Archivi categoria: Novità Normative

Patent box, plusvalenza agevolabile con applicazione del «nexus ratio»

di Michele Brusaterra

In caso di cessione di un bene immateriale per cui risulta applicabile il «patent box», la plusvalenza è esclusa da tassazione, per la parte del 50 per cento del valore risultante dall’applicazione alla stessa del «nexus ratio».

Questa, in sintesi, la regola da tenere a mente per sfruttare la detassazione stabilita dalle norme sul patent box e che riguarda la cessione di uno di quegli «Intellectual property» individuati dalle disposizioni stesse.

Viene stabilito, più precisamente, che tale plusvalenza è esclusa dal reddito complessivo, a condizione che almeno il 90 per cento del corrispettivo che deriva da tale cessione venga reinvestito in attività di ricerca e sviluppo che servono per lo «sviluppo, mantenimento e accrescimento di altri beni immateriali», diversi da quelli già posseduti dall’impresa, e con esclusione dell’importo sostenuto per il loro acquisto, come chiarito dalla circolare dell’agenzia delle Entrate n. 11/E/2016 .

Tale somma va reinvestita, prima della chiusura del secondo periodo d’imposta successivo a quello di cessione, nelle attività di ricerca e sviluppo svolte direttamente dal soggetto che beneficia dell’agevolazione, ovvero in contratti di ricerca stipulati con università, enti di ricerca od organismi equiparati, con società, anche start up innovative, sia che esse appartengano o non appartengano al gruppo del beneficiario dell’agevolazione.

Sostiene, inoltre, sempre la citata circolare n. 11/E/2016, che la plusvalenza costituisce reddito agevolabile nei limiti scaturenti dall’adozione della stessa regola valida per la determinazione del reddito agevolabile derivante dallo sfruttamento degli asset, applicando, quindi, il «nexus ratio», ossia il rapporto fra costi qualificati e costi complessivi, sostenuti dall’azienda.

Più precisamente il «nexus ratio» è dato dal rapporto tra i costi sostenuti per le attività di ricerca e sviluppo, sia svolte direttamente dal soggetto beneficiario dell’agevolazione, sia da università o enti di ricerca e organismi equiparati, da società, anche se start up innovative, diverse da quelle che controllano, direttamente o indirettamente, l’impresa, ne sono controllate o sono controllate dalla stessa società che controlla l’impresa, costi, tutti, che vanno indicati al numeratore del rapporto.
Sempre al numeratore possono anche essere inseriti i costi relativi ad attività di ricerca e sviluppo, che sono addebitati da soggetti facenti parte dello stesso gruppo societario, ma solo per la quota di tali costi che rappresentano «un mero riaddebito di costi sostenuti da tali società del gruppo nei confronti di soggetti terzi per l’effettuazione delle medesime attività di ricerca e sviluppo».

Dopo l’intervento del Dl 3/2015, il numeratore può essere anche aumentato di un importo pari alla differenza tra quanto indicato al denominatore e quanto indicato al numeratore, ma nel limite, comunque, del 30 per cento di quest’ultimo valore.

Al denominatore si devono indicare, invece, tutti i costi indicati al numeratore, a cui vanno sommati il costo di acquisizione, anche tramite licenza di concessione in uso, del bene immateriale e i costi per operazioni intercorse con le società che direttamente o indirettamente controllano l’impresa, ne sono controllate o sono controllate dalla stessa società che controlla l’impresa.

Una volta determinato il «nexus ratio», esso va applicato alla plusvalenza realizzata, e il risultato costituisce reddito agevolabile nella misura del suo 50 per cento, percentuale stabilita nel 30 per cento per il 2015 e nel 40 per cento nel 2016.

Fonte “Il sole 24 ore”

E-fattura, tax free shopping con visto digitale

di Alessandro Mastromatteo e Benedetto Santacroce

Definite le modalità tecniche e operative per l’attuazione dell’obbligo di emissione di fattura elettronica per il tax free shopping dal 1° settembre 2018: con determinazione direttoriale prot. nr. 54088/RU , diramata ieri, l’agenzia delle Dogane e dei monopoli, di concerto con l’agenzia delle Entrate, ha diramato le disposizioni necessarie sia al rilascio del visto digitale sia alla interoperabilità con il Sistema di interscambio per la trasmissione dei dati delle fatture.

Nel dettaglio, in caso di apposizione del visto in un punto di uscita nazionale, la prova dell’uscita delle merci non è più fornita dal timbro apposto sul documento fiscale da parte della dogana di uscita, ma dal codice di visto digitale univoco generato da Otello 2.0. Mentre in caso di uscita dal territorio doganale dell’Unione europea attraverso un altro Stato membro, la prova di uscita delle merci è fornita dalla dogana estera secondo le modalità vigenti in tale Stato membro.

Di assoluta rilevanza la possibilità di utilizzare, prima della data di avvio dell’obbligo, la procedura che digitalizza l’intero processo e cioè Otello 2.0. – Online Tax Refund at Exit. Le istruzioni operative, contenute nella nota protocollo 54505/2018 pubblicata anch’essa ieri, chiariscono infatti come i relativi servizi informatizzati risultano disponibili già dalla giornata di oggi, assicurando comunque la gestione presso tutti i punti di uscita non solo delle fatture tax free emesse in modalità elettronica, ma anche di quelle cartacee emesse sino al 31 agosto 2018. Le fatture tax free possono infatti essere presentate in Dogana per l’apposizione del visto entro il terzo mese successivo alla data di acquisto. Di conseguenza, le fatture cartacee potranno essere vistate sino al 30 novembre 2018 con la precedente versione di Otello in caso di uscita dagli aeroporti di Malpensa e Fiumicino oppure con le modalità cartacee, mediante apposizione del timbro “conalbi” presso tutti gli altri punti di uscita. Dal 1° dicembre 2018, invece, tali procedure non saranno più accettate in quanto decorsi i tre mesi dall’avvio dell’obbligo: il cedente è infatti tenuto dal prossimo 30 settembre a trasmettere ad Otello 2.0 il messaggio contenente i dati della fattura per il tax free shopping al momento dell’emissione. Al cessionario dovrà essere messo a disposizione il documento, in forma analogica o elettronica, contenente il codice ricevuto in risposta che ne certifica l’avvenuta acquisizione da parte del sistema. Il messaggio contenente i dati dell’eventuale variazione effettuata ai sensi dell’articolo 26 del Dpr 633/1972, è trasmesso inoltre dal cedente al momento dell’effettuazione della variazione. I dati di competenza dell’agenzia delle Entrate trasmessi ad Otello 2.0 sono automaticamente messi a disposizione in apposita area riservata così da consentire al cedente, con un solo invio, di assolvere anche gli adempimenti comunicativi di natura fiscale. All’agenzia delle Entrate sono inoltre trasmesse le informazioni di competenza sullo stato di apposizione del visto digitale sulle fatture per il tax free shopping.

Il provvedimento si occupa di disciplinare anche il caso di impossibilità temporanea di trasmissione dei messaggi, richiedendo al cedente di trasmetterli non appena il sistema ritorna ad essere disponibile. Va infine ricordato che per usufruire del servizio Otello 2.0. occorre accreditarsi utilizzando le credenziali Spid (Sistema pubblico identità digitale) ovvero la Cns (Carta nazionale dei servizi).

Fonte “Il sole 24 ore”

Scambio dati esteso per l’antiriciclaggio

di Valerio Vallefuoco

Scambio di informazioni a raggio più ampio. Il 16 maggio scorso il Consiglio dei ministri ha approvato il decreto legislativo che recepisce anche in Italia l’attuazione della direttiva Ue 2258 del 2016 di modifica della precedente direttiva 16/2011 sullo scambio di informazioni tra amministrazioni finanziarie, introducendo la facoltà di accesso da parte delle autorità fiscali alle informazioni raccolte da tutti i soggetti obbligati dalla disciplina antiriciclaggio.

Assistiamo quindi anche nel nostro paese al recepimento della normativa dell’Unione europea meglio conosciuta come Dac 5 (acronimo per Directive on adminstrative cooperation). Questa regolamentazione prevede appunto che gli Stati membri Ue, attraverso normative nazionali, consentano l’accesso alle rispettive amministrazioni fiscali anche a tutti i documenti, le informazioni e le procedure effettuate in materia di antiriciclaggio. Quindi, sono coinvolti tutti gli intermediari bancari, finanziari, assicurativi, le fiduciarie, i professionisti e in genere tutti i soggetti obbligati dalla normativa antiriciclaggio.

In particolare, le amministrazioni finanziarie dell’Unione europea possono già dal 2018 avere libero accesso alle informazioni raccolte per adempiere agli obblighi di adeguata verifica della clientela, alle informazioni e ai dati individuati sulla titolarità effettiva di società e altre entità giuridiche, alle informazioni sulla titolarità effettiva dei trust, dei dati individuati e comunicati ai rispettivi Registri centrali sui titolari effettivi ed in generale a tutti i dati e alle informazioni soggetti agli obblighi di conservazione e raccolta dai soggetti obbligati dalla materia antiriciclaggio.

L’intervento normativo è stato effettuato attraverso la modifica del decreto legislativo 29/2014, relativo alla cooperazione amministrativa nel settore fiscale, modificando l’articolo 3 comma 3 e prevendo quindi espressamente che i servizi di collegamento che sono stati nominati dai rispettivi Stati membri (in Italia, l’agenzia delle Entrate), quando devono prestare assistenza ma in generale quando devono raccogliere elementi utili per lo scambio di informazioni, oltre alla consolidata facoltà di accedere alle informazioni ed ai dati contenuti nell’anagrafe tributaria o attraverso i tradizionali poteri di accertamento, potranno liberamente avere accesso anche alle notizie raccolte dai soggetti obbligati alla normativa antiriciclaggio, così come previsto nella direttiva europea Dac 5.

In particolare, l’amministrazione finanziaria italiana potrà accedere al registro centrale dei titolari effettivi (sezione speciale del Registro delle imprese che dovrà essere istituito entro il mese di luglio 2018), dove tutte le società e gli amministratori di enti o trust o fiduciarie dovranno comunicare i rispettivi titolari effettivi. I soggetti individuati per avere accesso a questi dati particolari saranno l’agenzia delle Entrate e la Guardia di Finanza: in particolare, la prima potrà accedere ai dati antiriciclaggio degli intermediari finanziari.

Per soggetti diversi dagli intermediari, come ad esempio i professionisti, l’agenzia delle Entrate potrà avvalersi della Guardia di Finanza ed in questo senso è previsto dal decreto appena approvato che le due amministrazioni stipulino un’apposita convenzione entro trenta giorni dalla pubblicazione della norma sulla Gazzetta ufficiale. Infine, di particolare rilievo la norma di chiusura che prevede che l’accesso ai dati ed alle informazioni antiriciclaggio verrà utilizzato dall’amministrazione finanziaria italiana anche per verificare il corretto adempimento degli obblighi e delle procedure di adeguata verifica ai fini fiscali.

Fonte “Il sole 24 ore”

Carburanti, credito d’imposta agli esercenti solo per i pagamenti tracciabili

di Paola Bonsignore e Pierpaolo Ceroli

La legge di Bilancio 2018 al fine di incentivare e, in un certo qual modo, di risarcire i contribuenti operanti nella distribuzione di carburanti, che dal prossimo primo luglio, a seguito delle novità in tema di fatturazione elettronica e deducibilità del costo e detraibilità dell’Iva, saranno soggetti a maggiori oneri per la riscossione dei pagamenti tramite mezzi tracciabili (carte di credito, bancomat, carte prepagate), ha previsto l’istituzione a regime di un credito d’imposta.

Tale credito, istituito in un’ottica di contrasto alle irregolarità fiscali e condotte fraudolente legate al settore delle cessioni di carburante, da un punto di vista soggettivo è attribuito a tutti gli esercenti impianti di distribuzione che, come chiarito dall’agenzia delle Entrate nella circolare 8/E/2018, sono da intendersi come «chiunque, in base ad un legittimo titolo (proprietà, affitto, eccetera), svolge tale attività e sostiene il costo di commissione».

Da un punto di vista sostanziale, invece, tale beneficio, ai sensi dell’articolo 1, comma 924, della legge 205/2017, è pari al «al 50 per cento del totale delle commissioni addebitate per le transazioni effettuate, a partire dal 1° luglio 2018, tramite sistemi di pagamento elettronico mediante carte di credito, emesse da operatori finanziari soggetti all’obbligo di comunicazione previsto dall’articolo 7, sesto comma, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 605».

In altri termini, nel caso di compravendita di carburante l’emissione della fattura elettronica non rappresenta un documento necessario e sufficiente affinché l’esercente tale attività possa beneficiare del credito d’imposta in commento, ma a tal fine dovrà esigere il pagamento tramite mezzi tracciabili individuati nel dettaglio dal provvedimento del 4 aprile 2018, come ad esempio carte di credito, bancomat e/o carte prepagate, e dovrà sostenere il costo di commissione della transazione bancaria, rappresentando, quest’ultimo, la base di partenza per la determinazione del credito stesso.

Nel caso in cui siano rispettati tutti i sopra richiamati requisiti, allora il contribuente potrà utilizzare in compensazione il credito maturato, esclusivamente, in compensazione mediante F24, ai sensi dell’articolo 17 del Dlgs 241/97, a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello di maturazione.

Ad ogni modo, dovrà essere assicurato il rispetto del regolamento Ue 1407/2013 relativo al regime de minimis, in base al quale gli aiuti di Stato (tra i quali vi rientrano oltre ai prestiti a fondo perduto, ai finanziamenti agevolati, alle agevolazioni fiscali, anche i crediti d’imposta) concessi a favore di un’unica azienda non devono superare, nell’arco di tre esercizi finanziari, i 200mila euro.

Al fine del suo effettivo riconoscimento, in attesa del decreto attuativo si può ritenere che il credito, essendo utilizzabile dal periodo d’imposta successivo alla maturazione, sia da indicarsi nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo di maturazione e al contempo non sia utilizzabile come compensazione “interna” alla dichiarazione stessa essendo previsto un utilizzo esclusivo tramite F24.

Fonte “Il sole 24 ore”

 

Per i carburanti debutto a doppio regime

di Marco Mobili

Depositati al Senato gli emendamenti al decreto legge Alitalia che introducono il doppio binario per il debutto della fatturazione elettronica dal 1° luglio 2018 per i carburanti. Le due proposte di modifica depositate da Stefano Borghesi della Lega e da Gilberto Pichetto Fratin (Fi-Bp),saranno da oggi all’esame della commissione speciale di Palazzo Madama.

Oltre a prevedere la validità della scheda carburanti fino al termine del 2018 con altre due proposte di modifica viene precisato che il credito d’imposta maturato dagli esercenti dei distributori che accettano i pagamenti con moneta elettronica potrà essere utilizzato solo successivamente al periodo d’imposta della sua maturazione. Nel pacchetto di emendamenti (in tutto sono 17) compaiono anche alcuni correttivi per gestire meglio gli investimenti degli enti locali.

Nella mattinata di oggi si saprà se gli emendamenti, comunque concordati con il Governo uscente e che di fatto recepiscono le richieste delle associazioni di categoria, supereranno lo scoglio delle ammissibilità. Solo in caso di esito positivo saranno messi al voto della commissione e poi dell’Aula del Senato per poi andare in seconda lettura a Montecitorio.

Come anticipato la scorsa settimana su queste pagina (si veda Il Sole 24 Ore del 15 maggio) il debutto della fatturazione elettronica fissato dalla legge di bilancio per il 1° luglio prossimo sarà accompagnato dalla permanenza “in vita” della scheda carburanti almeno fino al 31 dicembre 2018. L’emendamento del bresciano Borghesi, oltre a prevedere che gli acquisti di carburante debbano essere documentati dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali, dalle università, da ospedali ed enti di assistenza e beneficenza (già previsto come obbligo dal 2015), estende l’e-fattura anche agli autotrasportatori che operano in conto terzi o in proprio con apposite licenze.

Con lo stesso emendamento vengono rinviate al 1° gennaio 2019 le abrogazioni della disciplina delle schede carburanti. Un emendamento che nella sostanza è in linea con quello di Pichetto Fratin che prevede espressamente la possibilità fino al 31 dicembre 2018 di documentare la cessione di carburante per autotrazione anche attraverso la scheda carburanti. Entrambe gli emendamenti, ve detto, non modificano l’articolo 1, comma 917, della legge di bilancio che introduce dal 1° luglio 2018 l’obbligo generalizzato dell’e-fattura per i carburanti.

Sia Lega che Forza Italia chiedono, poi, con altri due emendamenti sostanzialmente identici (1.0.9, 1.0.10) che il credito d’imposta riconosciuto agli esercenti dei distributori sulle commissioni per i pagamenti effettuati con moneta elettronica può essere utilizzato dal periodo d’imposta successivo a quello di maturazione. Per gli oneri, stimati in 5 milioni di euro per l’anno 2018, si pesca dai Fondi di riserva speciali.

Negli emendamenti depositati ieri arriva anche un nuovo riparto degli spazi finanziari per investimenti da 500 milioni di euro destinati alle Regioni. La distribuzione dei “bonus”, che servono ad attivare le intese fra gli enti locali di ogni regione, si porta con sé anche la riapertura dei termini fino al 30 settembre, come accaduto lo scorso anno.

Fonte “Il sole 24 ore”

Calcoli certi per il bonus ricerca & sviluppo nelle operazioni straordinarie

di Emanuele Reich e Franco Vernassa

Le attese istruzioni sull’applicazione del credito d’imposta sulla Ricerca e sviluppo in presenza di operazioni straordinarie sono arrivate con la circolare n. 10/E del 16 maggio 2018, elaborata congiuntamente dall’agenzia delle Entrate e dal ministero dello Sviluppo economico. Trasformazioni, fusioni, scissioni e conferimenti posseggono ora i criteri di applicazione per la determinazione del credito per le operazioni da realizzare o che trovano compimento d’ora in poi.

Nessuna preoccupazione per il pregresso, cioè gli esercizi 2015, 2016 e 2017, quando esistevano condizioni di incertezza della normativa di riferimento (articolo 3, del Dl 145/2013 e Dm 27 maggio 2015) che non tratta specificatamente le operazioni straordinarie. Infatti, come già avvenuto con la precedente circolare n. 13/2017, l’Agenzia tutelerà le imprese che – avendo applicato criteri interpretativi diversi da quelli ora indicati – hanno ottenuto un beneficio maggiore o minore di quello spettante alla luce della nuova circolare, in quanto:

nessuna sanzione sarà applicata nell’ipotesi in cui una parte del credito sia stato indebitamente utilizzato in compensazione, fatto salvo il versamento del credito e dei relativi interessi;

sarà invece possibile presentare una dichiarazione integrativa a favore per i periodi d’imposta 2015 e 2016, se il credito effettivamente spettante risulterà maggiore di quanto in precedenza calcolato, con conseguente utilizzo in compensazione.

La circolare individua tre principi di carattere generale alla base delle regole di calcolo: l’autonomia della disciplina agevolativa rispetto all’ordinaria disciplina di determinazione del reddito d’impresa (e dell’imposta); l’autonomia dei singoli periodi d’imposta; il ragguaglio alla durata dei periodi di imposta dei parametri rilevanti ai fini del calcolo del bonus (importo minimo degli investimenti; tetto massimo annuale; media storica di riferimento).

Sul primo principio la circolare 10/E distingue tre profili:

individuazione, determinazione ed imputazione temporale dei costi ammissibili, potendo accadere che in un determinato periodo d’imposta i costi ammissibili al credito Ricerca e sviluppo non coincidano con i costi rilevanti per la determinazione del reddito d’impresa, al fine di uniformare il trattamento dei soggetti beneficiari dell’incentivo a prescindere da regole contabili (costo o capitalizzazione), criteri di determinazione del reddito (Ias, Oic adopter, micro-imprese, forfetizzazione);

clausola di territorialità con riferimento al caso della ricerca contrattuale (extra-muros);

ricerca infragruppo con riqualificazione di fatto da ricerca extra-muros a ricerca intra-muros.

Il secondo e terzo principio generale rilevano se vengono a specificarsi periodi di imposta di durata diversa da quella ordinaria di 12 mesi, che è anche il caso tipico delle operazioni straordinarie.

In proposito, premesso che i sei periodi di imposta di durata dell’agevolazione (2015-2020) corrispondono a 72 mesi, si chiarisce che «è necessario adeguare la tempistica per la determinazione del credito spettante in modo da garantire la possibilità di accedere al beneficio per un arco temporale complessivamente non superiore e non inferiore a settantadue mesi». Di conseguenza nel caso di un periodo agevolato di durata inferiore o superiore a quello standard di 12 mesi diventa necessario operare il ragguaglio dei parametri rilevanti per il calcolo del credito (ammontare minimo di investimenti, importo massimo del credito d’imposta riconosciuto annualmente a ciascun beneficiario e media di riferimento).

Fonte “Il sole 24 ore”

Carburanti, più vie per i pagamenti tracciabili

di Pierpaolo Ceroli e Agnese Menghi

Dal 1° luglio 2018, benché sembra preannunciarsi delle proroghe o meglio un doppio binario sino a fine 2018 (si veda Il Quotidiano del Fisco del 15 maggio ), i soggetti passivi Iva che vorranno dedurre le spese per l’acquisto di carburanti, ma anche detrarre la relativa Iva, dovranno regolare gli acquisti esclusivamente mediante strumenti di pagamento tracciabili, a seguito delle modifiche apportate dalla legge di Bilancio 2018 (legge 205/2017) agli articoli 164 Tuir e articolo 19-bis.1 del Dpr Iva. Anche questa volta, le norme introdotte difettano di coordinamento, parzialmente risolto dall’agenzia delle Entrate con il provvedimento 4 aprile 2018 e la circolare 8/E/2018 . In particolare, dal tenore letterale della norma, la deducibilità dei costi per l’acquisto di carburante è ammessa solo se effettuate mediante carte di credito, di debito o prepagate emesse dagli operatori finanziari soggetti all’obbligo di comunicazione all’Anagrafe tributaria all’articolo 7 del Dpr 605/1972. Per quanto riguarda, invece, l’Iva, la sua detrazione è possibile, oltre che nell’ipotesi precedente, anche quando si ricorre agli altri strumenti individuati dal provvedimento dell’agenzia delle Entrate. Pertanto, vi era un disallineamento tra Irpef/Ires e Iva, risolto dal provvedimento del 4 aprile 2018, il quale individuando gli altri mezzi di pagamento ammessi, ha anche chiarito che l’acquisto di carburanti con uno di questi strumenti consente la deducibilità del relativo costo, nelle misure previste per il veicolo associato.

I mezzi di pagamento che si dovranno utilizzare dal prossimo luglio sono:
•le carte di credito, di debito e prepagate emesse da soggetti all’articolo 7 del Dpr 605/72;
•le carte elettroniche emesse da altri operatori, anche non residenti (a differenza della circolare 42/E/2012 relativamente al sistema dei pagamenti tracciati all’articolo 1 del Dpr 444/97);
•gli assegni, bancari e postali, circolari e non, nonché i vaglia cambiari e postali , rispettivamente, al Rd 1736/1933 e al Dpr 144/2001;
•addebito diretto;
•bonifico bancario o postale;
•bollettino postale;
•altri strumenti di pagamento elettronico disponibili, che consentano anche l’addebito in conto corrente, come ad esempio le applicazioni su smartphone (circolare Guardia di Finanza del 13 aprile 2018).

Nel tempo, però, sono stati introdotti particolari metodi di pagamento, quali le carte magnetiche, come nel caso del contratto netting. In queste ipotesi, il costo è deducibile e l’Iva detraibile se i rapporti tra gestore dell’impianto e società petrolifera, nonché tra quest’ultima e l’utente, siano regolati con uno degli strumenti tracciabili. Stesso principio vale per le spese anticipate dal dipendente, cosicché è necessario che il lavoratore abbia pagato con una carta elettronica e sia stato rimborsato con un metodo tracciabile (si ricorda il nuovo obbligo di tracciabilità delle retribuzioni dal 1° luglio 2018) oppure per tutte le ipotesi in cui il pagamento avviene in un momento diverso dalla cessione.

Per quanto riguarda i mezzi di trasporto interessati, occorre rilevare una particolarità relativa alle imbarcazioni e agli aeromobili, per i quali la normativa Iva richiede espressamente l’utilizzo di «moneta elettronica», mentre ai fini delle imposte dirette, l’articolo 164 del Tuir fa riferimento ai veicoli stradali, cosicché i costi relativi agli acquisti di carburanti potrebbero essere dedotti anche se sostenuti in contanti.

I mezzi di pagamento di tracciabili devono essere utilizzati a prescindere dalla fattura elettronica, in quanto si applica a tutti i carburanti per autotrazione, non solo quindi alla benzina e al gasolio. Pertanto, dal 1° luglio 2018 al 31 dicembre 2018, a seguito dei chiarimenti forniti nella circolare 8/E/2018, chi acquista metano e Gpl dovrà ricorrere alle carte elettroniche, ma anche alla scheda carburante (ma sono necessari ulteriori chiarimenti in merito); mentre coloro che acquistano benzina e gasolio riceveranno l’e-fattura (dalla quale dovrebbe risultare anche la targa del (veicolo), ma dovranno utilizzare comunque gli strumenti di pagamento tracciabili. Infine, si segnala che con la citata circolare 42/E/2012 in caso di più acquisti contestuali rispetto al carburante, sarebbe opportuno effettuare il pagamento in due pagamenti diversi.

