa a favore presentata entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa all’anno d’imposta successivo, può essere utilizzato in compensazione già a partire dal giorno successivo all’integrazione».

L’ESEMPIO

Quindi, ad esempio, trasmettendo l’integrativa entro il prossimo 30 giugno, si può “monetizzare” il 2 luglio in F24 il credito così maturato (e non chiesto a rimborso con l’integrativa), utilizzandolo in compensazione. Si tratterà di integrative “entro l’anno”. Quindi nel compilare il modello 2018 per il periodo d’imposta 2017:
• non va compilato il quadro DI;
• occorre inserire, quale «eccedenza di imposta risultante dalla precedente dichiarazione», l’importo che emerge tenendo conto anche dell’integrativa (l’importo influirà sul risultato della dichiarazione e potrà anche essere rimborsato dal sostituto per chi presenta il 730 o chiesto a rimborso per chi presenta Redditi);
• se al momento di presentazione della dichiarazione 2018 tale credito è già stato utilizzato, anche solo in parte, in F24 (indicando come anno di riferimento il 2016), andrà compilato anche il rigo successivo, che ha lo scopo di impedire che il credito già compensato venga fruito anche in dichiarazione.

Le limitazioni
Una procedura solo in parte simile è riservata ai soggetti tenuti alla contabilità, nel caso in cui la correzione tramite integrativa abbia riguardato un errore commesso a proprio danno nell’ambito delle rilevazioni contabili.

Facciamo l’ipotesi del contribuente che si è dimenticato di annotare un costo di competenza o ha sbagliato per eccesso nel riportare un ricavo. In questo caso, la compensazione immediata in F24 (indicando come anno di riferimento quello dell’errore commesso) del credito emergente dalla dichiarazione integrativa “a favore” può riguardare due tipi di correzioni:
• le integrative “entro l’anno” (ad esempio per il periodo d’imposta 2016 entro il prossimo 31 ottobre);
• le integrative “ultrannuali”, cioè gli aggiustamenti pro contribuente nei modelli presentati oltre il termine di invio della dichiarazione relativa all’anno d’imposta successivo.

Tuttavia, nella seconda delle situazioni appena menzionate, va compilato il quadro DI del modello Redditi (o del quadro IS, sezione XVII, del modello Irap), attraverso il quale il credito viene automaticamente riportato come «eccedenza» della dichiarazione precedente ed è possibile inserire l’utilizzo nel frattempo avvenuto in compensazione. Il modello da usare è quello relativo al periodo in cui è stata presentata l’integrativa (perciò, ad esempio, dopo la presentazione nel 2017 di un Unico 2016 integrativo per l’anno d’imposta 2015, va compilato il quadro DI di Redditi 2018).

Inoltre, per i soggetti tenuti alla contabilità, va rilevata una limitazione in più. Le istruzioni ai modelli, infatti, affermano che il credito così maturato «può essere utilizzato dal giorno successivo a quello di presentazione della dichiarazione integrativa ed entro la fine del periodo d’imposta oggetto della presente dichiarazione per compensare importi a debito». Si delineano perciò due situazioni:
1. se l’integrativa è presentata quest’anno, la compensazione può subito avvenire, ma non può andare oltre il 31 dicembre, e verrà formalizzata con il modello Redditi (o Irap) 2019;
2. se la correzione è stata effettuata lo scorso anno (2017), in base alle istruzioni – che in ogni caso non risultano in linea con il dettato normativo del legislatore (si veda l’altro articolo) – l’importo a credito poteva essere utilizzato liberamente entro il 31 dicembre 2017, mentre l’eventuale eccedenza non ancora compensata entro questa data, di fatto non può essere utilizzata prima di cumularsi al saldo di periodo, configurando una compensazione che è prima di tutto “verticale” (si veda Il Sole 24 Ore del 26 febbraio ).

Nell’ipotesi di errore contabile “ultrannuale” corretto nel 2017, il contribuente dovrà far transitare il credito emergente dall’integrativa, al lordo delle compensazioni eventualmente già effettuate, nel quadro DI del modello Redditi 2018. In particolare, l’ammontare del credito da errori contabili va indicato nella colonna 4 e non nella colonna 5 destinata, invece, ad accogliere i crediti derivanti da errori diversi da quelli contabili.

