Archivi categoria: Dichiarativi 2018

Omessa dichiarazione, niente sanzioni sul credito compensato

di Antonio Zappi

Un’omissione dichiarativa non preclude il riporto del credito Iva dell’anno precedente e la sua compensazione in F24 non è sanzionabile. Inoltre, senza dover necessariamente attendere la cartella di pagamento, è ammissibile impugnare direttamente anche l’avviso bonario derivante dalla liquidazione automatica e con il quale l’ente impositore contesta l’utilizzo del credito, ex articolo 54-bis del Dpr 633/1972: tale atto, infatti, contiene una specifica pretesa tributaria anche se non è ricompreso nell’elenco dell’articolo 19 del Dlgs 546/1992. A queste conclusioni è giunta la sentenza 14856/46/2018 della Ctp Roma (clicca qui per consultarla ). Nella vicenda in esame, era stata notificata una cartella di pagamento ad un contribuente che, per errore materiale, aveva omesso di “agganciare” al modello Unico 2015 (per il periodo d’imposta 2014) la dichiarazione Iva del medesimo anno, cosicché le Entrate si costituivano in giudizio sostenendo l’inammissibilità dell’impugnazione della comunicazione di irregolarità e, al contempo, contestavano sia il riporto del credito Iva, indicato al rigo VL8 del modello dell’anno successivo, che l’avvenuta compensazione orizzontale del tributo. A parere dell’Ufficio, infatti, il contribuente sarebbe stato intempestivo avendo prodotto la documentazione attestante la spettanza del diritto solo oltre i 30 giorni dalla notifica della comunicazione di irregolarità (circolari 21/E/2013 e 34/E/2012).

Per i giudici romani, invece, non solo il ricorso contro qualsiasi atto portante una pretesa tributaria deve essere ritenuto ammissibile in ragione dei principi costituzionali di tutela del contribuente e di buon andamento della Pa (Cassazione 3315/2018), ma che nessuna conseguenza può derivare dalla previsione di un termine di adempimento «fissato non dalla legge, ma dalla stessa Amministrazione mediante circolare amministrativa, che non ha natura perentoria ed ha il solo fine di facilitare l’attività della pubblica amministrazione».

La normativa tributaria, sottolineano i giudici capitolini, «ha da tempo sottolineato il principio secondo cui al mancato rispetto delle formalità deve cedere il passo il dato sostanziale», cosicché, da un lato facendo richiamo all’articolo 10 della legge 212/2000 e, dall’altro lato, osservando come l’Ufficio avrebbe avuto la possibilità di tener conto, ancorché con qualche giorno di ritardo, della natura meramente formale della violazione ascritta alla società ricorrente, avrebbe ben potuto accoglierne i rilievi e non applicare sanzioni, anche in ragione dell’evoluzione normativa e giurisprudenziale in materia.
Le stesse Sezioni Unite della Cassazione (sentenza 17758/2016) hanno, infatti, sancito che l’omessa dichiarazione non comporta la perdita del credito, potendo questo essere riportato a nuovo e/o compensato, mentre la giurisprudenza di merito ha statuito che dalla compensazione del menzionato credito non possano scaturire neanche le sanzioni pretese dal Fisco, ex articolo 13 del Dlgs 471/1997 (Ctr Sardegna 377/1/2018), ancorché in altro caso, invece, sia stata riconosciuta come corretta solo la sanzione formale per la dichiarazione omessa, ma non quella da indebita compensazione (Ctr Veneto 1093/5/2016).

Fonte “Il sole 24 ore”

Contributo integrativo minimo deducibile ai fini Irpef

di Pierpaolo Ceroli e Luisa Miletta

Un tema spesso ricorrente in occasione della compilazione del modello dichiarativo è quello che riguarda la deducibilità dei contributi erogati alla Cassa di previdenza ed assistenza di categoria da parte dei liberi professionisti.

Ai sensi dell’articolo 10 comma 1 lett. e) del Tuir sono oneri deducibili dal reddito complessivo i contributi previdenziali ed assistenziali versati in ottemperanza a disposizioni di legge, quindi obbligatori, nonché quelli versati facoltativamente alla gestione della forma pensionistica di appartenenza, tra cui quelli per la ricongiunzione dei differenti periodi assicurativi, per il riscatto degli anni di laurea (sia a fini pensionistici che ai fini della buonuscita) e per la prosecuzione volontaria.

La legge non pone tetti all’importo portato in deduzione dall’imponibile e tali oneri sono deducibili anche se sostenuti per conto di familiari fiscalmente a carico. Un caso particolare riguarda l’impresa familiare in cui il titolare dell’impresa è obbligato al versamento dei contributi previdenziali anche per i familiari che collaborano nell’impresa; tuttavia, poiché per legge il titolare ha diritto di rivalsa sui collaboratori stessi non può mai dedurli, neppure se di fatto non ha esercitato la rivalsa, a meno che il collaboratore non sia anche fiscalmente a carico. I collaboratori, invece, possono dedurre i contributi soltanto se il titolare dell’impresa ha effettivamente esercitato detta rivalsa.

Gli oneri previdenziali che i professionisti devono versare alle rispettive casse professionali sono, invece, di due tipi: il contributo soggettivo, obbligatorio, determinato sulla base di una percentuale del reddito professionale netto prodotto nell’anno precedente, e quello integrativo, pari a una maggiorazione percentuale su tutti i corrispettivi rientranti nel volume annuale di affari ai fini dell’imposta sul valore aggiunto.

Mentre il contributo soggettivo è sempre deducibile, quello integrativo non gode dello stesso trattamento ai fini Irpef, pertanto non è deducibile poiché, essendo assistito dal meccanismo della rivalsa, non concorre, di fatto, alla formazione del reddito di lavoro autonomo, in quanto trattasi di un onere non a carico del professionista bensì del cliente. Sul punto, con la sentenza n. 20784/2016, la stessa Corte aveva affermato che il contributo integrativo non può essere dedotto dal reddito complessivo del professionista nemmeno quando abbia provveduto al pagamento senza riscuoterlo dai propri clienti come previsto dalla norma istitutiva, anche in presenza di situazioni particolari che non hanno consentito di esercitare la rivalsa.

Quello che invece è possibile dedurre dal reddito complessivo è il contributo integrativo minimo, dovuto nell’ipotesi in cui il contribuente abbia realizzato un volume d’affari limitato o pari a zero, qualora questo sia rimasto effettivamente a carico del contribuente, come anche precisato dall’Agenzia nelle risoluzioni 69/2006 e 25/2011.

Il tema della deducibilità dei contributi previdenziali a carico dei professionisti è rilevante ai fini Irap, poiché, soltanto se detti contributi sono qualificabili come costi inerenti all’attività professionale, essi possono concorrere (in diminuzione) alla formazione del valore della produzione netta, ai sensi dell’articolo 8 del Dlgs 446/97.

Fonte “Il sole 24 ore”

Integrativa sprint per usare il credito in F24

di Giorgio Gavelli e Riccardo Giorgetti

 

Termini ristretti per presentare una dichiarazione integrativa “a favore” sul periodo d’imposta 2016, almeno se si vuole usare subito il credito emergente da tale modello. L’approssimarsi delle scadenze dei versamenti (2 luglio per le imposte sui redditi e l’Irap senza maggiorazione, oggi – 18 giugno – per Imu e Tasi) rende opportuno affrettarsi nelle correzioni di eventuali errori commessi nelle dichiarazioni presentate nel 2017 (dal modello 730 al modello Redditi, sino a quello Irap), nel caso in cui la rettifica consenta di maturare un credito compensabile. Infatti, come affermato dalle Entrate a Telefisco 2018 , «il credito derivante dalla dichiarazione integrativa a favore presentata entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa all’anno d’imposta successivo, può essere utilizzato in compensazione già a partire dal giorno successivo all’integrazione».

L’ESEMPIO

Quindi, ad esempio, trasmettendo l’integrativa entro il prossimo 30 giugno, si può “monetizzare” il 2 luglio in F24 il credito così maturato (e non chiesto a rimborso con l’integrativa), utilizzandolo in compensazione. Si tratterà di integrative “entro l’anno”. Quindi nel compilare il modello 2018 per il periodo d’imposta 2017:
• non va compilato il quadro DI;
• occorre inserire, quale «eccedenza di imposta risultante dalla precedente dichiarazione», l’importo che emerge tenendo conto anche dell’integrativa (l’importo influirà sul risultato della dichiarazione e potrà anche essere rimborsato dal sostituto per chi presenta il 730 o chiesto a rimborso per chi presenta Redditi);
• se al momento di presentazione della dichiarazione 2018 tale credito è già stato utilizzato, anche solo in parte, in F24 (indicando come anno di riferimento il 2016), andrà compilato anche il rigo successivo, che ha lo scopo di impedire che il credito già compensato venga fruito anche in dichiarazione.

Le limitazioni
Una procedura solo in parte simile è riservata ai soggetti tenuti alla contabilità, nel caso in cui la correzione tramite integrativa abbia riguardato un errore commesso a proprio danno nell’ambito delle rilevazioni contabili.

Facciamo l’ipotesi del contribuente che si è dimenticato di annotare un costo di competenza o ha sbagliato per eccesso nel riportare un ricavo. In questo caso, la compensazione immediata in F24 (indicando come anno di riferimento quello dell’errore commesso) del credito emergente dalla dichiarazione integrativa “a favore” può riguardare due tipi di correzioni:
• le integrative “entro l’anno” (ad esempio per il periodo d’imposta 2016 entro il prossimo 31 ottobre);
• le integrative “ultrannuali”, cioè gli aggiustamenti pro contribuente nei modelli presentati oltre il termine di invio della dichiarazione relativa all’anno d’imposta successivo.

Tuttavia, nella seconda delle situazioni appena menzionate, va compilato il quadro DI del modello Redditi (o del quadro IS, sezione XVII, del modello Irap), attraverso il quale il credito viene automaticamente riportato come «eccedenza» della dichiarazione precedente ed è possibile inserire l’utilizzo nel frattempo avvenuto in compensazione. Il modello da usare è quello relativo al periodo in cui è stata presentata l’integrativa (perciò, ad esempio, dopo la presentazione nel 2017 di un Unico 2016 integrativo per l’anno d’imposta 2015, va compilato il quadro DI di Redditi 2018).

Inoltre, per i soggetti tenuti alla contabilità, va rilevata una limitazione in più. Le istruzioni ai modelli, infatti, affermano che il credito così maturato «può essere utilizzato dal giorno successivo a quello di presentazione della dichiarazione integrativa ed entro la fine del periodo d’imposta oggetto della presente dichiarazione per compensare importi a debito». Si delineano perciò due situazioni:
1. se l’integrativa è presentata quest’anno, la compensazione può subito avvenire, ma non può andare oltre il 31 dicembre, e verrà formalizzata con il modello Redditi (o Irap) 2019;
2. se la correzione è stata effettuata lo scorso anno (2017), in base alle istruzioni – che in ogni caso non risultano in linea con il dettato normativo del legislatore (si veda l’altro articolo) – l’importo a credito poteva essere utilizzato liberamente entro il 31 dicembre 2017, mentre l’eventuale eccedenza non ancora compensata entro questa data, di fatto non può essere utilizzata prima di cumularsi al saldo di periodo, configurando una compensazione che è prima di tutto “verticale” (si veda Il Sole 24 Ore del 26 febbraio ).

Nell’ipotesi di errore contabile “ultrannuale” corretto nel 2017, il contribuente dovrà far transitare il credito emergente dall’integrativa, al lordo delle compensazioni eventualmente già effettuate, nel quadro DI del modello Redditi 2018. In particolare, l’ammontare del credito da errori contabili va indicato nella colonna 4 e non nella colonna 5 destinata, invece, ad accogliere i crediti derivanti da errori diversi da quelli contabili.

Fonte “Il sole 24 ore”

Iper e superammortamento 2017 costringono ad acconti più pesanti

di Giorgio Gavelli

Verifica di quanto versato, calcolo con possibile rideterminazione dell’imposta, indicazione in dichiarazione: sono diverse le problematiche che riguardano la corretta determinazione degli acconti d’imposta delle imposte sui redditi, in vista della prima scadenza fissata per il 2 luglio.

Le scadenze

La scadenza ordinaria per gli acconti (come per i saldi d’imposta) per le persone fisiche e i soggetti con periodo d’imposta coincidente con l’anno solare è il 30 giugno che, essendo sabato, slitta a lunedì 2 luglio.

Per i soggetti Ires tale scadenza è valida se l’approvazione del bilancio è avvenuta nei termini ordinari; in caso di slittamento ai 180 giorni (articolo 2364, comma 2 del Codice civile), se l’assemblea ha positivamente deliberato entro il 31 maggio. In alternativa, è possibile versare entro i 30 giorni successivi maggiorando le somme dovute dello 0,40%; in questo caso, essendo la scadenza compresa nel periodo dal 1° al 20 agosto, per effetto dell’articolo 37, comma 11-bis del Dl 223/2006, il termine diviene il 20 agosto.

Secondo le istruzioni, per chi, fruendo della maggiorazione, sceglie anche la rateizzazione, se in possesso di partita Iva, entro tale data deve versare tanto la prima quanto la seconda rata, conclusione che è stata criticata in dottrina.

Il ricalcolo

Per gli acconti 2018 il problema principale è la rideterminazione della base di calcolo. Per imprese e lavoratori autonomi, infatti, se – come nella stragrande maggioranza dei casi – il metodo scelto è quello “storico”, è facile trovarsi in una delle ipotesi riportate dalla grafica a lato, che costringono a versare un acconto ricalcolato partendo da una base imponibile 2017 rideterminata.

La situazione più frequente è senza dubbio quella di chi ha fruito nel 2017 della variazione in diminuzione dovuta a super e iperammortamenti. Infatti, l’articolo 1, comma 12 della legge 232/2016 prevede che «la determinazione degli acconti dovuti per il periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2017 e per quello successivo è effettuata considerando quale imposta del periodo precedente quella che si sarebbe determinata in assenza delle disposizioni di cui ai commi 8, 9 e 10». Il mancato richiamo all’articolo 1, commi 91 e seguenti, della legge 208/2015 dovrebbe comportare, anche in virtù di quanto chiarito con circolare 4/E/2017, che l’agevolazione del superammortamento per i beni acquistati (in proprietà o in leasing) negli ultimi mesi del 2015 e nel 2016 non dovrebbe essere interessata dal ricalcolo, che è limitato agli effetti positivi sull’imponibile determinati dai beni (super o iperammortizzabili) acquisiti successivamente, in virtù della proroga dell’agevolazione.