Fonte “Il sole 24 ore”

GDPR- Raccolta dati clienti in negozio: Privacy

Cosa inserire nei moduli cartacei per la raccolta dati clienti in negozio?

Cosa fare per l’iscrizione alla newsletter tramite il sito? Perché per legge bisogna usare uno strumento d’invio newsletter professionale e non mandarle semplicemente da gmail o servizi gratuiti? La normativa sui cookie cosa diavolo è?

Se ti stai ponendo queste domande, troverai una risposta in questa lezione.

Iniziamo con il toglierti immediatamente un dubbio:

#1 Il consenso cartaceo per inviare materiale promozionale

Se vuoi inviare materiale promozionale ad un cliente devi avere il consenso scritto e firmato.

Non basta chiederlo a voce.

Se un cliente, ad esempio, ti lascia il numero per essere avvisato dell’arrivo di un prodotto, non puoi usare il suo numero per inviare promozioni o avvisi. Questo perché “lui” non ti ha lasciato l’autorizzazione scritta.

La raccolta dati va fatta usando dei moduli che i clienti devono compilare e che tu devi conservare.

Ma cosa bisogna inserire nei moduli per fare una raccolta dati dei clienti in negozio che rispetti le regole?!

Iniziamo:

  1. a) Per i semplici moduli di raccolta dati dovrai inserire:

I campi da far compilare con i dati che occorrono e-mail, sms, data di nascita etc…

L’Informativa sulla Privacy, dove spieghi come verranno usati esattamente i dati e che NON verranno ceduti a terzi.

Una frase per l’Accettazione al trattamento dei dati personali, con sotto due caselle da spuntare (checkbox) con scritto “Do il consenso” e “ Nego il consenso”.

Una frase come Acconsento al trattamento dei dati personali, per finalità legate ad attività di marketing diretto (invio di materiale formativo e promozionale specificando anche i vari strumenti)” con sotto altre due caselle da spuntare (checkbox) con scritto “Do il consenso” e “ Nego il consenso”.

Lo spazio per la firma del cliente.

La maggior parte dei moduli che si vedono in giro hanno solo riportato la dicitura riguardante la privacy, ma con la riforma è obbligatorio mettere le checkbox ed è assolutamente vietato farle trovare già flaggate, questo mi sembra ovvio ma lo scrivo perché ogni tanto lo vedo fare.

Cosa importante è scrivere il testo in modo che sia facilmente comprensibile, senza usare termini complessi. Inoltre bisogna scrivere esattamente cosa farai nello specifico con i dati richiesti.

  1. B) Per l’iscrizione alla Fidelity Card in negozio:

Dovrai inserire anche:

Il regolamento completo sull’utilizzo della fidelity card.

Le Fidelity Card sono comunque sempre accompagnate da un foglio, con tanto di regolamento e con la nota sulla privacy.

I programmi di fidelizzazione rientrano nelle “manifestazioni a premio”, e dal punto di vista legale si chiamano proprio “operazioni a premio”. Informati bene per sapere quando sono da considerarsi operazioni a premio escluse, perché queste ultime si possono realizzare in maniera più semplice.

Scopri concorsi e operazioni, in modo più specifico, di manifestazioni a premio >>

Leggi tutti i dettagli per fare le operazioni a premio nel tuo negozio >>

Inoltre i moduli vanno conservati ed è vietato raccogliere i dati dei minorenni.

#2 Regole per il Sito Web

  1. a) Per l’iscrizione alla newsletter o sms marketing dal Sito Internet

Se la raccolta dati dei clienti di un negozio avviene dal tuo sito, allora sotto i campi da compilare (email, sms, ecc…)  dovrai inserire:

Un chekbox da flaggare, con la frase che deve portare (linkare) alla pagina completa della tua Policy Privacy.

Potrebbe essere necessario anche un chekbox da flaggare, con a fianco il consenso per ricevere il materiale promozionale.

Molto spesso vediamo negozianti che, per inviare newsletter, non usano strumenti professionali a pagamento come MailChimp, ma le inviano direttamente da gmail, libero, yahoo o altri servizi inadatti.

Questo è un errore grave.

Non solo dal punto di vista marketing ma anche dal punto di vista legge.

Infatti per legge se un cliente si iscrive alla tua newsletter deve:

  • Deve potersi cancellare dalla tua newsletter con un click. Quindi in ogni newsletter deve esserci il bottone o la scritta di cancellazione.
  • Deve poter modificare i suoi dati nel suo pannello personale.
  • Nel footer di ogni email deve esserci un link che porta al documento esteso della tua privacy.
  • Sarebbe meglio far Confermare la sua iscrizione. Quindi una volta che lascia la sua email deve ricevere una prima email del tipo: “Sei stato tu ad iscriverti?” E deve dare il suo assenso cliccando su un bottone di “Conferma”. (termine tecnico ->Double Optin).
  • Ecco qui un esempio di cosa deve ricevere, in automatico, il lettore subito dopo aver effettuato la sua iscrizione alla tua newsletter.
    1. B) Legge sui Cookie e cosa fare.

    Questa legge vale solo se hai un sito Internet. Iniziamo con il capire cosa sono questi Cookie:

    I Cookie sono piccoli file di testo che vengono creati in automatico, che servono per tracciare le sessioni di navigazione e per memorizzare informazioni specifiche riguardanti gli utenti che accedono al server.

     Ad esempio, se ti arrivano i reports sull’andamento del tuo sito (come quelli di Google Analytics), puoi leggere una serie di statistiche dettagliate che vengono rilevate anche grazie ai cookie. Questo senza che nemmeno tu te ne accorga.

    Non ti serve sapere ulteriori tecnicismi, ma se vuoi saperne di più riguardo alla legge ecco un link di approfondimento del Garante della Privacy >>.

    Accertati che il tuo “sitologo” o la società a cui ti sei appoggiato per la creazione del sito, ti aiutino a sistemare tutto.

    In linea di massima per rispettare questa normativa è necessario:

    Inserire un banner “BEN VISIBILE” che compaia appena l’utente arriva sul sito in modo che, l’utente, possa dare il suo consenso al rilascio dei vari cookie e registrarne l’accettazione.

    Che questo banner sia linkato al documento esteso della “Cookie Policy”.

    Che questo link appaia anche nel footer sotto la dicitura “Cookie Policy”, riportando alla versione completa (come per la Policy Privacy) dove viene spiegato cosa bisogna fare se si vuole negare il rilascio dei cookie.

    Inserire una dicitura sull’utilizzo dei Cookie anche a fondo newsletter.

    Visto che parliamo di siti web vediamo anche…

    Ringrazio Marco dalla UP Informatica, per averci suggerito di aggiungere questi obblighi legali che sono importanti per tutti i titolari di un sito web:

    Partita IVA: Va inserita in home page, o nel footer del sito, per qualsiasi soggetto in possesso di partita IVA. Attenzione perché in caso di omissione, la sanzione varia da € 258,00 fino a 2.065,00. L’obbligo d’indicazione della Partita Iva vale anche per i siti che si limitano a pubblicizzare servizi o prodotti, senza svolgere commercio elettronico. Quindi per te che hai un Negozio è certamente importante inserirla.

    Denominazione della società.

    Indirizzo completo della sede legale della società.

    Iscrizione al registro delle imprese: Sede ufficio e relativo numero d’iscrizione con l’indicazione di eventuale stato di liquidazione in seguito a scioglimento.

    Capitale sociale. (non sempre necessario)

    Il link alla Policy Privacy (politica sulla privacy) deve essere visibile in TUTTE le pagine del sito. Quindi scrivi questa frase “Informativa sulla Privacy” nel footer (ossia a piè di pagina) del sito, e fai in modo che abbia un collegamento tramite link alla pagina completa della tua Policy Privacy.

    Il link alla Cookie Policy sempre nel footer.

    Se hai un e-commerce dovrai aggiungere nel footer anche il link alle condizioni di vendita.

    C) Ulteriori obblighi legali da inserire in ogni Sito Web.

GDPR, a quanto ammontano le sanzioni

di Studio Legale Associato Fioriglio-Croari 4 Aprile 2018, 14:00

Le sanzioni amministrative pecuniarie previste dal GDPR dovranno essere disposte in modo tale da poter dare un’adeguata risposta in base alla natura, alla gravità e alle conseguenze della violazione che è stata realizzata.

Volendo scendere nel merito delle singole sanzioni pecuniarie previste dal GDPR, emerge anzitutto il fatto che il Regolamento, indicando due diversi massimali (€ 10.000.000 e € 20.000.000), riconosce il fatto che la violazione di alcune disposizioni sarà nettamente più grave rispetto alla violazione di altre.

In particolare, come previsto dall’art. 83, paragrafo 4, sarà soggetta all’applicazione di sanzioni amministrative pecuniarie fino ad un massimo di € 10.000.000 oppure, per le imprese, fino al 2% del fatturato mondiale totale annuo riferito all’esercizio precedente (se si tratta di un importo superiore ai 10 milioni di euro) la violazione, anzitutto, di una serie di obblighi che il Regolamento pone in capo al titolare e al responsabile del trattamento dei dati, tra cui, ad esempio:

Gli obblighi sanciti per il trattamento dei dati personali riguardanti soggetti minori di 16 anni (art. 8);

Gli obblighi previsti per il trattamento di dati senza necessaria identificazione dell’interessato (art. 11);

Gli obblighi relativi alla protezione dei dati personali fin dalla progettazione e per impostazione predefinita (ovvero il rispetto dei principi di privacy by design e privacy by default), alla tenuta dei registri delle attività di trattamento, alla cooperazione con l’autorità di controllo, nonché quelli previsti in materia di sicurezza del trattamento dei dati, di notifica delle violazioni dei dati all’autorità di controllo e all’interessato, così come gli obblighi riguardanti la valutazione d’impatto sulla protezione dei dati e la designazione del responsabile della protezione dei dati (artt. da 25 a 39);

Gli obblighi relativi ai meccanismi di certificazione della protezione dei dati (artt. 42 e 43).

Questa stessa sanzione potrà essere applicata poi, come previsto dall’art. 83, paragrafo 4, lett. b) e c), anche nel caso di violazione degli obblighi sanciti in capo all’organismo di certificazione della protezione dei dati dagli artt. 42 e 43 e degli obblighi dell’organismo di controllo per quanto concerne il monitoraggio della conformità dei codici di condotta approvati, di cui all’art. 41, paragrafo 4.

Darà luogo, invece, all’applicazione di una sanzione pecuniaria fino ad un massimo di € 20.000.000 oppure, per le imprese, fino al 4% del fatturato mondiale totale annuo riferito all’esercizio precedente (se si tratta di un importo superiore a 20 milioni di euro) la violazione di:

Principi fondamentali che stanno alla base di un legittimo trattamento dei dati personali, ossia:

In base all’art. 5, i principi di correttezza, liceità e trasparenza del trattamento, il principio di limitazione della finalità del trattamento, il principio di minimizzazione, di esattezza, di limitazione della conservazione, di integrità e riservatezza dei dati personali e, infine, di responsabilizzazione del titolare del trattamento;

Il principio di liceità del trattamento dei dati espresso dall’art. 6, in forza del quale un trattamento sarà lecito se fondato sul consenso dell’interessato, se necessario per l’esecuzione di un contratto o di misure precontrattuali di cui l’interessato sia parte, o ancora per adempiere ad un obbligo di legge da parte del titolare del trattamento o per la tutela di interessi vitali dell’interessato o di un soggetto terzo, come per l’esecuzione di un compito di interesse pubblico o connesso all’esercizio di pubblici poteri di cui è investito il titolare del trattamento, oppure per il perseguimento del legittimo interesse del titolare del trattamento o di terzi;

I principi che, in base all’art. 7, assicurano che la prestazione del consenso, da parte dell’interessato, al trattamento dei dati personali possa essere considerato legittimo; e infine

I principi a fondamento del legittimo trattamento di categorie particolari di dati personali, quali dati sensibili e dati relativi a condanne penali, come previsto dall’art. 9.

Diritti sanciti in capo ai soggetti interessati a norma degli artt. da 12 a 22 del GDPR, quali:

Il diritto di ricevere adeguate informazioni in ordine al trattamento dei propri dati personali (artt. da 12 a 14);

Il diritto di accesso (art. 15);

Il diritto di rettifica (art. 16);

Il diritto all’oblio (art. 17);

Il diritto alla limitazione del trattamento dei dati (art. 18);

Il diritto alla portabilità dei dati (art. 20);

Il diritto di opposizione al trattamento (art. 21); e, infine

Il diritto di non essere sottoposto a una decisione fondata unicamente su di un trattamento automatizzato, compresa la profilazione, e produttiva di effetti giuridici a suo carico (art. 22).

Disposizioni riguardanti il trasferimento di dati personali a un destinatario situato in un paese terzo o un’organizzazione internazionale (in base agli artt. da 44 a 49);

Obblighi sanciti dagli ordinamenti giuridici dei singoli stati membri e aventi ad oggetto specifiche situazioni di trattamento dei dati, come previsto ai sensi degli artt. da 85 a 91; e infine

Ordini o limitazioni provvisorie o definitive di trattamento stabilite dall’autorità di controllo, come previsto dall’art. 58, paragrafo 2.

Da quanto riportato emerge che, a differenza di quanto previsto dall’attuale normativa interna, il GDPR introduce delle sanzioni effettive e particolarmente elevate per far fronte alla violazione dei principi fondamentali in materia di protezione dei dati personali. Per quanto sia vero che la concreta determinazione delle sanzioni andrà stabilita in stretto rapporto al contesto ed alla gravità della violazione, non può lasciare indifferenti il fatto che da un’informativa inadeguata resa agli interessati possano derivare sanzioni di un valore pari a 2 milioni di euro. È evidente che nell’ottica del GDPR al rispetto dei principi essenziali è riconosciuta un’importanza estrema; è altrettanto evidente, però, l’enorme portata potenziale di simili previsioni normative e la massima attenzione che i titolari dovranno porre per garantirne il rispetto.

GDPR, quali sono i rischi per chi non si mette a norma

di Studio Legale Associato Fioriglio-Croari 23 Febbraio 2018, 14:00

 I rischi cui si va incontro in caso di violazione del Regolamento sono alquanto rilevanti e sottovalutare gli obblighi previsti dal GDPR potrebbe costare ben caro alle imprese inadempienti.

Eventuali violazioni delle disposizioni del Regolamento, così come una sua applicazione inesatta o parziale, comportano infatti rilevanti conseguenze, sia sul piano economico sia su quello delle attività effettuate.

Intanto, si deve partire dal presupposto che il Regolamento rafforza i diritti degli interessati e cerca di rendere più efficace gli strumenti a loro disposizione per la tutela di tali diritti nella realtà quotidiana. I titolari, da questo punto di vista, devono attenersi a principi di trasparenza e di semplificazione e rendere ogni informazione attinente ai dati personali oggetto di trattamento disponibile agli interessati, anche agevolando loro l’accesso a tali informazioni (in primo luogo, ponendo la massima attenzione ad una corretta informativa e alla corretta gestione dei dati).

Dalle maggiori garanzie e dalla efficace tutela che il GDPR vuole riconoscere ai diritti degli interessati, consegue, sul piano dei rischi concreti per i titolari, in caso di violazioni del Regolamento, innanzitutto, la possibilità che gli interessati, che ritengano di aver subito una lesione del proprio diritto alla protezione dei dati personali, facciano valere il diritto ad ottenere il risarcimento integrale dei danni subiti (ai sensi dell’art. 82 GDPR). Ciascun titolare infatti è direttamente responsabile civilmente per i pregiudizi, materiali e immateriali, causati agli interessati da un trattamento illecito o scorretto di dati personali dallo stesso effettuato.

In secondo luogo, viene in rilievo l’attività di controllo del Garante per la protezione dei dati personali e i poteri sanzionatori ad essi attribuiti. Tale Autorità, singolarmente e in sinergia con le altre Autorità interne di ciascuno Stato membro, è incaricata di vigilare sulla corretta applicazione del Regolamento e di assicurarne la piena attuazione. Per svolgere correttamente e con efficacia tali compiti, il Garante può intervenire nei confronti dei titolari e dei responsabili dei trattamenti ogni qualvolta sospetti la presenza o riscontri delle concrete violazioni della normativa. A tal fine, l’Autorità Garante è dotata, in forza del Regolamento, del potere di effettuare indagini e di quello di infliggere sanzioni, di tipo inibitorio, correttivo e pecuniario nei confronti dei titolari che abbiano posto in essere violazioni delle disposizioni del GDPR o ne abbiano applicato parzialmente o in modo inesatto la disciplina.

Si tratta di sanzioni che il GDPR pretende debbano essere sempre effettive, proporzionate e dissuasive, richiedendo pertanto a ciascuno Stato membro di valutare le soluzioni più efficaci per assicurare e garantire concretamente tale risultato.

Vero è che le sanzioni applicabili dai Garanti possono variare enormemente, passando da semplici ammonimenti, a ordini di sospensione di flussi di dati o di attività di trattamento, fino all’inflizione di sanzioni pecuniarie del valore anche di 20.000.000 di euro e pari al 4% del fatturato mondiale totale annuo dell’esercizio precedente.

La scelta delle misure appropriate da applicare caso per caso è rimessa alle Autorità di controllo con lo scopo primario di garantire, appunto, una reazione effettiva, dissuasiva e proporzionata alle violazioni effettuate dai titolari. Dovranno sicuramente avere rilevanza la natura, la gravità e la durata delle violazioni, nonché la quantità dei dati personali coinvolti, le finalità di utilizzo dei dati, il carattere intenzionale o colposo della condotta, e così via. Inoltre, ciascuno di tali elementi andrà rapportato con il particolare ambito di riferimento, ad esempio, al numero di utenti di un servizio o alla popolazione di uno Stato, oppure, ancora alla tipologia di dati trattati. È evidente, però, che alcuni interventi chiarificatori al riguardo, da parte dei legislatori interni e delle stesse Autorità Garanti, sono indispensabili per determinare come verranno realmente gestiti tali poteri sanzionatori a seconda di ciascuno specifico contesto di riferimento.

A prescindere dalle indicazioni pratiche che saranno fornite, peraltro, va considerato che su questi aspetti il GDPR prevede una disciplina molto più stringenti rispetto a quella del Codice della Privacy e che non potrà essere trascurata o elusa dalla regolamentazione di dettaglio. Si pensi, a titolo esemplificativo (approfondiremo poi in apposita sede tali aspetti), che la sanzione massima pecuniaria sopra citata può essere applicata anche in caso di violazione dei principi base del trattamento, tra cui quelli di liceità, correttezza, trasparenza, limitazione delle finalità, e quelli relativi alle condizioni per il rilascio del consenso.

GDPR, quali responsabilità hanno il titolare e il responsabile del trattamento

di Studio Legale Associato Fioriglio-Croari 14 Marzo 2018, 14:00

Come stabilito dall’art. 82, comma 1 del GDPR: “Chiunque subisca un danno materiale o immateriale causato da una violazione del presente regolamento ha il diritto di ottenere il risarcimento del danno dal titolare del trattamento o dal responsabile del trattamento”.

È previsto quindi il diritto dell’interessato (in quanto danneggiato) di ottenere il risarcimento del danno, sia patrimoniale sia non patrimoniale, nel caso in cui sia stata posta in essere una condotta, attiva o omissiva, che integri una violazione del Regolamento. E sono tenuti al risarcimento del danno sia il titolare che il responsabile del trattamento.

In particolare, il titolare del trattamento risponderà per il danno cagionato dal trattamento dei dati personali realizzato in violazione del regolamento.

Il responsabile del trattamento risponderà, invece, per il danno causato dal trattamento solo se non ha adempiuto correttamente agli obblighi sanciti nel GDPR in capo ai responsabili del trattamento, oppure se ha agito in modo difforme o contrario rispetto alle legittime istruzioni del titolare del trattamento.

È stato osservato che questa norma sembra configurare profili di responsabilità molto ristretti in capo al titolare ed al responsabile del trattamento. Questa considerazione non è tuttavia corretta se si pensa che deve essere interpretata anche alla luce del Considerando n. 146, per quanto riguarda la figura del titolare del trattamento e dell’art. 28, comma 3, per quanto riguarda invece il responsabile del trattamento.

In sostanza, in questo modo si stabilisce che il titolare sarà responsabile non solo in caso di violazione delle disposizioni del GDPR, ma anche nel caso di inosservanza delle altre disposizioni previste dalle norme attuative, dagli atti delegati, dagli atti di esecuzione del Regolamento e dalle altre disposizioni dei singoli stati membri.

Quanto al responsabile del trattamento, la sua responsabilità sembrerebbe essere circoscritta alle sole azioni od omissioni in relazione all’osservanza delle disposizioni del GDPR, nonché al rispetto delle indicazioni e delle direttive del titolare del trattamento. In realtà, il responsabile del trattamento ha anche un dovere generale, nel senso che è suo compito anche quello di avvisare il titolare del trattamento delle eventuali condotte che risultano non correttamente disciplinate dallo stesso titolare. Sarà quindi possibile configurare a suo carico una responsabilità per omessa informazione nei confronti del titolare del trattamento.

Il titolare del trattamento o il responsabile del trattamento saranno, però, esonerati dalla responsabilità se riescono a dimostrare che l’evento dannoso non è in alcun modo imputabile alla loro condotta, e quindi che il danno è scaturito da una fonte “estranea” al loro raggio d’azione, oppure se dimostrano di aver adottato tutte le misure idonee al fine di evitare il danno stesso.

Qualora più titolari o responsabili del trattamento siano coinvolti nello stesso trattamento e siano responsabili dell’eventuale danno causato per effetto del trattamento, ogni titolare o responsabile sarà responsabile in solido per l’intero ammontare del danno, al fine di garantire il risarcimento integrale del danno subito dall’interessato. L’art. 82, comma 4 prevede, a questo proposito, che “Qualora più titolari del trattamento o responsabili del trattamento oppure entrambi il titolare del trattamento e il responsabile del trattamento siano coinvolti nello stesso trattamento e siano, ai sensi dei paragrafi 2 e 3, responsabili dell’eventuale danno causato dal trattamento, ogni titolare del trattamento o responsabile del trattamento è responsabile in solido per l’intero ammontare del danno, al fine di garantire il risarcimento effettivo dell’interessato”.

Nel caso in cui, poi, un titolare o un responsabile abbia pagato l’intero risarcimento del danno, avrà il diritto di reclamare dagli altri titolari o responsabili -coinvolti nello stesso trattamento- la parte del risarcimento corrispondente alla loro parte di responsabilità.

La norma è interessante in quanto disciplina le conseguenze patrimoniali derivanti dal danno, nei rapporti interni tra titolare/i e responsabile/i del trattamento dei dati: una responsabilità che si configura “per quote”, ossia sulla base delle diverse “porzioni” di responsabilità che possono essere delineate in capo alle diverse figure coinvolte.

Questo è quanto è stabilito dall’art. 82, comma 5 che dispone: “Qualora un titolare del trattamento o un responsabile del trattamento abbia pagato, conformemente al paragrafo 4, l’intero risarcimento del danno, tale titolare del trattamento o responsabile del trattamento ha il diritto di reclamare dagli altri titolari del trattamento o responsabili del trattamento coinvolti nello stesso trattamento la parte del risarcimento corrispondente alla loro parte di responsabilità per il danno conformemente alle condizioni di cui al paragrafo 2”.

GDPR, chi è il Responsabile del trattamento

di Studio Legale Associato Fioriglio-Croari 13 Marzo 2018, 14:00

Come nel caso del titolare del trattamento, anche la figura del responsabile del trattamento -sotto il profilo delle sue caratteristiche soggettive e delle sue responsabilità- è definito dal GDPR negli stessi termini già previsti dalla Direttiva 95/46/CE e dal Codice Privacy.

In particolare, con il termine “responsabile del trattamento” il GDPR si riferisce alla “persona fisica o giuridica, l’autorità pubblica, il servizio o altro organismo che tratta dati personali per conto del titolare del trattamento” (art. 4, paragrafo 1, n. 8). Si tratta quindi di quel soggetto che è preposto e al quale viene affidato, da parte del titolare, il trattamento dei dati personali.

Per quanto riguarda i requisiti soggettivi che il responsabile del trattamento deve possedere, il GDPR prevede che si tratti di una figura in grado di fornire garanzie al fine di assicurare il pieno rispetto delle disposizioni in materia di trattamento dei dati personali, nonché di garantire la tutela dei diritti dell’interessato.

A questo proposito, come specificato dal Considerando 81, le garanzie che il responsabile del trattamento deve essere in grado di fornire si sostanziano in: una conoscenza specialistica della materia, affidabilità e possesso di risorse che permettano di attuare misure tecniche e organizzative in grado di soddisfare tutti i requisiti stabiliti dal Regolamento per il trattamento dei dati personali, anche sotto il profilo della sicurezza.

Il Responsabile del trattamento dovrà quindi avere una competenza qualificata, che potrà essere comprovata da apposita documentazione (rilasciata, ad esempio, in seguito alla frequentazione di corsi qualificati, benché non esistano attualmente particolari abilitazioni o il possesso di specifiche certificazioni). Per quanto riguarda invece il profilo dell’affidabilità, questo requisito dovrà essere fondato su aspetti etico-deontologici, che potrebbero essere dimostrati, ad esempio, con semplici autocertificazioni, anche per escludere eventuali condanne che possano essere rilevanti al riguardo.