Fonte “Il sole 24 ore”

Reddito d’impresa Leasing e comodato, iperammortamento al bivio

In fase di chiusura del bilancio relativo all’esercizio 2017 il calcolo della fiscalità assume un ruolo importante ed emerge la delicata questione della variazione diminutiva da iper/super ammortamento, che presenta criticità non risolte in occasione di Telefisco 2018. Nonostante i chiarimenti dell’Agenzia sull’interconnessione, restano aperti altri dubbi che rendono delicato il calcolo della variazione diminutiva, e in particolare:

– se il bonus spetta qualora il bene strumentale sia concesso in comodato d’uso;

– se interventi incrementativi su beni detenuti in leasing possano essere agevolati.

I beni in locazione gratuita

Dal punto di vista dell’impresa comodataria, i beni strumentali nuovi assunti in locazione gratuita non sono oggetto di alcuna agevolazione in quanto non sussiste il presupposto dell’acquisto in proprietà (o della costruzione in economia) che rappresenta il requisito necessario per l’agevolazione, con l’unica eccezione dell’acquisto tramite locazione finanziaria, ipotesi da sempre assimilata, sotto il profilo fiscale, all’acquisto diretto.

Il punto delicato è valutare la questione dal punto di vista del comodante. I beni concessi in comodato non sono classificati tra i beni merce bensì tra quelli strumentali per l’impresa comodante. Per valutare la sussistenza del bonus fiscale bisogna segnalare i precedenti interpretativi dell’Agenzia (da ultima la circolare 23/E/2016 ma in materia di detassazione Tremonti-bis analoghe considerazioni erano presenti nella circolare 90/E/2001) che ha considerato il tema del comodato d’uso. La conclusione a cui è sempre pervenuta l’Agenzia è che il bene, per essere fiscalmente agevolabile pur se concesso in uso a terzi, deve cedere la propria utilità al soggetto comodante e non a quello comodatario.

Tale situazione si manifesta nel caso in cui il cespite nuovo è utilizzato dal comodatario per eseguire certe lavorazioni su un bene merce che poi va restituito al comodatario per le ulteriori lavorazioni. Il caso del bene strumentale locato gratuitamente a terzi manifesta tale caratteristica nella fattispecie, ad esempio, dell’acquisto di un tintometro che viene ceduto in comodato ad una impresa che esegue lavorazioni sul prodotto per poi restituirlo all’impresa comodante che commercializza la vernice. In tal caso, come affermato dalla circolare 23/E/2016 ( che a sua volta richiama la risoluzione 196/E/2008) il bene ceduto in comodato conserva la sua natura di bene strumentale in capo all’impresa comodante , la quale, quindi potrà fruire del superammortamento. Diversa la situazione dei beni locati a titolo oneroso poiché in questo caso la stessa circolare 4/E/2017 , al paragrafo 5.2 ha riconosciuto che il beneficio spetta al locatore a condizione che l’attività di locazione costituisca l’oggetto principale della attività e ciò in linea con la sentenza della Corte di cassazione 16453/2014 in cui è stato affermato il carattere di strumentalità anche per beni che sono concessi in locazione nell’esercizio della propria attività.

Incrementi su beni in leasing

Altro tema delicato, gli interventi incrementativi sostenuti dall’impresa utilizzatrice di un bene in leasing soggetto a iperammortamento. Il costo potrà essere posto a base per il calcolo della variazione diminutiva del 150%?

Genera spesso dubbi tra gli operatori il passaggio della circolare 4/E/2017, (par. 5.2) in cui si afferma che nel bonus (in senso generale posto che il passaggio è inserito nella sezione superammortamento) non rientrano le spese sostenute su beni di terzi che «essendo prive di autonoma funzionalità, sono capitalizzabili nella voce “Altre immobilizzazioni immateriali”». Nell’ambito dell’iperammortamento, un passaggio successivo (par. 6.1.2) fa presente che sono agevolabili anche interventi tesi a rendere beni, già di proprietà dell’impresa, conformi al modello Industria 4.0, tramite ammodernamento o revamping. La circolare precisa in sostanza che tali interventi sono agevolabili, anche se eseguiti su beni non agevolati in quanto già esistenti.