In buona sostanza, la complessiva variazione in diminuzione operata dalle imprese nel modello Redditi a questo titolo dovrebbe essere scomposta a seconda dell’anno di acquisizione dei cespiti, dovendo eliminare in sede di rideterminazione degli acconti Irpef ed Ires 2018 (no Irap) solo la quota relativa ai beni per cui il 2017 è stato il primo anno di super o iperammortamento. Stesso esercizio dovrebbero effettuare i lavoratori autonomi.

Fonte “Il sole 24 ore”

Studi di settore, correttivi per cassa più severi con il commercio al dettaglio

di Lorenzo Pegorin e Gian Paolo Ranocchi

Correttivi cassa ad effetto variabile sugli studi di settore del periodo d’imposta 2017 per le imprese in contabilità semplificata. Il ricavo stimato dal software Gerico 2018 tendenzialmente cresce nei settori che operano nel commercio al dettaglio e nei servizi alla persona. Viceversa si registra una diminuzione nella stima per le manifatture, il commercio all’ingrosso e i servizi alle imprese. È lo scenario che emerge dall’applicazione dei correttivi per cassa sulle imprese in contabilità semplificata che dal 1° gennaio 2017 sono alle prese con il nuovo regime previsto dall’articolo 66 del Tuir .

L’approvazione di questi correttivi si è resa necessariaper normalizzare il risultato di Gerico. L’applicativo, infatti, da sempre opera secondo logiche prettamente di competenza. Il passaggio (dal 1° gennaio 2017) a un regime contabile misto di competenza/cassa per i semplificati ha scardinato parte degli automatismi tipici che contraddistinguono il funzionamento del software. Si è reso, infatti, necessario prevedere delle opportune correzioni al fine di salvaguardare l’impianto generale con l’obiettivo di ricavarne un risultato stimato credibile. Il tutto in vista del passaggio agli Isa (indicatori sintetici di affidabilità fiscale) che è stato rinviato all’anno prossimo. Per tale ragione si assiste quest’anno ai risultati differenti a seconda del singolo studio di settore. Inoltre i correttivi per cassa si applicano potenzialmente a tutte le imprese in contabilità semplificata, ad esclusione di chi ha optato per il regime del «registrato» (articolo 18, comma 5, del Dpr 600/1973).

Gli esempi a lato mettono in luce uno spaccato di quella che è la tendenza generale: nei settori B2C (business to consumer), come commercio al dettaglio e servizi alla persona (si vedano i casi del parrucchiere e del fruttivendolo), i correttivi di «cassa» sposteranno in alto l’asticella dei ricavi. In tali circostanze, il risultato finale stimato da Gerico, quest’anno (2017), sarà quindi più elevato rispetto all’analisi tradizionale, a parità di condizioni, sull’anno d’imposta 2016. A pesare potrebbe essere il gap tra incassi immediati rispetto alla cessione dei beni e le fatture di acquisto datate 2017 ma saldate nel 2018.

Invece nel B2B (business to business) , e quindi essenzialmente manifatture, commercio all’ingrosso, e servizi alle imprese (nell’esempio in pagina vengono propposti la fabbricazione di gioielli e l’impresa che opera con la pubblica amministrazione), i correttivi di «cassa» potranno risultare più vantaggiosi per i diretti interessati. E il risultato finale stimato da Gerico quest’anno sarà minore (e perciò più favorevole al contribuente) rispetto all’analisi tradizionale, a parità di condizioni, sull’anno d’imposta 2016.

La compilazione dei modelli

Per applicare correttamente i correttivi di cassa tutte le imprese in contabilità semplificata devono compilare il dato relativo alle rimanenze finali. Infatti, nonostante quest’ultimo valore per i contribuenti in contabilità semplificata (siano essi in regime di cassa «pura» o con quello del «registrato»), non abbia alcuna influenza sul reddito imponibile, deve essere comunque elaborato da Gerico per la corretta applicazione degli studi di settore.

I contribuenti dovranno prestare attenzione a compilare correttamente i campi da F42 a F44 del modello studi. Tradizionalmente la compilazione di questi righi ha l’effetto di diminuire il risultato stimato dall’applicativo favorendo un esito migliore per il contribuente. In particolare si tratta delle operazioni imponibili verso soggetti Iva(campo F42), di quelle con reverse charge (campo F43) e di quelle in split payment (campo F44). In questo senso, infatti, maggiore sarà la quota di vendite B2B, più elevata sarà anche la durata dei crediti stimata dal software e quindi maggiore sarà la riduzione della stima dei ricavi di «cassa».

Fonte “Il sole 24 ore”

Detrazione dell’Iva erroneamente assolta in cerca di punti fermi

di Benedetto Santacroce

Ancora aspetti da puntualizzare sulle disposizioni che permettono al cessionario/committente di detrarre l’Iva che il cedente/prestatore ha erroneamente assolto, in una situazione che è comunque da definirsi di irregolarità. I commenti della prassi – si fa riferimento in particolare alla circolare 12 di Assonime di ieri – pur offrendo una propria linea interpretativa, sottolineano la necessità di chiarimenti ufficiali su alcuni punti della recente disciplina.

Dopo l’introduzione della possibilità per il fornitore di chiedere il rimborso dell’imposta non dovuta entro 2 anni dall’avvenuta restituzione al cliente dell’importo pagato a titolo di rivalsa (articolo 8 della legge europea 2017), specularmente è stato previsto (articolo 1, comma 935, della legge di bilancio 2018) che, se il cliente ha detratto un’imposta superiore a quella effettiva, il diritto alla detrazione viene comunque conservato con un’unica penalità, ovvero l’applicazione di una sanzione in misura fissa. Se la norma (articolo 6, comma 6, del Dlgs 471/1997) è stata accolta giustamente in un clima di entusiasmo generale, in quanto permette di garantire la neutralità dell’Iva nelle ipotesi di applicazione indebita dell’imposta senza passare per i vari step previsti dalla precedente procedura (il cessionario/committente chiedeva al fornitore la restituzione dell’imposta a lui pagata a titolo di rivalsa, il fornitore dopo aver restituito la somma al cliente, chiedeva il rimborso all’Erario), ciò non significa che essa sia completamente scevra da criticità.

Innanzitutto, sembrerebbe da escludere la sua interpretazione letterale, secondo la quale l’ambito di applicazione della norma sarebbe limitato solamente ai casi in cui l’imposta è dovuta, ma ne è errata la quantificazione, come nel caso in cui il fornitore abbia applicato erroneamente un’aliquota maggiore a quella effettivamente dovuta. Escludendo la detraibilità dell’Iva non dovuta ogniqualvolta l’operazione non è soggetta ad Iva poiché esente, non imponibile od esclusa, si creerebbe una forte disparità rispetto ad un comportamento (l’applicazione di un’aliquota superiore a quella corretta) del tutto analogo, andando contro la ratio stessa della riforma.

Un’altra questione è il dubbio sulla compatibilità dell’articolo 6, comma 6 con la giurisprudenza unionale (in particolare sentenza del 15 dicembre 2011, C-427/10). In quel caso la Corte aveva affermato che l’imposta non dovuta non sarebbe comunque detraibile, affermazione che – secondo la circolare di Assonime – non creerebbe un contrasto tra la norma domestica e la direttiva Iva, così come interpretata dai giudici unionali: il motivo è che, per garantire a tutti gli effetti il principio di neutralità, se l’ordinamento italiano richiede che l’imposta erroneamente esposta in fattura è comunque dovuta (articolo 21, comma 7, del Dpr 633/1972), dall’altro lato, per coerenza, ed in quanto non c’è danno per l’Erario, deve consentire al debitore di portare in detrazione l’imposta, evitando il giro di restituzioni tra cliente, fornitore, Erario sopra descritto. Naturalmente, deve trattarsi di un contesto in cui non vi sia frode fiscale.

Fonte “Il sole 24 ore”

Dati liquidazioni Iva, correzione degli errori a due vie

di Paola Bonsignore e Pierpaolo Ceroli

Passata la scadenza del 31 maggio per la comunicazione dei dati delle liquidazioni Iva relativi al primo trimestre, gli operatori del settore iniziano ad avere le prime preoccupazioni circa la possibilità di ricevere dal sistema uno scarto della comunicazione inoltrata o la rilevazione a posteriori della commissione di errori nella compilazione della stessa.

Diventa, quindi, necessario ricercare i possibili rimedi e valutare le eventuali sanzioni cui si sarà soggetti. In linea generale entrambe le problematiche sono sanabili attraverso:
•un nuovo invio nel caso di scarto;
•la predisposizione ed inoltro di una nuova comunicazione liquidazioni periodiche Iva, o la corretta indicazione dei dati errati in sede di dichiarazione Iva, in caso di omissioni/errori nella compilazione della comunicazione;
•il pagamento, se ne è il caso, della sanzione amministrativa da 500 a 2mila euro, riducibile alla metà nel caso in cui la corretta trasmissione avviene entro 15 giorni successivi la scadenza stabilita, ex articolo 11, comma 2-ter, del Dlgs 471/1997 ravvedibile in base all’articolo 13 del Dlgs 472/1997 (risoluzione 104/E/2017).

Il nuovo invio in caso di scarto
In caso di scarto da parte del sistema delle Entrate per la presenza di anomalie nella liquidazione inoltrata, sarà possibile ritrasmettere il file attraverso un nuovo invio telematico, il quale se viene posto in essere:
•entro 5 giorni lavorativi successivi (esclusi quindi il sabato, domenica e le festività) alla data contenuta nella comunicazione che attesta il motivo dello scarto ed accettato dal sistema informatico dell’Ufficio sarà considerato tempestivo, anche se è scaduto il termine ordinario di presentazione (circolare 195/1999 e risoluzione 5/E/2003), e di conseguenza non sarà soggetto a sanzione (ad esempio qualora la data della comunicazione di scarto sia 31 maggio il termine per la ritrasmissione “tempestiva” sarà il 7 giugno: si veda Il Quotodiano del Fisco del 29 maggio ). In tale caso sembra opportuno conservare, ai fini probatori, sia la comunicazione originale di scarto, sia la comunicazione “rettificativa” con le relative ricevute emesse dall’Amministrazione a riprova dell’avvenuta presentazione nei termini;
•oltre 5 giorni lavorativi successivi alla data contenuta nella comunicazione che attesta il motivo dello scarto sarà considerato fuori termine e, quindi, sarà necessario versare la sanzione amministrativa minima prevista dal citato articolo 11 ridotta a seguito di ravvedimento in base alla data dell’adempimento (ulteriormente ridotta alla metà nel caso in cui la corretta trasmissione avviene entro 15 giorni successivi la scadenza stabilita).

La correzione degli errori
Viceversa, nel caso di errore, come anticipato, saranno possibili due soluzioni ai fini della correzione dei dati trasmessi:
■compilazione di una nuova comunicazione delle liquidazioni periodiche e nuova trasmissione tramite il servizio online dell’agenzia delle Entrate;
■indicazione dei dati corretti relativi alla liquidazione errata in sede di dichiarazione Iva.

Qualunque sia la scelta del contribuente sarà necessario versare la sanzione amministrativa minima di cui all’articolo 11 del Dlgs 471/1997 (500 euro), riducibile alla metà se la corretta trasmissione avviene entro 15 giorni successivi la scadenza stabilita (250 euro) oltre alla riduzione derivante dall’applicazione del ravvedimento operoso.

A titolo esemplificativo, si ipotizzi che in data 15 giugno sia trasmessa la correzione della liquidazione periodica relativa al primo trimestre 2018 con scadenza 31 maggio, e la sanzione sia versata nella medesima data la sanzione da pagare, tenendo conto anche della riduzione a 1/9 a seguito di ravvedimento operoso, sarà pari a 27,78 euro [(500/2)/9=27,78].

Fonte “Il sole 24 ore”

L’Iva per cassa «separa» le comunicazioni dei dati sulle liquidazioni

di Pierpaolo Ceroli e Agnese Menghi

Entro il prossimo 31 maggio i contribuenti devono comunicare, tramite il modello Lipe, il risultato della liquidazione periodica e, a tal fine, devono indicare l’ammontare delle transazioni che hanno concorso alla determinazione dell’imposta. Come regola generale, nel modello vanno dichiarate tutte le operazioni per le quali è richiesta la fatturazione, a prescindere, quindi, dall’effettiva imposta. A tal proposito, nel quadro VP, al rigo VP2, si riportano le operazioni attive rilevanti nel periodo di riferimento (mese o trimestre) – annotate nel registro delle fatture emesse o in quello dei corrispettivi o comunque soggette a registrazione – al netto dell’imposta. Pertanto, devono essere indicate le operazioni:

•imponibili;
•non imponibili;
•esenti;
•non soggette per carenza del presupposto territoriale, per le quali però è richiesta la fatturazione.

Sono, invece, escluse dalla comunicazione le operazioni esenti effettuate dai soggetti che si sono avvalsi della dispensa dagli adempimenti all’articolo 36-bis del Dpr 633/1972, come anche rilevato dalle istruzioni al modello.

Stessa compilazione per le operazioni passive in quanto nel rigo VP3 deve essere indicato l’ammontare complessivo delle transazioni registrate nel registro degli acquisti (fatture e bollette doganali). Di conseguenza, vanno dichiarati, anche se la relativa Iva è indetraibile:
■gli acquisti interni ed intracomunitari di beni e servizi;
■le importazioni di beni.