A questo proposito, si ricorda che già il Codice della Privacy prevede, all’art. 29, comma 2, che “Se designato, il responsabile è individuato tra soggetti che per esperienza, capacità ed affidabilità forniscano idonea garanzia del pieno rispetto delle vigenti disposizioni in materia di trattamento, ivi compreso il profilo relativo alla sicurezza”.

Non si ravvisano quindi particolari novità nel GDPR, se non per il fatto che il Responsabile deve disporre di sufficienti risorse per mettere in atto le misure tecniche ed organizzative che soddisfino quanto richiesto dal Regolamento. Il Responsabile deve, pertanto, avere a disposizione sufficienti disponibilità sia economiche, sia di personale, e più in generale deve poter disporre di tutti i mezzi necessari allo svolgimento dei compiti affidati dal Titolare. Nel caso in cui il Responsabile del trattamento dei dati sia un soggetto interno all’organizzazione, sarà lo stesso Titolare del trattamento a dover fornire tali risorse; se invece il servizio viene affidato all’esterno, sarà autonomamente il Responsabile nominato a prevedere adeguate risorse per lo svolgimento dell’incarico nel rispetto del GDPR.

Il Responsabile del trattamento dei dati potrebbe, come anticipato, essere tanto una figura interna all’azienda, quanto esterna. A questo proposito, il Garante della Privacy, alla luce della disciplina interna aveva precisato che: “è necessario precisare chi svolgerà l’eventuale ruolo di “responsabile del trattamento”. Conseguentemente, l’Amministrazione deve decidere se prevedere tale figura ed attribuirne la responsabilità o alla struttura esterna cui è affidata l’attività in concessione, oppure ad un dipendente di quest’ultima, o a un proprio ufficio o dipendente dell’Amministrazione stessa (quest’ultima opzione presuppone che l’ufficio o il funzionario pubblico abbiano poteri effettivi di ingerenza sulle attività e sull’organizzazione dell’impresa concessionaria: cosa, in realtà, poco frequente). In concreto, la nomina del responsabile, che deve essere effettuata in forma scritta, potrebbe essere inserita in un apposito articolo della convenzione, oppure essere oggetto di un distinto provvedimento amministrativo o atto di diritto privato”.

In realtà, altri Stati membri hanno sempre individuato questo ruolo come spettante a soggetti esterni rispetto al titolare del trattamento e l’assenza di specificazioni all’interno del GDPR sta dando luogo ad alcune divergenti interpretazioni al riguardo. D’altra parte, in assenza di ulteriori precisazioni, è opportuno ritenere che rimanga valida la facoltà di scelta, come fino ad oggi prevista dal nostro ordinamento.

Il Responsabile del trattamento è obbligato, in forza del contratto stipulato con il titolare, a:

  1. trattare i dati personali solo sulla base di un’istruzione documentata del titolare del trattamento, anche nel caso di trasferimento di dati personali verso un paese terzo o un’organizzazione internazionale a meno che lo richieda il diritto dell’Unione Europea o nazionale cui è soggetto il responsabile del trattamento. In quest’ultimo caso, il responsabile del trattamento dovrà informare il titolare dell’esistenza di un tale obbligo giuridico prima del trattamento, a meno che ciò sia giuridicamente vietato per rilevanti motivi di interesse pubblico;
  2. garantire che le persone autorizzate al trattamento dei dati personali si siano impegnate alla riservatezza o abbiano un adeguato obbligo legale di riservatezza;
  3. adottare tutte le misure richieste dall’art. 32 GDPR, ovvero le misure tecniche e organizzative necessarie al fine di garantire un livello di sicurezza adeguato al rischio (ad esempio, la pseudomizzazione dei dati o la cifratura)
  4. rispettare tutte le condizioni previste per l’eventuale nomina di un sub-responsabile;
  5. assistere il titolare del trattamento con misure tecniche e organizzative adeguate, e tenuto conto della natura del trattamento, al fine di soddisfare l’obbligo di dare seguito alle richieste per l’esercizio dei diritti dell’interessato (quali il diritto di accesso ai dati personali, il diritto di rettifica, il diritto all’oblio, il diritto alla limitazione del trattamento, il diritto alla portabilità dei dati, il diritto di opposizione);
  6. assistere il titolare del trattamento nel garantire il rispetto degli obblighi in materia di tutela della sicurezza dei dati, tenendo conto della natura del trattamento e delle informazioni a disposizione del responsabile del trattamento;
  7. cancellare o restituire tutti i dati personali dopo che è terminata la prestazione dei servizi relativi al trattamento (su indicazione del titolare del trattamento), nonché cancellarne le eventuali copie esistenti; e infine
  8. mettere a disposizione del titolare del trattamento tutte le informazioni necessarie per dimostrare il rispetto dei suoi obblighi, nonché contribuire alle attività di revisione, comprese le ispezioni, realizzate dal titolare del trattamento o da un altro soggetto da lui incaricato. Il responsabile deve, inoltre, informare immediatamente il titolare del trattamento ritenga che un’istruzione violi il Regolamento o altre disposizioni nazionali o di diritto europeo relative alla protezione dei dati.

Anche in capo al Responsabile del trattamento il GDPR pone l’obbligo di tenere il registro dei trattamenti svolti per conto del titolare del trattamento, nel quale vanno riportate dettagliatamente una serie di indicazioni relative ai trattamenti di dati effettuati.

Chi deve nominare il Responsabile del trattamento e quando

Il Responsabile del trattamento è nominato, come previsto dall’art. 28, comma 3 del GDPR, dal Titolare del trattamento attraverso un contratto di nomina (o altro atto giuridico idoneo a norma del diritto dell’Unione Europea o degli Stati membri) che dovrà essere redatto in forma scritta, anche in formato elettronico, e dovrà disciplinare i seguenti elementi:

  1. oggetto, durata, natura e finalità del trattamento;
  2. le categorie di soggetti interessati e il tipo di dati personali oggetto del trattamento;
  3. gli obblighi e i diritti del titolare del trattamento.

Come precisato nel Parere n. 01/2010 del “Gruppo di lavoro ex art. 29”, la nomina di un Responsabile del trattamento dei dati dipende da una decisione presa direttamente dal Titolare del trattamento. Questi può infatti decidere di trattare i dati all’interno della propria organizzazione, oppure delegare tutte o una parte delle attività di trattamento a un soggetto esterno.

Per poter agire come Responsabile del trattamento occorrono quindi due requisiti: da un lato, essere un soggetto distinto dal Titolare del trattamento e, dall’altro lato, la capacità di elaborare i dati personali per conto di quest’ultimo. Questa attività di trattamento può essere limitata a un compito o a un contesto molto specifico, oppure può lasciare al responsabile un certo margine di discrezionalità sul modo di servire gli interessi del Titolare del trattamento, permettendogli, ad esempio, di scegliere autonomamente i mezzi tecnici e organizzativi più adeguati.

Si ricorda, inoltre, che, come previsto per il titolare (sul punto si veda l’articolo dedicato all’argomento) anche il responsabile non stabilito nell’Unione Europea dovrà designare un suo rappresentante all’interno di uno degli Stati membri. L’art. 27, paragrafo 3 del GDPR si applica infatti nel caso in cui il Titolare o il Responsabile del trattamento siano stabiliti in territorio extraeuropeo.

Anche per il responsabile, peraltro, l’individuazione di un rappresentante situato nel territorio europeo viene meno in alcune ipotesi particolari, che non richiedono livelli così elevati di tutela. In particolare, ciò si verifica quando: il trattamento è occasionale, non coinvolge dati “sensibili” (ad esempio dati personali che rivelano l’origine razziale o etnica, le opinioni politiche, le convinzioni religiose o filosofiche, o l’appartenenza sindacale, dati genetici, biometrici o relativi allo stato di salute o all’orientamento sessuale della persona), o dati personali relativi a condanne penali o a reati consistenti nell’illiceità del trattamento dei dati, ed è improbabile che comporti un rischio per i diritti e le libertà delle persone in considerazione della natura, del contesto, dell’ambito di applicazione e delle finalità del trattamento stesso; oppure quando il titolare del trattamento è un’autorità pubblica o comunque un organismo pubblico.

Se presente, comunque, il rappresentante del Responsabile del trattamento stabilito in un paese extra-europeo dovrà essere stabilito in uno degli Stati membri in cui si trovano i soggetti interessati i cui dati personali sono trattati nel contesto di un’offerta di beni o servizi o il cui comportamento è monitorato.

Per agevolare la comunicazione con i soggetti interessati e con le autorità è poi previsto che il rappresentante possa porsi quale interlocutore nei rapporti con le autorità di controllo nazionali e anche con gli interessati per tutte le questioni relative al trattamento dei dati personali.

Una novità importante rispetto alla disciplina del Codice della Privacy è quella che riguarda la possibilità per il Responsabile di nominare dei sub-responsabili del trattamento per l’esecuzione di specifiche attività di trattamento per conto del titolare.

A questo proposito, è previsto che il Responsabile del trattamento possa ricorrere ad un altro responsabile solo previa autorizzazione scritta (che può essere, però, sia specifica che generale) del Titolare del trattamento. L’eventuale nomina di uno o più sub-responsabili del trattamento (attraverso un contratto o altro atto giuridico previsto a norma del diritto dell’Unione europea o dei singoli stati membri) dovrà avvenire nel rispetto degli stessi obblighi in materia di protezione dei dati sanciti in capo al Responsabile “primario” del trattamento. In particolare, dovranno essere previste sufficienti garanzie che consentano di attuare le misure tecniche e organizzative più adeguate al fine di soddisfare i requisiti previsti dal Regolamento.

Il Responsabile del trattamento, nel caso in cui vi sia un’autorizzazione scritta generale da parte del titolare, dovrà sempre informare quest’ultimo di eventuali modifiche relative all’aggiunta o alla sostituzione degli eventuali sub-responsabili, dandogli in questo modo l’opportunità di opporsi alle modifiche. Tale comunicazione è importante per lo stesso responsabile che intende nominare altri soggetti, in quanto è sempre il Responsabile “primario” che risponde dinanzi al Titolare dell’eventuale inadempimento del sub-responsabile, anche ai fini del risarcimento di eventuali danni causati dal trattamento, a meno che riesca a dimostrare che l’evento dannoso “non gli è in alcun modo imputabile”.

GDPR, procedure obbligatorie e quando applicare i nuovi istituti

di Studio Legale Associato Fioriglio-Croari 26 Marzo 2018, 14:00

 Il GDPR introduce una serie di obblighi, che derivano essenzialmente dal più generale principio di responsabilizzazione (accountability) posto a fondamento della struttura del Regolamento europeo.

In particolare, come si è avuto modo di precisare in più occasioni in questo Speciale di approfondimento, il titolare e il responsabile del trattamento sono sotto diversi aspetti incentivati ad adottare una serie di provvedimenti finalizzati a dare concreta ottemperanza alle disposizioni del GDPR.

Si ricorda infatti che l’approccio che viene incoraggiato dal nuovo Regolamento europeo è focalizzato principalmente sulla concreta protezione dei dati ed è fondato su una valutazione preliminare del rischio (si parla per questo di sistema risk-based) a una volta basata su un’opportuna considerazione della natura, della portata, del contesto e delle finalità del trattamento, sulla probabilità e sulla gravità dei rischi per i diritti e libertà degli utenti. In relazione a tale complessa e globale valutazione si determinerà poi la misura della eventuale responsabilità del titolare e del responsabile del trattamento.

Un approccio incentrato sul rischio ha sicuramente, da un lato, il vantaggio di pretendere l’ottemperanza di una serie di obblighi più generali che possono andare al di là di una mera e superficiale conformità al dettato normativo.

Dall’altro lato, si tratta sicuramente di un sistema che si presta ad una maggiore flessibilità ed elasticità, essendo in grado di adattarsi al mutamento delle esigenze e degli strumenti tecnologici. Infine, non di può ignorare che il fatto che un simile approccio deleghi sostanzialmente ai titolari ogni valutazione, si presenta come un’arma a doppio taglio: maggiore libertà di scelta, ma maggiore impegno da parte dei titolari e più difficile contestare eventuali provvedimenti sanzionatori da parte del Garante.

In conseguenza di ciò, per poter essere in linea con le prescrizioni e gli obblighi sanciti dal GDPR, è necessario che le aziende realizzino una revisione completa dei dati e delle informazioni che raccolgono e che gestiscono, verificando anche quelle che sono le basi normative a giustificazione di tali trattamenti nonché le conseguenze che il trattamento dei dati effettuato può comportare per gli interessati.

Tra gli adempimenti che dovranno quindi essere realizzati troviamo:

la verifica dei dati che saranno oggetto di trattamento, con identificazione delle varie tipologie di dati e delle categorie di appartenenza e la verifica della finalità di ogni trattamento e della base giuridica sul quale ciascuno di essi si fonda, anche al fine di rendere adeguata informativa ai soggetti interessati, come previsto dagli artt. 13 e 14 del GDPR;

la predisposizione dell’informativa (o il suo aggiornamento) che deve essere fornita agli interessati nel rispetto di tutti gli elementi indicati agli artt. 13 e 14 del GDPR, in particolare gli interessati dovranno essere messi a conoscenza dei diritti che il Regolamento riconosce loro (diritto di accesso, diritto all’oblio, diritto di rettifica, diritto di limitazione e di opposizione al trattamento, diritto alla portabilità dei dati – sul punto si vedano le apposite sezioni dedicate dello Speciale);

la predisposizione del registro delle attività di trattamento dei dati personali, qualora esso risulti necessario in base al disposto dell’art. 30 del GDPR, ossia nel caso in cui l’impresa o l’organizzazione che effettua il trattamento dei dati abbia più di 250 dipendenti. Tale registro dovrà, del resto, essere redatto anche nel caso in cui l’impresa od organizzazione abbia meno di 250 dipendenti, ma ponga in essere un trattamento dei dati che presenta un potenziale rischio per i diritti e libertà degli interessati;

l’instaurazione di una procedura da adottare in caso di eventuali violazioni dei dati (c.d. Data Breach), ad esempio al verificarsi di una divulgazione (intenzionale o meno), della distruzione, della perdita, della modifica o dell’accesso non autorizzato ai dati personali oggetto di trattamento. Il GDPR prevede infatti degli specifici adempimenti nel caso in cui si verifichi una violazione di tal genere, a causa di un attacco informatico, di un accesso abusivo o di un incidente. In questi casi il GDPR impone, come previsto dall’art. 33, in capo al titolare del trattamento l’obbligo di comunicare all’autorità di controllo l’avvenuta violazione entro 72 ore (o comunque senza ritardo). Nel caso in cui la violazione verificatasi faccia presumere che vi sia anche un elevato e attuale pericolo per i diritti e le libertà degli interessati, anche questi ultimi dovranno essere direttamente informati senza ritardo di quanto successo.

inoltre, come previsto poi dall’art. 35 del GDPR, si configura, in capo al titolare del trattamento (e con la possibilità di consultare il Responsabile della protezione dei dati se presente), l’obbligo di procedere ad una valutazione d’impatto sulla protezione dei dati nel caso in cui un tipo di trattamento, anche in considerazione della natura, dell’oggetto, del contesto e delle finalità del trattamento stesso, presenti un rischio elevato per i diritti e le libertà delle persone fisiche. Del resto, il GDPR non sancisce un vero e proprio obbligo di svolgimento della valutazione d’impatto, ma si ricorda che il regolamento prevede un generale obbligo, in capo al titolare del trattamento, di attuare le misure idonee al fine di gestire adeguatamente i rischi per i diritti e le libertà degli interessati che possono derivare dal trattamento dei loro dati. Sarà quindi opportuno procedere all’effettuazione della valutazione d’impatto anche quando sul titolare non incombe l’obbligo normativo in tale senso.

un altro adempimento che viene richiesto al titolare del trattamento consiste nella designazione del Responsabile della protezione dei dati (per un approfondimento su tale sfigura vi invitiamo a leggere l’articolo ad esso dedicato del presente Speciale). Tale nomina è, come previsto dall’art. 37 del GDPR, obbligatoria soltanto in una serie di ipotesi, in particolare, nel caso in cui il trattamento dei dati sia effettuato da un’autorità pubblica o da un organismo pubblico (ad eccezione per le autorità giurisdizionali quando esercitano le loro funzioni); quando le attività principali svolte del titolare o del responsabile del trattamento consistono in operazioni che, per la loro natura, l’ambito di applicazione o le finalità, richiedono un monitoraggio regolare e sistematico degli interessati su larga scala; e infine nel caso in cui le attività principali effettuate consistano nel trattamento, su larga scala, di dati sensibili o di dati relativi a condanne penali e a reati consistenti nell’illecito trattamento dei dati personali.

In tutti i restanti casi, quando il regolamento non impone specificamente la nomina di un DPO, questa figura potrà comunque essere designata dal titolare o dal responsabile del trattamento su base volontaria.

GDPR, come mettersi a norma e scadenze

di Studio Legale Associato Fioriglio-Croari 22 Febbraio 2018, 14:00

 La tutela offerta dal Regolamento riguarda tutte le informazioni relative alle persone fisiche identificate o identificabili che si trovano nel territorio europeo, mentre non tocca i trattamenti di informazioni relative alle persone decedute né alle persone giuridiche.

Restano, inoltre, esclusi dalla disciplina prevista dal Regolamento i trattamenti di dati effettuati in forma anonima, anche se svolti per scopi statistici o di ricerca.

A tale riguardo, il GDPR precisa che i principi di protezione dei dati personali così introdotti non riguardano nemmeno quei “dati personali resi sufficientemente anonimi da impedire o da non consentire più l’identificazione dell’interessato” (Considerando n. 26). In tal senso, va quindi attribuito particolare rilievo alla pseudo minimizzazione dei dati, alla quale i titolari vengono invitati a fare ricorso ove possibile, quale generale forma precauzionale.

Tale procedura (elencata tra le misure di sicurezza dall’art. 32 del GDPR) è definita dal Regolamento come quella modalità di trattamento con la quale “i dati personali non possano più essere attribuiti a un interessato specifico senza l’utilizzo di informazioni aggiuntive, a condizione che tali informazioni aggiuntive siano conservate separatamente e soggette a misure tecniche e organizzative intese a garantire che tali dati personali non siano attribuiti a una persona fisica identificata o identificabile”. Essa permette quindi di ridurre il rischio di pregiudizi per i diritti degli interessati e, al tempo stesso, di favorire il rispetto della normativa limitandolo a quelle attività aziendali che riguardano informazioni relative a persone fisiche identificate o identificabili.

D’altra parte, non può essere sottovalutata la portata del concetto di “identificabilità” di una persona fisica: in tal senso, infatti, vanno considerati tutti i mezzi di cui i terzi potrebbero avvalersi per identificare, anche indirettamente, una persona, valutando complessivamente una serie di elementi oggettivi, come i costi, il tempo e le tecnologie disponibili per l’identificazione. Ciò, oltre alla puntualizzazione che il Regolamento afferma espressamente che l’utilizzo della pseudo minimizzazione non può escludere a priori la necessità di adottare particolari misure di sicurezza. Nemmeno va tralasciata l’importanza dei numerosi rimandi che il GDPR fa alla legislazione nazionale e alla introduzione da parte dei singoli Stati di regole di dettaglio. È esemplificativa, al riguardo, la formulazione delle disposizioni di cui alla Sezione IX, dedicata a specifiche situazioni di trattamento: per disciplinare alcune circostanze particolari, infatti, si fa esplicitamente rinvio a quanto verrà previsto dagli Stati membri, in rapporto, tra gli altri, a trattamenti effettuati a scopi giornalistici o di espressione accademica, artistica o letteraria (art. 85 GDPR) oppure all’utilizzo di dati personali dei dipendenti nell’ambito dei rapporti di lavoro, ad esempio, per finalità di assunzione (art. 88 GDPR).

Peraltro, nonostante l’autonomia riconosciuta ai legislatori nazionali in queste ipotesi, nell’ottica di uniformità di disciplina che contraddistingue il GDPR, i singoli Stati saranno tenuti sempre a coordinarsi tra loro. Al riguardo, per il momento, non resta che attendere gli interventi dei legislatori nazionali e le eventuali indicazioni delle Autorità Garanti.

In generale, poi, si deve partire dall’idea che l’approccio corretto alla nuova disciplina è di tipo preventivo. Vale a dire che, prima di porre in essere qualsiasi attività di trattamento di dati personali, i titolari devono:

  • analizzare le singole operazioni che andranno ad effettuare;
  • valutare i rischi specifici che esse comportano per la privacy;
  • eseguire tutti gli adempimenti richiesti dalla normativa europea e nazionale;
  • predisporre tutte le misure di tutela necessarie per garantire un livello di sicurezza adeguato al rischio.

La protezione dei dati personali deve, quindi, essere attuata in via anticipata rispetto ad ogni attività di trattamento che sarà o che potrebbe essere svolta. Il GDPR richiede, infatti, ai titolari del trattamento un’attenta analisi progettuale che dovrà tenere conto, complessivamente, di tutti gli elementi coinvolti e che dovrà fondarsi, necessariamente, su una conoscenza specifica del settore di competenza.

 

Non sarà possibile, in altre parole, applicare correttamente la disciplina normativa in oggetto, se non si sarà in grado di distinguere e descrivere analiticamente tutte le caratteristiche dei trattamenti effettuati e dei dati che ne sono oggetto in riferimento ad ogni specifica attività.

Per tale motivo, i titolari dovranno sforzarsi di procedere con ordine e in stretto rapporto al contesto di riferimento, non fermandosi all’applicazione aprioristica delle più comuni misure di sicurezza (che potrebbero risultare inadeguate e/o inappropriate rispetto ai reali trattamenti effettuati).

GDPR: cosa cambia per gli hotel e le strutture ricettive (seconda parte)

GDPR: cosa fare se gestisci un hotel o una struttura ricettiva

Cosa cambia per un hotel o un qualsiasi tipo di struttura ricettiva con il GDPR 2018? Ecco 4 cose da fare subito per adeguarti al nuovo regolamento ed evitare sanzioni. Gli interventi da adottare cambiano a seconda del tipo e della quantità di dati che raccogli. Per farti un esempio: non tutte le strutture ricettive hanno un sistema di videosorveglianza. Più informazioni e tecnologie utilizzi, più sarà complessa la loro gestione.

 

  1. Dai al cliente il modo di esprimere il suo consenso

Ogni cliente che ti invia i dati personali deve avere la possibilità di darti il consenso esplicitamente, deve capire come verranno usati i suoi dati ed essere attivo nel darti il consenso. Ad esempio, nel caso del form di iscrizione alla newsletter della tua struttura ricettiva deve poter spuntare la casella appositamente, non trovarla già selezionata. È una tua responsabilità utilizzare un linguaggio chiaro e comprensibile a tutti.

 

  1. Richiedi l’autorizzazione all’uso dei cookie

Informa l’utente che utilizzi cookie che raccolgono dati non in forma anonima ma personale (come le e-mail, i numeri di telefono, etc.) Probabilmente sul tuo sito già compare la barra sui cookie. In caso contrario, inseriscila.

 

  1. Scrivi un’informativa dettagliata sulla privacy

Sul tuo sito deve essere presente un’informativa dettagliata sulla privacy. Spiega bene nel documento quali dati raccogli, perché e come. Includi tutte queste informazioni: quelle che l’utente invia spontaneamente, quelle memorizzate dai cookie e quelle raccolte da altre tecnologie utilizzate. Devi indicare il periodo di conservazione dei dati e i criteri in base ai quali hai stabilito questo periodo di tempo.

 

  1. Identifica il data controller e il data processor

Per ogni dato raccolto deve essere chiaro chi è il data controller e il data processor. Per quanto riguarda il DPO (Data Protection Officer) non deve essere necessariamente interno (come per enti pubblici, attività che trattano dati giudiziari o operano su larga scala). Nel caso degli hotel e delle strutture ricettive, può essere una professionista esterno, un’associazione, un ufficio. Il DPO deve avere competenze informatiche, sulla sicurezza e la normativa europea per la protezione dei dati. Inoltre deve conoscere il settore e il modo in cui opera il titolare del trattamento.

 

Infine, un suggerimento. Se gestisci una piccola struttura ricettiva, questi 4 semplici accorgimenti dovrebbero bastare a proteggerti da eventuali sanzioni. Ma se hai un hotel o sei un property manager con decine di case vacanza, richiedi una consulenza a un professionista specializzato in privacy.

 

Dal 25 maggio la comunicazione di aziende e professionisti in Italia e in Europa cambierà totalmente con l’entrata in vigore del GDPR – General Data Protection Regulation, cioè l’aggiornamento della normativa sulla Privacy che prevede multe salate per chi non la rispetterà.

 

Il cambiamento riguarda sia le aziende sia i professionisti che si promuovono online, ma anche il consumatore finale che lascia i propri dati per ricevere un servizio.

 

Premetto di non essere un “tecnico” tanto meno un legale e non è mia intenzione dispensare consigli, visto che la normativa per certi aspetti è ancora poco chiara. Tuttavia, di seguito ho raccolto alcune informazioni sul Regolamento che credo aiutino a chiarire cos’è e come muovere i primi passi per mettersi in regola.

 

 COS’È LA GDPR E CHI RIGUARDA

Il Regolamento Privacy Europeo è un aggiornamento dell’attuale vigente decreto legislativo 196/2003 “Il Codice Privacy”, redatto prima dell’avvento di Internet e quindi obsoleto.

 

Riguarda i dati sensibili delle persone come nome, cognome, età, sesso ma anche email, numero di telefono e simili, che in ambito digitale hanno un valore altissimo, in quanto considerati “moneta di scambio” per accedere a prodotti e servizi.