Tale precisazione dovrebbe risultare valida, a maggior ragione, se l’intervento è eseguito sul bene in leasing che è a sua volta oggetto di iperammortamento. Del resto se l’acquisto in leasing è fiscalmente assimilato a quello eseguito tramite compravendita diretta, una discriminazione sulle spese incrementative risulterebbe iniqua. Il punto, per la sua delicatezza, meriterebbe una conferma da parte delle Entrate.

Fonte “Il sole 24 ore”

Saldo Iva 2018

Venerdì 16 marzo scade il termine per l’effettuazione del versamento dell’Iva a debito dovuta in base alla dichiarazione annuale per il periodo d’imposta 2017. Sono previste diverse modalità di versamento del saldo Iva e sull’argomento nel corso di Telefisco 2018 è stato fornito un importante chiarimento: il saldo Iva potrà , a discrezione del soggetto interessato, essere versato il 20 agosto con la maggiorazione dello 0,40%.

Le possibilità previste del versamento del saldo Iva

Come si evince anche dalla istruzioni allegate al modello Iva 2018, approvato con provvedimento del direttore delle Entrate n. 10581 del 15 gennaio 2018, i contribuenti possono versare il saldo Iva in unica soluzione ovvero rateizzare ai sensi dell’articolo 20 del Dlgs 9 luglio 1997, n. 241.

Il versamento può essere differito alla scadenza prevista per il pagamento delle somme dovute in base alla dichiarazione dei redditi, con la maggiorazione dello 0,40% a titolo d’interesse per ogni mese o frazione di mese successivo al 16 marzo. Anche i soggetti con esercizio non coincidente con l’anno solare possono avvalersi del differimento del versamento dell’Iva, versando l’imposta entro il 30 giugno a prescindere dai diversi termini di versamento delle imposte sui redditi.

Le istruzioni precisano che la maggiorazione dello 0,40%, prevista per ogni mese o frazione di mese, si applica sulla parte del debito non compensato con i crediti riportati in F24.

I chiarimenti di Telefisco 2018

Durante Telefisco 2018 è stato posto un quesito ai funzionari dell’agenzia delle Entrate relativo al fatto se il saldo Iva per il 2017 possa essere versato entro i 30 giorni successivi alla scadenza del termine per il saldo delle imposte sui redditi del 30 giugno 2018, che slitta al 2 luglio; poiché i 30 giorni successivi scadono il 1° agosto, è stata chiesta la conferma se questa scadenza slitta poi al 20 agosto in quanto beneficia della proroga di Ferragosto.

I funzionari delle Entrate hanno chiarito che, per effetto di quanto disposto dal comma 11-bis, articolo 37, della legge n.223/2006 (introdotto dall’articolo 3-quater, comma 1. D.L. 2 marzo 2012, n. 16), gli adempimenti fiscali (compresi gli obblighi di versamento) che scadono tra il 1° ed il 20 agosto di ogni anno, possono essere effettuati entro il giorno 20 dello stesso mese, senza alcuna maggiorazione.

Di conseguenza, è stato confermato che il saldo Iva 2017 può essere versato entro:

• il 16 marzo 2018, senza maggiorazione;

• il 2 luglio 2018, maggiorando la somma da versare degli interessi nella misura dello 0,40% per ogni mese o frazione di mese successivi al termine di pagamento del saldo dovuto con riferimento alla dichiarazione dei redditi ;

• il 20 agosto 2018, maggiorando le somme da versare dello 0,40%, a titolo di interesse corrispettivo.