In merito alle operazioni con Iva ad esigibilità differita, come nel caso del regime Iva per cassa, il modello deve essere compilato riportando, per quanto riguarda le operazioni attive, l’imponibile nel rigo VP2 relativo al mese/trimestre di effettuazione dell’operazione, mentre l’imposta deve essere compresa nel rigo VP4 del periodo nel quale se ne verifica l’esigibilità. Di conseguenza, l’imponibile risulterà in un modello, mentre la relativa imposta sarà dichiarata in un altro. Allo stesso modo le operazioni passive ad esigibilità differita, le quali devono essere dichiarate riportando l’imponibile nel rigo VP3 nel periodo in cui l’acquisto è registrato, mentre l’imposta va nel rigo VP5 del modello riferito al periodo in cui si è verificato il diritto alla detrazione.

Un’altra ipotesi particolare di compilazione del modello Lipe riguarda le operazioni per le quali l’imposta è dovuta da parte del cessionario. Nell’ipotesi di applicazione del meccanismo dell’inversione contabile il cedente o prestatore indica esclusivamente l’imponibile tra le operazioni attive nel rigo VP2, mentre il cessionario/committente:
■indica la base imponibile solo nel rigo VP3 (e non anche in VP2);
■riporta l’imposta sia nel rigo VP4 «Iva esigibile» che nel rigo VP5 «Iva detratta» (purché l’Iva sia detraibile).

Qualora, invece, l’operazione rientrasse nel regime di split payment, il cedente/prestatore deve indicare solo l’imponibile nel rigo VP2, mentre l’imposta non va riportata nel rigo VP4, in quanto il debitore è la Pa in qualità di cessionario/committente.

Fonte “Il sole 24 ore”

Eccedenza Ace da convertire con aliquota uguale tra i soci

di Gian Paolo Tosoni

La conversione in credito Irap dell’eccedenza Ace si fa con le aliquote progressive Irpef stabilite dall’articolo 11 del Tuir a prescindere dall’effettiva incidenza del reddito dei soci. Lo precisa l’agenzia delle Entrate nel videoforum che viene trasmesso oggi.

Il Dm Economia del 3 agosto 2017, articolo 8, prevede per imprese individuali e società di persone in regime di contabilità ordinaria che la deduzione Ace eccedente il reddito d’impresa del periodo d’imposta possa avere utilizzo ampio. Tale eccedenza si può rinviare ai periodi di imposta successivi sia dall’impresa individuale sia dai collaboratori dell’impresa familiare; le società di persone possono attribuire il residuo Ace a ciascun socio in proporzione alla loro quota di partecipazione agli utili. Il socio può dedurre la quota di sua competenza dal proprio reddito d’impresa.

Sia la società di persone sia l’imprenditore individuale sia il socio singolarmente possono scegliere di convertire l’eccedenza Ace in credito Irap applicandovi le aliquote Irpef di cui all’articolo 11 del Tuir e tale credito va ripartito in cinque anni. Ad esempio, se la deduzione Ace eccedente per una persona fisica è di 10.000 euro, assumendo la prima aliquota Irpef del 23%, si può fruire di un credito Irap di 2.300 euro da ripartire in cinque anni. Infatti, se il beneficiario è una sola persona fisica il credito Irap si calcola con le aliquote Irpef corrispondenti agli scaglioni di reddito di cui all’articolo 11.

Ma, qualora la società di persone scelga di tramutare l’eccedenza della deduzione Ace in credito Irap, si pone il problema di quali scaglioni di reddito e relative aliquote Irpef applicare, tenuto conto che i soci, essendo più di uno, possono, avere una progressività Irpef diversa tra loro.

L’Agenzia risolve bene il problema precisando che si devono adottare gli scaglioni e aliquote indicate dall’articolo 11 in modo oggettivo senza tener conto del numero dei soci e delle eventuali aliquote marginali di ciascuno.

L’Agenzia fa anche un esempio: se una società con due o più soci ha una eccedenza Ace di 20.000 euro, avrà diritto ad un credito Irap di 4.800 euro determinato applicando il 23% su 15.000 euro (3.450 euro) ed il 27% sul residuo 5.000 (1.350 euro), a prescindere dai scaglioni di reddito dei singoli soci.

In sintesi, quindi, l’eccedenza Ace può essere utilizzata direttamente dalla società o attribuita al socio. Qualora sia attribuita ai soci, questi possono utilizzarla per ridurre i propri redditi di impresa, riportarla nei periodi successivi o tramutarla in credito IRAP; qualora resti alla società, questa potrà tramutarla in credito IRAP utilizzando, per determinare l’ammontare, le aliquote Irpef progressive.

Fonte “Il sole 24 ore”

Gli utili 2016 accantonati cercano spazio in Redditi

di Giorgio Gavelli

Gli utili 2016 troveranno spazio nel nuovo rigo del prospetto contenuto nel quadro RS del modello Redditi SC 2018 , ma con diverse incognite legate alla compilazione. Il «Prospetto del capitale e delle riserve» deve essere utilizzato con lo scopo di monitorare la struttura del patrimonio netto, così come riclassificato agli effetti fiscali, per la corretta applicazione delle norme riguardanti il trattamento, sia in capo ai partecipanti, sia in capo alla società o ente, della distribuzione o dell’utilizzo per altre finalità del capitale e delle riserve.

Ciò trova conferma all’articolo 1, comma 5 del decreto del 26 maggio 2017 (vale a dire del provvedimento che ha modificato la disciplina dei dividendi e delle plusvalenze su partecipazioni societarie), in base al quale, sulla scorta di quanto già previsto dal precedente decreto 2 aprile 2008, l’ammontare complessivo delle riserve formate con utili prodotti dalla società o dall’ente partecipato, nel periodo compreso dall’esercizio successivo a quello in corso al 31 dicembre 2007 all’esercizio in corso al 31 dicembre 2016 e i decrementi di tale ammontare conseguenti alle delibere di distribuzione, sono indicati nel «Prospetto del capitale e delle riserve» del quadro RS del modello di dichiarazione dei redditi delle società di capitali. Questo adempimento deriva dalla diversa imposizione ai fini Irpef dovuta all’adeguamento delle percentuali di imponibilità per alcune tipologie di dividendi, proventi equiparati e plusvalenze, conseguente alla riduzione dell’aliquota Ires dal 27,5% al 24%, in base all’articolo 1, comma 61, della legge (208/2015).

La tassazione dei dividendi

Per effetto delle modifiche subite nel tempo dall’aliquota Irpeg/Ires, la quota imponibile del dividendo che il socio persona fisica qualificata è chiamata a dichiarare (al di là delle novità della legge di Bilancio 2018 e della relativa norma transitoria, che non hanno effetto sulla compilazione del modello redditi 2017) è in misura pari:

– al 40% per le riserve formate con utili prodotti dalla società o ente partecipato fino all’esercizio in corso al 31dicembre 2007;

– al 49,72% per le riserve formate con utili prodotti successivamente e fino all’esercizio in corso al 31 dicembre 2016;

– al 58,14% per quelli prodotti nell’esercizio successivo.

La criticità

Era, quindi, inevitabile che l’esigenza di monitorare separatamente gli utili prodotti dal 2017 in poi da quelli precedenti portasse alla comparsa di un rigo in più nel prospetto (si veda Il Sole 24 Ore dell’11 settembre 2017). Ciò che, tuttavia, non si poteva immaginare è che questo rigo (RS136) venisse proposto dalla modulistica senza alcuna possibilità di inserire incrementi di riserve ma solo decrementi. È pur vero, infatti, che gli utili prodotti dalle società nel 2017 non vanno confusi con quelli pregressi (e, quindi, troveranno allocazione nel totale delle riserve di utili ma non nei righi specifici in cui si opera la distinzione temporale), ma è altrettanto vero che gli utili 2016, deliberati nel 2017, ove accantonati a riserva, non hanno ancora trovato collocazione tra le riserve di utili riportate dal prospetto, e devono essere rilevate in questo modello, andando a incrementare le riserve prodotte dal 2008 al 2016.

La possibile soluzione

L’assenza della colonna «incrementi» impedisce una compilazione naturale del prospetto, rendendo obbligatoria una forzatura nella casella finale del rigo oppure in quella iniziale. È quest’ultima la via seguita nell’esempio in pagina, nella consapevolezza, peraltro, che in questo modo si creano disallineamenti rispetto al prospetto presentato l’anno precedente e a livello di totali verticali. Ma in attesa di chiarimenti ufficiali si tratta probabilmente della soluzione con meno controindicazioni.

Infatti, inserire tali utili solo a livello di riserve di utili complessive e non nel rigo delle riserve create fino al 2016 creerebbe un problema maggiore, dato che rischierebbe di rendere applicabile ad essi la maggiore imposizione prevista per i soci qualificati dal 2017 rispetto a quella prevista per il 2016.

Se meno problematica è la distribuzione degli utili a soci soggetti Ires (l’esclusione del 95% dei dividendi citati all’articolo 89, comma 2 del Tuir non è, infatti, variata), o a soci persone fisiche non qualificate (anche la ritenuta “secca” del 26% non è mutata), problemi analoghi a quello ora ricordato riguardano i soci costituiti da imprese non Ires e da enti non commerciali.

È evidente, in ogni caso, che sarebbe opportuno confermare la soluzione proposta (o indicarne un’altra) prima dell’invio dei modelli. Il tempo da qui al 31 ottobre non manca. La speranza è non arrivare sul filo di lana.

Fonte “Il sole 24 ore”

Precompilata, la tessera sanitaria consente le correzioni

di Marcello Tarabusi e Giovanni Trombetta

Pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 110 del 14 maggio scorso il Dm 27 aprile 2018, che integra le regole per la compilazione agevolata delle spese sanitarie e veterinarie nella precompilata. Già per i dati dell’anno d’imposta 2017 sarà possibile interagire con il sistema della tessera sanitaria per consultare e rettificare i dati delle spese sanitarie, anche per familiari a carico, e dei relativi rimborsi, nonché delle spese veterinarie e relativi rimborsi.

Per accedere alle nuove funzioni di interrogazione e modifica dei dati della tessera sanitaria il cittadino deve attivare le funzionalità di compilazione agevolata; dopodiché il sistema rende disponibili all’agenzia delle Entrate una serie di funzionalità in cooperazione applicativa.

In particolare, il contribuente può (si veda il punto 4.3 il Disciplinare tecnico allegato B al Dm 31 luglio 2015, come modificato dal Dm 27 aprile 2018):

• richiedere la lista dei documenti di spesa e di rimborso acquisiti dal Sistema Ts, riferiti per sé e per eventuali familiari a carico (escluse le spese per cui è stata esercitata la facoltà di opposizione all’utilizzo);

• integrare la lista dei documenti risultanti al Sistema TS con ulteriori documenti di spesa o di rimborso non presenti nell’elenco;

• eliminare i documenti di spesa o di rimborso precedentemente inseriti dal contribuente;

• apportare modifiche ai documenti di spesa o di rimborso proposti nell’elenco, variando l’importo o la percentuale di sostenimento delle spese per familiari a carico, oppure escludendo del tutto il documento;

• richiedere il calcolo dell’importo complessivamente detraibile;

• ripristinare la situazione iniziale dei documenti di spesa e di rimborso proposti in elenco al contribuente.

Se il contribuente dichiarante desidera inserire un nuovo documento fiscale o un rimborso, deve indicare la data di pagamento (o di rimborso), il soggetto che ha emesso il documento fiscale e l’importo della spesa (o del rimborso). È facoltativa l’indicazione della partita Iva dell’emittente e del numero del documento fiscale. Se la spesa sanitaria è riferita a un familiare a carico, il contribuente deve inserire la relativa percentuale di sostenimento della spesa.

L’esito dell’elaborazione dopo le rettifiche inserite dal contribuente viene memorizzato in una base dati apposita e reso disponibile alle Entrate.

Per prevenire abusi si prevede espressamente che le informazioni di dettaglio rettificate dal contribuente siano consultabili dai dipendenti dell’Agenzia esclusivamente se autorizzati ed attraverso l’applicativo dedicato ai controlli formali della dichiarazione (articolo 36-ter, Dpr 600/73). Per tale finalità il Sistema Ts mette a disposizione delle Entrate un servizio di consultazione dei dati integrati o rettificati dal contribuente nell’ambito della Compilazione agevolata, tenendo traccia dell’operazione effettuata.

In corso d’anno, e sino al 31 gennaio dell’anno successivo, il contribuente può segnalare eventuali errori al Sistema Ts, il quale informa il soggetto che ha trasmesso i dati per consentire la correzione.

Fonte “Il sole 24 ore”

Il quadro RS non «decide» il tipo di rettifica sui forfettari

I contribuenti che applicano il regime forfettario devono procedere a indicare nel modello Redditi 2018 specifiche informazioni relative alle attività agevolate, richieste sia per gli esercenti attività d’impresa (da RS374 a RS378) che per i lavoratori autonomi (da RS379 a RS381).

Ora, in quanto nella determinazione del reddito ci si deve preoccupare solo dell’incasso dei componenti attivi ed è possibile disinteressarsi dei costi, mentre uno dei principali vantaggi del regime forfettario è la semplificazione degli adempimenti, risulta particolarmente fastidiosa per questi contribuenti la necessità di raccogliere ed indicare in dichiarazione, oltre che le fatture emesse, anche i dati dei documenti ricevuti, adempimento che fa residuare sul contribuente un indesiderato onere di tenuta e conservazione documentale.

Di conseguenza, in quanto per il forfettario non vi è alcun beneficio (che non sia quello civico) a ricevere documentazione fiscale dei propri costi sostenuti (del tutto irrilevanti nel contesto di una deduzione non analitica dal reddito di costi già predeterminati a forfait) non sono pochi i contribuenti che non dichiarano in RS l’effettività dei costi realmente sostenuti nell’esercizio dell’attività, o che spesso confondono acquisti di beni o servizi effettuati nella propria sfera lavorativa con quella privata, ricevendo per gli stessi ricevute fiscali alternative alle fatture passive per operazioni pur effettuate nell’esercizio dell’attività. Molti clienti, peraltro, neanche consegnano i documenti al professionista che cura gli adempimenti dichiarativi, cosicché la compilazione di questi righi risulta spesso incompleta o approssimativa.