Il Regolamento si integra con la norma Cookie law introdotta alcuni anni fa.

 

Il GDPR riguarda le persone fisiche e non le aziende, ma non c’è distinzione tra B2B e B2C. Nel momento in cui la nostra attività richiede di raccogliere una o più di queste informazioni ne diventiamo titolari e quindi responsabili.

 

GDPR PRINCIPI FONDAMENTALI INTRODOTTI

privacy by design, cioè il sistema di trattamento dei dati deve essere concepito sia a livello strutturale sia a livello concettuale alla base (by default) del progetto che si vuole mettere online. Dovrà quindi essere strutturato per prevenire e non per correggere eventuali falle nella riservatezza e protezione dei dati, potendo adottare liberamente le misure tecnologiche per farlo.

accountability, indica che l’intera responsabilità del dato ricade su chi lo richiede che pertanto dovrà progettare il sistema di trattamento in modo da garantire la conservazione dei dati, evitandone perdite, furti e altro.

 

GDPR FIGURE PRINCIPALI INTRODOTTE:

titolare del dato, colui che richiede i dati

DPO – Data Protection Officer, colui che sovraintende il trattamento nel rispetto delle normative

incaricato, colui o coloro che “metteranno le mani” sul database.

 

TRATTAMENTO DEL CONSENSO

Rispetto ad oggi, quando andiamo a chiedere questi dati concernenti la privacy delle persone tramite form online, dobbiamo fornire:

  • consenso informato
  • specifico
  • libero
  • revocabile
  • documentato per iscritto.
  • Vediamo uno alla volta questi aspetti.

 

La richiesta del consenso è obbligatoria per poter trattare i dati e deve essere espressa, dichiarata e non sottintesa. Quindi non solo andranno chiariti gli scopi della raccolta, consenso informato appunto, ma non saranno validi check box già spuntati nel caso in cui ci fossero più finalità.

In effetti, il consenso deve essere anche specifico, cioè non allargato ad altri consensi ma presentare una finalità alla volta.

 

Specifico che l’invio di DEM, quindi di comunicazione di marketing diretto è già legiferata dalle norme antispam per cui non è possibile inviare messaggi pubblicitari a chi non ne ha fatto richiesta.

 

Il consenso deve essere revocabile quindi l’iscritto non solo deve essere in grado di potersi cancellare ma, addirittura, di poter cancellare i propri dati in modo definitivo ricorrendo al diritto all’oblio in presenza di motivazioni “forti”. Anche se per motivi di legge, ad esempio amministrativi, sarà possibile continuare a gestire il dato fino all’estinzione dell’obbligo che ne vietava la cancellazione.

 

Il GDPR prevede che l’utente possa procedere alla consultazione e/o alla cancellazione del dato. Non è previsto però un obbligo di accesso diretto a queste informazioni. Tuttavia, il titolare non dovrà disattendere la richiesta dell’interessato e quindi dovrà munirsi di strumenti atti ad accoglierla.

 

Il consenso deve essere documentato, cioè il titolare deve essere in grado di provare che ha raccolto il consenso attraverso la tecnologia quindi, ove possibile, fornendo tramite un supporto digitale la chiamata al server con il consenso. In ogni caso, deve essere fornito in una forma leggibile e organizzata.

 

CHI È ESONERATO DAL CHIEDERE IL CONSENSO

Sono esonerati da queste procedure i titolari che trattano i dati ai fini del “legittimo interesse“. Ad esempio, per il normale svolgimento di attività di lavoro per cui devo comunicare con dipendenti, clienti e fornitori o nel caso in cui si debba emettere fatturazione o stipulare un contratto. In questo caso, i titolari sono esonerati dalla richiesta del consenso esplicito.

Ovviamente le comunicazioni commerciali, anche se saltuarie, non rientrano mai nel legittimo interesse. Di conseguenza è necessario ottenere il consenso per inviarle.

 

DIRITTI DEL TITOLARE

La modifica alla Privacy prevede il diritto di portabilità quindi se cambiamo piattaforma siamo autorizzati a trasferire i dati da un gestore a un altro e continuarne l’uso.

 

Il GDPR consente, ad esempio alle aziende, di assegnare il ruolo del responsabile (DPO – Data Protection Officer) anche a una persona fisica o giuridica. La scelta non è vincolante e può ricadere anche su un individuo esterno all’azienda.

 

ONERI IN BREVE

in tutti i casi di raccolta dati va chiesto il consenso, il consenso va documentato indipendentemente dai fini del trattamento dei dati, non vanno bene caselle precompilate, non vanno bene consensi poco chiari, non si devono chiedere più dati del necessario.

Tra i vari oneri, rientra il dovere di dichiarare eventuali fughe di dati. La notifica va fatta entro le 72 ore dalla violazione del database.

 

 DA DOVE PARTIRE

Un buon punto per iniziare a mettersi in regola con il GDPR è rediggere il documento di attestato di rischio del proprio sistema. Il Risk Assessment dovrà definire che tipo di dati trattiamo, per quanto tempo, con quale finalità, con quali mezzi (elettronici o cartacei) e altro. In base a quanto raccolto, si stabiliscono le misure di sicurezza da adottare.

 

LINEE GUIDA DEL GDPR PER ESSERE COMPLIANT

Posso dimostrare di essere in grado di gestire la privacy in modo adeguato utilizzando i dati anonimi e tramite la criptografia del database con la possibilità di risalire al dato, in modo da non essere soggetto a eventuali fughe di dati o furti. Inoltre, l’uso della criptografia eviterebbe l’obbligo di notifica di violazione.

 

Un altro modo è tenere il Registro delle attività del trattamento, obbligatorio per realtà aziendali superiori ai duecentocinquanta dipendenti e gli enti pubblici, ma anche per professionisti e PMI che trattano i dati in modo continuativo.

 

Ovvero, se conservi i dati dei tuoi clienti per analisi statistiche e/o per fatturare, sei tenuto ad avere un Registro del Trattamento, cioè un giornale fisico o virtuale dove annotare il tipo di dati raccolti, le finalità e, se comunicati a terzi parti, la loro destinazione.

 

 

 

GDPR SE SEI UN BLOGGER

Se fai blogging e tramite il tuo blog o sito fai raccolta di email per la newsletter il regolamento prevede che tu rispetti le stesse norme delle aziende anche se probabilmente non avrai bisogno di eleggere un DPO, che è facoltativo, né di iscriverti al registro del trattamento. Ma dovrai fornire la possibilità alle persone di accedere ai dati e cancellarsi secondo i punti descritti nel Trattamento del consenso.

 

GDPR SE SEI UN’AGENZIA WEB

Nel caso di una web agency o professionista che gestisce il sito di un cliente, l’ente esterno è quello che tratta i dati. Quindi anche in questo caso il cliente resta il titolare del trattamento ma dovrà formalizzare tramite un contratto la modalità del trattamento dei dati. Il contratto di fornitura incarica il responsabile esterno, cioè l’agenzia web, del trattamento delimitando i confini di responsabilità e/o inserendo delle manleve.

 

CONCLUSIONI

In generale, credo che la GDPR sarà un’occasione per fare pulizia dei database e per rendere più chiari i messaggi sulle finalità del trattamento dei dati. Immagino che ulteriori chiarimenti sulla corretta gestione e le responsabilità dei diversi ruoli arriveranno nelle prossime settimane.

 

Tuttavia, molte piattaforme di email marketing hanno già iniziato a rilasciare il “pacchetto GDPR“, utile per mettersi in regola in tempo, come ad esempio MailChimp una delle prime a dare indicazioni precise su cosa fare.

 

E’ chiaro che per ottenere la fiducia e le preziose informazioni dai consumatori, le aziende e i professionisti devono mostrarsi generosi e disponibili. Offrire supporto, risposte in tempo reale e un’esperienza piacevole. Ed in questo rientra anche la possibilità di conoscere, modificare e cancellare i dati in modo agevole da parte degli utenti.

 

Ho parlato di come recuperare il consenso di parte dei nostri contatti in questo articolo mentre in questo video spiego come ripulire quelli non più attivi nel caso in cui usi MailChimp come piattaforma di email marketing.

 

GDPR: cosa cambia per gli hotel e le strutture ricettive (prima parte)

GDPR: cosa cambia per gli hotel e le strutture ricettive dal 25 maggio 2018? Non passare oltre e leggi l’articolo, perché questa novità abbastanza noiosa coinvolge anche te, certamente più a tuo agio a occuparti di camere, colazioni e prenotazioni alberghiere.

Affinché ti riguardi, basta che tu abbia archiviato i dati anagrafici anche di un solo cliente, attraverso un qualsiasi software. Non spaventarti! Ma dovrai intervenire sulla tecnologia che utilizzi ed eventualmente fare delle modifiche legali e organizzative.

Continua a leggere per capire meglio cosa significa GDPR. A fine articolo trovi 4 cose da fare subito per adeguarti alla novità ed evitare le sanzioni.

GDPR significa General Data Protection Regulation, di cui è l’acronimo. Il GDPR è il regolamento europeo sulla privacy e stabilisce in che modo gli enti pubblici e le attività commerciali, compresi hotel e strutture ricettive, devono utilizzare:

  1. i dati sensibili delle persone (nome, cognome, indirizzo, ecc.)
  2. gli indirizzi IP
  3. i cookie

Perché abbiamo pubblicato proprio ora questa news su un argomento così impegnativo, soprattutto per chi non ama il linguaggio giuridico? Perché il GDPR, esattamente il Regolamento UE 679/2016 (puoi scaricare qua il pdf in italiano del GDPR), entrerà in vigore il 25 maggio 2018. Entro questa data la tua attività dovrà essere in regola con le nuove norme. Con una complicazione: il regolamento riguarda anche i dati raccolti ed elaborati prima di maggio 2018.

GDPR cosa cambia

Fino ad oggi la tutela della privacy e il trattamento dei dati degli italiani erano regolamentati dal D.lgs 196/2003. Dal 25 maggio 2018 il regolamento europeo sulla privacy prevarrà sul codice italiano in materia di protezione dei dati personali. Come sempre accade in ambito giuridico, sicuramente il legislatore italiano e gli organi competenti dovranno intervenire nei prossimi mesi per fornire dei chiarimenti. Dubbi e incompatibilità sono inevitabili nel passaggio da una legge italiana a una europea.

Novità e principi del GDPR 2018

Vediamo le novità più importanti del regolamento europeo sulla privacy, senza entrare nel dettaglio dei tecnicismi giuridici. Se può consolarti: non cambierà proprio tutto. Alcune norme sono invariate, altre sono state modificate. Ma ci sono anche delle novità assolute e quindi degli obblighi che non puoi ignorare per evitare le sanzioni.

Diritto all’oblio

La persona interessata avrà il diritto di chiedere all’attività commerciale la cancellazione dei dati personali. L’attività dovrà eliminarli se esiste almeno uno dei seguenti motivi, come si legge nell’art. 17:

“i dati personali non sono più necessari rispetto alle finalità per le quali sono stati raccolti o altrimenti trattati;

l’interessato revoca il consenso e se non sussiste altro fondamento giuridico per il trattamento;

l’interessato si oppone al trattamento e non sussiste alcun motivo legittimo prevalente per procedere al trattamento;

i dati personali sono stati trattati illecitamente;

le informazioni personali devono essere cancellate per adempiere un obbligo legale previsto dal diritto dell’Unione o dello Stato membro cui è soggetto il titolare del trattamento;

i dati personali sono stati raccolti relativamente all’offerta di servizi della società dell’informazione.”

Data controller e data processor

 

Il GDPR 2018 introduce due figure, Data Controller e Data Processor, che in realtà esistono già nel Codice della Privacy italiano:

il Data Controller è il titolare del trattamento dei dati, ovvero qualunque organizzazione in possesso dei dai personali dei cittadini europei;

il Data Processor è il responsabile del trattamento dei dati, ovvero l’organizzazione che tratta i dati per conto del titolare.

A questi bisogna aggiungere il DPO, data protection officer, il responsabile della protezione dei dati.

La notifica della violazione dei dati

Il regolamento europeo stabilisce che in caso di violazione nella procedura di sicurezza che comporti un pericolo per la libertà o i diritti dei cittadini, il titolare del trattamento ha 72 ore per avvisare l’Autorità di Controllo.

Il registro dei trattamenti

Il registro non è sempre obbligatorio, ma è preferibile adottarlo. Al suo interno devono essere descritti i trattamenti effettuati e le procedure di sicurezza messe in atto.

I principi del GDPR privacy

Il regolamento europeo sulla privacy si basa su alcuni principi. Conoscerne i principali, può aiutarti a capire meglio come gestire i dati dei tuoi clienti.

Responsabilizzazione. La nuova norma europea responsabilizza le attività in materia di trattamento dei dati. Abbiamo appena visto che il GDPR introduce due figure. Entrambe devono seguire le norme e sono soggette a sanzioni. Pertanto non puoi scaricare la responsabilità sul titolare del tuo booking engine.

Extraterritorialità. Il GDPR protegge la privacy dei cittadini europei e vincola qualsiasi attività che tratta o gestisce queste informazioni. Spostare i dati fuori dall’UE non è quindi una soluzione.

Protezione dei dati fin dalla progettazione. Con le nuove norme sulla privacy, vale il principio per cui non devi correggere ma prevenire. Ovvero organizzare il trattamento dei dati in modo che non ci siano violazioni prima che queste si verifichino. Il processo di gestione deve essere sicuro dall’inizio alla fine. In termini tecnici si dice privacy by design.

Privacy by default. La privacy e l’utente sono al centro del regolamento. I dati vanno trattati solo secondo modi e tempi sufficienti al raggiungimento dello scopo dell’attività che li raccoglie.

 

Le nuove norme sulla privacy introducono delle sanzioni amministrative più salate. Le multe possono arrivare a 20 milioni di euro o al 4 % del fatturato annuo globale. Tuttavia, gli addetti ai lavori pensano sia quasi impossibile che una piccola struttura ricettiva sia costretta a pagare cifre simili. Non pensare che per questo non sia necessario adeguarti al nuovo regolamento. Potresti rovinare l’immagine del tuo hotel e avere una perdita di clienti altrettanto costosa in termini di ricavi. Se vuoi approfondire, leggi questo articolo sulle sanzioni previste dal GDPR 2018.

 

Termini ridotti sui crediti inesistenti in dichiarazione

Per i crediti non spettanti e per quelli inesistenti indicati in dichiarazione termini ridotti per accertamento. È quanto sembra emergere dallarisoluzione 36/2018 dell’agenzia delle Entrate (si veda il Sole 24 Ore di ieri). Il documento, che individua la corretta sanzione applicabile per l’ipotesi di recupero di un credito considerato inesistente, ove sia già stato oggetto di specifico avviso di accertamento, fornisce chiarimenti anche sulla procedura che gli uffici devono osservare per tali contestazioni.

L’articolo 27 del Dl 185/2008, al fine di contrastare l’utilizzo di crediti inesistenti, ha introdotto un più ampio termine di decadenza del potere di accertamento (8 anni), inoltre il suddetto termine decorre non dalla data di presentazione della dichiarazione relativa all’anno in cui il credito inesistente è sorto, ma dalla data dell’illegittima compensazione.

Con la riforma del sistema sanzionatorio è stato poi previsto che il credito è inesistente qualora tale violazione non sia riscontrabile mediante controlli automatizzati e formali.

Nonostante il trattamento particolarmente gravoso riguardasse, fin dall’origine, solo i crediti inesistenti, gli Uffici hanno sempre utilizzato il maggior termine di 8 anni anche per indebite compensazioni di crediti non spettanti.

In proposito la risoluzione n. 36/2018 ha ora precisato che solo quando il credito fruito non può essere “intercettato” mediante controlli automatizzati, la violazione può essere sanzionata più gravemente. Ne consegue che in tutte le ipotesi di crediti non spettanti (e non inesistenti), gli Uffici non possono beneficiare del più ampio termine di decadenza dovendo notificare gli atti entro gli ordinari termini.

Nel documento sono inoltre individuate due tipologie di credito inesistente da cui scaturiscono differenti tempi di decadenza e di tipologia di atti impositivi:

• derivante da «eccedenze di imposta», che transitano in dichiarazione, per il quale è necessaria la notifica di un avviso di accertamento entro gli ordinari termini di decadenza;

• derivante da «agevolazioni», per il quale occorre l’atto di recupero, che può beneficiare degli 8 anni.

Il «credito derivante da eccedenza di imposta» transita in dichiarazione e pertanto è verosimile che si possa classificare inesistente se discendente da imponibili presumibilmente falsi (ad esempio, il credito Iva derivante dall’indicazione di operazioni passive contenenti fatture false o simili).

Il credito da “agevolazioni”, transita nel quadro RU della dichiarazione, ma rappresenta un valore indicato dal contribuente senza alcuna indicazione sulla sua formazione, con la conseguenza che l’Ufficio non potrebbe scoprirne la falsità attraverso un controllo automatizzato.

Secondo quanto emerge dalla risoluzione solo nel primo caso si applicherebbero gli ordinari termini di decadenza. Tuttavia sostenendo, come ad un certo punto evidenzia la risoluzione, che il termine ordinario si applica a tutti i crediti che transitano in dichiarazione, si potrebbe concludere che anche per i crediti da agevolazione non troverebbe applicazione la decadenza lunga proprio perché anch’essi transitano in dichiarazione (quadro RU). Attesa la delicatezza della questione, sarebbe auspicabile un intervento chiarificatore.

 Fonte “Il sole 24 ore”

Rottamazione-bis, adesione revocabile entro il 15 maggio

La scadenza del 15 maggio prossimo non riguarda solo la facoltà di presentare l’istanza di rottamazione ma anche la possibilità di revocare o modificare la stessa, senza subire pregiudizi di sorta. Come confermato infatti da agenzia Entrate-Riscossione (Ader) nelle risposte a Telefisco 2018, anche nella seconda versione della definizione agevolata degli affidamenti all’agente della riscossione è possibile correggere o ripensare integralmente alla scelta fatta.

Secondo i chiarimenti offerti da Equitalia in occasione della prima “tornata” di domande di sanatoria, l’accesso alla disciplina agevolata si verifica con la mera presentazione dell’istanza, senza che rilevi a tale scopo il pagamento della prima rata. A parziale rimedio di tale rigida interpretazione, tuttavia, è espressamente consentito che il debitore possa liberamente intervenire sulle istanze già presentate, purché entro la scadenza di legge (15 maggio prossimo). Poiché non è previsto un modulo particolare per comunicare la revoca di una domanda già presentata, si ritiene che sia sufficiente allo scopo una Pec contenente gli estremi del modello trasmesso e la volontà di porre nel nulla la scelta di aderire al condono. Allo stesso modo, sarà possibile sostituire o integrare liberamente le istanze presentate, purchè tale decisione sia chiaramente desumibile dal contenuto documentale dei moduli. Così, ad esempio, se i nuovi modelli riportano cartelle o avvisi diversi da quelli indicati nel modulo precedente è evidente che vi è stata una integrazione da parte del debitore. Se invece il nuovo modello riporta la precedente elencazione di partite affidate, depurata di alcune di esse, vi sarà stata una sostituzione di istanze, che tuttavia è bene sia evidenziata quantomeno nella pec di trasmissione.

A tale riguardo, si ricorda che il debitore ben può decidere di compilare più modelli, con riferimento ad affidamenti distinti. Tanto, qualora si avesse il dubbio sulla complessiva sostenibilità della pretesa. In tale eventualità, infatti, si potrà far decadere la procedura riferita ad una o più istanze, lasciando in vita le altre. L’eventuale omesso o insufficiente pagamento di una rata, infatti, potrebbe determinare la caducazione dell’intera definizione agevolata. Se invece si parcellizzano gli affidamenti in una pluralità di domande, si potrà decidere per quale comunicazione dell’Ader effettuare tempestivamente i pagamenti dovuti.

Al contrario, è possibile utilizzare un unico modulo per rottamare carichi ante e post primo gennaio 2017. In questa ipotesi, se si sceglie la massima dilazione possibile, l’agente della riscossione procede d’ufficio a ripartire in tre ovvero cinque rate i pagamenti, a seconda dei carichi cui essi di riferiscono.

Adeguata attenzione va posta sulla scelta del numero delle rate della rottamazione. Nel modulo DA 2000/17 è per la prima volta riportato che in caso di omessa indicazione da parte del debitore l’intero importo sarà dovuto in una unica soluzione. Nel corso di Telefisco 2018 è stato chiesto se fosse possibile rimediare ad una eventuale dimenticanza da parte del contribuente dopo aver ricevuto la comunicazione dell’agente della riscossione contenente la liquidazione delle somme dovute. L’Ader ha risposto che scaduto il termine del 15 maggio non è più possibile apportare nessuna correzione al modello, anche con riferimento al numero delle rate.

Fonte “Il sole 24 ore”

Il mutuo alza la soglia detassabile

Chiarire subito il quadro normativo in materia di privacy, tirando fuori dai cassetti il decreto legislativo varato in prima lettura lo scorso 21 marzo e, poi, uscito dai radar. E tradurre in un impegno formale le parole con le quali il Garante ha aperto la strada a un approccio «equilibrato e pragmatico» nella fase di transizione dei primi mesi.

Sono le due richieste chiave contenute nelle missive con le quali il mondo produttivo italiano, a pochi giorni dall’entrata in vigore (il prossimo 25 maggio) delle nuove regole in materia di trattamento dei dati personali, ieri mattina ha fatto blocco per rappresentare la sua preoccupazione. Confindustria, Abi, Ania, Assonime e Confcommercio hanno così indirizzato due lettere al Garante per la protezione dei dati personali e al Governo (destinatari: Dipartimento affari legislativi di Palazzo Chigi e ministero della Giustizia), con l’obiettivo di ottenere a beneficio delle imprese «le necessarie certezze applicative». Qualche prima risposta, in attesa di indicazioni compiute, potrebbe arrivare già oggi, nel corso del convegno che proprio Confindustria ospiterà a Roma per parlare della «Gdpr ai nastri di partenza».

Le missive esordiscono entrambe sottolineando un dato, relativo al Regolamento Ue sulla protezione dei dati personali: «La preoccupazione del mondo produttivo». Nonostante la sua «imminente operatività» (l’entrata in vigore è fissata il 25 maggio), infatti, il quadro normativo al quale le imprese dovranno fare riferimento è ancora caratterizzato da «incertezze». Soprattutto, pesa il «notevole ritardo registrato nell’attuazione della delega per l’adeguamento della disciplina nazionale». Il termine per approvare il decreto che dovrà integrare le regole europee nel sistema italiano è, infatti, il 21 maggio. Nonostante manchino solo dieci giorni alla scadenza, il testo non è ancora stato ufficializzato.

La sostanza, cioè, è che gli operatori si trovano davanti un perimetro di regole ancora in via di assestamento. E le difficoltà vengono accentuate «dall’ampiezza dell’intervento del Regolamento, che modifica radicalmente l’approccio richiesto ai titolari di trattamenti di dati personali». I dubbi rallentano le attività di compliance, già parecchio articolate, «con il rischio molto concreto di arrivare al prossimo 25 maggio senza averle ultimate o, comunque, senza avere le necessarie certezze applicative». Quindi, anche se c’è soddisfazione «per le attività di sensibilizzazione e di indirizzo che gli uffici» del Garante stanno portando avanti «per informare e orientare» gli operatori, serve uno sforzo ulteriore.

Le lettere esplicitano, allora, due richieste. La prima è diretta al Governo, pur «consapevoli delle difficoltà dovute alla particolare situazione politica del nostro paese». Considerando la prossima scadenza del 25 maggio, è necessario che «l’iter di attuazione della citata delega sia il più rapido possibile in modo da consentire a tutti gli operatori di adeguarsi pienamente alla nuova disciplina».

La seconda richiesta è diretta, invece, al Garante. E parte dalle dichiarazioni rilasciate proprio da Antonello Soro il 3 maggio scorso al Sole 24 Ore in merito «all’approccio equilibrato e pragmatico che l’Autorità intende adottare nell’accompagnare le imprese italiane in questa fase di transizione». Quelle parole, molto apprezzate, vanno tradotte in un atto più concreto: le associazioni auspicano, infatti, «un impegno formale, volto a improntare a criteri di gradualità e progressività l’esercizio del potere sanzionatorio e i controlli che l’Autorità svolgerà sull’osservanza di nuovi adempimenti».

Fonte “Il sole 24 ore”

In arrivo una nuova riduzione degli interessi di mora per chi paga in ritardo le cartelle di pagamento. La misura del 3,50% fissata lo scorso anno, con effetto dal 15 maggio 2017, sarà infatti ridotta al 3,01% con effetto dal 15 maggio 2018. La nuova misura è stata fissata da un provvedimento di ieri del direttore dell’agenzia delle Entrate , Ernesto Maria Ruffini. Dopo l’altalena degli anni precedenti, con gli interessi di mora, un anno ridotti, un altro anno aumentati, è dal 1° ottobre 2013, con la misura fissata al 5,2233% annuo, che gli interessi sono stati sempre ridotti, passando al 5,14% dal primo maggio 2014, al 4,88% dal 15 maggio 2015, al 4,13% dal 15 maggio 2016, al 3,50% dal 15 maggio 2017, per ridursi al 3,01% a partire dal 15 maggio 2018. Il nuovo tasso è dovuto da chi paga in ritardo le somme chieste con le cartelle di pagamento, che, così, diventeranno più “leggere”. Il provvedimento è previsto dall’articolo 30 del decreto sulla riscossione (Dpr 602/1973). Esso stabilisce che, decorso inutilmente il termine di 60 giorni dalla notifica della cartella, sulle somme iscritte a ruolo si applicano, a partire dalla data della notifica della cartella e fino alla data del pagamento, gli interessi di mora al tasso determinato annualmente con riguardo alla media dei tassi bancari attivi.