Fonte “Il sole 24 ore”

Concordato preventivo, la riduzione delle obbligazioni comporta la rettifica della detrazione Iva

di Luca Gaiani

La riduzione delle obbligazioni del debitore in caso di concordato preventivo omologato costituisce mutamento degli elementi presi in considerazione per la detrazione dell’Iva e comporta una rettifica della detrazione stessa ai sensi dell’articolo 185, paragrafo 1 della direttiva 2006/112/Ce. Lo ha affermato la Corte di giustizia Ue nella sentenza del 22 febbraio 2018, causa C-396/16 . Secondo la Corte, inoltre, laddove il concordato omologato comporti, secondo la legislazione nazionale, una riduzione definitiva delle obbligazioni del debitore, e dunque impedisca alla parte creditrice di recuperare in altro modo il credito stralciato, non troveranno applicazione le deroghe alla rettifica della detrazione previste dall’articolo 185, paragrafo 2, della direttiva per i casi di operazioni totalmente o parzialmente non pagate. Quest’ultima disposizione prevede che l’obbligo di rettifica stabilito dal paragrafo 1 non si estende in caso di «operazioni totalmente o parzialmente non pagate», consentendo peraltro agli Stati membri di prevedere la rettifica in via facoltativa.

La sentenza, riferita a un caso riguardante la Repubblica di Slovenia, potrebbe avere ricadute anche nel nostro ordinamento rendendo di fatto obbligatoria, a seguito della omologazione del concordato e della conseguente esdebitazione (articolo 184, legge fallimentare), la rettifica della detrazione relativamente alla quota parte di debito verso fornitori stralciata in forza della procedura, non configurandosi un caso di «operazioni totalmente o parzialmente non pagate».

Fonte “Il sole 24 ore”

Quell’«adeguata verifica» del fornitore che può escludere la frode Iva

di Antonio Zappi

Quando il Fisco accerta l’indebita detrazione Iva per operazioni soggettivamente inesistenti e rileva che l’operazione fatturata non è stata posta in essere dal soggetto indicato nella fattura come fornitore, iniziano i problemi del cessionario/committente che si vede contestare la natura tendenzialmente fraudolenta della controparte delle operazioni economiche. A Telefisco 2018 è stato chiesto alla Guardia di Finanza se fosse possibile, in concreto, esemplificare qualche ipotesi di possibile prova della buona fede di un contribuente per dimostrare la legittimità della detrazione del tributo e la mancanza di consapevolezza di partecipare ad un’operazione fraudolenta.

Esemplificando un caso di possibile esimente nell’ambito di una frode nel settore del commercio degli autoveicoli usati, le Fiamme gialle, pur non indicando un percorso risolutivo per ogni evenienza, hanno fornito alcuni spunti operativi per orientare i contribuenti che vorranno mettersi al riparo da contestazioni fiscali (e penali) per comportamenti fraudolenti altrui.

È stato, infatti, affermato che risulta provata la buona fede di un contribuente che provvede, nei limiti delle sue possibilità, ad acquisire informazioni eventualmente integrate da elementi di agevole e rapida reperibilità e che gli abbiano consentito di escludere, sia pure solo in via presuntiva, una frode nella catena di fornitura.
In altri termini, come nella disciplina antiriciclaggio è necessario fare un’adeguata verifica del cliente, in campo Iva è ormai fondamentale effettuare un’adeguata verifica del fornitore.

Provando, allora, a costruire un possibile vademecum per replicare ad eventuali contestazioni, all’atto dell’instaurazione di ogni rapporto commerciale occorrerà effettuare, sul piano soggettivo, una verifica dell’iscrizione camerale (visura Camera di commercio), nonché una scheda anagrafica di chi rappresenta la controparte commerciale/professionale, accertandone idoneità di poteri e di ruolo per porre in essere ciò che verrà descritto nelle fatture ricevute. Sotto il profilo oggettivo, invece, occorrerà acquisire documentazione (anche fotografica) per comprovare l’idoneità strutturale a porre in essere quanto viene fatturato e che il prezzo delle transazioni ivi indicato non induca a lasciar immaginare un incauto acquisto.