L’omessa od infedele compilazione dei righi RS è sanzionabile ai sensi dell’articolo 8, comma 1, del Dlgs 471/1997, in base al quale, fuori dai casi di dichiarazione omessa o infedele, è applicabile la sanzione da 250 a 2mila euro qualora nella dichiarazione «(…) non è indicato in maniera esatta e completa ogni altro elemento prescritto per il compimento dei controlli». In alcuni casi, però, l’agenzia delle Entrate, in ragione della mancata tenuta delle scritture contabili da parte di questi contribuenti semmai rafforzata da una inattendibile compilazione del quadro RS, potrebbe ritenere di accertare il reddito di impresa/lavoro autonomo dei forfettari tramite un accertamento induttivo puro, ovvero secondo i presupposti e le modalità contenute nell’articolo 39, comma 2 del Dpr 600/1973 ed avvalendosi, quindi, anche di presunzioni semplici sfornite di gravità, precisione e concordanza. Questa, però, non solo sarebbe una iniqua parificazione tra chi, pur obbligato, non ha istituito la contabilità violando obblighi e chi, invece, lo ha fatto legalmente, ma ciò sarebbe anche illegittimo, atteso il fatto che l’articolo 39 consente di accertare esclusivamente redditi determinati in base alle scritture contabili.

Da ciò ne deriva che l’accertamento nei confronti di un forfettario è esperibile, quale persona fisica ed ex articolo 38 del Dpr 600/73, sia con metodo analitico che con quello induttivo, ma, in quest’ultimo caso, mediante ricorso alle presunzioni qualificate, ai sensi del comma 3.

La fedeltà compilativa del quadro RS rimane, allora, importante per evitare sanzioni formali, ma non decide il metodo di accertamento.

Fonte “Il sole 24 ore”

Controlli mirati per le modifiche ai bonus nel 730 precompilato

di Marco Mobili e Giovanni Parente

E adesso si entra nel vivo. Da mercoledì 2 maggio sarà possibile accettare, modificare o integrare e poi trasmettere all’agenzia delle Entrate il modello 730 precompilato. La fase 2 sta per iniziare e i contribuenti si trovano di fronte al bivio se fare tutto da soli oppure andare al Caf, sobbarcandosi i costi dell’assistenza fiscale. Una scelta che comporta conseguenze diverse in termini di eventuali ricadute su omissioni o errori. Già, perché il Caf che appone il “bollino blu” sulla dichiarazione (il visto di conformità), si assume la responsabilità per i dati indicati e per i quali sono stati acquisiti i documenti giustificativi. E spetta a questi ultimi esibire la documentazione successiva al posto dei loro assistiti in caso di eventuale richiesta degli uffici dell’Agenzia. In ogni caso seguendo le istruzioni della circolare 7/E del 27 aprile 2018 dedicata a deduzioni e detrazioni (si veda Il Sole 24 Ore del 28 aprile).

Ma è proprio sui controlli che si consumerà una delle principali novità della precompilata 2018. Nei primi 15 giorni, infatti, i contribuenti hanno potuto verificare quali voci fossero presenti o meno, quali fossero solo “parcheggiate” nel foglio informativo (è il caso della prima rata per i bonus sui lavori in casa, sugli arredi e sul risparmio energetico) e quali invece fossero da rettificare. Ora, invece, bisogna decidere se accettare o integrare. E, come dimostrano anche le schermate pubblicate in alto, si potrà intervenire anche con la modalità di compilazione assistita – ovvero la nuova procedura “guidata” dal software – che dal 7 maggio consentirà di andare ad aggiungere singoli documenti di spesa o intervenire in maniera più chirurgica sulle singole voci già inserite. Naturalmente la modalità di intervento cambierà anche il quadro successivo. Vediamo proprio che cosa cambia per chi procede con il «fai-da-te».

Accettazione integrale

È l’ipotesi più semplice. Chi accetta integralmente il conto dell’Agenzia o apporta modifiche che non incidono né sul calcolo dell’imponibile o dell’imposta si garantisce uno “scudo” dai controlli formali sui documenti relativi alle voci di spesa che danno diritto ai bonus, trasmessi da quelli che si chiamano soggetti «terzi» (dietro questa dizione ci sono banche, enti di previdenza, farmacie e altre strutture sanitarie obbligate alla trasmissione, assicurazioni e così via). Si tratta degli oltre 860 milioni di informazioni con cui è stata costruita la precompilata 2018 (a cui si sommano anche i quasi 59 milioni di informazioni relative ai redditi). Detto in altri termini, il Fisco non chiede più a chi accetta la precompilata scontrini, fatture, bonifici, contratti relativi agli sconti già precaricati. Resta fermo, però, che sui requisiti soggettivi per aver diritto allo sconto fiscale (ad esempio, l’effettiva destinazione nei termini previsti ad abitazione principale dell’immobile acquistato, necessaria per la detrazione degli interessi passivi del mutuo) l’amministrazione finanziaria può sempre accendere un faro e fare controlli.

La modifica tradizionale

La modalità tradizionale di modifica consente di intervenire sui totali delle singole spese. In questo caso, quindi, il focus dei controlli documentali si concentrerà solo sulla tipologia di spesa su cui il contribuente è intervenuto. Proviamo a fare un esempio: se l’integrazione o la correzione riguarda le spese sanitarie (rigo E1 del 730), il diretto interessato dovrà conservare ed eventualmente esibire al Fisco solo gli scontrini e le ricevute relative a farmaci, visite e altri oneri contenuti nel rigo E1. Si potrà, tra l’altro, fare a meno di conservare le carte sugli interessi delle rate del mutuo o sui contributi alla colf se non vengono toccati.

La «compilazione assistita»

Con la compilazione assistita si restringe ancora di più l’area dei documenti da tenere nei cassetti o nei faldoni e dei potenziali controlli. Si potrà, infatti – sotto la guida del sistema – modificare una singola spesa all’interno delle macrovoci presenti nelle sezioni I e II del quadro E del modello (tanto per intenderci sono esclusi i bonus sui lavori in casa). E i controlli documentali potranno riguardare solo quella singola spesa modificata. Se tutto il resto rimane intatto rispetto al dato precaricato, non sarà più necessario conservare ricevute e scontrini. Con un vantaggio tangibile anche in termine di semplificazione.

La seconda chance

Per chi poi trasmettesse subito con il «fai-da-te» il 730 precompilato e poi ci ripensasse, ci sarà la possibilità (a partire dal 28 maggio e fino al 20 giugno) di annullare direttamente il precedente invio e procedere a uno nuovo. L’annullamento sarà possibile una sola volta.

Fonte “Il sole 24 ore”

Novanta giorni di tempo per la dichiarazione omessa

di Michele Brusaterra

Dichiarazioni e adempimenti

Per la dichiarazione Iva annuale non presentata entro oggi, presentazione entro 90 giorni con sanzioni ridotte.

La dichiarazione annuale Iva 2018, relativa al 2017, va presentata entro oggi in via telematica all’agenzia delle Entrate, in base a quanto disposto dall’articolo 8 del Dpr 322/1998 . Una volta spirato tale termine, senza che la dichiarazione sia stata inviata, si rendono applicabili le sanzioni di cui all’articolo 5 del Dlgs 471/1997 che prescrive innanzitutto che «Nel caso di omessa presentazione della dichiarazione annuale dell’imposta sul valore aggiunto si applica la sanzione amministrativa dal centoventi al duecentoquaranta per cento dell’ammontare del tributo dovuto per il periodo d’imposta o per le operazioni che avrebbero dovuto formare oggetto di dichiarazione».

In ogni caso la sanzione non può essere inferiore a 250 euro e nel caso di presentazione della dichiarazione entro il termine di presentazione della dichiarazione relativo al periodo d’imposta successivo ma, comunque, prima che siano iniziate attività amministrative di accertamento «di cui il soggetto passivo abbia avuto formale conoscenza», la sanzione amministrativa applicabile va dal 60 al 120 per cento dell’ammontare del tributo dovuto per il periodo d’imposta ovvero per le operazioni che avrebbero dovuto formare oggetto di dichiarazione. In questo caso la sanzione minima è di 200 euro.

In tema di omessa presentazione della dichiarazione, si deve altresì tenere conto che nel caso di presentazione della stessa nei novanta giorni successivi alla scadenza, la sanzione di cui si è detto, ossia di 250 euro, è ridotta a un decimo, in base a quanto previsto dalla lettera c, del primo comma dell’articolo 13 del Dlgs 472/1997 , che dispone in merito al ravvedimento operoso. Il termine ultimo per la presentazione della dichiarazione tardiva è fissato al 29 luglio 2018.

Se, naturalmente, oltre alla tardiva presentazione della dichiarazione, vi fossero anche tardivi versamenti, allora per tale violazione trova applicazione la sanzione del 30 per cento di cui all’articolo 13 del Dlgs 471/1997 , sanzione ravvedibile a seconda del momento di eventuale effettuazione del versamento. Più precisamente in caso di ritardo non superiore a 14 giorni dalla scadenza, per ogni giorno di ritardo si applica la sanzione dello 0,1 per cento – c.d. ravvedimento sprint – mentre per i versamenti effettuati entro 30 giorni dalla scadenza si applica la sanzione dell’1,5 per cento, per quelli effettuati entro 90 giorni, la sanzione dell’1,67 per cento e poi la sanzione del 3,75, 4,29 e 5 per cento a seconda che, rispettivamente, il versamento venga effettuato entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa all’anno nel corso del quale la violazione è commessa, entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa all’anno successivo a quello nel corso del quale la violazione è stata commessa ovvero oltre il termine di presentazione della dichiarazione relativa all’anno successivo a quello nel corso del quale la violazione è stata commessa.

È il caso infine di evidenziare che, ove la dichiarazione annuale Iva sia presentata entro i termini previsti, ossia entro oggi, in caso di presentazione di successiva dichiarazione integrativa entro i 90 giorni successivi, ferme restando comunque le sanzioni appena indicate in caso di ritardato versamento dell’imposta, si applica la sanzione minima di 250 euro ridotta a un nono, ossia a euro 27,78, in base a quanto disposto questa volta dalla lettera a-bis, sempre dell’articolo 13 del Dlgs 472/1997.

Fonte “Il sole 24 ore”

I dati sulle liquidazioni Iva chiedono la modalità dell’acconto

di Pierpaolo Ceroli

Con la chiusura il prossimo 16 maggio delle liquidazioni Iva del primo trimestre 2018 da parte dei contribuenti trimestrali, tutti i soggetti passivi Iva saranno pronti per la trasmissione dei dati delle liquidazioni periodiche (Lipe) all’articolo 21-bis del Dl 78/2010, da presentare entro il 31 maggio. Entro la stessa data dovrà essere inviato lo spesometro, sia obbligatorio che opzionale, per coloro che non intendono fruire della trasmissione semestrale dei dati. Si precisa che per le comunicazioni relative alle liquidazioni non si potrà beneficiare della stessa agevolazione, pertanto i dati del primo trimestre dell’anno 2018 dovranno necessariamente essere trasmessi entro il prossimo 31 maggio. Per chi dovesse omettere l’adempimento, si ricorda che qualora la comunicazione fosse inviata entro il 15 giugno 2018 (entro 15 giorni dalla scadenza), è prevista la sanzione da 250 a mille euro, altrimenti raddoppiata per gli invii effettuati in data successiva, ma comunque ravvedibile (si veda la risoluzione 104/E/2017).

La comunicazione relativa al primo trimestre 2018 dovrà essere trasmessa con il nuovo modello approvato dal provvedimento dell’agenzia delle Entrate del 21 marzo (62214/2018), il quale si compone sempre di due parti: il frontespizio e il quadro VP. È proprio quest’ultimo prospetto ad essere stato modificato, al fine di allinearlo sempre più al quadro VH della dichiarazione annuale Iva, la cui funzione è stata mutata a partire dal modello Iva 2018 al fine di consentire ai contribuenti di correggere o comunicare i dati delle Lipe riferite all’anno oggetto di dichiarazioni. Relativamente alle novità che interessano il modello approvato a marzo 2018 si evidenzia che sono state aggiunte le seguenti caselle:
•VP1 («operazioni straordinarie»);
•VP13 («metodo» riferito al criterio prescelto per il calcolo dell’acconto).

La novità del rigo VP13 si ritiene che riguardi esclusivamente la liquidazione dell’ultimo trimestre, considerato che va indicato il codice abbinato al metodo utilizzato per la determinazione dell’acconto («1» storico; «2» previsionale; «3» analitico – effettivo; «4» soggetti operanti nei settori delle telecomunicazioni, somministrazione di acqua, energia elettrica, raccolta e smaltimento rifiuti, eccetera).

La nuova casella del rigo VP1, invece, va barrata in due occasioni:
•quando a seguito di un’operazione straordinaria, il soggetto avente causa (incorporante, beneficiaria, conferitaria, cessionaria e donante) si riporti il credito Iva maturato dal dante causa nell’ultima liquidazione periodica (che si indica nel rigo VP8) o quello indicato nella dichiarazione annuale Iva dello stesso dante causa (da riportare in VP9).
•quando conseguentemente all’interruzione della liquidazione Iva di gruppo nel corso dell’anno, la controllante indichi nella propria comunicazione, nel rigo VP8, le eventuali eccedenze di credito trasferite al gruppo e non compensate utilizzate in detrazione nelle proprie liquidazioni periodiche successive.

Infine, si precisa che il precedente modello Lipe (approvato con il provvedimento del 27 marzo 2017) poteva essere utilizzato fino allo scorso 30 aprile 2018, in quanto per chi dovesse correggere la liquidazione dell’anno 2017 successivamente a tale data, dovrà necessariamente presentare una dichiarazione integrativa del modello Iva 2018.

Fonte “Il sole 24 ore”

Dichiarazione Iva, correzione liquidazioni con effetti su più quadri

di Pierpaolo Ceroli e Luisa Miletta

Il carnet di possibilità per correggere le comunicazioni delle liquidazioni periodiche Iva ci era stato offerto dalla risoluzione 104/E/2017 la quale aveva dato il via libera al contribuente che volesse regolarizzazione i dati contenuti nelle comunicazioni periodiche seguendo una delle seguenti strade: ripresentando il relativo modello; indicando i dati corretti direttamente nella dichiarazione annuale Iva oppure presentando una dichiarazione integrativa.

Tra queste chance quella meritevole di rilievo, in particolare, è l’utilizzabilità della dichiarazione annuale Iva, sulla quale peraltro si sofferma anche Assonime nella circolare 9 diffusa il 19 aprile 2018.