Va segnalato però che, in materia di interessi, non è stata mai fissata una misura unica per i versamenti e per i rimborsi. Infatti, nonostante i vari annunci, si è ancora in attesa di un allineamento per evitare che gli interessi applicati dal Fisco su quanto gli è dovuto siano più alti di quelli riconosciuti al contribuente in caso di rimborso. In verità, si sarebbe dovuto mettere la parola “fine” su queste disparità. Infatti, se il contribuente deve avere il rimborso, l’interesse riconosciuto dal Fisco per il ritardo è, di norma, il 2% annuo, mentre se il contribuente versa dopo la scadenza, l’interesse che deve pagare è il doppio.

Inoltre, scatta pure la sanzione del 30%, riducibile al 15% se il contribuente paga entro 90 giorni, mentre nessuna sanzione è prevista a carico del Fisco, anche se esegue i rimborsi in ritardo. La disparità doveva essere eliminata da un decreto che si sarebbe dovuto approvare nel mese di gennaio del 2016. Si tratta del decreto previsto dall’articolo 13 del decreto legislativo 159/2015 (uno dei decreti attuativi della delega fiscale), in vigore dal 22 ottobre 2015. Il decreto di competenza del ministero dell’Economia che doveva fissare una misura unica di interessi per versamenti, riscossione e rimborsi di ogni tributo, doveva essere emanato entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo 159/2015. Considerato che questo decreto è entrato in vigore il 22 ottobre 2015, il provvedimento doveva essere emanato entro il 20 gennaio 2016.

Per il momento, visto che il decreto è rimasto solo una promessa, si devono applicare le misure vigenti, che sono di diversa misura e, di norma, favoriscono il Fisco, penalizzando i contribuenti. Ad esempio, per i contribuenti che pagano a rate le imposte risultanti dalle dichiarazioni annuali dei redditi, dell’Iva e dell’Irap, gli interessi sono dovuti nella misura dello 0,33% mensile, cioè pari al 4% annuo.

Fonte “Il sole 24 ore”

di Benedetto Santacroce Rosario Farina

 I provvedimenti dell’agenzia delle Entrate del 30 aprile sono andati nella direzione della semplificazione del processo che però al momento riguarda solo la fatturazione elettronica obbligatoria tra privati e non quella emessa nei confronti delle pubbliche amministrazioni; per questa restano valide le disposizioni di cui al decreto ministeriale 3 aprile 2013, n. 55. In attesa di un’armonizzazione tra le due discipline, è importante evidenziare le differenze ad oggi esistenti che comportano diverse modalità di gestione del ciclo attivo da parte dell’impresa.

Nella fatturazione verso la pubblica amministrazione vengono mantenute, a differenza dei privati, le “notifiche d’esito committente”. Infatti per ogni fattura elettronica ricevuta la Pa, entro il termine di 15 giorni dalla ricezione, può inviare una notifica di accettazione/rifiuto. Se entro questi 15 giorni lo Sdi (sistema di interscambio) non riceve alcuna comunicazione, provvede ad inoltrare la notifica di decorrenza dei termini sia al soggetto trasmittente sia al soggetto ricevente. Tali notifiche devono essere gestite e conservate dal soggetto emittente in quanto una fattura rifiutata entro 15 giorni deve essere corretta e rinviata alla Pa sempre tramite lo Sdi.

Relativamente all’indirizzamento, la trasmissione della fattura elettronica nei confronti della Pa è vincolata dalla presenza del codice identificativo univoco dell’ufficio destinatario della fattura riportato nell’indice delle pubbliche amministrazioni, mentre per i privati la trasmissione è possibile anche in assenza del codice destinatario in quanto il provvedimento consente al soggetto passivo Iva attraverso la funzione di registrazione di scegliere la modalità di ricezione delle fatture elettroniche.

Nei confronti dei clienti privati che non si sono registrati e non hanno fornito nessun dato per l’indirizzamento (Pec o codice destinatario) il cedente/prestatore può utilizzare il solo codice convenzionale “0000000” e in questo caso la fattura viene messa a disposizione dallo Sdi nella loro area riservata del sito web dell’agenzia delle Entrate con necessità dell’emittente di comunicare che l’originale del documento è a disposizione in tale area.

A differenza della fattura elettronica verso privati, nei confronti della Pa l’analogo codice fittizio “999999” può essere utilizzato solo se a fronte del codice fiscale del destinatario non esiste alcun codice destinatario nell’indice della pubblica amministrazione. Da quanto sopra si evince che devono essere gestite nell’anagrafica cliente dei soggetti emittenti anche due codici destinatario di lunghezza diversa (6 caratteri per la Pa e 7 per i privati).

Diverso è anche il comportamento in caso di impossibilità di recapito da parte dello Sdi. Nel caso di privati il documento viene messo a disposizione del cessionario/committente nella sua area riservata del sito web dell’agenzia delle Entrate e il cedente/prestatore, a cui è notificato dallo Sdi un file XML firmato quale ricevuta di impossibilità di recapito, è tenuto a comunicare al suo cliente che l’originale della fattura è disponibile in tale area. Nel caso in cui il cliente è la Pa, trascorsi dieci giorni dall’ invio della notifica di mancata consegna, lo Sdi invece invia al mittente un’attestazione di avvenuta trasmissione della fattura con impossibilità di recapito. L’attestazione è composta da un file zippato contenente la fattura originale e un file XML di notifica sottoscritto elettronicamente che deve essere inoltrato telematicamente dal cedente all’amministrazione destinataria utilizzando altri canali (ad esempio e-mail o Pec). Si ricorda che le fatture verso le Pa devono riportare sempre il Cig e/o Cup mentre nel caso dei privati sono obbligatori solo nel caso di quelle emesse dai sub-contraenti e sub-appaltatori di un contratto stipulato con un Pa, limitatamente al primo passaggio e non a quelli successivi (come da circolare 8/E del 30 Aprile) .

Fonte “Il sole 24 ore”

Sì a deduzione del costo e detrazione dell’Iva sugli acquisti di carburante effettuati dal 1° luglio 2018 dal lavoratore dipendente con la propria carta di credito e successivamente rimborsati dalla società, a condizione che il rimborso avvenga con i mezzi di pagamento tracciabili (provvedimento delle Entrate 4 aprile 2018). È quanto emerge dalla circolare 8/E/2018.

La precedente modifica
Ma facciamo un passo indietro. In occasione delle modifiche apportate dal Dl 70/2011 all’articolo 1, comma 3-bis, del Dpr 444/1997, che avevano permesso la deroga all’obbligo di tenuta della scheda carburante a quei soggetti Iva che garantivano i pagamenti delle spese per carburante esclusivamente mediante carte di credito, carte di debito o carte prepagate, la circolare 42/E/2012 aveva precisato che tali modifiche «non possono far venire meno, in toto, l’esigenza di disporre di una serie di elementi, necessari a consentire la verifica dell’esistenza del diritto alla detrazione Iva e della deducibilità del costo nella misura spettante, in capo al soggetto acquirente. Detti elementi, in particolare, sono indispensabili per ricollegare l’acquisto effettuato al soggetto, persona fisica o giuridica, che esercita un’attività d’impresa o un’arte o una professione. Si ritiene, pertanto, necessario che il mezzo di pagamento sia intestato al soggetto che esercita l’attività economica, l’arte o la professione e che dall’estratto conto rilasciato dall’emittente della carta emergano tutti gli elementi necessari per l’individuazione dell’acquisto, quali, ad esempio, la data ed il soggetto presso il quale è effettuato il rifornimento, nonché l’ammontare del relativo corrispettivo».

L’interpretazione di prassi si poteva considerare coerente proprio in virtù del fatto che l’utilizzo della moneta elettronica, permettendo una sorta di documentazione insita consistente nelle risultanze degli estratti conto, rendeva inutile le annotazioni mediante compilazione della scheda carburante.

Oggi, invece, la legge di Bilancio 2018 ha introdotto la fatturazione elettronica obbligatoria nel settore dei carburanti dal 1° luglio, eliminando la vecchia scheda carburante, mediante l’abrogazione in toto del Dpr 444/1997. La circolare 8/E/2018 rende validi i pagamenti effettuati dal soggetto passivo d’imposta in via mediata, come nel caso di rifornimento di benzina di un’autovettura aziendale che il dipendente effettua presso un distributore stradale durante una trasferta di lavoro. L’Agenzia spiega che se «il pagamento avviene con carta di credito/debito/prepagata del dipendente (o altro strumento individuato nel provvedimento direttoriale del 4 aprile 2018 allo stesso riconducibile) ed il relativo ammontare gli sia rimborsato, secondo la legislazione vigente, avvalendosi di una delle modalità individuate dalla legge di bilancio (ad esempio, tramite bonifico bancario unitamente alla retribuzione), non vi è dubbio che la riferibilità della spesa al datore di lavoro ne consentirà la deducibilità (nel rispetto, come ovvio, degli ulteriori criteri previsti dal Tuir)».

Il confronto tra le due interpretazioni
Il meccanismo del rimborso della spesa per carburante anticipata dal dipendente per l’azienda, di fatto, rischia di costringere il dipendente stesso a richiedere la fattura elettronica per documentare un acquisto fatto per conto di un soggetto Iva, la società, obbligato alla ricezione della fattura elettronica in base all’articolo 1, comma 920, della legge 205/2017.

Tale circostanza si sarebbe potuta evitare se fosse rimasta in piedi la “precedente” semplificazione che la moneta elettronica aveva permesso di raggiungere e che ora si perdebbe con l’abrogazione del regolamento. La circolare, richiamando implicitamente il comma 910 dell’articolo 1 della legge 205/2017, rende infatti indifferente l’utilizzo dell’assegno o del bonifico piuttosto che della carta di credito.

Fonte “il sole 24 ore”

Fattura elettronica con invio in due tempi

di Alessandro Mastromatteo e Benedetto Santacroce

La trasmissione e l’indirizzamento della fattura elettronica impongono, alla luce dei provvedimenti dell’agenzia delle Entrate del 30 aprile (circolare 8/E e provvedimento 89757 ), delle scelte immediate sia da parte dell’emittente che del destinatario. Questi due momenti vanno distinti, perché l’invio della fattura elettronica da parte dell’emittente è indipendente dal canale di ricezione scelto dal destinatario, mentre il recapito è fortemente influenzato dalle scelte del cessionario/committente, anche se è sempre possibile attraverso un codice convenzionale semplificare le procedure.

Trasmissione

In fase di invio della fattura elettronica al Sistema di interscambio (Sdi), attori del processo sono emittente o trasmittente, se diverso dal primo, ed il sistema stesso. Una volta predisposta la fattura elettronica, il file generato può essere trasmesso a Sdi utilizzando, in alternativa, una casella di Pec, i servizi informatici messi a disposizione e cioè una procedura web, un’applicazione utilizzabile da dispositivi mobili o un software da installare su personal computer.

Questi canali non necessitano di alcun accreditamento preventivo a Sdi, a differenza del caso in cui l’emittente intenda avvalersi di un sistema di cooperazione applicativa (Sdicoop) o di sistemi di trasmissione dati tra terminali remoti basati su protocollo ftp. Per questi due canali l’accreditamento permette di impostare le regole tecniche di colloquio tra le infrastrutture informatiche dell’emittente e quelle di Sdi.

Recapito

Il recapito al cessionario/committente avviene con le modalità già descritte per la trasmissione da parte dell’emittente. L’unico canale non utilizzabile in ricezione, ma previsto al contrario per l’invio, è quello che si avvale dei servizi informatici, e quindi la procedura web o l’app da mobile. Mentre anche per la ricezione tramite sistemi di cooperazione applicativa o su protocollo ftp è necessario il preventivo accreditamento a Sdi da parte del destinatario delle fatture.

Indirizzamento

Per individuare su quale canale indirizzare la fattura, il Sistema di interscambio verifica innanzitutto se il ricevente ha provveduto alla preregistrazione, indicando le modalità con cui intende ricevere i documenti. In questo caso, il ricevente elegge di fatto un indirizzo telematico, e cioè una casella di Pec o il codice destinatario attribuitogli a seguito dell’accreditamento derivante dall’utilizzo di servizi di cooperazione o di protocolli ftp.

In caso di utilizzo del servizio di registrazione, il sistema indirizzerà sempre fatture e note di variazione all’indirizzo telematico registrato, prescindendo da quanto indicato nel campo «codice destinatario» dall’emittente. Se la fattura non è recapitabile per cause tecniche non imputabili a Sdi, ad esempio in caso di casella Pec piena o non attiva o di canale telematico non attivo, il documento viene messo a disposizione del cessionario/committente nella sua area riservata del sito web dell’agenzia delle Entrate.

In questa ipotesi, il cedente/prestatore è tenuto a comunicare al suo cliente, per vie diverse da Sdi, che l’originale della fattura è disponibile in tale area. Se al contrario il destinatario non ha utilizzato il servizio di registrazione, l’emittente è tenuto a compilare il campo «codice destinatario» indicando il codice comunicato dal cessionario/committente quando ha accreditato un canale a Sdi oppure il codice convenzionale a sette zeri e compilando il campo Pec destinatario comunicatogli dal destinatario.

Se la Pec non è stata comunicata o la fattura è destinata a contribuenti in regime di vantaggio, forfettari o produttori agricoli va compilato il codice convenzionale a sette zeri e la fattura viene messa a disposizione nella loro area riservata con necessità dell’emittente di comunicare che l’originale del documento è a disposizione in tale area. Se destinatario è invece il consumatore finale, oltre al codice convenzionale l’emittente deve compilare il codice fiscale del cessionario/committente. Il cedente/prestatore dovrà consegnare direttamente al cliente una copia informatica o analogica della fattura, comunicando inoltre la disponibilità della stessa nell’area riservata del sito web dell’agenzia delle Entrate, dove il sistema gli metterà a disposizione un duplicato informatico.

Fonte “Il sole 24 ore”

E-fattura, la lunga strada per arrivare a una vera semplificazione

di Raffaele, Rizzardi

La firma del provvedimento dell’agenzia delle Entrate, che declina le modalità operative di tutti i tipi di fattura elettronica, e della circolare n. 8, relativa alla decorrenza anticipata al 1° luglio della fatturazione dei carburanti, è stata apposta il 30 aprile, allo scopo di rispettare il lasso di 60 giorni previsto dallo statuto dei diritti del contribuente per l’introduzione di nuovi adempimenti. Peccato che i mesi di maggio e giugno non sono i più tranquilli per gli studi professionali: oltre agli adempimenti erariali non dimentichiamo le scadenze per i tributi locali, con i regolamenti Imu e Tasi che sono sempre diversi tra un comune e l’altro e talora da un anno all’altro per lo stesso comune.

Il provvedimento ci fa sapere che esiste una gamma di fatture elettroniche: il documento che merita in assoluto questa definizione è il B2B, quando sia l’emittente della fattura che il destinatario trasmettono e ricevono le fatture nel formato xml, essendo dotati del “codice destinatario” nel sistema di interscambio o di una Pec destinata a ricevere il file. Le procedure informatiche automatizzate generano il tracciato xml al momento di emissione della fattura, così come chi riceve questo file lo prende in carico nella contabilità fornitori, senza fare la consueta “caccia al tesoro” per capire dove i documenti cartacei indicano i dati essenziali della fattura. Ovvio che questa funzionalità sarà tipica delle imprese e degli studi professionali stabili e organizzati e non certo in fase di avvio del mezzo milione di soggetti che ogni anno aprono una nuova partita Iva.

Il provvedimento pone in evidenza che non solo i privati, ma anche i forfetari sono destinatari di una modalità particolare di emissione della fattura: il fornitore inserisce nel file un codice di sette zeri, e il flusso si deve moltiplicare per tre: lo Sdi comunica al cedente o prestatore che la fattura è stata accettata dal sistema; il cliente riceve il file nella sua area riservata dell’Agenzia (ma, soprattutto per i privati, quanti sono registrati nel relativo internet?); il fornitore deve comunque mandare una fattura tradizionale al cliente (oppure verso i forfetari un mero avviso relativo alla disponibilità della fattura nella sua area riservata dell’agenzia delle Entrate).

La sostanziale assimilazione dei forfetari ai privati discende dall’impegno preso con la Commissione europea, secondo cui i soggetti minori devono rimanere estranei a questi obblighi: la legge lo dice solo per l’emissione, giustamente il provvedimento delle Entrate ha dovuto dirlo anche in ricezione. Ma – punto 3.3 del provvedimento – anche nel caso di utilizzo “perfetto” del sistema di interscambio tra due soggetti di imposta iscritti nel sistema, esiste il rischio che la fattura non vada a buon fine (ad esempio perché la casella Pec del cliente è piena), nel qual caso il fornitore viene messo in allarme dal sistema, che lo obbliga ad avvertire il cliente che la fattura è stata collocata nella sua area riservata del sito web dell’Agenzia delle entrate. Questa comunicazione può essere anche fatta mandando una fattura cartacea o in Pdf al cliente.

C’è poi un tracciato per le fatture da e verso l’estero.

Per il momento non si può certo parlare di semplificazione. O, in estrema sintesi, la fatturazione elettronica è soprattutto uno spesometro giornaliero.

Fonte “Il sole 24 ore”

Bilanci, il creditore iscrive il pagamento differito a valore attualizzato

di Paolo Meneghetti

Nelle politiche commerciali per incentivare le vendite si fa sempre più strada il pagamento differito: consegna immediata a fronte di un pagamento fortemente dilatato nel tempo senza addebito di interessi passivi. Questo ha ricadute in tema di valutazione e iscrizione del debito/credito.

La contabilizzazione della posta bilancistica influenza le scelte del debitore ma anche del creditore. Infatti l’articolo 2426, punto 8, del Codice civile dispone che non solo il debito, ma anche il credito va iscritto in bilancio al costo ammortizzato, tenendo conto del fattore-tempo. Di seguito si analizza la posizione del creditore alla luce del documento Oic 15 e delle conseguenze fiscali della sua adozione al posto del criterio ordinario (importo realizzabile del credito). L’Oic 15, paragrafo 44, stabilisce che se il credito commerciale è stato concesso con pagamento oltre i 12 mesi, senza addebito di interessi, o con addebito di interessi molto inferiori a quelli di mercato, va determinato e iscritto in bilancio al valore attualizzato, imputando la differenza tra valore nominale e valore attuale del credito tra i proventi finanziari, in base alla durata del pagamento convenuto.

L’esempio
Supponiamo che una società di capitali venda un bene per un valore di 100.000 € (per semplicità non si considera l’aspetto Iva, ipotesi che peraltro si verifica realmente ove l’acquirente si qualifichi, ad esempio, come esportatore abituale). Il pagamento avverrà entro 3 anni dalla consegna e il tasso di mercato sarebbe stato il 3 per cento. Il valore attuale del credito risulta determinato in 91.743 €, quindi con un differenziale di 8.259 € da qualificare quale provento finanziario nei tre anni.

A questo punto alla luce dell’Oic 15 possiamo rilevare il ricavo derivante dalla vendita che è pari a 91.743 €, da imputare alla voce A 1 del conto economico. In ipotesi di valutazione ordinaria del credito, invece, il ricavo contabilizzato sarebbe l’intero valore di 100.000 €. La società cedente al 31 dicembre del primo anno deve rilevare anche gli interessi attivi calcolandoli al tasso di mercato del 3% , quindi un dato da collocare alla voce C 16 del conto economico per 2.752 €. Alla fine del triennio si avrà l’intera imputazione della vendita a conto economico ma essa in parte sarà collocata tra i ricavi (91.743) e in parte collocata nell’area finanziaria (8.257).

Le ricadute
Ora si pone il problema del riconoscimento ai fini fiscali di questa impostazione contabile. A Telefisco 2018 l’agenzia delle Entrate ha confermato che vi sono uguali ricadute fiscali sia che il criterio del costo ammortizzato sia assunto per obbligo (società tenute a redigere il bilancio in forma ordinaria) sia per scelta facoltativa (società che possono redigere il bilancio in forma abbreviata). A questo punto entra in gioco il principio di derivazione rafforzata secondo cui i criteri civilistici in tema di qualificazione, classificazione e imputazione temporale prevalgono sulle diverse regole del Tuir. Ma rilevare il credito nel primo esercizio in misura ridotta significa svalutarlo (ipotesi per cui la derivazione rafforzata non avrebbe significato) oppure qualificarlo?

La circolare
La circolare 7/E/2011 , paragrafo 4.1 (relativa ai soggetti Ias ma il problema è il medesimo) afferma che l’iscrizione ridotta del credito deriva da una qualificazione e non da una svalutazione, quindi pienamente riconosciuta fiscalmente. Pertanto, il ricavo tassabile è effettivamente quello ridotto a seguito della attualizzazione, e il differenziale va imputato pro rata temporis quale interesse attivo. Ciò, tra l’altro, significa incrementare il tetto di deducibilità degli interessi passivi per un importo pari a quelli attivi imputati, come affermato dalla circolare 19/09, paragrafo 2.2.1. La disciplina sopra descritta presenta dunque aspetti interessanti anche sotto il profilo fiscale che potranno riguardare tutte le società di capitali fatta eccezione per le micro imprese ex articolo 2435 ter del Codice civile.

Fonte “Il sole 24 ore”

La rottamazione al test di convenienza

di Rosanna Acierno

Si avvicina la scadenza del 15 maggio entro cui si dovrà resentare la domanda per l’istanza di adesione alla rottamazione-bis. Pertanto, calcolatori alla mano, i contribuenti che hanno carichi affidati ad agenzia Entrate Riscossione dal 1° gennaio 2000 al 30 settembre 2017 sono chiamati a valutare non solo l’opportunità in termini di convenienza ma, soprattutto, la “possibilità” di aderire alla definizione agevolata.

Ovviamente, la convenienza in termini di risparmio su sanzioni e interessi di mora potrebbe essere più ampia sui carichi affidati alla riscossione in periodi antecedenti al 2016 perché, in tal caso, sia le sanzioni che gli interessi di mora hanno importi più elevati. Si ricorda, infatti, che fino al 31 dicembre 2015 le sanzioni irrogate dall’Ufficio per le violazioni di infedele dichiarazione ai fini delle imposte dirette e Iva (articoli 1 e 5, Dlgs 471/1997) oscillavano dal 100% al 200% della maggiore imposta dovuta, mentre dal 2016 (con l’entrata in vigore del Dlgs 158/2015) oscillano dal 90% al 180% della maggiore imposta dovuta e, in caso di lievi infedeltà contenute nel limite del 3% e comunque di 30mila euro, tra il 60 e il 120 per cento.

Inoltre, il conteggio degli interessi di mora, applicati direttamente dall’agente della riscossione (ex articolo 30 del Dpr 602/73), decorre dal primo giorno di notifica della cartella fino al giorno di effettivo pagamento. Pertanto, è evidente che laddove i debiti siano molto “datati”, gli interessi di mora sono più alti. Allo stesso modo, in caso di sanzioni e interessi di mora più alti, anche l’aggio della riscossione cresce, essendo commisurato a queste due poste oltreché all’imposta e agli interessi da ritardata iscrizione a ruolo.

Nonostante, nel caso di carichi affidati prima del 2016 il risparmio sia davvero allettante, la scelta di presentare l’istanza di rottamazione non è però così scontata.

Occorre, infatti, fare i conti con i rigorosi termini di rateazione introdotti dal legislatore: per le nuove istanze di rottamazione dei carichi affidati all’agente della riscossione dal 2000 al 2016 presentate entro il 15 maggio 2018, sarà possibile effettuare il pagamento delle somme dovute in un massimo di tre rate, peraltro molto ravvicinate tra loro. In particolare, per i carichi dal 2000 al 2016, la scelta di massima rateazione effettuata nel modello di istanza consentirà al contribuente di versare gli importi complessivamente dovuti entro:
• il 31 ottobre 2018 per il 40%;
• il 30 novembre 2018 per l’ulteriore 40%;
il 28 febbraio 2019 per il restante 20 per cento.

Pertanto bisognerà disporre della liquidità sufficiente anche perché, qualora il contribuente non dovesse pagare tempestivamente una rata o dovesse versarla in maniera insufficiente, decadrà immediatamente dal beneficio, non essendo prevista l’applicazione del ravvedimento operoso o alcuna tolleranza anche per «lievi tardività». Inoltre, non sarà più possibile chiedere la dilazione del debito ad agenzia Entrate Riscossione ai sensi dell’articolo 19 del Dpr 602/73.

Va detto, comunque, che, al fine di non perdere l’opportunità di questa nuova rottamazione e di trarne i massimi benefici, il contribuente potrà comunque compiere una scelta in merito a quali carichi definire, anche in relazione alla singola cartella di pagamento. Pertanto se, ad esempio, una cartella porta a riscossione ruoli Inps e dell’agenzia delle Entrate, è possibile sanare i soli ruoli Inps. Del pari, se il contribuente ha ricevuto due cartelle di pagamento, ne potrà sanare solo una, presentando solo per questa l’apposita istanza di definizione agevolata.