Decisiva, infine, potrebbe essere l’acquisizione concordata con il fornitore, da aggiornare periodicamente in costanza di rapporto commerciale, di un certificato di assenza dei carichi pendenti tributari. Tale documento è ordinariamente previsto per altri fini, ma potrebbe risultare determinante anche per fornire prova di aver fatto tutto il possibile per accertare che la controparte dell’operazione commerciale non fosse un frodatore seriale già noto al Fisco. Forse si rischierà di urtare la suscettibilità del fornitore, ma in questo modo sarà assai complicato contestare il coinvolgimento in una frode di un contribuente che non ha accettato caramelle dagli sconosciuti ed al quale, se si volessero pretendere maggiori controlli, bisognerebbe conferire i poteri di polizia giudiziaria.

Fonte “Il sole 24 ore”

TELEFISCO 2016: QUADRO RW E IVAFE

Nel corso di Telefisco 2016 l’Amministrazione Finanziaria ha chiarito come deve essere compilato il quadro RW e come si calcolano le sanzioni in presenza di un dossier titoli intrattenuto dal contribuente con un intermediario estero.

I casi prospettati all’Amministrazione Finanziaria sono stati i seguenti.

Un contribuente deteneva un dossier titoli al 1° gennaio del 2015 il cui valore complessivo era 1.000.000 euro al 1° gennaio 2015 e di 1.100.000,00 al 31 dicembre 2015. Il questo caso il capitale iniziale è sempre stato investito in un solo titolo che si è rivalutato.

Nella fattispecie prospettata il contribuente compilerà un solo rigo del quadro RW, indicando come valore inziale 1.000.000 e come valore finale 1.100.000 e come giorni di possesso 365.

Nelle ipotesi di omessa compilazione del modello RW, la sanzione è determinata applicando la percentuale prevista dall’art. 5, Dl 167/90 al valore al termine del periodo di detenzione, rappresentato dall’intero anno, pari a euro 1.100.000.

CASO 2 – Un contribuente deteneva un dossier titoli al 1° gennaio del 2015 il cui valore complessivo era 1.000.000 euro, che è stato investito e reinvestito più volte nel corso dell’anno con i seguenti valori rispettivamente iniziali e finali con questo stesso ordine:

  • Valore iniziale, 1.000.000, valore finale, 1.015.323; giorni, 31.
  • Valore iniziale, 1.015.323; valore finale, 1.030.647; 28 giorni.
  • Valore iniziale, 1.030.647, valore finale, 1.045.970, giorni 31;
  • Valore iniziale, 1.045.970, valore finale, 1.061.293, giorni 30;
  • Valore iniziale, 1.061.293, valore finale, 1.076.616, giorni 31;
  • Valore iniziale, 1.076.616, valore finale, 1.091.940, giorni 30;
  • Valore iniziale, 1.091.940, valore finale, 1.107.263, giorni 31;
  • Valore iniziale, 1.107.263, valore finale, 1.122.586, giorni 31;
  • Valore iniziale, 1.122.586, valore finale, 1.137.909, giorni 30;
  • Valore iniziale, 1.137.909, valore finale, 1.153.233, giorni 31;
  • Valore iniziale, 1.153.233, valore finale, 1.168.556, giorni 30;
  • Valore iniziale, 1.168.556, valore finale, 1.183.879, giorni 31.

Il tale caso il calcolo della sanzione deve avvenire moltiplicando ciascun importo valore finale per i relativi giorni di possesso. La somma dei valori così determinati deve essere divisa per 365.

A titolo esemplificativo, la sanzione per l’omessa dichiarazione del titolo ceduto nel mese di gennaio sarà pari al 3% (6%) di (1.015.323*31)/365 e cosi via. La somma delle sanzioni riferibili a ciascun periodo di detenzione determinerà la sanzione complessiva dovuta per le violazioni della normativa sul monitoraggio fiscale.

Questo è un importante chiarimento. Infatti la sanzione dal 3 al 15 per cento (o dal 6 al 30 percento in caso di detenzione degli investimenti in Stati non collaborativi) si applica sulla media ponderata delle giacenze in luogo della somma degli investimenti indicati in colonna 8 (valore finale) che nel caso di specie sarebbe stata pari ad euro 13.195.214.