Assonime riflette, infatti, che sostanzialmente l’introduzione delle comunicazioni in parola ha prodotto i seguenti effetti sulla dichiarazione Iva:
•rendere inutile la compilazione del quadro VH, per quei contribuenti che hanno correttamente gestito le comunicazioni delle liquidazioni Iva;
•consentire a quei contribuenti che hanno commesso errori o hanno omesso la trasmissione delle comunicazioni di sanare tali errori o omissioni mediante la compilazione del quadro VH.

Proprio per quest’ultimo scopo tra le novità della modulistica 2018 ai fini Iva vi sono le modifiche al quadro VH «Variazioni delle comunicazioni periodiche» prevedendone la compilazione esclusivamente qualora si intenda inviare, integrare o correggere i dati omessi, incompleti o errati delle suddette comunicazioni Lipe.

Il quadro VH accoglie l’importo del credito o debito Iva, per ciascun mese (per i soggetti che liquidano l’imposta mensilmente) o trimestre (per i soggetti che liquidano l’imposta trimestralmente), qualora si siano commessi errori nella compilazione del modello VP che incidono sulla determinazione della stessa (righi da VP4 a VP14).

Si precisa che vanno indicati tutti i dati richiesti, compresi quelli non oggetto di invio, integrazione o correzione. Nell’ipotesi particolare in cui l’invio, l’integrazione o la correzione comporti la compilazione senza dati del presente quadro (ad esempio, il risultato delle liquidazioni è pari a zero) occorre comunque barrare la casella VH posta in calce al quadro VL nel riquadro «Quadri compilati». Qualora i dati omessi, incompleti o errati non rientrino tra quelli da indicare nel presente quadro, questo non va compilato.

Da ultimo si tengano presente i profili sanzionatori connessi. Infatti, il soggetto passivo per gli errori o le omissioni compiuti è tenuto al pagamento della sanzione amministrativa, da 500 a 2mila euro in base a quanto disposto dall’articolo 11, comma 2-ter, del decreto legislativo 471 del 1997, eventualmente ridotta per effetto del ravvedimento operoso; la sanzione deve essere versata con il modello F24, indicando l’anno della violazione e il codice tributo 8911.

Fonte “Il sole 24 ore”

Modello 730, due vie per comunicare alle Entrate la «sede telematica»

Quella della circolare 4/E/2018 del 12 marzo 2018 sull’assistenza fiscale del modello 730/2018 è una di quelle letture che anche gli addetti ai lavori difficilmente affrontano con piacevole disinvoltura, per cui viene di solito “posticipata” a data da destinarsi, salvo poi ricordarsi che ci può essere d’aiuto al sopraggiungere del primo problema.
Problema che comunque puntualmente si verifica, vista la complessità dell’intero processo dell’assistenza fiscale, quando, per esempio, vi è una variazione del sostituto in corso d’anno, un’operazione straordinaria del sostituto stesso o semplicemente quando al dipendente o al pensionato non arriva il conguaglio tanto atteso.
Un processo che comunque a livello operativo – rispetto a quando i modelli 730-4 venivano recapitati ai sostituti d’imposta in forma cartacea, per posta ordinaria o con raccomandata – ha beneficiato in modo sostanziale della completa informatizzazione, che si è di recente completata con la consegna telematica ai sostituti d’imposta di tutti i modelli 730-4, compresi quelli delle dichiarazioni da loro stessi tramitate nell’ambito dell’assistenza diretta.
Informatizzazione in cui hanno avuto ruolo attivo molte delle aziende associate ad AssoSoftware, produttrici delle procedure e delle infrastrutture informatiche in uso ai Caf e ai professionisti, nonché ai sostituti d’imposta, per l’intera gestione del processo, dalla compilazione del modello 730 effettuata a partire della dichiarazione precompilata, fino alla busta paga.
Proviamo quindi ad esaminare, in modo necessariamente sintetico, alcune delle novità contenute nella circolare sull’assistenza fiscale, in considerazione del fatto che la citata circolare è articolata su ben nove capitoli che trattano molteplici argomenti.
In questo primo appuntamento ci occupiamo di alcuni aspetti di dettaglio relativi alla comunicazione da parte dei sostituti d’imposta all’AdE, della “Sede telematica” per la ricezione dei flussi dei modelli 730-4 di conguaglio, attività di cui di solito è incaricato chi nell’azienda è responsabile della gestione del personale. Nel successivo appuntamento ci occuperemo di alcune situazioni particolari che si possono incontrare durante le operazioni di conguaglio.


Comunicazione della “Sede telematica” per la ricezione dei flussi 730-4

Va ricordato che nell’ambito delle attività di assistenza fiscale, sia i Caf ed i professionisti che prestano assistenza indiretta, che (dallo scorso anno) anche i sostituti d’imposta che prestano assistenza diretta, devono trasmettere in via telematica all’agenzia delle Entrate il risultato finale delle dichiarazioni (730-4), unitamente alle dichiarazioni dei redditi presentate dai contribuenti (730).
A seguire l’agenzia delle Entrate mette a disposizione dei sostituti d’imposta i dati dei modelli 730 4 relativi a tutte le dichiarazioni presentate, indipendentemente dalla modalità di presentazione utilizzata dal contribuente (Caf o professionista, sostituto, FiscOnline).
Affinché la messa a disposizione dei dati dei modelli 730-4 da parte dell’AdE ai sostituti d’imposta possa aver luogo, questi ultimi devono preventivamente comunicare all’AdE la sede telematica (propria o di un intermediario fiscale) dove desiderano ricevere i relativi flussi telematici.
Ciò può avvenire utilizzando:
• il quadro CT presente all’interno della Certificazione Unica (CU), esclusivamente qualora la comunicazione venga effettuata per la prima volta;
• il modello «Comunicazione per la ricezione in via telematica dei dati relativi ai modelli 730-4 resi disponibili dall’Agenzia delle Entrate» (di seguito CSO) per effettuare le variazioni dei dati precedentemente comunicati o per effettuare la comunicazione per la prima volta qualora non si sia utilizzato il quadro CT.
Prima di passare all’illustrazione delle modalità di compilazione del quadro CT e del modello CSO, segnaliamo un interessante passaggio della circolare che riguarda la procedura da mettere in atto per poter esercitare la revoca della delega da parte dell’intermediario (qualora il sostituto d’imposta non vi abbia colposamente provveduto), procedura che illustriamo nell’ultimo paragrafo di questa breve disamina.


Comunicazione effettuata con il quadro CT

Il quadro CT della Certificazione Unica è riservato ai sostituti d’imposta che trasmettono almeno una certificazione di redditi di lavoro dipendente e che non hanno mai presentato, a partire dal 2011, il modello CSO.
Il quadro CT deve essere compilato per ogni fornitura di Certificazioni Uniche, qualora il sostituto d’imposta effettui più invii contenenti almeno una certificazione di redditi di lavoro dipendente. In questo caso, ai fini della messa a disposizione dei risultati contabili dei dipendenti, sono acquisiti la “Sede telematica” e gli altri dati presenti nel quadro CT contenuti nell’ultimo invio effettuato nel periodo ordinario di presentazione delle CU.
Tenuto conto che le CU devono essere presentate entro il 7 marzo e che sono considerate tempestive le CU inviate entro cinque giorni dalla ricevuta di scarto, al fine di gestire i processi relativi all’acquisizione dei dati delle comunicazioni per la ricezione in via telematica dei modelli 730-4, dopo la prima metà del mese di marzo non è consentito inserire all’interno della Certificazione Unica il quadro CT. Pertanto, sono presi in considerazione i dati contenuti nell’ultimo invio effettuato entro la suddetta data.
Comunicazione effettuata con il modello CSO

Il modello CSO, approvato con il provvedimento del direttore dell’agenzia delle Entrate del 22/2/2013, deve essere utilizzato dai sostituti d’imposta che:

• non hanno presentato, a partire dal 2011, l’apposito modello CSO e che non hanno trasmesso il quadro CT, quali, ad esempio, i sostituti d’imposta non tenuti alla presentazione delle Certificazioni Uniche;

• intendono variare i dati già comunicati a partire dal 2011 con il modello CSO ovvero con il quadro CT della Certificazione Unica;

• intendono revocare la comunicazione, in caso di cessazione dell’attività con conseguente perdita della qualifica di sostituto d’imposta.

Qualora presentato la prima volta, il modello CSO produce effetti dal giorno successivo a quello di messa a disposizione della ricevuta di accoglimento della comunicazione stessa, con riferimento ai risultati contabili per i quali non risulti già fornita la ricevuta attestante la mancata messa a disposizione dei risultati contabili. Nel modello è richiesta l’indicazione del numero di protocollo del modello 770 presentato dal sostituto d’imposta nell’anno precedente a quello di inoltro della comunicazione CSO.

Il modello CSO deve essere altresì utilizzato dai sostituti d’imposta quando intendono variare i dati già comunicati a partire dal 2011 con il modello CSO o a partire dal 2015 con il quadro CT della Certificazione Unica.
In particolare può essere utilizzato:
• per modificare la sede telematica propria o dell’Intermediario già scelto;
• per modificare l’Intermediario con altro Intermediario;
• per modificare l’utenza telematica da Fisconline a Entratel;
• per modificare l’Intermediario con il sostituto stesso o viceversa.
In caso di comunicazione di variazione dei dati già inviati con il modello CSO, è richiesta l’indicazione del numero di protocollo, composto di 23 cifre, che è stato attribuito all’ultima comunicazione trasmessa dal sostituto d’imposta, e regolarmente acquisita, che si intende variare.
Diversamente, se si intendono variare i dati già trasmessi con il quadro CT è necessario indicare il numero di protocollo telematico dell’ultimo file contenente il predetto quadro, validamente presentato (composto da 17 caratteri e seguito dal numero convenzionale “999999”).
I citati numeri di protocollo sono rilevabili, oltre che dalle relative ricevute di trasmissione, anche dal cassetto fiscale del sostituto d’imposta.
I predetti dati possono anche essere richiesti a un qualunque ufficio dell’agenzia delle Entrate, mediante richiesta sottoscritta dal sostituto d’imposta persona fisica o dal rappresentante legale della società o ente.
A livello temporale è sempre possibile trasmettere il modello CSO per poter ricevere i risultati contabili dei propri percipienti, salvo nel periodo di trasmissione delle CU in cui è sospesa la trasmissione della comunicazione CSO. La sospensione inizia il 23 gennaio e termina il 25 marzo.
Il modello CSO deve essere utilizzato anche qualora il sostituto cessi l’attività, con conseguente perdita della qualifica di sostituto d’imposta e chiusura di tutte le partite IVA a lui intestate. Per indicare questa circostanza deve compilare l’apposita sezione del modello CSO deputata ad accogliere la revoca della comunicazione.
Revoca della delega da parte dell’Intermediario

Qualora l’intermediario delegato cessi dall’incarico e il sostituto d’imposta non comunichi la circostanza con il modello CSO, l’intermediario cessato dall’incarico può comunicare all’agenzia delle Entrate l’avvenuta risoluzione del rapporto di delega seguendo una procedura molto particolare, descritta nella circolare.
In sintesi l’Intermediario deve inviare dal proprio indirizzo di posta elettronica certificata (Pec) una comunicazione all’indirizzo agenziaentratepec@pce.agenziaentrate.it indicando nel campo dell’oggetto del messaggio il testo «Comunicazione di cessazione dall’incarico di ricevere i modelli 730-4».
La comunicazione deve contenere il codice fiscale dell’intermediario e un suo recapito telefonico. Inoltre devono essere indicati il codice fiscale del sostituto d’imposta, il numero di protocollo della comunicazione contenente la delega alla ricezione dei modelli 730-4 (CSO o CT) e la data di cessazione dall’incarico. In allegato alla e-mail deve essere inviata copia della lettera di cessazione dall’incarico indirizzata al sostituto d’imposta da cui si evinca la data certa di trasmissione.
L’agenzia delle Entrate, accertata la regolarità della richiesta pervenuta, contatterà il sostituto d’imposta attraverso messaggio all’indirizzo di posta elettronica certificata rilevabile dall’Ini Pec (Indice nazionale degli indirizzi di posta elettronica certificata, istituito dal ministero dello Sviluppo economico), per invitarlo a presentare la comunicazione di variazione.
Al riguardo, la circolare specifica che quella sopra descritta è l’unica modalità possibile, in quanto, al fine di comunicare all’agenzia delle Entrate la cessazione del rapporto di delega, l’intermediario non può utilizzare la sezione del modello CSO deputata ad accogliere la revoca della comunicazione e non può neppure avvalersi dell’istituto del diniego dei risultati contabili disciplinato dal provvedimento del direttore dell’agenzia delle Entrate del 14/4/2017 e relativo alle ipotesi di dipendenti con rapporti mai stati in essere o cessati.

Fonte “Il sole 24 ore”

Dichiarazione Iva, le correzioni nel quadro VH chiamano a versare la sanzione

di Andrea Taglioni

L’avvicinarsi alla scadenza della presentazione della dichiarazione annuale Iva, fissata per il prossimo 30 aprile, è l’occasione per verificare la correttezza dei dati trasmessi con le comunicazione relative alle liquidazioni periodiche Iva e rimediare ad eventuali errori commessi. Ciò in considerazione del fatto che l’invio delle liquidazioni periodiche, pur configurandosi quale adempimento propedeutico alla dichiarazione annuale Iva, rimane in ogni caso un adempimento diverso ed autonomo rispetto a quest’ultima.

Come precisato dall’agenzia delle Entrate con la risoluzione 104/E del 2017, l’omessa presentazione della liquidazione periodica, così come la sua trasmissione con dati errati o inesatti, può essere regolarizzata inviando una nuova comunicazione correttiva, ovvero, direttamente in sede di presentazione della dichiarazione Iva utilizzando il quadro VH. Quindi, qualora la regolarizzazione degli errori o l’invio dei dati omessi avvenisse con la dichiarazione annuale, verrebbe meno l’obbligo comunicativo. A prescindere dalla natura qualitativa o quantitativa della violazione, l’omessa, incompleta o infedele comunicazione dei dati delle liquidazioni periodiche Iva è punita con la sanzione amministrativa da 500 a 2mila euro, con la possibilità di avvalersi del ravvedimento operoso.