Fonte “Il sole 24 ore”

Gerico 2018 «distingue» il regime per cassa

di Lorenzo Pegorin

Gerico 2018 al debutto. Quella rilasciata nel primo pomeriggio di ieri è una prima versione del software per gli studi di settore riferiti all’anno d’imposta 2017, peraltro già definitiva, anche se, come accaduto nel recente passato non sono esclusi ulteriori aggiornamenti in corsa dell’applicativo. Questo perché, a maggior ragione, allo stato attuale manca ancora, non solo l’ufficialità del decreto sui correttivi crisi, non essendo lo stesso ancora stato pubblicato in «Gazzetta Ufficiale» (a differenza dei correttivi cassa, si veda il Dm Economia del 23 marzo 2018), ma pure la versione definitiva delle istruzioni e dei modelli studi di settore con riferimento al reddito d’impresa.

Il modello ufficiale ad oggi approvato non riporta, infatti, all’interno del reddito d’impresa, i righi da F41 a F44 destinati ad ospitare i dati relativi ai contribuenti esercenti contabilità d’impresa in regime semplificato; righi che viceversa sono presenti nel modello simulato all’interno di Gerico 2018. Stessa sorte per il quadro Z, destinato quest’anno ad ospitare i dati che serviranno per aggiornare i futuri modelli Isa che risultano presenti solo all’interno dell’applicativo, ma non nel modello ad oggi in vigore e pubblicato nel sito dell’Agenzia delle entrate.

Passando alle prime simulazioni pratiche, i risultati che sono stati elaborati sui primi prototipi tenderebbero a testimoniare, a parità di valori, un innalzamento dei ricavi stimati dal software per effetto dei correttivi cassa, per i contribuenti in contabilità d’impresa.

In buona sostanza i correttivi strutturali di cassa e quelli settoriali che trovano maggiore diffusione pratica fra le imprese, tenderebbero a produrre un generale effetto innalzamento sul ricavo (puntuale e minimo) atteso dalla procedura. Tuttavia, si segnala che non mancano le situazioni contrarie, dove l’effetto cassa, in effetti riduce la stima.

Viceversa è possibile notare, come del resto già annunciato nel decreto di approvazione del 23 marzo scorso, che i correttivi per cassa non operano per i soggetti che hanno optato per il regime del registrato ai fini iva (articolo 18, comma 5, del Dpr 600/1973).

Per costoro a parità di dati contabili, il risultato, al netto dei correttivi crisi, coincide in buona sostanza con la stima dello scorso anno.

Per questa tipologia di contribuenti si fa tuttavia notare che, nonostante per essi non operino i correttivi per cassa, sarà importante compilare ugualmente il dato delle rimanenze finali poiché esso contribuisce a calmierare il risultato stimato dall’applicativo.

Infatti, nonostante il dato delle rimanenze finali, per i contribuenti in contabilità semplificata (siano essi in regime di «cassa pura» o con quello del «registrato ai fini Iva») non abbia, alcuna influenza sul reddito imponibile, quest’ultimo viene comunque elaborato da Gerico e questo come se le giacenze finali effettivamente facessero parte dei dati contabili.

Tale metodologia di trattamento dei dati opera per tutti i semplificati senza distinzione alcuna.

In conclusione, nell’attesa che anche i modelli ufficiali vengano aggiornati, si focalizza l’attenzione sull’importanza di compilare correttamente i righi da F41 a F44 destinati ai contribuenti in semplificata ed in particolar modo del rigo F41 per coloro che hanno optato per il regime del registrato ai fini Iva. Le prime simulazioni effettuate sul nuovo Gerico 2018 sembrerebbero infatti testimoniare come la loro compilazione possa influenzare in maniera significativa il risultato stimato dall’applicativo.

Fonte “Il sole 24 ore”

E-fattura, la data di emissione coincide con la consegna

Dichiarazioni e adempimenti
di Benedetto Santacroce

 Con la pubblicazione del provvedimento di attuazione , delle specifiche tecniche e di una prima circolare l’operazione fattura elettronica entra nel vivo, dando appuntamento al 1° luglio. I documenti dell’Agenzia superano alcune criticità espresse anche nel forum della fattura elettronica del 5 marzo e introducono una serie di semplificazioni.

Indirizzamento

In primo luogo, le nuove regole agevolano il recapito della fattura, ampliando i casi in cui la semplice partita Iva guida la consegna del documento al destinatario.

In particolare, il problema che si pone per l’emittente è individuare in relazione a ciascun cessionario/committente la Pec o un altro indirizzo univoco di comunicazione. Per risolvere il problema il provvedimento introduce un sistema di preregistrazione del cessionario/committente che ricollega le fatture con la relativa partita Iva. Nel caso di preregistrazione la fattura emessa con Pec errata o con codice identificativo incompleto o mancante fa sì che la fattura venga recapitata al cessionario/committente seguendo la semplice partita Iva. In caso di mancata registrazione le opzioni offerte dal provvedimento si basano sempre su due obblighi: il primo per il cessionario/committente di fornire l’indirizzo al fornitore; il secondo è in capo all’emittente. Nel caso di problemi tecnici (si pensi all’indicazione di una Pec non attiva) il Sdi prova a recapitare la fattura; e non riuscendovi mette a disposizione dell’emittente e del destinatario un duplicato informatico in una apposita area del sito delle Entrate e notifica all’emittente il mancato recapito. Quest’ultimo ha l’obbligo di informare il cessionario/committente, anche con l’invio di una copia informatica o analogica, che la fattura è disponibile sul web.

Più semplice il recapito a destinatario consumatore finale ovvero operatore che non è obbligato all’emissione della fattura (soggetti a regimi agevolati o forfettari). In questo caso l’emittente si limiterà ad inserire il codice convenzionale “0000000”.

Data della fattura

Il provvedimento, ai soli fini fiscali, specifica che per l’emittente la data di emissione è quella apposta sulla fattura. Attenzione, però, che l’emissione vera e propria della fattura si ha solo con esito positivo da parte del Sdi con ricezione della ricevuta di consegna. Quindi in caso di scarto della fattura, la stessa si ha per non emessa e bisognerà provvedere con una nota di variazione interna con una nuova spedizione della fattura corretta al Sdi.

Per il destinatario la fattura si ha per ricevuta nello stesso momento in cui viene recapitata. Potrebbe capitare che la fattura non venga, per problemi tecnici, recapitata al cessionario/committente. In questo caso un duplicato viene a messo a disposizione sul sito dell’Agenzia. Il fornitore, per il quale la fattura si considera emessa, deve comunicare al destinatario la messa a disposizione. Per il destinatario, la data di ricezione si sposta, ai soli fini della detraibilità Iva, al momento in cui il cessionario/committente entra nell’area riservata e prende visione della fattura.

Conservazione delle fatture

L’emittente e il destinatario della fattura, aderendo a uno specifico accordo di servizio con l’agenzia delle Entrate, può delegare al Sdi la conservazione della fatture e di tutti i documenti elettronici allegati alla fattura. Come specificano le motivazioni del provvedimento, questa conservazione non ha solo efficacia fiscale, ma anche civilistica. Quindi con l’accordo si assolvono a tutti gli obblighi di conservazione in ossequio alle regole imposte dal Dm 17 giugno 2014 e delle regole tecniche imposte dal Dpcm 3 dicembre 2013.

Fonte “Il sole 24 ore”

Detrazione Iva e deducibilità del costo dei carburanti solo con pagamenti tracciabili

Dal primo luglio è necessario utilizzare sistemi di pagamento tracciati per l’acquisto di carburanti, al fine di poter detrarre l’Iva e dedurre il costo, nei limiti consentiti dalla norma.

Dopo che la legge di Bilancio 2018, precisamente l’articolo 1, comma 917 della legge 205/2017 , ha introdotto importanti novità in tema di cessione di carburanti per autotrazione, con provvedimento del 4 aprile scorso , il Direttore dell’agenzia delle Entrate ha individuato i mezzi di pagamento che dal primo luglio prossimo potranno essere utilizzati, dai soggetti passivi d’imposta, al fine di garantire loro la detraibilità Iva e la deducibilità del costo.

Ma andiamo con ordine. La legge di Bilancio 2018 ha apportato notevoli modifiche in tema di fatturazione, prescrivendo l’utilizzo obbligatorio della fatturazione elettronica per tutti i contribuenti, a partire dal primo gennaio 2019. Da tale data, le fatture elettroniche, e relative variazioni, dovranno essere emesse per le cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate tra soggetti residenti, stabiliti o identificati nel territorio dello Stato e, quindi, anche nei confronti di consumatori finali.

Un’importante anticipazione della fatturazione elettronica, che è probabilmente destinata a subire uno slittamento, riguarda la cessione di benzina e gasolio. Infatti, la legge di Bilancio 2018 prescrive che, a partire dal primo luglio di quest’anno, i soggetti che cedono i beni appena indicati, sono obbligati a emettere fattura elettronica qualora il cessionario sia un soggetto passivo d’imposta.

Nel caso in cui, invece, il cessionario non sia un soggetto passivo d’imposta bensì un consumatore finale, in base a quanto disposto dal Dpr 696/1996, come modificato sempre dalla legge di Bilancio 2018, resta la facoltà da parte del cedente di non emettere alcuna certificazione. In questo caso il cedente ha però l’obbligo di memorizzazione elettronica e trasmissione telematica dei corrispettivi all’agenzia delle Entrate, sempre a decorrere dal primo luglio 2018.

Sul fronte del soggetto passivo d’imposta, cessionario del carburante, la legge di Bilancio 2018 collega, dal primo luglio, la detrazione dell’imposta e la deducibilità del costo, nei limiti concessi dalle rispettive normative, al pagamento del corrispettivo attraverso sistemi tracciabili e, quindi, non più in contanti.

Con il richiamato provvedimento del 4 aprile scorso, sono stati individuati i mezzi di pagamento dei carburanti e lubrificanti per autotrazione, che consentono, ai soggetti passivi d’imposta, la detrazione dell’Iva e la deducibilità del costo, sempre nei limiti concessi dalla norma. I mezzi di pagamento «ammessi» e considerati idonei a provare l’avvenuta effettuazione delle operazioni sono: gli assegni, bancari e postali, circolari e non, i vaglia cambiari e postali, i mezzi di pagamento elettronici tra cui, a titolo esemplificativo, l’addebito diretto, il bonifico bancario o postale, il bollettino postale, le carte di debito, di credito, prepagate ovvero altri strumenti di pagamento elettronico disponibili, che consentano anche l’addebito in conto corrente.

Dalla data del primo luglio 2018 la scheda carburanti non sarà, quindi, più utilizzabile stante l’abrogazione dell’intero Dpr 444/1997 che la disciplinava.

Fonte “Il sole 24 ore”

Così il patent box incontra il credito R&S

di Luigi Ferrajoli

Il credito d’imposta per le attività di ricerca e sviluppo (R&S), come contenuto nel Piano Industria 4.0, e il patent box premiano le imprese che – in senso lato – investono nel settore dell’innovazione. Alla luce di questa finalità “comune”, tuttavia, è necessario analizzare i profili di convivenza, sovrapposizione ed eventuale conflitto delle due agevolazioni.

La circolare 5/E/2016 ha chiarito che il credito d’imposta R&S e il patent box rappresentano distinti strumenti sinergici: il primo opera attraverso il riconoscimento di un’agevolazione ancorata alla misura degli investimenti effettuati; il secondo garantisce la detassazione dei redditi prodotti in ragione dello sfruttamento di beni immateriali derivanti da attività di ricerca, sviluppo e accrescimento degli stessi, da perseguire e mantenere nel tempo.

Il ministero dello Sviluppo economico, con la circolare 59990 del 9 febbraio 2018 , ha fornito chiarimenti sulla disciplina del credito d’imposta R&S, proprio traendo le mosse dagli investimenti effettuati dalle imprese italiane nel settore hi-tech. Secondo il ministero, il software per la cui scoperta o implementazione viene chiesto il credito d’imposta deve essere portatore di un reale progresso scientifico e tecnologico; in particolare, deve essere funzionale alla risoluzione di una problematica su base sistematica. In altri termini, la circolare ministeriale ha escluso dall’agevolazione le attività di tipo ricorrente o di routine, quali ad esempio quelle che possono risolversi nel mero utilizzo di un software per una nuova applicazione o semplicemente per un nuovo scopo.

La locuzione «ricerca e sviluppo» contenuta nell’articolo 8 del Dm 28 novembre 2017 cita alla lettera d) «l’ideazione e la realizzazione del software protetto dal copyright». Il che pare rispondere a requisiti meno stringenti di quelli appena visti per il credito R&S. Di fatto, quando si tratta di stabilire se le innovazioni tecnologiche riferite all’evoluzione di un software possono beneficiare del patent box, il necessario elemento di novità sembra risolversi nelle procedure che portano al riconoscimento del copyright.

D’altra parte, l’Agenzia, con la risoluzione 28/E/2017 , aveva già preso posizione sull’applicazione del patent box in casi di utilizzo indiretto di un nuovo programma applicativo. Le Entrate erano state chiamate a rispondere a un’istanza di interpello presentata da una società che voleva applicare il patent box in un caso di software coperto da copyright concesso in uso in forma di licenza iniziale, con successivi canoni di assistenza e manutenzione. Partendo dal principio Ocse del nexus approach (quale necessario collegamento tra l’agevolazione e l’effettivo svolgimento di un’attività economica che si sostanzi nella ricerca e sviluppo), l’Agenzia ha escluso dal beneficio soltanto il novero delle attività che – profilandosi come mere operazioni di implementazione, aggiornamento e personalizzazione del programma – si risolvono in una forma puramente strumentale di utilizzo del software.

Fonte “Il sole 24 ore”

La precompilata aggiorna le modifiche

Novità in vista per la precompilata 2018: a partire da quest’anno viene infatti introdotta una nuova funzionalità per consentire al contribuente di rettificare i dati delle spese nell’ambito di un servizio per la compilazione agevolata del quadro relativo agli oneri deducibili e detraibili della dichiarazione dei redditi. A prevederlo il provvedimento n. 76048/2018 pubblicato ieri sul sito dell’agenzia delle Entrate che si occupa nello specifico delle modalità tecniche di utilizzo dei dati delle spese sanitarie e delle spese veterinarie.

Secondo quanto ricavabile dal contenuto del provvedimento, a partire dal giorno in cui sarà possibile accettare, modificare o integrare direttamente la dichiarazione (2 maggio), il contribuente potrà modificare, sul sito dell’Agenzia, nell’area autenticata, tramite i servizi in cooperazione applicativa (servizio web service puntuale) esposti dal Sistema tessera sanitaria:

le informazioni di dettaglio relative alle singole spese sanitarie e ai rimborsi, anche in relazione alle spese sostenute per i familiari a carico, a esclusione delle spese e dei rimborsi per i quali l’assistito abbia manifestato l’opposizione. In particolare, il contribuente può eliminare oppure aggiungere o modificare i singoli documenti di spesa;

le informazioni di dettaglio relative alle singole spese veterinarie (e ai rimborsi).

In entrambi i casi, a seguito alle modifiche apportate, il Sistema tessera sanitaria crea una copia dei dati aggiornati delle spese e dei rimborsi e fornisce all’Agenzia, per ogni contribuente, i nuovi totali, che vengono utilizzati, come già anticipato, nell’ambito di un servizio per la compilazione agevolata del quadro della dichiarazione dei redditi relativo agli oneri deducibili e detraibili.

Per il resto, il provvedimento ricalca le stesse disposizioni stabilite dai provvedimenti 29 luglio e 15 settembre 2016. Restano invariati i dati forniti dal Sistema tessera sanitaria e le modalità di accesso ai dati e di consultazione da parte del contribuente dei dati aggregati e di quelli di dettaglio, disponibili sul sito delle Entrate. Restano invariate anche le modalità per l’opposizione a rendere disponibili i dati relativi alle spese sanitarie. Nel caso di scontrino parlante, il diniego può essere esercitato non comunicando il codice fiscale; nelle altre ipotesi, chiedendo esplicitamente al medico o alla struttura sanitaria di annotare l’opposizione nella fattura.

Con un ulteriore provvedimento (numero 76047/2018) sempre di ieri l’Agenzia ha fatto anche il punto sulle regole per l’accesso “fai da te”, o tramite Caf e intermediari abilitati, alla propria dichiarazione dei redditi. Nel provvedimento si ricorda che nella precompilata di quest’anno i contribuenti troveranno anche le spese per la frequenza degli asili nido e le erogazioni liberali destinate a Onlus, associazioni di promozione sociale, fondazioni e associazioni riconosciute aventi come scopo statutario la tutela, la promozione e la valorizzazione dei beni di interesse artistico, storico e paesaggistico e lo svolgimento o la promozione di attività di ricerca scientifica. Nell’area riservata sarà possibile visualizzare dal 16 aprile l’elenco delle informazioni relative al loro 730, in cui sono indicati separatamente i dati inseriti e quelli non inseriti (e le relative fonti informative). Le modalità di accesso alla dichiarazione restano le due ormai note: accesso diretto da parte del contribuente (Fisco on line, Cns o credenziali dispositive rilasciate dall’Inps ecc.) ed accesso da parte del sostituto d’imposta che presta assistenza fiscale, del Caf o del professionista abilitato previa acquisizione da parte di questi ultimi della specifica delega. L’accesso “delegato” alla dichiarazione precompilata è consentito fino al 10 novembre 2018, dopo una specifica richiesta all’Agenzia tramite file ovvero via web. In particolare, nella richiesta tramite file, il provvedimento modifica il riferimento temporale dei dati dichiarativi da indicare per aprire la precompilata su delega del contribuente: da quest’anno, infatti, si fa riferimento ai dati dichiarativi dell’anno che precede quello per cui viene richiesta la dichiarazione precompilata, e non più il “secondo anno precedente”, come riportavano le istruzioni del 2017.

Fonte “Il sole 24 ore”

Spese universitarie non statali a detraibilità variabile

Spesa detraibile per la frequenza di università non statali, variabile a seconda dell’area disciplinare e della zona d’Italia in cui ha sede l’ateneo.

L’articolo 15, comma 1, lett. e), DPR 917/1986, come modificato dall’articolo 1, comma 954, lett. b), della legge di Stabilità per il 2016, n. 208/2015, stabilisce che spetta una detrazione d’imposta Irpef, con riferimento alle spese sostenute per la frequenza di corsi di istruzione universitaria.

Dispone più precisamente la norma, con riferimento al periodo d’imposta 2015, che danno diritto ad una detrazione d’imposta, pari al 19 per cento, le spese sostenute per la frequenza di «corsi di istruzione universitaria presso università statali e non statali». In quest’ultimo caso, però, ossia di università non statali, la spesa su cui viene riconosciuta la detrazione in parola deve essere non superiore «a quella stabilita annualmente per ciascuna facoltà universitaria con decreto del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca», che deve essere emanato entro il 31 dicembre. Nella determinazione di tali importi, il decreto, sempre per disposizione di legge, deve tenere conto degli importi medi delle tasse e contributi dovuti alle università statali.

Con decreto 28 dicembre 2017 , ma pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 64 del 17 marzo 2018, sono state individuate le predette spese per il periodo d’imposta 2017, i cui redditi sono oggetto di dichiarazione nel 2018, attraverso il modello 730 e il modello Redditi PF 2018.

Il decreto individua varie aree disciplinari, e più precisamente quella medica, sanitaria, scientifico-tecnologica e umanistico-sociale, a cui viene abbinato un diverso limite di spesa a seconda che la sede dell’ateneo si trovi al Nord Italia, al Centro ovvero al Sud e nelle Isole.

Allegata al decreto vi è una elencazione dettagliata e analitica dei corsi di laurea che sono collegati alle quattro macro aree disciplinari individuate dall’articolo 1, comma 1, del decreto, nonché l’individuazione delle Regioni che fano parte del Nord, del Centro e del Sud e Isole.

Stabilisce ancora il decreto in commento che la spesa in oggetto e riferita agli studenti iscritti «ai corsi di dottorato, di specializzazione e ai master universitari di primo e secondo livello», viene indicata nell’importo massimo di euro 3.700, per gli atenei con sede al Nord, euro 2.900 per gli atenei con sede al Centro Italia e infine euro 1.800 per quelli del Sud e delle Isole.

Nella dichiarazione Redditi PF 2018, relativa al periodo d’imposta 2017, la detrazione in commento trova posto all’intero della Sezione I, del quadro RP, nei righi da RP8 a RP13 indicando, in colonna 1, il codice “13”. La detrazione va poi naturalmente riportata nel quadro RN, e più precisamente RN13, quadro destinato alla determinazione dell’imposta dovuta o a credito del contribuente.

Fonte “Il sole 24 ore”

Reddito d’impresa Leasing e comodato, iperammortamento al bivio

In fase di chiusura del bilancio relativo all’esercizio 2017 il calcolo della fiscalità assume un ruolo importante ed emerge la delicata questione della variazione diminutiva da iper/super ammortamento, che presenta criticità non risolte in occasione di Telefisco 2018. Nonostante i chiarimenti dell’Agenzia sull’interconnessione, restano aperti altri dubbi che rendono delicato il calcolo della variazione diminutiva, e in particolare:

– se il bonus spetta qualora il bene strumentale sia concesso in comodato d’uso;

– se interventi incrementativi su beni detenuti in leasing possano essere agevolati.

I beni in locazione gratuita

Dal punto di vista dell’impresa comodataria, i beni strumentali nuovi assunti in locazione gratuita non sono oggetto di alcuna agevolazione in quanto non sussiste il presupposto dell’acquisto in proprietà (o della costruzione in economia) che rappresenta il requisito necessario per l’agevolazione, con l’unica eccezione dell’acquisto tramite locazione finanziaria, ipotesi da sempre assimilata, sotto il profilo fiscale, all’acquisto diretto.

Il punto delicato è valutare la questione dal punto di vista del comodante. I beni concessi in comodato non sono classificati tra i beni merce bensì tra quelli strumentali per l’impresa comodante. Per valutare la sussistenza del bonus fiscale bisogna segnalare i precedenti interpretativi dell’Agenzia (da ultima la circolare 23/E/2016 ma in materia di detassazione Tremonti-bis analoghe considerazioni erano presenti nella circolare 90/E/2001) che ha considerato il tema del comodato d’uso. La conclusione a cui è sempre pervenuta l’Agenzia è che il bene, per essere fiscalmente agevolabile pur se concesso in uso a terzi, deve cedere la propria utilità al soggetto comodante e non a quello comodatario.

Tale situazione si manifesta nel caso in cui il cespite nuovo è utilizzato dal comodatario per eseguire certe lavorazioni su un bene merce che poi va restituito al comodatario per le ulteriori lavorazioni. Il caso del bene strumentale locato gratuitamente a terzi manifesta tale caratteristica nella fattispecie, ad esempio, dell’acquisto di un tintometro che viene ceduto in comodato ad una impresa che esegue lavorazioni sul prodotto per poi restituirlo all’impresa comodante che commercializza la vernice. In tal caso, come affermato dalla circolare 23/E/2016 ( che a sua volta richiama la risoluzione 196/E/2008) il bene ceduto in comodato conserva la sua natura di bene strumentale in capo all’impresa comodante , la quale, quindi potrà fruire del superammortamento. Diversa la situazione dei beni locati a titolo oneroso poiché in questo caso la stessa circolare 4/E/2017 , al paragrafo 5.2 ha riconosciuto che il beneficio spetta al locatore a condizione che l’attività di locazione costituisca l’oggetto principale della attività e ciò in linea con la sentenza della Corte di cassazione 16453/2014 in cui è stato affermato il carattere di strumentalità anche per beni che sono concessi in locazione nell’esercizio della propria attività.

Incrementi su beni in leasing

Altro tema delicato, gli interventi incrementativi sostenuti dall’impresa utilizzatrice di un bene in leasing soggetto a iperammortamento. Il costo potrà essere posto a base per il calcolo della variazione diminutiva del 150%?

Genera spesso dubbi tra gli operatori il passaggio della circolare 4/E/2017, (par. 5.2) in cui si afferma che nel bonus (in senso generale posto che il passaggio è inserito nella sezione superammortamento) non rientrano le spese sostenute su beni di terzi che «essendo prive di autonoma funzionalità, sono capitalizzabili nella voce “Altre immobilizzazioni immateriali”». Nell’ambito dell’iperammortamento, un passaggio successivo (par. 6.1.2) fa presente che sono agevolabili anche interventi tesi a rendere beni, già di proprietà dell’impresa, conformi al modello Industria 4.0, tramite ammodernamento o revamping. La circolare precisa in sostanza che tali interventi sono agevolabili, anche se eseguiti su beni non agevolati in quanto già esistenti.

Tale precisazione dovrebbe risultare valida, a maggior ragione, se l’intervento è eseguito sul bene in leasing che è a sua volta oggetto di iperammortamento. Del resto se l’acquisto in leasing è fiscalmente assimilato a quello eseguito tramite compravendita diretta, una discriminazione sulle spese incrementative risulterebbe iniqua. Il punto, per la sua delicatezza, meriterebbe una conferma da parte delle Entrate.