Viene altresì chiarito che dal punto di vista della temporalità delle operazioni di investimento e disinvestimento rientranti all’interno di un unitario rapporto finanziario, l’individuazione del termine si riferisce al rapporto finanziario nel suo complesso. Pertanto, gli adempimenti dichiarativi previsti dovranno prevedere l’indicazione del valore iniziale e del valore finale di detenzione della relazione finanziaria, non rilevando le eventuali singole variazioni della composizione di quest’ultima.

In termini pratici questo significa che in caso di possesso di un dossier titoli con valore iniziale 2.000.000,00 di euro e valore finale 3.000.000,00 di euro, estinto a novembre 2015, visto che le operazioni di investimento e disinvestimento rientrano all’interno di un unitario rapporto finanziario si dovrà compilare un solo rigo della dichiarazione, indicando come valore finale 3.000.000,00 di euro.

Altro chiarimento sul quadro RW riguarda il soggetto delegato. SU tale aspetto viene chiarito, compatibilmente con le indicazioni fornite nella C.M. 28/E/2012, che l’Ivafe è dovuta dalle persone fisiche residenti che detengono all’estero attività finanziarie a titolo di proprietà o di altro diritto reale, indipendentemente dalle modalità della loro acquisizione e, quindi, anche se pervengono da eredità o donazioni.
Pertanto, i soggetti delegati su un conto estero, comunque obbligati alla compilazione del modulo RW, non sono tenuti al versamento dell’Ivafe.

AUTORE: GIOACCHINO DE PASQUALE

 

 

TELEFISCO 2016 – CONTANTI: NON APPLICABILE IL “FAVOR REI”

Il limite per la circolazione del contante è stato innalzato dal 1° gennaio 2016: prima di questa data, però, le sanzioni troveranno applicazione secondo la disciplina previgente, senza alcuno sconto.

È questo uno degli importanti chiarimenti forniti dal Dipartimento delle Finanze del Mef in occasione del consueto appuntamento annuale con Telefisco.

Il chiarimento

Come noto, dal 1°gennaio 2016 il limite per la circolazione del contante è stato portato ad euro 3.000, in luogo dei 1.000 euro in passato previsti.

Ipotizziamo ora che un soggetto, negli ultimi mesi del 2015, abbia effettuato una transazione in contanti di euro 2.500 con un altro privato.

Nel caso di specie deve ritenersi che, in virtù del principio del favor rei, non trovino applicazione le sanzioni? Possiamo applicare la nuova soglia dei 3.000 euro anche alle transazioni avvenute prima del 1° gennaio 2016 ma ancora non sanzionate a quella data?

Ebbene, il Dipartimento delle Finanze del Mef è intervenuto sul punto chiarendo espressamente che le sanzioni devono comunque essere applicate se la soglia prevista dalla normativa in vigore al momento del pagamento è stata violata.

Più precisamente, è stato chiarito che, come ritenuto ormai da pacifica giurisprudenza, in materia di sanzioni amministrative non trova applicazione il principio del favor rei, salvi i casi in cui non sia la normativa stessa a prevederlo.

È infatti necessario far riferimento, in questi casi, all’art. 1 della Legge 24 novembre 1981, n. 689, in forza della quale “nessuno può essere assoggettato a sanzioni amministrative se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima della commissione della violazione”.

La succitata norma, come ricorda il Mef, ha superato anche il vaglio di legittimità costituzionale e si pone, oggi, come principio generale in forza del quale la sanzione amministrativa da applicare è quella in vigore al tempo della violazione, mentre nessuna rilevanza può essere attribuita alla normativa successiva, anche se più favorevole.

Il Legislatore, sulla base della sua valutazione discrezionale potrà tuttavia prevedere la specifica applicazione delle norme successive più favorevoli, a seconda dell’oggetto. In ogni caso, non si potrà mai parlare di obbligo in tal senso.

Conformi a questo orientamento possono inoltre essere richiamate anche numerose sentenze della Cassazione (n.1789/2008, n.21584/2007, n.12858/2001, n.5554/2007, n.1693/2007) e la sentenza n. 34897/2010 del 3 giugno 2010 del Consiglio di Stato.