Ma le conseguenze in termini sanzionatori potrebbero variare in funzione delle modalità con cui si procede alla regolarizzazione. La possibilità per il contribuente di regolarizzare la mancata o errata ed inesatta comunicazione dei dati periodici direttamente correggendo quest’ultima o in sede di dichiarazione, impatta in maniera diversa sotto l’aspetto sanzionatorio.

Potrebbe accadere, ad esempio, che se il contribuente dovesse correggere direttamente le liquidazioni periodiche verrebbero applicate tante sanzioni quante sono le correzioni effettuate. In questo caso, bisognerebbe capire se l’applicazione di tante sanzioni quante sono le violazioni fosse applicabile anche nel caso in cui l’eventuale errore, pur non incidendo sulla determinazione dell’imposta, renderebbe inesatte le comunicazioni successive. Tipica situazione che si potrebbe verificare se l’indicazione di un credito risultasse sbagliato in una comunicazione; questo inciderebbe, infatti, su tutte le liquidazioni successivamente presentate. La rettifica di un credito periodico, però, potrebbe incidere anche sulla determinazione dell’imposta a debito del periodo successivo laddove questo diminuisse per effetto della correzione.

Ma cosa succede se la regolarizzazione avviene compilando il quadro VH? Innanzitutto il soggetto passivo non deve effettuare l’invio della comunicazione periodica e il ravvedimento si effettua versando la sola sanzione ridotta riportando i dati corretti delle liquidazioni negli appositi righi.

Sarebbe interessante capire, anche optando per la correzione in dichiarazione, se ai fini della regolarizzazione fosse sufficiente pagare un’unica sanzione o tante quante sono le violazioni commesse nelle liquidazioni periodiche e regolarizzate compilando il modello VH.
È auspicabile, nonostante gli importanti chiarimenti contenuti nella risoluzione 104/E, che l’agenzia delle Entrate chiarisse, valutando anche la natura della singola violazione e se la stessa arrechi o meno un pregiudizio all’attività di controllo dell’ufficio, se in simili situazioni occorra versare, a prescindere dalla modalità di sanatoria utilizzata, un’unica sanzione o tante quante sono le comunicazioni corrette.

Fonte “Il sole 24 ore”

Crediti da quadro RU senza obbligo del visto di conformità

Visto e compensazioni sono due “concetti” che fiscalmente vanno spesso “a braccetto”, ciò in quanto, in alcuni casi, per compensare crediti e debiti erariali occorre “vistare”.

La normativa in tema sia di compensazioni che di visto di conformità ha subito radicali trasformazioni con l’entrata in vigore della Manovrina, Dl 50/2017, che con l’articolo 3 ha modificato l’articolo 1 comma 574 della legge 27 dicembre 2013 n. 147, prevedendo l’obbligo di richiedere l’apposizione del visto di conformità, ex articolo 35 comma 1 lettera a) del Dlgs 241/1997, da parte di un soggetto abilitato, in caso di utilizzo in compensazione, mediante il modello F24, di crediti di importo superiore a 5.000 euro annui, derivanti da:

•imposte sui redditi (Irpef e Ires) e relative addizionali;

•Irap;

•ritenute alla fonte;

•imposte sostitutive delle imposte sui redditi.

Tra questi non rientrano i crediti dichiarati nel quadro RU, toccati dalla Manovrina solo per quanto riguarda l’obbligo di utilizzo dei servizi telematici messi a disposizione dalle Entrate in caso di compensazione orizzontale, come sancito dal comma 3 dell’articolo 3.

Riguardo al visto, invece, né l’articolo 1 comma 574 della legge 147/2013, né l’articolo 17 Dlgs 241/1997, norme sulla compensazione verticale cui i crediti da RU soggiacciono, li menzionano tra quelli obbligati all’apposizione per importi superiori a 5 mila euro.

Leggendo la circolare 13/E/2017 si può giungere alla stessa conclusione: infatti nel paragrafo 4.8.2 viene ricordato che «Con la circolare 28/E del 25 settembre 2014 è stato, inoltre, chiarito che sono esclusi dall’obbligo di apposizione del visto di conformità i crediti il cui presupposto non sia direttamente riconducibile alle imposte sui redditi e relative addizionali, quali i crediti aventi natura strettamente agevolativa».

Pertanto, crediti come il c.d. “carbon tax” (per i benefici sul gasolio da autotrazione) oppure il più gettonato credito di imposta per attività di ricerca e sviluppo, non dovranno passare al vaglio degli intermediari che appongono i visti di conformità nelle dichiarazioni da cui gli stessi emergono.

Anche i casi di compensazione interna o verticale, cioè quella che consente di recuperare crediti sorti in periodi precedenti con debiti della stessa imposta, non soggiacciono all’obbligo di apposizione del visto di conformità come chiarito da tempo dalla circolare 28/E/2014. A tale considerazione si aggiunga l’ultimo chiarimento dell’Agenzia in tema di compensazioni effettuate con i codici tributo «1627», «1628», «1629», «1669», «1671», «6781», «6782» e «6783».

In merito a tali imposte l’Agenzia, nel corso di Telefisco, aveva spiegato che i crediti utilizzabili in compensazione tramite F24 con i codici tributo «1627», «1628», «1629», «1669» e «1671» sono crediti pur se esposti nel modello F24, possono essere utilizzati in compensazione esclusivamente ai fini del pagamento delle ritenute e nei limiti del relativo importo. Altri utilizzi in compensazione non sono ammessi e di conseguenza, trattandosi di compensazioni di tipo esclusivamente interno, il limite di 700mila euro annui non si applica.

Analogamente, non si applica il limite di compensabilità di 700mila euro ai crediti di cui ai codici tributo 6781, 6782 e 6783 (emergenti dalla dichiarazione), se utilizzati in compensazione ai fini del pagamento di ritenute e imposte sostitutive. Detto limite si applica se, invece, tali crediti sono utilizzati ai fini del pagamento di altri debiti fiscali o contributivi.

Fonte “Il sole 24 ore”

Il modello Redditi limita l’integrativa

L’utilizzo del credito emergente da un’integrativa ultrannuale «a favore», derivante dalla correzione di un errore contabile, non incontra il vincolo temporale alla compensazione prescritto dal comma 8-bis dell’articolo 2 del Dpr n. 322/98, ma sconta comunque una limitazione all’utilizzo «inventata» dalle istruzioni ai modelli dichiarativi.

Questo credito, infatti, può essere liberamente utilizzato con modello F24 sino al termine del periodo d’imposta in cui è presentata la dichiarazione integrativa; successivamente, la parte non utilizzata entra nella liquidazione dell’imposta di periodo e, quindi, si mescola con le risultanze emergenti dalla dichiarazione relativa al periodo d’imposta in cui è stata effettuata la correzione.

Non è facile raccapezzarsi nel mosaico dei possibili comportamenti emergenti dalle dichiarazioni integrative ai fini dei redditi e dell’Irap. Occorre in primo luogo distinguere tra integrative a sfavore del contribuente (da cui emerge un maggior debito o un minor credito d’imposta, accompagnate generalmente dal ravvedimento operoso) e integrative a favore, da cui solitamente emerge un credito per il contribuente (per altre ipotesi, ad esempio in presenza di perdite fiscali, si veda Il Sole 24 Ore del 26 febbraio scorso).

Limitandosi a queste ultime, il legislatore (con il nuovo testo dell’articolo 2, comma 8-bis, del Dpr n. 322/98) ha distinto tre ipotesi, ciascuna caratterizzata da una diversa disciplina (per l’Iva il riferimento è l’articolo 8, comma 6-ter). Vanno quindi tenute logicamente separate le dichiarazioni integrative a favore:

correttive di un errore fiscale e presentate entro il termine previsto per la trasmissione della dichiarazione successiva a quella errata, nel qual caso il credito emergente è liberamente compensabile in F24 (fatti salvi, ovviamente, gli ordinari vincoli alla compensazione), senza che vi sia un effetto sulla ordinaria dichiarazione di periodo (niente quadro DI);

correttive di un errore fiscale e presentate oltre il termine previsto per la trasmissione della dichiarazione successiva a quella errata, nel qual caso il credito emergente è utilizzabile in compensazione solamente con debiti maturati a partire dal periodo d’imposta successivo a quello in cui è stata presentata l’integrativa. Tale credito deve comparire a quadro DI della ordinaria dichiarazione del periodo in cui avviene la correzione e le istruzioni al modello dichiarativo obbligano ad una prioritaria compensazione di tipo “verticale” nell’ambito della liquidazione dello stesso tributo;

correttive di un “errore contabile”, le quali, in qualunque momento siano presentate (nel rispetto dei termini di accertamento), consentono sempre la compensazione immediata, poiché il comma 8-bis citato disapplica, in questa ipotesi, il vincolo di cui al punto precedente.

Se questo è il quadro, stupisce che le istruzioni al modello Redditi 2018 prevedano che l’utilizzo in compensazione del credito derivante da una integrativa (a favore) che corregge un errore contabile possa avvenire esclusivamente «entro la fine del periodo d’imposta oggetto della presente dichiarazione per compensare importi a debito». Si tratta di una limitazione non prevista dalla norma e che deroga al principio generale che i crediti sono spendibili in F24 sino alla data di presentazione della dichiarazione.

Pertanto, un credito da errore contabile emergente da una integrativa (ultrannuale) presentata nel mese di dicembre 2017 poteva (secondo le istruzioni) essere utilizzato in compensazione solo entro la fine dello scorso anno, mentre l’eventuale residuo, oltre a confluire nel quadro DI del modello Redditi 2018, deve concorrere alla liquidazione dell’imposta di periodo (si veda l’esempio in pagina). Non essendovi un fondamento normativo per questa limitazione, c’è da chiedersi quali siano le conseguenze per chi non si sia comportato in tal modo, ad esempio prima delle istruzioni definitive.

Fonte “Il sole 24 ore”

Imposte anticipate senza indicazione separata nello stato patrimoniale

Eliminata l’area straordinaria del conto economico dalla riforma del Dlgs 139/2015, l’Oic rivede, tra gli altri, il principio contabile Oic 25 dedicato alla rilevazione delle imposte in bilancio. Nella voce 20 del conto economico, titolata «Imposte sul reddito dell’esercizio, correnti, differite e anticipate» (ex 22) confluiscono le poste relative a:
■imposte correnti;
■imposte relative a esercizi precedenti;
■imposte differite e anticipate;

Con riguardo a queste ultime nella voce si ricomprendono:
•con segno positivo, gli accantonamenti al fondo per imposte differite e l’utilizzo delle attività per imposte anticipate;
•con segno negativo, le imposte anticipate e l’utilizzo del fondo imposte differite,
e ciò con riferimento sia alle imposte differite e anticipate dell’esercizio sia a quelle provenienti da esercizi precedenti.

La loro collocazione in bilancio è costituita dalla voce C.II.5-ter (Imposte anticipate) dell’attivo dello Stato patrimoniale per le attività ad esse connesse, mentre le passività relative alla fiscalità differita devono essere iscritte nella voce B.2 (Fondi per imposte, anche differite).

Con riguardo alla rappresentazione delle imposte anticipate nello stato patrimoniale, il paragrafo 19 dell’Oic 25 prevede che «per le imposte anticipate non è fornita l’indicazione separata di quelle esigibili oltre l’esercizio successivo», ciò coerentemente con la relazione al Dlgs 6/2003 che chiarisce che le imposte anticipate non sono dei veri e propri crediti e quindi il concetto di esigibilità non è ad esse applicabile.

Il restyling del principio contabile Oic 25 è stato, però doppio. L’Organismo italiano di contabilità ha emendato in data 29 dicembre 2017 il paragrafo 35 dell’Oic 12 (Composizione e schemi del bilancio d’esercizio) e il paragrafo 30 dell’Oic 25 (Imposte sul reddito) prevedendo che, nell’ambito della voce CII (Crediti) dello stato patrimoniale in forma abbreviata, le società forniscano indicazione separata delle imposte anticipate, al fine di rendere più intellegibile il contenuto della macro voce e dare così un’informazione tecnicamente più appropriata. Infatti, secondo l’Oic, l’iscrizione, nell’ambito del bilancio in forma abbreviata in base all’articolo 2435-bis del codice civile, delle imposte anticipate sotto un’unica voce «Crediti», senza che se ne dia separata evidenza, «determina una commistione di valori di natura eterogenea a nocumento della chiarezza sul contenuto della voce», non essendo le imposte anticipate dei crediti. Questa osservazione ha riflessi anche sul bilancio delle micro imprese che condividono gli schemi con le altre imprese che li redigono secondo l’articolo 2435-bis.

Gli emendamenti in parola si applicano ai bilanci con esercizio avente inizio a partire dal 1° gennaio 2017 o da data successiva. Gli eventuali effetti derivanti dall’applicazione degli emendamenti analizzati devono essere rilevati in bilancio retroattivamente ai sensi dell’Oic 29. Di conseguenza a tali modifiche apportate ai documenti Oic 12 e Oic 25, è stata allineata la nuova tassonomia Xbrl (Pci 2017-07-06) con la distinzione, nello Stato patrimoniale relativo al bilancio abbreviato e nello Stato patrimoniale delle micro imprese, della voce «C.II – Crediti» in tre diverse componenti: crediti entro e oltre l’esercizio successivo, cui si aggiunge la sottovoce «imposte anticipate».

Fonte “Il sole 24 ore”

L’Iva per cassa chiede la conferma nel rigo VO

di Paola Bonsignore e Pierpaolo Ceroli

Il cash accounting, meglio conosciuto come Iva per cassa, introdotto dall’articolo 32-bis Dl 83/2012, determina lo stravolgimento della forma mentis per l’esigibilità e detraibilità dell’Iva con conseguente impatto sulla compilazione della dichiarazione Iva. Con tale opzione, infatti, non si terrà più conto del momento in cui è eseguita l’operazione per determinare l’esigibilità dell’imposta, bensì dovrà essere considerata la data del pagamento o, al più tardi, la decorrenza di un anno dalla cessione del bene o prestazione del servizio.