Fonte “Il sole 24 ore”

Spesometro, per il regime del margine l’intero importo indicato in fattura

La fatturazione di alcune tipologie di operazioni rilevanti ai fini Iva richiede l’adempimento di determinati obblighi informativi, nonché di registrazione, da cui derivano specifiche modalità di compilazione della comunicazione dei dati delle fatture emesse e ricevute all’articolo 21 del Dl 78/2010 (spesometro), in scadenza il prossimo 6 aprile. È il caso dell’inversione contabile (reverse charge) all’articolo 17 del Dpr 633/1972 e del regime del margine ex articolo 36 del Dl 41/1995. Nelle operazioni soggette a reverse charge, infatti, il meccanismo dell’assolvimento dell’imposta è capovolto e il relativo versamento compete al cliente, anziché al fornitore. Tale regime è volto al contrasto dell’evasione d’imposta ed è richiesto per determinate transazioni con soggetti esteri e per le operazioni «interne» riguardanti le ipotesi disciplinate dai commi da 5 a 7 dell’articolo 17 del Dpr 633/1972, relativi ai settori delle cessioni di oro industriale e di telefoni cellulari e dell’edilizia. A livello di fatturazione, ne consegue che:
•il cedente/prestatore emette la fattura senza l’addebito d’imposta, indicandovi che si tratta di un’operazione soggetta a reverse charge;
•il cessionario/committente deve integrare il documento ricevuto, indicando l’aliquota e l’imposta; successivamente, registra la fattura sia nel registro delle fatture emesse che in quello degli acquisti.

Al momento dell’invio dello spesometro, pertanto, il cedente compila, nel blocco Dte (dati relativi alle fatture emesse), il campo Natura della sezione Dati Riepilogo – dove si indica la natura dell’operazione o il motivo specifico per il quale il fornitore non addebita l’imposta in fattura – riportando il codice «N6», riservato unicamente alle operazioni in reverse charge. Il cliente, invece, trasmette unicamente i dati relativi alla fattura ricevuta e integrata dallo stesso, indicando nel blocco Dtr (dati relativi alle fatture ricevute), nel campo Natura, il medesimo codice «N6», ma è tenuto anche alla compilazione del campo Dati Iva, che prevede l’indicazione dell’Imposta e dell’Aliquota, entrambi in formato numerico e separando i decimali con il carattere «.» (circolare 1/E/2017).

Il regime del margine, invece, si applica alla cessione dei beni usati e agli oggetti d’arte, antiquariato e da collezione acquistati senza l’applicazione dell’imposta e prevede un diverso modo di determinazione dell’Iva da parte dei cedenti. In particolare, l’imposta è calcolata sulla differenza tra il prezzo di vendita e il costo sostenuto per l’acquisto dei suddetti beni, maggiorato delle spese sostenute per la loro riparazione. Tale regime non è riservato solo a chi abitualmente effettua tali cessioni (ad esempio rivendita di auto usate), ma anche ai soggetti passivi Iva che, invece, realizzano queste operazioni solo occasionalmente.

Il cedente in fattura indica il prezzo di vendita comprensivo dell’imposta e la dicitura che si tratta di un’operazione assoggettata a regime del margine. Ai fini dello spesometro, il fornitore compila il blocco delle fatture emesse (Dte), indicando nel campo Natura il codice «N5», ma attenzione all’ipotesi in cui si tratti di un’esportazione in quanto in questo caso si deve utilizzare il codice «N3», come chiarito dalla risoluzione 87/E/2017. In merito all’importo dell’operazione, le specifiche tecniche precisano, per le transazioni per le quali il fornitore non deve dettagliare l’imposta in fattura, il campo Imponibile Importo della sezione Dati Riepilogo deve riportare l’intero importo indicato in fattura e non solo la parte imponibile, in formato numerico separando i decimali con «.».

Fonte “Il sole 24 ore”

Dichiarazione Iva, per i fornitori il reverse charge passa dal quadro VE

Una volta che sarà archiviato lo spesometro, i professionisti dovranno concentrarsi sulla dichiarazione annuale Iva da trasmettere entro il prossimo 30 aprile. I quadri del modello presentano delle interconnessioni, considerato che spesso i dati dichiarati in un campo della dichiarazione devono essere riportati anche in un altro quadro, come nel caso delle operazioni soggette a reverse charge.

Il meccanismo dell’inversione contabile – applicato al settore edile, dell’oro e agli acquisti di Pc, cellulari e tablet, ma anche a quelli intra e extra Ue – inverte il procedimento di liquidazione dell’imposta, in quanto il debitore Iva è l’acquirente/committente; il fornitore, infatti, emette fattura senza addebitare l’imposta, la quale sarà poi versata dal cliente mediante l’integrazione del documento, che andrà contabilizzato sia nel registro degli acquisti che in quello delle vendite.

Nella dichiarazione Iva i fornitori indicheranno le operazioni attive nel quadro VE, mentre i clienti, nonostante le relative fatture risultino dal registro delle vendite, non compileranno quest’ultimo quadro, bensì i prospetti VF e VJ, in quanto si tratta comunque di operazioni passive. In particolare, la compilazione sarà la seguente:

•il fornitore riporta nel quadro VE, rigo VE35, tra le operazioni attive, unicamente il valore del bene ceduto o del servizio prestato;

•il cliente indica la fattura di acquisto integrata nel quadro VF, in corrispondenza dell’aliquota associata alla transazione posta in essere, mentre la registrazione contabilizzata nel registro delle vendite deve essere riportata nel quadro VJ (appositamente istituito per le operazioni in reverse charge), nel rigo corrispondente alla tipologia di operazione.

Ad esempio, un commerciante che cede ad un altro soggetto passivo (nell’ultima fase distributiva prima della rivendita al dettaglio) un tablet PC per 500 euro, dichiarerà l’operazione nel rigo VE35, nel campo 7, indicando l’importo di 500 euro, mentre nel campo 1 riporterà il totale delle operazioni effettuate in reverse charge, come nell’esempio .

L’acquirente, invece, dopo aver integrato il documento ricevuto con l’Iva al 22%, lo contabilizza nei due registri e la fattura, riportata nel registro degli acquisti, andrà indicata nel quadro VF, mentre la fattura contabilizzata nel registro delle vendite andrà dichiarata nel quadro VJ. In particolare, in quest’ultimo prospetto si compila il rigo VJ15 indicando nella colonna 1, l’importo € 500 a titolo di imponibile, mentre in colonna 2 si riporta l’imposta a debito dovuta a seguito dell’applicazione dell’inversione contabile.

Nell’ipotesi in cui, invece, il fornitore fosse un soggetto passivo residente o stabilito nell’Unione Europea, l’acquisto è comunque soggetto a reverse charge (e, quindi, ad integrazione fattura e a doppia registrazione), tale operazione non andrà indicata nel rigo VJ15, ma nel VJ9 dedicato agli «acquisti intracomunitari di beni».

L’imposta, in entrambi i casi, risulterà anche dal quadro VL, dedicato alla liquidazione complessiva dell’Iva, nella sezione dell’“imposta a debito”

La fattura contabilizzata nel registro degli acquisti va invece riportata nel quadro VF, in corrispondenza del rigo associato all’aliquota utilizzata per l’integrazione. Pertanto, nel nostro esempio, l’imponibile va indicato nella colonna 1 del rigo VF13, mentre l’Iva nella colonna 2. L’imposta dovrà essere riportata anche nel quadro VL, ma in quest’occasione, risulterà tra l’imposta a credito.

Spesometro, al via lo slalom per la trasmissione dei dati

Gli intermediari incaricati alla trasmissione del cosiddetto spesometro, ex articolo 4 Dl 193/2016, dovranno seguire le modalità e le specifiche tecniche indicate dall’agenzia delle Entrate con provvedimento 28 ottobre 2016 n. 182070, provvedimento 27 marzo 2017 n. 58793, modificati dal provvedimento 5 febbraio 2018 n. 29190 che recepisce le semplificazioni introdotte dall’articolo 1-ter Dl 148/2017 in tema periodicità di comunicazione e di trasmissione di dati riepilogativi relativamente alle fatture emesse/ricevute di importo inferiore a 300 euro.

Nello specifico l’ufficio dispone che il soggetto obbligato, o incaricato alla trasmissione, inoltri un file con estensione Xml contenente in particolare:

•i dati identificativi del soggetto a cui si riferisce la comunicazione (per le fatture emesse il cedente/prestatore, per le fatture ricevute il cessionario/commettente);

•i dati delle controparti;

•i dati delle operazioni effettuate nel periodo di riferimento.

Al fine della corretta predisposizione del suddetto file il professionista/intermediario potrà, alternativamente, utilizzare:

•Il software di compilazione messo a disposizione sul sito dell’agenzia delle Entrate, il quale consente la compilazione della comunicazione mediante una serie di domande che determinano la struttura del file xml che avrà una nomenclatura del tipo «ITpartitaIva _DF_12345.xml»;

•Un software disponibile sul mercato che risponda alle specifiche tecniche previste dall’Amministrazione, tale da generare un file in formato XML con un nome che indichi il codice paese, l’identificativo univoco del responsabile della trasmissione, la tipologia di file (in tale caso sarà “DF”), il progressivo univoco del file.

L’ufficio accetta anche la trasmissione di file compressi contenenti uno o più file relativi a fatture emesse/ricevute purché di estensione «.Zip».

Creato il file o la cartella compressa è necessario apporvi la firma digitale utilizzando, alternativamente, uno dei seguenti sistemi:

•un certificato di firma qualificata rilasciato da una autorità di certificazione riconosciuta;

•il nuovo servizio di firma elettronica basata sui certificati rilasciati dall’agenzia delle Entrate, disponibile sulle piattaforme Desktop Telematico e Entratel Multifile;

•la funzione di sigillo disponibile nell’interfaccia web Fatture e Corrispettivi.

Relativamente alla cartella compressa, l’ufficio ha chiarito nelle «Specifiche tecniche – modalità di trasmissione dati» che «è possibile trasmettere i dati con un file compresso (.zip) non firmato se tutti i file Xml in esso contenuti sono firmati. Se, invece, i file Xml non sono tutti firmati, il file compresso deve essere obbligatoriamente firmato. La sola tipologia di firma che può essere apposta al file compresso è CAdESBES», in tale caso l’estensione del file firmato assume il valore «.zip.p7m».

Dopo la creazione e la firma, sarà necessario verificare attraverso il «software di controllo» che il file sia formalmente corretto, tale applicazione sarà reperibile all’interno della piattaforma Desktop Telematico o all’interno dell’interfaccia web «Fatture e corrispettivi – Funzioni di supporto – Controllo Dati Fattura».

Infine, l’intermediario procederà con il vero e proprio invio del file all’agenzia delle Entrate utilizzando una delle seguenti modalità:

•funzione di trasmissione delle Comunicazioni Dati Fatture disponibile nell’interfaccia web Fatture e Corrispettivi;

•uno dei canali di interazione con il Sistema di interscambio accreditati per la fatturazione elettronica;

•l’accreditamento di un canale di interazione specifico per la trasmissione delle comunicazioni Iva e dei dati fattura.

È, quindi escluso l’utilizzo della piattaforma «Desktop telematico».

Fonte “Il sole 24 ore”

Esportazioni «umanitarie» non imponibili

Le esportazioni per finalità umanitarie, caritative o educative, sono non imponibili in base a quanto disposto dalla lettera b-bis dell’articolo 8 del Dpr 633/1972 , introdotta dalla legge Comunitaria del 2017.

L’articolo 146 della Direttiva Iva di rifusione 112/2006/CE, al primo comma lettera C stabilisce che sono «esenti» da Iva «le cessioni di beni a organismi riconosciuti che li esportano fuori dalla Comunità nell’ambito delle loro attività umanitarie, caritative o educative fuori della Comunità».

Prima dell’intervento dell’articolo 9 della legge 167 del 20 novembre 2017 (Legge Europea 2017), all’interno del nostro ordinamento Iva non era prevista alcuna particolare norma connessa alla cessione extracomunitaria di beni collegata ad attività umanitarie, caritative o educative, come individuate dalla Direttiva Iva sopra richiamata.

La legge 167/2017, quindi, è intervenuta in materia aggiungendo una disposizione all’interno dell’articolo 8 del Dpr 633/1972, che già disciplina le esportazioni, sia dirette che indirette, ossia, per quanto riguarda queste ultime, con trasporto fuori dalla Comunità europea da parte o per conto del cessionario entro novanta giorni, al fine di disciplinare le cessioni sopra indicate e cioè quelle con scopi sostanzialmente umanitari.

La nuova lettera b-bis, del primo comma, dell’articolo 8 del Dpr 633/1972, dispone, infatti, che sono considerate cessioni all’esportazione non imponibili le cessioni nei confronti «delle amministrazioni pubbliche e dei soggetti della cooperazione allo sviluppo iscritti nell’elenco di cui all’articolo 26, comma 3, della legge 11 agosto 2014, n. 125», ma a determinate condizioni.

Innanzitutto, il cessionario deve trasportare o spedire i beni fuori del territorio dell’Unione europea, anche attraverso un soggetto che lo effettua per suo conto, entra 180 giorni dalla consegna, con delle modalità, stabilisce sempre la norma, che dovranno essere definite dal Ministero dell’economia e delle finanze.

Inoltre, le cessioni dei beni devono avvenire, come già si è detto, in attuazione di finalità «umanitarie, comprese quelle dirette a realizzare programmi di cooperazione allo sviluppo».

Stabilisce altresì la norma che la prova dell’avvenuta esportazione dei beni deve essere data dalla documentazione doganale.

A livello sanzionatorio, attraverso un intervento sul primo comma dell’articolo 7 del Dlgs 471/1997, rubricato «Violazioni relative alle esportazioni», la legge 167/2017 in commento ha stabilito, per chi effettua operazioni non imponibili, una sanzione dal cinquanta al cento per cento dell’imposta, se il trasporto o la spedizione fuori del territorio europeo non avvenga nel termine dei 180 giorni previsti.

Resta fermo quanto disposto dal secondo periodo del medesimo primo comma, dell’articolo 7 appena richiamato, e cioè che, se nei trenta giorni successivi a quelli previsti per l’esportazione viene regolarizzata la fattura e versata l’imposta inizialmente non applicata, la sanzione non è dovuta.

Fonte “Il sole 24 ore”

Software integrati, bonus al 150%

di Luca Gaiani

I principi contabili guidano la qualificazione del software ai fini dell’iperammortamento. Se si tratta di programmi di base necessari al funzionamento del macchinario 4.0, il costo si cumula a quello della macchina su cui spetta la deduzione al 150%. In caso di software «stand alone», spetta invece l’ammortamento 40% purché si tratti di immobilizzazione immateriale secondo l’Oic 24. Per determinare il costo e gli oneri accessori, occhi puntati sull’Oic 16.

Nel calcolo dell’Ires del bilancio 2017, le società fanno i conti per la prima volta con l’iperammortamento. I princìpi contabili sono di ausilio per risolvere diverse questioni, ma restano dubbi su cui si attendono interventi.

Un primo aspetto riguarda il software rientrante nell’allegato B) alla legge 232/16 che, se si è realizzato almeno un investimento «iper», può usufruire della deduzione al 40 per cento. La circolare 4/E/17 ha affermato che l’incentivo riguarda i software «stand alone» anche se acquisiti in licenza d’uso, purché iscrivibili nelle immobilizzazioni immateriali.

L’Oic 24 stabilisce che il software applicativo acquistato a titolo di proprietà, nonché in licenza a tempo indeterminato o determinato si capitalizza quanto alle somme una tantum. Vanno invece a conto economico i canoni periodici o le royalties, che dunque non usufruiscono della agevolazione. Fiscalmente (e dunque anche per il 40%), il software in proprietà oppure in licenza a tempo indeterminato senza limitazioni si deduce in misura non superiore al 50% per ciascun esercizio, mentre la licenza a tempo determinato si ammortizza in base alla durata.

La circolare ha anche previsto che il software integrato acquistato unitamente al macchinario deve considerarsi agevolabile con l’iper del 150 per cento. Poiché il software di base va sempre capitalizzato sul valore del macchinario, il relativo costo si deve ritenere soggetto al 150% anche se acquisito presso un diverso fornitore (Assonime circolare 12/2017).

Rilevano per l’iperammortanento anche gli oneri accessori di diretta imputazione. Per individuarli correttamente sono di aiuto i principi contabili ed in particolare l’Oic 16. A titolo esemplificativo si tratta di: costi di progettazione, trasporti, dazi su importazione, costi di installazione, costi ed onorari di perizie e collaudi, costi di montaggio e posa in opera, costi di messa a punto. Le opere murarie ed edili (ad esempio il basamento di cemento di un macchinario), sono da sommare al costo iper (se sostenute dal 1° gennaio 2017), solo qualora non configurino una autonoma costruzione.

Una questione rilevante riguarda alcuni grandi impianti che, in quanto fissi al suolo, vengono accatastati alla stregua di immobili. La circolare 4/E (parlando di impianti fotovoltaici e eolici) ha chiarito che non sono agevolabili le componenti immobiliari oggetto di stima catastale, mentre rientrano nel bonus le componenti che assolvono a specifiche funzioni nell’ambito del processo produttivo e che non conferiscono all’immobile una utilità comunque apprezzabile (circolare 2/E/16).

È da ritenere che, anche nel caso di «macchinari-immobili», per quantificare il costo iperammortizzabile si debba adottare un criterio funzionale. Dovrebbe usufruire del 150% il costo delle strutture che sono necessarie e specifiche per il processo, come la gabbia metallica dei magazzini verticali, che è parte integrante e insostituibile del meccanismo automatizzato, pur costituendo anche involucro e struttura portante.

Fonte “Il sole 24 ore”

L’avviamento va dedotto per intero

di Primo Ceppellini e Roberto Lugano

 Il conferimento di azienda ha da tempo trovato una disciplina fiscale stabile nell’articolo 176 del Tuir. C’è però una fattispecie sulla quale le istruzioni dell’agenzia delle Entrate portano a conclusioni anomale: si tratta del caso in cui viene conferita una azienda acquistata in precedenza, per la quale è stato contabilizzato un avviamento.

La posizione ufficiale delle Entrate è stata espressa nella circolare 8/E del 4 marzo 2010; in modo abbastanza sorprendente, l’avviamento è stato considerato come un elemento scindibile dal complesso di beni aziendali che non può essere oggetto di conferimento: «Considerato che il valore dell’asset avviamento non è oggetto di trasferimento (ma viene stornato dalla contabilità del soggetto conferente in conseguenza della perdita di valore scaturente dalla dismissione del compendio aziendale di riferimento), si ritiene che tale posta contabile debba essere esclusa dal concetto di azienda conferita».

La dottrina ha ampiamente criticato questa posizione, propendendo per una ipotesi diametralmente opposta: la norma di comportamento Aidc n. 181 del 10 giugno 2011 ha infatti affermato che in caso «di conferimento d’azienda, in relazione alla quale sia già iscritta nella contabilità del conferente una posta a titolo di avviamento, il conferitario acquisisce l’avviamento unitamente agli elementi che compongono l’azienda e subentra nel valore fiscale che l’avviamento aveva in capo al conferente».

In ogni caso, secondo le Entrate, l’ammortamento dell’avviamento prosegue presso il soggetto conferente; trattandosi nel caso di specie di una società che continua a dichiarare reddito di impresa, non vi sono penalizzazioni derivanti da questa impostazione.

Diversa è la situazione in cui il soggetto conferente perde lo status di imprenditore, cosa che avviene nel caso di conferimento dell’impresa individuale. Sul tema è stata interpellata la Dre della Lombardia, che nella sua risposta (interpello n. 904-1573/2017) ha però ritenuto ancora applicabili, nonostante il caso diverso, le conclusioni della circolare 8/E/2010: «La deduzione del valore fiscale residuo dell’avviamento preesistente (che si ribadisce non viene trasferito alla conferitaria, ma resta presso il conferente), deve avvenire per intero, ai sensi dell’articolo 101, comma 5, del Tuir, nell’ultimo periodo d’imposta del conferente, quale ultimo evento fiscale che lo riguarda prima della perdita della qualifica di imprenditore».

L’effetto penalizzante in capo all’impresa, secondo la Dre, è comunque scongiurato grazie alla possibilità di riporto delle perdite: «L’eventuale risultato fiscale negativo (emergente dal quadro RF del modello redditi persone fisiche) cui concorre anche la deduzione del valore fiscale residuo non ammortizzato dell’avviamento, è utilizzabile, ai sensi dell’articolo 8 comma 3 del Tuir, da parte dell’ex imprenditore individuale (nel quadro RH dei successivi periodi d’imposta) in compensazione con altri redditi della stessa natura».

Il risultato sembra simile a quello raggiunto con la circolare del 2010, ma è solo un’apparenza: nel caso generale, le perdite fiscali nel mondo Irpef (articolo 8, comma 3, del Tuir) sono infatti riportabili solo nei cinque periodi di imposta successivi. Il risultato di questa impostazione, chiaramente non condivisibile, è che per cinque anni il reddito di partecipazione nella conferitaria viene abbattuto dal riporto delle perdite, mentre dal sesto anno in poi le perdite residue sono inutilizzabili e quindi perse.

La vicenda diviene paradossale, poi, nel caso di conferimento in società di capitali (non trasparenti): gli unici redditi futuri saranno dividendi, quindi una tipologia non compensabile con le perdite riportate.

Sarebbe auspicabile in futuro un ripensamento dell’amministrazione, volto soprattutto a tenere in considerazione l’aspetto economico-aziendale del tema, e cioè il fatto che l’avviamento non può mai essere scisso dall’azienda a cui si riferisce.

Turnover nella black list della Ue

Il Consiglio dell’Ecofin tenutosi ieri a Bruxelles è nuovamente intervenuto sulla black list recante l’elenco delle giurisdizioni “non cooperative”, emanata il 5 dicembre scorso.

Alla luce degli impegni di alto livello assunti per riformare le proprie politiche fiscali, Bahrain, Isole Marshall e Santa Lucia sono state tolte dalla lista nera e inserite in quella “grigia” dei Paesi sotto osservazione.

Alla lista grigia si aggiungono anche quattro delle otto giurisdizioni dei Caraibi che, a causa degli uragani del 2017, avevano beneficiato di un termine più lungo per replicare alle osservazioni eccepite dal gruppo “Codice di condotta” nella fase di screening. Si tratta di Anguilla, Antigua e Barbuda, Isole Vergini britanniche e Dominica, che si sono impegnate a rafforzare le carenze individuate nei propri sistemi fiscali.

Entrano invece a popolare la black list Bahamas, Saint Kitts e Nevis e le Isole Vergini statunitensi, mentre l’ottava giurisdizione dei Caraibi, le Isole Turks e Caicos, avrà tempo fino al 31 marzo prossimo per decidere se affrontare o meno le problematiche fiscali riscontrate in sede europea. Si ricorda che la lista era già stata oggetto di un primo correttivo con la decisione varata dall’Ecofin il 23 gennaio scorso, che aveva eliminato dall’elenco dei Paesi non collaborativi ben 8 delle 17 giurisdizioni inizialmente individuate, promuovendo, al contempo, Panama, Corea del Sud, Emirati Arabi Uniti, Barbados, Grenada, Macao, Mongolia e Tunisia nella grey list.

A oggi, quindi, la black list di matrice europea conta 9 giurisdizioni: American Samoa, Bahamas, Guam, Namibia, Palau, Samoa, Saint Kitts e Nevis, Trinidad e Tobago e Us Virgin Islands. Fanno invece parte della lista “grigia” 59 giurisdizioni in luogo delle originarie 47.

La black list avrà un impatto effettivo sui Paesi interessati. Ad esempio, i finanziamenti europei operanti nel contesto del Fondo europeo per lo sviluppo sostenibile (Efsd), del Fondo europeo per gli investimenti strategici (Feis) e del Mandato di prestito esterno (Elm) non potranno più convogliare attraverso entità localizzate in Paesi “non collaborativi”. Inoltre, la lista è entrata a far parte di talune proposte legislative, quali la Com/2016/0198 final – 2016/0107 sul “Country by Country reporting”.

Nell’obiettivo dichiarato dal Consiglio, l’elenco intende promuovere il buon governo in materia fiscale a livello mondiale, massimizzando gli sforzi per prevenire l’elusione, la frode e l’evasione fiscale. Ciò dovrebbe peraltro favorire l’adozione da parte di tutti gli Stati membri di un elenco comune in grado di superare i limiti di un approccio patchwork alla lotta ai paradisi fiscali.

In questo scenario la scelta adottata dall’Italia di abbandonare il precedente sistema eretto sulla balck list in luogo di un criterio di identificazione dei regimi a fiscalità privilegiata basato esclusivamente sul livello di tassazione nominale del Paese estero, mette in luce la profonda distanza tra l’approccio domestico e quello europeo. E ciò non solo per lo strumento adottato dal Consiglio (per esempio la pubblicazione di una lista nera), quanto per i criteri utilizzati nella fase di screening basati su trasparenza fiscale, equità fiscale e adozione di misure anti-Beps.

Le differenze emergono anche confrontando i Paesi attualmente inseriti nella white list di cui al Dm 4 settembre 1996, posto che delle attuali 9 giurisdizioni contemplate nella black list europea, 3 rientrano nella withe list italiana, mentre delle 59 giurisdizioni facenti parte della grey list, 43 popolano anche la white list. In quest’ottica una rivisitazione dei criteri di individuazione dei Paesi a fiscalità privilegiata coerente con l’approccio europeo consentirebbe di superare l’incertezza che l’articolo 167, comma 4, del Tuir gioco-forza determina, creando al contempo un contesto più chiaro ed equo sia per le imprese, sia per gli stessi Paesi terzi .

 Fonte “Il sole 24 ore”

Scadenzario seconda rottamazione

l primo appuntamento con la rottamazione-bis delle cartelle Equitalia è stato il 31 ottobre quando l’agenzia delle Entrate-Riscossione ha predisposto il modello di adesione per i contribuenti esclusi dalla rottamazione-uno (perché avevano piani di dilazione in corso e non erano in regola con i pagamenti) e ora “ripescati” dalla rottamazione-bis. Da quel momento l’operazione è entrata nel vivo. Anche se ora i modelli dovranno essere aggiornati visto che il decreto fiscale collegato alla manovra è stato sensibilmente modificato nell’esame al Senato e ora è stato approvato definitivamente dalla Camera senza ulteriori modifiche.