Il trasferimento dei libretti

Un altro importante aspetto analizzato in occasione dell’appuntamento con Telefisco ha riguardato il limite previsto per il saldo dei libretti al portatore, nonché i limiti entro i quali gli stessi possono essere trasferiti.

La Legge di stabilità 2016, nel modificare la disciplina di cui al D.Lgs. n. 231/2007 aveva infatti introdotto regole che sembravano essere poco coerenti in materia di detenzione e circolazione dei libretti a risparmio.

In virtù delle modifiche introdotte, infatti:

  • Il saldo del libretto al portatore continua a non poter essere superiore a 999,99 euro;
  • Il limite per la circolazione dei libretti al portatore è stata innalzata (solo questa!) a 2.999,99 euro.

In occasione dell’appuntamento con Telefisco, il Mef ha avuto modo di confermare che, effettivamente, nessuna variazione è intervenuta in tema di libretti al portatore, i quali, pertanto, continuano a non poter presentare un saldo pari o superiore alla soglia dei 1.000 euro.

A seguito delle novità introdotte con la Legge di stabilità, però, la soglia massima per il trasferimento dei libretti al portatore è stata innalzata ad euro 2.999,99 euro.

Pertanto, non risulteranno violate le disposizioni in tema di circolazione del contante se due soggetti effettuano un trasferimento di 3 libretti al portatore, ognuno con saldo pari a 900 euro: in questo caso, infatti, il valore oggetto della transazione è pari a 2.700 euro, inferiore alla soglia prevista.

AUTORE: REDAZIONE FISCAL FOCUS

TELEFISCO 2016 – AGEVOLAZIONE PRIMA CASA: I CHIARIMENTI

Nel corso di Telefisco 2016 è stata affrontata la recente novità legislativa introdotta con la Legge di Stabilità 2016 concernente l’ottenimentodell’agevolazione prima casa. Con la Legge di Stabilità 2016 si è ampliata la possibilità di fruire dell’agevolazione in questione, prevedendo che si possa ottenere l’aliquota ridotta anche nel caso in cui l’acquirente detenga un immobile acquisto con l’agevolazione prima casa a patto che si provveda alla sua cessione entro un anno dalla data di stipula dell’atto con il quale viene acquistato il “nuovo” immobile.

I requisiti prima casa ante e post Legge di Stabilità 2016 – Per usufruire dell’agevolazione prima casa, devono essere rispettati i seguenti requisiti:

  • non deve trattarsi di immobile di lusso;
  • devono essere soddisfatti i requisiti di cui alla nota II-bis) all’articolo 1, della tariffa, parte prima, allegata al D.P.R. 131/1986.

Tali ultimi requisiti sono:

  1. Immobile ubicato nelterritoriodelcomuneincui l’acquirente ha o stabilisca entro diciotto mesi dall’acquistolapropria residenza o, se diverso, in quello in cui l’acquirentesvolgelapropria attività ovvero, se trasferito all’estero per ragioni di lavoro, inquello in cui ha sede o esercita l’attività il soggetto da cui dipende ovvero, nel caso in cui l’acquirente sia cittadino italianoemigratoall’estero,che l’immobile sia acquisito come prima casa sul territorioitaliano.La dichiarazione di voler stabilire la residenza nel comune ove è ubicato l’immobile acquistatodeveessereresa,apenadidecadenza, dall’acquirente nell’atto di acquisto;
  2. Nell’atto di acquisto l’acquirente dichiari di non essere titolare esclusivo o in comunione con il coniuge dei diritti di proprietà, usufrutto, uso e abitazione di altra casa di abitazione nel territorio del comune in cui è situato l’immobile da acquistare;
  3. L’acquirente non deve essere titolare di un’altra abitazione, ovunque ubicata, che sia stata acquistata con l’agevolazione prima casa;
  4. L’agevolazione è subordinata al fatto che la casa acquistata con il beneficio fiscale non sia ceduta per almeno un quinquennio oppure che, se ceduta prima del decorso del quinquennio, entro un anno sia acquista altra prima casa.