A partire dal 2012, infatti, i soggetti passivi con volume d’affari non superiore a 2 milioni di euro che cedono beni o prestano servizi verso cessionari o committenti che agiscono nell’esercizio di impresa, arte o professione, possono optare per questo particolare regime Iva, in base al quale, come anticipato, sidetermina l’esigibilità dell’imposta, nonché la sua detraibilità in caso di acquisto, al momento del pagamento dei relativi corrispettivi.

L’opzione, che segue ad un comportamento concludente, è esercitata nella prima dichiarazione Iva successiva all’anno in cui si è seguito questo nuovo modus operandi. Quindi nel caso in cui il contribuente avesse adottato l’Iva per cassa, attraverso comportamenti concludenti nel corso del 2017, dovrà barrare la casella 1 “opzione” del rigo VO 15 “Regime Iva per cassa” del modello Iva 2018. L’opzione sarà vincolante fino a revoca, o comunque per almeno un triennio decorso il quale si rinnova di anno in anno.

Il richiamato art. 32 prevede, però, anche delle cause di esclusione dal regime per tutti quei soggetti che pongono in essere:

•Operazioni con applicazione di regimi speciali di determinazione dell’Iva;

•Operazioni poste in essere nei confronti di cessionari o committenti che assolvono l’imposta mediante l’applicazione dell’inversione contabile.

Al fine della determinazione dell’imposta a credito o a debito il contribuente che ha optato per il cash accounting dovrà compilare i quadri:

•VE «Operazioni attive e determinazione del volume d’affari« indicando nella sezione 2 «Operazioni imponibili agricole e operazioni imponibili commerciali o professionali» l’imponibile (col.1) e l’imposta (col. 2) risultante dalle fatture incassate nel corso del 2017, nel rigo VE37 «Operazioni effettuate nell’anno ma con imposta esigibile in anni successivi» l’eventuale imponibile non ancora incassato (col.1 e 2) e nel rigo VE50 «Volume d’affari» la somma algebrica degli imponibili indicati nel quadro al netto di quelli derIvanti da operazioni effettuate in anni precedenti ma con imposta esigibile nel 2017;

•VF «Operazioni passive e Iva ammessa in detrazione» indicando nella sezione 1 «Ammontare degli acquisti effettuati nel territorio dello Stato, degli acquisti intracomunitari e delle importazioni» l’imponibile (col.1) e l’imposta (col. 2) risultante dalle fatture pagate nel corso del 2017, nel rigo VF21 «Acquisti registrati nell’anno ma con detrazione dell’imposta differita ad anni successivi» l’eventuale imponibile non ancora pagato (col.1 e 2) e nel rigo VF22 «(meno) Acquisti registrati negli anni precedenti ma con imposta esigibile nel 2017» l’ammontare degli acquisti effettuati in anni precedenti ma con imposta esigibile nel 2017. Dalla contrapposizione del totale dell’imposta sulle operazioni passive (VE26) ed attive (VF71) si determinerà l’imposta dovuta (VL3) o l’imposta a credito (VL4).

Fonte “Il sole 24 ore”

Dati liquidazioni Iva, il modello si aggiorna a operazioni straordinarie e acconti

di Fabio Giordano, comitato tecnico AssoSoftware

È durato giusto un anno – o meglio quattro trimestri – il modello «Comunicazione liquidazioni periodiche Iva» approvato lo scorso anno con provvedimento delle Entrate del 27 marzo 2017, con le relative istruzioni, ed eccone pronta e già approvata una versione per il 2018. Con provvedimento delle Entrate del 21 marzo 2018 (protocollo 62214) è stato infatti approvato il modello con le relative istruzioni, che dovrà essere utilizzato a decorrere dalle comunicazioni riferite al 1° trimestre 2018 da presentarsi entro il 31 maggio 2018, e disposto che, per quanto non diversamente indicato nel provvedimento stesso, restano applicabili le disposizioni contenute nel provvedimento del 27 marzo 2017.

Il modello e le relative istruzioni contengono le seguenti novità:
■nel rigo VP1 è stata introdotta la casella 5 denominata «Operazioni straordinarie», tramite la quale il soggetto avente causa in una operazione straordinaria può segnalare che nella liquidazione periodica confluisce il credito del periodo precedente (o il credito dell’anno antecedente l’operazione) maturato dal soggetto dante causa;
■nel rigo VP13, è stata introdotta la casella 1 denominata «Metodo», con cui indicare il metodo utilizzato per la determinazione dell’acconto, analoga a quella già presente nel modello di dichiarazione annuale Iva;
■nelle istruzioni, oltre alle indicazioni relative alle nuove caselle sopra menzionate, sono stati recepiti alcuni chiarimenti forniti con la pubblicazione sul sito internet dell’Agenzia di alcune risposte alle domande più frequenti (Faq).

Di seguito un breve approfondimento di queste novità e qualche considerazione più generale dopo un anno di comunicazioni.

Operazioni straordinarie
La compilazione della nuova casella 5 del rigo VP1 è chiaramente limitata ai casi di operazioni straordinarie, le cui istruzioni sono contenute nel paragrafo «Contribuenti con operazioni straordinarie o altre trasformazioni sostanziali soggettive (fusioni, scissioni, cessioni di azienda, conferimenti, ecc.)».
L’aggiunta di questa casella è significativa in quanto permette di non far scattare i controlli automatici che normalmente si attivano quando il credito indicato nel rigo VP8 di un periodo non coincide con il credito indicato nel rigo VP14, colonna 2, del periodo precedente.
In particolare, nel caso in cui il soggetto avente causa riporti nel rigo VP8 della propria Comunicazione il credito maturato dal soggetto dante causa nell’ultima liquidazione periodica, deve essere barrata la casella «Operazioni straordinarie» nel rigo VP1.
Le istruzioni precisano che tale casella va barrata anche nel caso in cui il soggetto avente causa riporti nel rigo VP9 una quota o l’intero ammontare del credito emergente dalla dichiarazione annuale Iva del soggetto dante causa, relativa all’anno precedente quello indicato nel frontespizio, ceduto, in tutto o in parte, a seguito dell’operazione straordinaria.
La casella va altresì barrata anche nell’ipotesi in cui, a seguito dell’interruzione della liquidazione Iva di gruppo nel corso dell’anno, l’ente o società controllante riporti nel rigo VP8 le eventuali eccedenze di credito trasferite al gruppo e non compensate utilizzate in detrazione nelle proprie liquidazioni periodiche successive.

Acconto dovuto
L’inserimento della nuova casella del rigo VP13, denominata «Metodo», allinea il modello di comunicazione al modello di dichiarazione annuale Iva, che già conteneva la medesima informazione in corrispondenza dell’omologo rigo VH17.
Ci eravamo già chiesti tutti, infatti, come mai nel quadro VH – che va compilato esclusivamente nel caso in cui risulti necessario correggere eventuali errori od omissioni delle comunicazioni periodiche – fosse presente un’informazione che invece non era richiesta nelle stesse comunicazioni da correggere.
Ora abbiamo la risposta. Evidentemente per esigenze di controllo tale informazione, che non era stata inizialmente inserita nella comunicazione, è stata inserita e va ora compilata in caso di acconto dovuto, che a sua volta può essere presente solo se il campo «Trimestre» assume il valore 4 o 5 oppure se il campo «Mese» assume il valore 12.
In relazione all’acconto ricordiamo che fra le precisazioni fornite dalle istruzioni, vi è quella che occorre indicare l’ammontare dell’acconto dovuto, anche se non effettivamente versato, dai contribuenti obbligati al versamento dell’acconto in base all’articolo 6 della legge 405/1990.
Qualora l’ammontare dell’acconto risulti inferiore a 103,29 euro, il versamento non deve essere effettuato e pertanto nel rigo non va indicato alcun importo.
La casella «Metodo» deve essere compilata indicando il codice relativo al metodo utilizzato per la determinazione dell’acconto:
•«1» storico;
•«2» previsionale;
•«3» analitico – effettivo;
•«4» soggetti operanti nei settori delle telecomunicazioni, somministrazione di acqua, energia elettrica, raccolta e smaltimento rifiuti, eccetera.
Si evidenzia che nel caso di ente o società controllato partecipante alla liquidazione Iva di gruppo, uscito dal gruppo dopo la data del 27 dicembre (termine finale stabilito per il versamento dell’acconto Iva) a seguito, ad esempio, di incorporazione da parte di società esterna, deve essere compreso nel presente rigo della comunicazione della società incorporante relativa al mese di dicembre anche il credito derivante dall’importo dell’acconto dovuto dall’ente o società controllante per l’ente o società controllato incorporato.

Aggiornamento delle procedure
La documentazione tecnica è stata resa disponibile la scorsa settimana (in particolare lo schema Xml), per cui le software house stanno già provvedendo ad aggiornare le procedure informatiche, che saranno rilasciate quanto prima.
Con l’occasione gli analisti delle software house, che inizialmente si erano necessariamente dovuti concentrare sulla compilazione e sull’invio del modello di comunicazione, stanno ora cercando di capire quali controlli è possibile e opportuno realizzare – a livello di raffronto – tra le quattro comunicazioni e la dichiarazione annuale Iva, al fine di ridurre il più possibile gli eventuali errori di compilazione da parte degli operatori.
Sulla spinta delle richieste, le software house forniranno – come di consueto – le opportune risposte alle esigenze operative dei propri clienti.

Fonte”Il sole 24 ore”

Modello Iva 2018: nel quadro VH la regolarizzazione delle comunicazioni

di Pierpaolo Ceroli e Agnese Menghi

Nuova veste per il quadro VH del modello Iva 2018, che da quest’anno deve essere compilato non per indicare i risultati delle liquidazioni periodiche, ma per correggere eventualmente le comunicazioni inviate ai sensi dell’articolo 21-bis del Dl 78/2010 (Lipe – comunicazione dei dati delle liquidazioni periodiche Iva).

La risoluzione n. 104/E/2017, infatti, ha precisato che la regolarizzazione delle comunicazioni può avvenire in due modi: o presentando nuovamente il modello Lipe o direttamente nella dichiarazione annuale Iva (anche integrativa), in entrambi i casi, tuttavia, è dovuta la sanzione di cui al comma 2-ter, dell’articolo 11 del Dlgs 471/1997 (sanzione da 500 a 2.000 euro, ridotta della metà in caso di correzione entro quindici giorni dalla scadenza), rimodulata secondo le riduzioni previste dal ravvedimento operoso.

Chi opta per la regolarizzazione attraverso la dichiarazione dovrà quindi: versare la sanzione e compilare il quadro VH, il quale ha subìto un restyling rispetto allo scorso anno, proprio al fine di recepire le novità. Come specificato anche dalle istruzioni, infatti, il quadro «deve essere compilato esclusivamente qualora si intenda inviare, integrare o correggere i dati omessi, incompleti o errati nelle comunicazioni»; di conseguenza, la sua redazione non è richiesta qualora non vi siano errori o omissioni da sanare.

Il quadro in esame, tuttavia, non contiene tutte le informazioni del modello Lipe, ma sostanzialmente solo i dati previsti per:

•l’indicazione del risultato della liquidazione periodica, che nel modello Lipe va indicato nel rigo VP14. In particolare, i contribuenti mensili indicheranno gli importi corretti nel rigo relativo al mese che si intende regolarizzare, mentre i trimestrali dovranno compilare i righi VH4, VH8, VH12 e VH16, appositamente ed esclusivamente dedicati.

•la modifica dell’importo dell’acconto dovuto, indicato nel rigo VP13 della comunicazione periodica.

Si precisa che, qualora si proceda alla correzione del modello Lipe, si devono compilare tutti i righi del quadro VH e non solo quelli relativi al periodo oggetto di regolarizzazione, cosicché nell’ipotesi di un contribuente trimestrale che intende correggere i dati comunicati con il modello Lipe riferito al terzo trimestre, il quadro VH dovrà comunque riportare anche le informazioni relative agli altri trimestri dell’anno di imposta.

Nell’ipotesi particolare in cui la correzione dei dati precedentemente inviati comporti la compilazione senza dati del quadro VH (ad esempio, il risultato delle liquidazioni è pari a zero) occorre comunque barrare la casella VH posta in calce al quadro VL nel riquadro «Quadri compilati».

Da quanto appena detto, ne consegue che qualora gli errori del modello Lipe dovessero riguardare le altre informazioni trasmesse con il modello, come ad esempio l’indicazione del credito riferito al periodo precedente (ma si fa riferimento a tutte le informazioni contenute dal rigo VP1 a VP12 del modello Lipe), il quadro VH della dichiarazione annuale Iva non deve essere compilato.

Tuttavia, sull’esonero dichiarativo, sarebbero opportuna una conferma dall’amministrazione finanziaria, la quale dovrebbe anche chiarire con certezza che la regolarizzazione in Iva 2018 (che riguarda unicamente due righi del modello Lipe), sani le eventuali altre infedeltà o omissioni degli altri dati indicati nella comunicazione periodica.

Fonte “Il sole 24 ore”

L’Iva per cassa chiede la conferma nel rigo VO

di Paola Bonsignore e Pierpaolo Ceroli

Il cash accounting, meglio conosciuto come Iva per cassa, introdotto dall’articolo 32-bis Dl 83/2012, determina lo stravolgimento della forma mentis per l’esigibilità e detraibilità dell’Iva con conseguente impatto sulla compilazione della dichiarazione Iva. Con tale opzione, infatti, non si terrà più conto del momento in cui è eseguita l’operazione per determinare l’esigibilità dell’imposta, bensì dovrà essere considerata la data del pagamento o, al più tardi, la decorrenza di un anno dalla cessione del bene o prestazione del servizio.

A partire dal 2012, infatti, i soggetti passivi con volume d’affari non superiore a 2 milioni di euro che cedono beni o prestano servizi verso cessionari o committenti che agiscono nell’esercizio di impresa, arte o professione, possono optare per questo particolare regime Iva, in base al quale, come anticipato, sidetermina l’esigibilità dell’imposta, nonché la sua detraibilità in caso di acquisto, al momento del pagamento dei relativi corrispettivi.