Come si evince dall’elencazione riportata, la lettera b) preclude l’agevolazione prima casa se si è titolare del diritto di proprietà, usufrutto, uso e abitazione di altra casa di abitazione nel territorio del comune in cui è situato l’immobile da acquistare, mentre la lettera c) preclude l’agevolazione prima casa nel caso di possesso di altro immobile acquisto con l’abitazione prima casa in tutto il territorio nazionale.

La Legge di Stabilità 2016 introduce un nuovo punto 4-bis, alla nota II bis, dell’art. 1, della parte prima della Tariffa allegata al D.P.R.131/1986, la quale prevede che ove l’acquirente detenga un immobile acquisto con l’abitazione prima casa per fruire dell’agevolazione deve provvedere alla sua cessione entro un anno dalla data di stipula dell’atto con il quale viene acquistato il “nuovo” immobile.

I chiarimenti di Telefisco 2016 – Non era chiaro se l’estensione dell’agevolazione prima casa riguardasse soltanto gli atti soggetti a imposta proporzionale di registro o anche gli atti soggetti ad IVA. Su tale questione l’Amministrazione Finanziaria ha chiarito che le novità inserite nel corpo della disciplina prima casa, nell’ambito della Nota II-bis richiamata si applicano anche nell’ipotesi in cui il nuovo acquisto sia imponibile Iva.
La modifica delle condizioni stabilite dalla Nota II-bis esplica, quindi effetti anche ai fini dell’applicazione dell’aliquota agevolata Iva del 4 per cento.

E’ stato altresì chiarito che la modifica delle condizioni stabilite dalla Nota II-bis esplica, effetti anche ai fini dell’applicazione delle agevolazioni “prima casa” in sede di successione o donazione.
Resta inteso che, nell’atto di donazione o nella dichiarazione di successione con cui si acquista il nuovo immobile in regime agevolato, dovrà risultare l’impegno a trasferire entro un anno l’immobile preposseduto.

E’ stato infine chiarito che per gli atti conclusi prima del 31.12.2015 non può essere richiesto il rimborso delle eventuali maggiori imposte versate rispetto a quelle che sarebbero state dovute in applicazione delle nuove disposizioni né spetta un credito d’imposta.

Il credito d’imposta per il riacquisto della prima casa – Altra questione sulla quale l’Amministrazione Finanziaria ha offerto dei chiarimenti riguarda il credito d’imposta per il riacquisto della prima casa.

L’articolo 7, commi 1 e 2, della Legge 23 dicembre 1998, n. 448 stabilisce l’attribuzione di un credito d’imposta a favore dei contribuenti che, entro un anno dalla vendita dell’immobile, acquistato con i benefici ‘prima casa’, provvedano ad acquisire un’altra casa di abitazione, per la quale ricorrono le condizioni di cui alla nota II bis all’articolo 1 della tariffa, parte prima, allegata al Testo unico dell’imposta di registro, approvato con il D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 (TUR).

Alla luce delle modifiche introdotte alle agevolazioni “prima casa”, il dubbio era se si potesse fruire di detto credito d’imposta nel caso in cui il contribuente effettui il nuovo acquisto prima di vendere la casa preposseduta.

A parere dell’Amministrazione Finanziaria, alla luce delle modifiche che hanno interessato la normativa in materia di “prima casa” deve ritenersi che il credito di imposta in questione spetti al contribuente anche nell’ipotesi in cui proceda all’acquisto della nuova abitazione prima della vendita dell’immobile preposseduto. Una diversa interpretazione – afferma l’Agenzia – non risulterebbe, infatti, coerente con la ratio della riforma che ha inteso agevolare la sostituzione della “prima casa”, introducendo una maggiore flessibilità nei tempi previsti per la dismissione dell’immobile preposseduto.
All’atto di acquisto del nuovo immobile con le agevolazioni ‘prima casa’ il contribuente potrà, quindi, fruire del credito di imposta per l’imposta dovuta in relazione al nuovo acquisto nel limite, in ogni caso, dell’imposta di registro o dell’imposta sul valore aggiunto corrisposte in occasione dell’acquisizione dell’immobile preposseduto.

AUTORE: GIOACCHINO DE PASQUALE