L’opzione, che segue ad un comportamento concludente, è esercitata nella prima dichiarazione Iva successiva all’anno in cui si è seguito questo nuovo modus operandi. Quindi nel caso in cui il contribuente avesse adottato l’Iva per cassa, attraverso comportamenti concludenti nel corso del 2017, dovrà barrare la casella 1 “opzione” del rigo VO 15 “Regime Iva per cassa” del modello Iva 2018. L’opzione sarà vincolante fino a revoca, o comunque per almeno un triennio decorso il quale si rinnova di anno in anno.

Il richiamato art. 32 prevede, però, anche delle cause di esclusione dal regime per tutti quei soggetti che pongono in essere:

•Operazioni con applicazione di regimi speciali di determinazione dell’Iva;

•Operazioni poste in essere nei confronti di cessionari o committenti che assolvono l’imposta mediante l’applicazione dell’inversione contabile.

Al fine della determinazione dell’imposta a credito o a debito il contribuente che ha optato per il cash accounting dovrà compilare i quadri:

•VE «Operazioni attive e determinazione del volume d’affari« indicando nella sezione 2 «Operazioni imponibili agricole e operazioni imponibili commerciali o professionali» l’imponibile (col.1) e l’imposta (col. 2) risultante dalle fatture incassate nel corso del 2017, nel rigo VE37 «Operazioni effettuate nell’anno ma con imposta esigibile in anni successivi» l’eventuale imponibile non ancora incassato (col.1 e 2) e nel rigo VE50 «Volume d’affari» la somma algebrica degli imponibili indicati nel quadro al netto di quelli derIvanti da operazioni effettuate in anni precedenti ma con imposta esigibile nel 2017;

•VF «Operazioni passive e Iva ammessa in detrazione» indicando nella sezione 1 «Ammontare degli acquisti effettuati nel territorio dello Stato, degli acquisti intracomunitari e delle importazioni» l’imponibile (col.1) e l’imposta (col. 2) risultante dalle fatture pagate nel corso del 2017, nel rigo VF21 «Acquisti registrati nell’anno ma con detrazione dell’imposta differita ad anni successivi» l’eventuale imponibile non ancora pagato (col.1 e 2) e nel rigo VF22 «(meno) Acquisti registrati negli anni precedenti ma con imposta esigibile nel 2017» l’ammontare degli acquisti effettuati in anni precedenti ma con imposta esigibile nel 2017. Dalla contrapposizione del totale dell’imposta sulle operazioni passive (VE26) ed attive (VF71) si determinerà l’imposta dovuta (VL3) o l’imposta a credito (VL4).

Fonjte “Il sole 24 ore”

Redditi PF, le entrate estere vanno indicate nel quadro RC

I contribuenti dipendenti che prestano la propria opera all’estero sono sempre più numerosi e, ai fini di una corretta tassazione e, quindi, compilazione del modello Redditi PF o del 730, occorre domandarsi se il lavoratore si considera ancora residente in Italia e se con il Paese estero sia stata firmata una Convenzione contro le doppie imposizioni, in quanto, in caso di risposta affermativa alla prima domanda, si applica il principio della world wide taxation, secondo cui i soggetti residenti in Italia sono ivi tassati sui redditi ovunque prodotti, mentre per un contribuente non residente sono imponibili i soli redditi prodotti in Italia (articolo 3, Tuir). La presenza della Convenzione, invece, influisce sulla possibilità di recuperare le imposte eventualmente pagate nell’altro Stato tramite il credito d’imposta oppure presentando un’istanza di rimborso.

Stando l’articolo 2 del Tuir, una persona si considera residente quando per almeno 183 giorni dell’anno solare è iscritta nelle anagrafi della popolazione residente o ha nel territorio dello Stato il domicilio o la residenza ai sensi dell’articolo 43 del Codice civile. In queste ipotesi, nonostante il lavoro sia prestato all’estero, il contribuente si considera residente nel territorio dello Stato e, pertanto, i redditi esteri saranno tassati in Italia, dovendoli dichiarare nel quadro RC del modello Redditi PF 2018, nei righi da RC1 a RC3. Tuttavia, in presenza di una Convenzione contro le doppie imposizioni con lo Stato estero, occorre, in primis, verificare in che Stato il lavoratore si considera residente, per poi appurare se il reddito da lavoro dipendente sia imponibile in entrambi i Paesi oppure unicamente nello Stato di residenza.

La maggior parte delle Convenzioni stipulate dall’Italia ricalcano il modello Ocse, il quale all’articolo 15, paragrafo 2, prevede la tassazione esclusiva da parte dello Stato di residenza e, quindi, l’Italia quando si verificano congiuntamente le seguenti tre condizioni:

1. il lavoratore soggiorna nello Stato estero per un periodo non superiore a 183 giorni;
2. le remunerazioni sono pagate da o a nome di un datore di lavoro che non è residente del Paese estero;
3. le somme non sono erogate da una stabile organizzazione o da una base fissa che il datore di lavoro ha nello Stato estero.

Sussistendo tali condizioni, i redditi da lavoro dipendente devono essere tassati esclusivamente in Italia, con la possibilità di richiedere il rimborso delle imposte pagate all’estero alla corrispondente agenzia delle Entrate del Paese estero.

Qualora, invece, la Convenzione preveda l’imponibilità delle remunerazioni in entrambi gli Stati, il contribuente potrà recuperare il versamento delle imposte estere fruendo del credito d’imposta di cui all’articolo 165 del Tuir. A tale fine, dovrà compilare il quadro CE di Redditi PF quando l’imposta estera sarà definitiva, non potendo richiedere le eventuali ritenute a titolo di acconto subite nell’altro Stato. Il credito d’imposta non compete per l’intero importo versato all’estero, ma spetta fino a concorrenza dell’imposta italiana calcolata sul rapporto tra il reddito estero e il reddito complessivo e, comunque, sempre nel limite dell’imposta italiana di competenza del 2017. In assenza di una Convenzione, i fenomeni di doppia imposizione possono essere superati con lo stesso iter appena analizzato.

Infine, si ricorda che ai fini della determinazione del reddito imponibile, le retribuzioni percepite da un lavoratore dipendente che presta il proprio lavoro all’estero per un periodo superiore a 183 giorni nell’arco di un anno, sono determinate sulla base di quelle convenzionali stabilite dal ministero del Lavoro con un decreto annuale e , per il 2017, sono fissate dal Dm 22 dicembre 2016, mentre per l’anno 2018 il decreto di riferimento è stato emanato in data 20 dicembre 2017.

Fonte “Il sole 24 ore”

Quadro RW alla prova dell’antiriciclaggio

di Renzo Parisotto

Le istruzioni per la compilazione del quadro RW per il 2017 non contengono sostanziali novità rispetto all’anno precedente fatto salvo il rimando per i cosiddetti titolari effettivi – anch’essi indicati tra i soggetti di cui all’articolo 4 del Dl 167/90 tenuti a compilare il quadro RW – alle nuove previsioni contenute nell’articolo 1, comma 2, lettera pp) e nel successivo articolo 20 del Dlgs 21 novembre 2007 n.231 (norme antiriciclaggio) come introdotte dal Dlgs 25 maggio 2017, n. 90 (supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale 140 del 19 giugno 2017) . Nella prima norma sono fornite le definizioni di titolare effettivo quale persona fisica nel cui interesse «in ultima istanza» è istaurato il rapporto continuativo mentre nella seconda sono fornite definizioni di titolarità effettiva in caso di clienti diversi dalle persone fisiche.

La stessa Banca d’Italia nel documento diffuso recentemente sulle novità introdotte dal citato Dlgs 90/2017 afferma che i nuovi articoli «disciplinano in maniera significativamente diversa i criteri per la determinazione della titolarità effettiva ».

Ciò comporta la necessità per i potenziali titolari effettivi secondo le nuove disposizioni di definire il proprio status ed eventualmente quali siano state le rilevazioni che gli intermediari bancari/finanziari residenti o non residenti abbiano di conseguenza effettuato alle rispettive autorità fiscali nell’ambito dell’ormai avviato scambio di informazioni (vedi Crs). Per quanto attiene la normativa italiana si ricorda che l’articolo 1 del Dl 167/90 pone a carico degli intermediari l’obbligo di segnalazione periodica dei trasferimenti da e verso estero di mezzi di pagamento da parte dei soggetti a loro volta interessati dal quadro RW. Anche il citato articolo 1 a sua volta recepisce la modifica alla definizione di mezzi di pagamento introdotta con il Dlgs 90/2017.

In sintesi gli obblighi RW discendono dal Dl 167/90 il quale a sua volta tuttavia rimanda alla normativa antiriciclaggio innovata e non ancora compiutamente assimilata/illustrata. A corollario di ciò si ricorda il provvedimento 299737 del dicembre 2017 del direttore dell’agenzia delle Entrate nel quale sono state illustrate le comunicazioni che stavano per essere inviate ai contribuenti a seguito del mancato incrocio delle segnalazioni Crs e quadro RW – vedi anche Assofiduciaria 201807 sulla apparente erroneità di talune comunicazioni – ed ancora il disposto delle legge 25 ottobre 2017 n. 163 circa l’utilizzabilità da parte del Fisco dei dati antiriciclaggio (si veda Il Sole 24 Ore del 4 gennaio 2018).

Da altro lato il medesimo Dlgs 231/07 rivisto dal Dlgs 90/2017 contiene ora una definizione di valuta virtuale – articolo 1 comma 2 lettera qq) – pure citata nell’articolo 1 del Dl 167/90 da cui derivano obblighi di monitoraggio a carico degli intermediari. Va detto che quest’ultimo adempimento è a sua volta disciplinato da un provvedimento delle Entrate tuttora datato 24 aprile 2014 e recante riferimenti alla normativa antiriciclaggio superata per cui se ne attende una modifica a far tempo dall’anno 2017. Ci si chiede così se le conclusioni raggiunte dall’Agenzia con la risoluzione 72/E/2016 – ante Dlgs 90/2017 – in materia di monete virtuali , vale a dire irrilevanza reddituale delle operazioni a pronti, debbano considerarsi tuttora valide visto il richiamo nella stessa risoluzione al rispetto della 231/2007 «l’istante sarà tenuta agli obblighi». Nella denegata ipotesi di un diverso approccio sarà da chiarire quali siano i cambi/controvalori da esporre ed il codice Paese di riferimento (colonna 4).

Fonte “Il sole 24 ore”

Modello Iva Base 2018: escluse Iva di gruppo e dichiarazioni integrative

Il modello Iva Base 2018 esclude i crediti emergenti da integrative a favore e l’Iva di gruppo. Da quest’anno, infatti, si allarga la platea di soggetti che, pur rientrando nei requisiti per la compilazione del modello Iva versione semplificata, sono obbligati a utilizzare il modello ordinario per la dichiarazione ai fini dell’imposta sul valore aggiunto.

Dettagliando quanto finora detto, l’Iva base non può essere utilizzato dai soggetti che hanno presentato nel 2017 dichiarazioni integrative a favore ai sensi dell’articolo 8, comma 6-bis, del Dpr 322/1998 (comma introdotto dall’articolo 5 del Dl 193/2016) e che, ai sensi del comma 6-quater del citato articolo 8, sono tenuti ad indicare il credito derivante dal minor debito o dal maggiore credito risultante dalle dichiarazioni integrative nella dichiarazione relativa al periodo d’imposta in cui sono presentate le dichiarazioni integrative. Per tale indicazione deve essere utilizzato, infatti, il quadro VN del modello Iva ordinario.

La modulistica semplificata ai fini Iva è altresì preclusa per l’ente o società commerciale controllante che intende avvalersi, per il 2018, della particolare procedura di compensazione dell’Iva di gruppo, prevista dal Dm 13 dicembre 1979 (aggiornato dal Dm 13 febbraio 2017 alle nuove disposizioni in materia di iva di gruppo), recante le norme di attuazione di cui all’articolo 73, ultimo comma del Dpr 633/1972.

L’opzione per la procedura della liquidazione iva di gruppo va comunicata all’agenzia delle Entrate tramite la compilazione del quadro VG nella dichiarazione Iva 2018. Ciò in quanto, chiaramente, tale quadro non fa parte del modello semplificato in parola (si veda l’articolo del Quotidiano del Fisco del 14 marzo).

Gli altri soggetti esclusi dalla compilazione semplificata sono:

• i soggetti non residenti che hanno istituito nel territorio dello Stato una stabile organizzazione ovvero che si avvalgono dell’istituto della rappresentanza fiscale o dell’identificazione diretta;

• le società di gestione del risparmio che gestiscono fondi immobiliari chiusi;

• i soggetti tenuti ad utilizzare il modello F24 auto UE;

• i curatori fallimentari e dai commissari liquidatori tenuti a presentare la dichiarazione annuale per conto dei soggetti Iva sottoposti a procedura concorsuale.

Con riguardo invece ai soggetti beneficiari della semplificazione modulistica, l’Iva base 2018 può essere utilizzato dai soggetti Iva, sia persone fisiche che soggetti diversi dalle persone fisiche, che nel corso dell’anno hanno:

• determinato l’imposta dovuta o l’imposta ammessa in detrazione secondo le regole generali previste dalla disciplina Iva e, pertanto, non hanno applicato gli specifici criteri dettati dai regimi speciali Iva quali, ad esempio, quelli previsti dall’articolo 34 per gli agricoltori o dall’articolo 74-ter per le agenzie di viaggio;

• effettuato in via occasionale cessioni di beni usati e/o operazioni per le quali è stato applicato il regime per le attività agricole connesse di cui all’articolo 34-bis;

Sono inclusi anche i soggetti che non hanno effettuato operazioni con l’estero (cessioni ed acquisti intracomunitari, cessioni all’esportazione ed importazioni, ecc.), oppure acquisti ed importazioni senza applicazione dell’imposta avvalendosi dell’istituto del plafond di cui all’articolo 2, comma 2, della legge n. 28 del 1997, nonché i soggetti che non hanno partecipato ad operazioni straordinarie o trasformazioni sostanziali soggettive.
Si ricorda che resta invariato il nuovo termine di presentazione del modello base che coincide con quello ordinario ossia il prossimo 30 aprile.

Fonte “Il sole 24 ore”