Chi non è in regola con la prima rottamazione

Il primo fronte della rottamazione-bis riguarderà chi non è in regola con la rottamazione tuttora in corso. Alla luce delle modifiche apportate dal Senato, il 7 dicembre (rispetto alla versione originaria che prevedeva il 30 novembre) sarà il termine per pagare l’unica rata o le rate non versate alle scadenze del 31 luglio o del 2 ottobre (il termine slittato dal 30 settembre che cadeva di sabato). Scadrà il 7 dicembre anche l’eventuale terza rata del piano di pagamento di rottamazione che era prevista per il 30 novembre.

VENERDÌ IL DECRETO FISCALE 12 ottobre 2017

Cartelle non pagate e liti: nuova chance per chiudere i conti con il Fisco

Il secondo fronte: i «ripescati»

Il secondo fronte riguarda i contribuenti che sono stati esclusi dalla prima rottamazione perché al 24 ottobre 2016 avevano piani di rateazione in corso con l’ex Equitalia e non erano in regola con i pagamenti delle rate scadute entro il 31 dicembre dello scorso anno.

Alla luce delle modifiche apportate dal Parlamento questo è il nuovo calendario.

2 gennaio 2018 -> Agenzia delle Entrate-Riscossione deve aggiornare il modello di adesione alla rottamazione già predisposto a fine ottobre (il termine in realtà è il 31 dicembre ma cade di domenica e anche il 1° gennaio è festivo);

15 maggio 2018 -> Richiesta di adesione alla rottamazione delle cartelle per i contribuenti esclusi dalla prima rottamazione perché al 24 ottobre 2016 avevano piani di dilazione in corso con l’ex Equitalia e non erano in regola con i pagamenti a fine dello scorso anno

30 giugno 2018 -> L’agente della riscossione comunica l’ammontare delle rate scadute al 31 dicembre 2016, non pagate e da versare per mettersi in regola

31 luglio 2018 -> Per essere riammessi alla rottamazione delle cartelle bisogna versare in un’unica soluzione le rate non saldate, i cui importi sono stati comunicati dall’agente della riscossione entro il 30 giugno. Il mancato, insufficiente o tardivo versamento di queste somme determina l’esclusione dalla rottamazione

1° ottobre 2018 -> L’agente della riscossione comunica ai contribuenti riammessi l’ammontare delle somme dovute per la definizione , delle relative rate e il giorno e il mese di scadenza di ciascuna di esse (il termine in realtà è il 30 settembre ma cade di domenica e quindi slitta al giorno successivo)

31 ottobre 2018 -> Il contribuente deve versare una prima tranche del 40 % delle somme complessivamente dovute per la rottamazione

30 novembre 2018 -> Il contribuente deve versare una seconda tranche del 40 % delle somme complessivamente dovute per la rottamazione

28 febbraio 2019 -> Il contribuente deve versare l’ultima tranche del 20 % delle somme complessivamente dovute per la definizione

Il terzo fronte: le nuove adesioni per i carichi da gennaio a settembre 2017

Il terzo profilo della rottamazione-bis riguarda i contribuenti con carichi affidati agli agenti della riscossione dal 1° gennaio al 30 settembre 2017.

2 gennaio 2018 -> Agenzia delle Entrate – Riscossione deve predisporre il modello di adesione alla rottamazione dei carichi affidati al concessionario dal 1° gennaio al 30 dicembre 2017

15 maggio 2018 -> Termine per l’adesione alla rottamazione per i carichi affidati alla riscossione dal 2000 fino al 30 settembre 2017

31 marzo 2018 -> Agenzia delle Entrate-Riscossione comunica al contribuente l’affidamento di carichi per i quali non risulta ancora notificata la cartella

30 giugno 2018 -> Agenzia delle Entrate- Riscossione comunica entro questa data gli importi dovuti per la definizione della rottamazione, delle relative rate, il giorno e il mese di scadenza di ciascuna di esse

31 luglio 2018 -> Scade il termine per il versamento della prima o unica rata

1° ottobre 2018 -> Scade il termine per il versamento dell’eventuale seconda rata (il termine in realtà è il 30 settembre ma cade di domenica e quindi slitta al giorno successivo)

31 ottobre 2018 -> Scade il termine per il versamento dell’eventuale terza rata

30 novembre 2018 -> Scade il termine per il versamento dell’eventuale quarta rata

28 febbraio 2019 -> Scade il termine per l’eventuale quinta e ultima rata.

Il quarto fronte: le nuove adesioni per i carichi dal 2000 al 2016

C’è poi un quarto fronte che riguarda i contribuenti con carichi relativi agli anni 2000-2016 (quest’ultima è una novità inserita durante l’iter parlamentare di conversione del decreto fiscale) che non hanno fatto domanda di adesione alla prima rottamazione. Anche per questi ultimi (così come i «ripescati») la rottamazione potrà essere pagata solo in tre rate.

2 gennaio 2018 ->Agenzia delle Entrate – Riscossione deve predisporre il modello di adesione alla rottamazione dei carichi affidati al concessionario dal 2000 al 2016

15 maggio 2018 -> Termine per l’adesione alla rottamazione per i carichi affidati alla riscossione dal 2000 al 2016 ma è necessario non aver già presentato domanda alla prima rottamazione

1° ottobre 2018 -> L’agente della riscossione comunica ai contribuenti ammessi l’ammontare delle somme dovute per la definizione , delle relative rate e il giorno e il mese di scadenza di ciascuna di esse (il termine in realtà è il 30 settembre ma cade di domenica e quindi slitta al giorno successivo)

31 ottobre 2018 -> Il contribuente deve versare in un’unica tranche o in alternativa una prima tranche del 40  % delle somme complessivamente dovute per la rottamazione

30 novembre 2018 -> Il contribuente deve versare la seconda eventuale tranche del 40% delle somme complessivamente dovute per la rottamazione

28 febbraio 2019 -> Il contribuente deve versare l’ultima tranche del 20% delle somme complessivamente dovute per la definizione.

Fonte “Il sole 24 ore”

Usufrutto, gli interessi passivi sui mutui trovano spazio nel modello Redditi Pf

L’articolo 15, comma 1 lettera b) del Tuir prevede la detrazione Irpef, nella misura del 19%, degli interessi passivi ed oneri accessori pagati per mutui ipotecari contratti per l’acquisto di immobili da adibire ad abitazione principale entro un anno dall’acquisto, per un importo non superiore a 4mila euro.

Contrastando con la consolidata prassi dell’agenzia delle Entrate (circolare 95/E/2000, punto 1.2.7 e 108/1996, punto 2.3.1, secondo cui la detrazione «non compete mai all’usufruttuario in quanto lo stesso non acquista l’unità immobiliare»), la Cassazione nella sentenza n. 22191/2016 ha, invece, esteso l’ambito applicativo di detta detrazione, affermando che il riferimento all’«acquisto dell’unità immobiliare», rapportato all’esigenza dell’abitazione, deve intendersi come acquisto di un diritto reale, quale esso sia, compreso quindi il diritto di usufrutto, uso e abitazione, in grado di soddisfare l’esigenza abitativa.

Da tale pronunciamento possono derivare conseguenze operative per eventuali valutazioni sulla scelta del modello da presentare nella imminente campagna dichiarativa. Anche quest’anno, infatti, gli usufruttuari, dipendenti o pensionati, che intendessero aderire all’orientamento giurisprudenziale e detrarre gli interessi passivi in argomento, non potranno rivolgersi ai Caf o ai professionisti abilitati per compilare il modello 730.

Essi, infatti, poiché sono responsabili del visto di conformità sul quadro E, non possono ammettere una detrazione non espressamente prevista dalla norma o dalla prassi dell’agenzia delle Entrate, a pena di assumere conseguenze per infedeltà che traslerebbero su di loro sia la contestazione tributaria che quella sanzionatoria.

La posizione del Fisco, peraltro, non è stata modificata né all’interno del testo unico delle detrazioni fiscali costituito dalla corposa circolare 7/E/2017 né nelle istruzioni delle dichiarazioni relative al periodo d’imposta 2018, del tutto indifferenti al citato pronunciamento.

Conseguentemente, per sostenere la detraibilità degli interessi per acquisto di usufrutto, i contribuenti non potranno che compilare il quadro RP del modello Redditi 2018 ed eventualmente, in caso di controllo 36-ter del Dpr 600/1973 che eccepisse l’indebita detrazione, incardinare un contenzioso tributario.

Parallelamente, peraltro, potrà valutata anche l’opportunità di presentare dichiarazioni integrative a favore, per recuperare il credito di imposta di tutte le annualità pregresse ancora aperte (periodo di imposta 2013 e successivi), compilando, ove previsto, anche il quadro DI.

Allo stato, però, persiste una paradossale situazione nella quale chi acquista l’usufrutto di un immobile per adibirlo ad abitazione principale, da un lato è tenuto ad indicare il reddito fondiario al quadro RB, dall’altro lato non può detrarre al rigo RP7 gli interessi passivi per il mutuo finalizzato al suo acquisto, mentre, al rigo RP8 (codice 17) può usufruire della detrazione per eventuali oneri di intermediazione pagati all’agenzia immobiliare per l’acquisizione di tale diritto reale (circolare n. 34/E/2008, risposta 13)

Redditi Pf 2018: gli affitti brevi arrivano nel nuovo quadro LC

Il nuovo quadro LC del Modello Redditi Pf 2018 accoglie la recente disciplina sulle cosiddette locazioni brevi introdotta dall’articolo 4 del Dl 50/2017. Si ricorda, infatti, che a decorrere dal 1° giugno 2017 ai redditi derivanti da queste locazioni è possibile applicare un’imposta sostitutiva nella forma della cedolare secca del 21%.

L’articolo 4 del Dl 50/2017 individua nelle locazioni brevi quei «contratti di locazione di immobili ad uso abitativo di durata non superiore a 30 giorni, ivi inclusi quelli che prevedono la prestazione dei servizi di fornitura di biancheria e di pulizia dei locali, stipulati da persone fisiche, al di fuori dell’esercizio di attività d’impresa, direttamente o tramite soggetti che esercitano attività di intermediazione immobiliare, ovvero soggetti che gestiscono portali telematici, mettendo in contatto persone in cerca di un immobile con persone che dispongono di unità immobiliari da locare».

La stessa possibilità è stata estesa anche ai redditi derivanti dai contratti di sublocazione e dai contratti a titolo oneroso conclusi dal comodatario aventi ad oggetto il godimento dell’immobile da parte di terzi.

Alla luce di quanto sopra, da quest’anno, tra i soggetti obbligati alla compilazione del nuovo quadro LC, rientrano anche le persone fisiche non titolari di partita Iva che locano a soggetti, anch’essi persone fisiche che agiscono al di fuori dell’attività di impresa, un’unità immobiliare a destinazione residenziale (classificate nelle categorie catastali da A1 a A11, ad esclusione di A10, e le relative pertinenze, nonché le singole stanze), per una durata inferiore a 30 giorni, e pertanto non soggetta a registrazione obbligatoria.

Sono esclusi da tale disciplina i soggetti che esercitino un’attività commerciale anche se in modo occasionale, ossia quando i canoni di locazione percepiti sono redditi diversi ex articolo 67, comma 1 lettera h) del Tuir, piuttosto che redditi fondiari (o derivanti dalla sublocazione o dal contratto di comodato).

L’opzione per la cedolare secca andrà espressa direttamente nel quadro RB del modello Redditi Pf in colonna 11, così come, nello stesso quadro, andranno indicati i redditi derivanti da detta tipologia di locazione, oltre agli altri (colonna 14). Qualora si proceda alla registrazione del contratto, l’opzione dovrà essere espressa anche in tale sede.

La funzione del nuovo quadro LC, infatti, è proprio quella di liquidare l’imposta dovuta sui corrispettivi incassati dalle locazioni brevi, per i quali si è optato per l’imposta sostitutiva del 21% e dai canoni di locazioni per i quali si è optato per la cedolare secca al 21% o al 10%, ricomprendendo, quindi, tutti quei contratti per i quali il locatore ha scelto la cedolare secca.

Ricordiamo, infine, che la circolare dell’agenzia delle Entrate 24/E/2017, sempre nell’ambito delle locazioni brevi, ha chiarito che:

•la fornitura di biancheria e la pulizia dei locali sono servizi che devono ritenersi strettamente funzionali alle esigenze abitative di breve periodo;

•include tra i servizi di cui all’articolo 4 anche la fornitura di utenze, il wi-fi e l’aria condizionata;

•il servizio di colazione o di fornitura pasti, invece, costituisce un servizio commerciale ed esclude l’applicabilità dell’imposta sostitutiva.

 Fonte “Il sole 24 ore”

Versamenti Redditi 2018 con la doppia rata il 20 agosto

Ogni tanto anche il Fisco ha le sue stravaganze. Per chi non vi si sia ancora imbattuto, suggeriamo di prendere visione della tabella delle rateizzazioni per i contribuenti titolari di partita Iva, contenuta nelle istruzioni del modello Redditi persone fisiche 2018 (fascicolo 1, pagina 9), che devono utilizzare i soggetti che decidono di versare a rate entro il maggior termine previsto per coloro che scelgono di versare con la maggiorazione dello 0,40 per cento.

La tabella riporta la seguente sequenza di date di scadenza delle rate, con i relativi interessi:
•prima rata 20 agosto 2018;
•seconda rata 20 agosto 2018, con interessi dello 0 per cento;
•terza rata 17 settembre 2018, con interessi dello 0,33 per cento;
•quarta rata 16 ottobre 2018, con interessi dello 0,66 per cento;
•quinta rata 16 novembre 2018, con interessi dello 0,99 per cento.

È scritta proprio così, non ci sono errori di digitazione, la prima e la seconda rata si versano entrambe il 20 agosto 2018. Ma come mai la tabella di rateizzazione riporta tale sequenza di date, che sembrerebbe apparentemente non coerente? Il tutto è chiaramente frutto di un’attenta osservanza delle norme, ma forse (almeno questa è la nostra sensazione), ed è questo il nostro sospetto, potrebbe esserci anche qualche piccolo errore.

Proviamo a esaminare, per ciascuna delle scadenze, il termine indicato e a verificare anche il calcolo degli interessi:
•prima rata al 20 agosto 2018. Per la determinazione di tale data, non così intuitiva, si parte dalla scadenza naturale del 30 giugno 2018, che cadendo in un giorno festivo va al 2 luglio 2018, a questa si aggiungono i 30 giorni consentiti dal versamento con maggiorazione dello 0,40 per cento e si arriva così al 1 agosto 2018, termine che fruisce dell’ulteriore differimento al 20 agosto 2018 cui rientra qualsiasi versamento che scada dal 1 agosto al 20 agosto di ogni anno. Chiaramente non sono indicati gli interessi, trattandosi della 1° rata. Per quanto riguarda la 1° rata, quindi, tutto condivisibile, nessuna osservazione da fare.
•seconda rata al 20 agosto 2018. Qui le cose si complicano, perché l’agenzia delle Entrate riparte dal 1 agosto 2018 e da lì determina il termine della 2° rata al 16 agosto 2018, che fruisce anch’esso dell’ulteriore differimento al 20 agosto 2018 cui rientra qualsiasi versamento che scada dal 1 agosto al 20 agosto di ogni anno. Interessi indicati zero per cento. Qui ci permettiamo di avere qualche dubbio: perché si riparte dal 1 agosto 2018? La 1° rata è il 20 agosto 2018, è da qui che chiunque ripartirebbe per determinare la 2° rata, anche perché poi gli interessi indicati nella misura dello 0,00 per cento sono evidentemente calcolati proprio dal 20 agosto 2018 e non dal 1 agosto 2018 (altrimenti avremmo lo 0,22 per cento di interessi). Sembrerebbe una contraddizione piuttosto evidente.
•terza rata 17 settembre 2018, con interessi dello 0,33 per cento. Sul termine nessuna osservazione particolare (se non che saremmo un mese in anticipo), ma sulla percentuale degli interessi i conti non ci tornano. Lo 0,33 per cento è calcolato con riferimento al tasso del 4 per cento annuale per 1/12 (cioè un mese). Ma dal 20 agosto 2018 al 17 settembre 2018 c’è meno di un mese, per cui gli interessi dovrebbero essere solo dello 0,29 per cento. Infatti, ad esempio, nella tabella della pagina precedente dei soggetti privati, per il differimento dal 20 agosto 2018 al 31 agosto 2018 è correttamente indicato l’interesse dello 0,11 per cento, cioè lo 0,33 mensile per 1/3 di mese cui corrispondono gli 11 giorni di differimento.
•quarta rata 16 ottobre 2018, con interessi dello 0,66 per cento e quinta rata 16 novembre 2018, con interessi dello 0,99 per cento. Sembra tutto corretto, nulla da segnalare.

Ebbene, possibili errori a parte, proviamo prima a fare qualche considerazione di “economicità” e poi a ricordare quanto fu fatto in passato, più precisamente nel 2012, in un’analoga situazione.

La prima considerazione, che riteniamo essere di puro buon senso, è la seguente: chi versa con maggiorazione dello 0,40% e anche a rate, non ha probabilmente grandi disponibilità di liquidità, altrimenti avrebbe scelto un’altra modalità di versamento meno onerosa. Ma davvero si vuole chiedere a un contribuente che si trova in questa situazione, proprio nel mese di agosto, laddove notoriamente gli incassi non sono tra i più elevati (tranne forse in qualche settore specifico), di versare due rate insieme? Visto anche che ogni giorno di differimento è coperto dagli interessi?

La seconda considerazione è che questi strani “incroci” di calendario non sono straordinari, ma accadono con una frequenza relativamente elevata. Difatti abbiamo già avuto una situazione molto simile nel 2012, laddove le Entrate in fase di stesura delle istruzioni avevano inizialmente preso una posizione simile a quella odierna, ma poi aveva corretto il tiro con alcuni pronunciamenti ufficiali cui ci si potrebbe riferire anche in questo caso.
Sul punto non possiamo non citare l’articolo scritto da Salvina e Tonino Morina, dal titolo «Per le Entrate la tentazione della doppia rata ad agosto», pubblicato su questa testata lo scorso 21 gennaio, nel quale gli autori – non condividendo la presa di posizione dello scorso anno dall’Agenzia con la circolare 8/E/2017 (paragrafo 11.2) relativa a un caso simile, anche se non proprio uguale – indicano invece la risoluzione 69/E/2012 come il corretto documento di prassi da prendere a riferimento per dirimere la questione (segnaliamo che vengono citati anche analoghi pronunciamenti, quali la circolare 192/E/1998, la circolare 50/E/2002, la risoluzione 128/E/2007).
Dal nostro punto di vista, come AssoSoftware in rappresentanza dei produttori di software associati, pur non essendo direttamente interessati (i diretti interessati sono di fatto esclusivamente i contribuenti), non possiamo non segnalare i disagi e le criticità che prese di posizioni come questa possono creare.

In particolare segnaliamo queste due criticità:
■la prima è di tipo operativo e ci interessa direttamente, laddove la prima reazione degli operatori che utilizzano le procedure sviluppate dai nostri associati è che vi sia un errore di programma («Due rate lo stesso giorno!! Possibile?») e quando ci contattano per chiarimenti, quasi sempre va a finire che sono le software house a non aver capito nulla;
■la seconda, riguarda il rapporto di fiducia tra il fisco e i contribuenti, che sicuramente non beneficia di queste scelte. È vero che è un problema che apparentemente non riguarda le software house, tuttavia essendo noi in qualche modo all’interno della filiera dell’assistenza fiscale, abbiamo il dovere di fare tutto quanto ci è possibile perché tutto il sistema funzioni al meglio.

Ci auguriamo, quindi, che si possa fare un ulteriore sforzo e addivenire a una soluzione interpretativa più equa e giusta. Ricordiamo che proprio la stessa Agenzia, con la circolare 1/E/2018 sulle nuove regole della detrazione Iva, ha dimostrato di poterlo fare con grande saggezza e capacità.

La cosa importante, dal nostro punto di vista, sarebbe intervenire in fretta ovvero confermare in via definitiva la posizione attuale; da scongiurare, invece, qualsiasi modifica dell’ultima ora.

Fonte “Il sole 24 ore”

Modello Redditi Pf 2018, cambiano detrazioni e deduzioni per sanità, scuola e casa

Il quadro RP del modello Redditi Pf 2018 è stato modificato per recepire le novità in materia di oneri deducibili e detraibili previste per il periodo di imposta 2017, tra le quali vi rientra la detrazione, come spesa sanitaria, degli oneri sostenuti per l’acquisto di alimenti a fini medici speciali (Afms), di cui alla sezione A1 del Registro nazionale di cui all’articolo 7 del Dm 8 giugno 2001 (consultabile anche sul sito del ministero della Sanità), con l’esclusione di quelli destinati ai lattanti e celiaci (Dl 148/2017).

Gli Afms, rientrando quindi tra le spese mediche, sono detraibili nella percentuale del 19% per la parte che eccede la franchigia di 129,11 euro, anche se acquistati per le persone fiscalmente a carico. Si ricorda che, per effetto della legge Cirinnà (legge n. 76/2016), i partner dell’unione civile hanno gli stessi diritti dei coniugi, cosicché sono ricompresi nel novero dei familiari a carico. A contrario, in caso di convivenza, le spese sostenute in favore del convivente non sono agevolabili se non per espressa previsione di legge (es. bonus edilizi).

Le altre modifiche riguardano le spese scolastiche e gli studenti universitari. In merito alla prima fattispecie, la legge n. 232/2016 ha modificato i limiti di detrazione delle spese di istruzione non universitaria, prevedendo la possibilità di calcolare il 19% su un limite massimo di 717,00 euro (in luogo di 564 euro); di conseguenza, l’importo detraibile non potrà essere superiore ad 136,23 euro.

Per gli studenti universitari, invece, cambiano le regole di detrazione dei canoni di locazione (legge 205/2017). Infatti, a regime, la riduzione del 19%, calcolata su un importo di spese pari a 2.633 euro (detrazione massima pari ad 500,27 euro), compete se l’università è ubicata in un comune diverso da quello di residenza, distante da almeno 100 chilometri e comunque in una provincia diversa.

Eccezionalmente, per gli anni 2017-2018, il requisito della distanza si intende rispettato anche all’interno della stessa provincia ed è ridotto a 50 chilometri per gli studenti residenti in zone montane o disagiate; il limite massimo detraibile, invece, è invariato.

Anche in tema di investimenti, vi sono alcune novità. Infatti, a chi investe nel capitale sociale di una start-up o PMI innovativa è riconosciuta una detrazione d’imposta del 30%, da calcolare su un importo non eccedente 1 milione.

Come ogni anno, infine, le altre modifiche riguardano le detrazioni “comparto casa”; infatti, per il periodo d’imposta 2017:

•sono state prorogate le detrazioni: del 50% relative agli interventi di ristrutturazione edilizia e all’acquisto di mobili per gli immobili ristrutturati (bonus mobili), del 50% dell’Iva dovuta sull’acquisto di unità immobiliari in classe energetica A o B e del 65% per i lavori di risparmio energetico.

•è stato modificato il Sismabonus, che per le spese sostenute dal 1° gennaio 2017 compete nella misura del 50%, da ripartire in 5 rate annuali ed è fruibile, oltre che per le zone 1 e 2 dell’Opcm 20 marzo 2004, anche per gli immobili situati nella zona 3.

Qualora dagli interventi consegua un passaggio ad una classe di rischio inferiore, la detrazione è pari al 70% o, in caso di condomini, al 75%, mentre è dell’80%, se il rischio diminuisce di due classi ed è innalzata all’85% per i lavori condominiali.

Anche per gli acquisti di case ricostruite allo scopo di ridurre il rischio sismico spetta la detrazione del 75% o dell’85% sul costo di acquisto, se, a seguito dei lavori, il rischio sismico è diminuito rispettivamente di una o due classi.

•è stato introdotto il cd. Ecobonus qualificato, che prevede detrazioni del 70% e del 75% per specifici interventi effettuati sulle parti comuni degli edifici condominiali, finalizzati alla riqualificazione energetica della struttura.

Fonte “Il sole 24 ore”

Saldo Iva 2018

Venerdì 16 marzo scade il termine per l’effettuazione del versamento dell’Iva a debito dovuta in base alla dichiarazione annuale per il periodo d’imposta 2017. Sono previste diverse modalità di versamento del saldo Iva e sull’argomento nel corso di Telefisco 2018 è stato fornito un importante chiarimento: il saldo Iva potrà , a discrezione del soggetto interessato, essere versato il 20 agosto con la maggiorazione dello 0,40%.

Le possibilità previste del versamento del saldo Iva

Come si evince anche dalla istruzioni allegate al modello Iva 2018, approvato con provvedimento del direttore delle Entrate n. 10581 del 15 gennaio 2018, i contribuenti possono versare il saldo Iva in unica soluzione ovvero rateizzare ai sensi dell’articolo 20 del Dlgs 9 luglio 1997, n. 241.

Il versamento può essere differito alla scadenza prevista per il pagamento delle somme dovute in base alla dichiarazione dei redditi, con la maggiorazione dello 0,40% a titolo d’interesse per ogni mese o frazione di mese successivo al 16 marzo. Anche i soggetti con esercizio non coincidente con l’anno solare possono avvalersi del differimento del versamento dell’Iva, versando l’imposta entro il 30 giugno a prescindere dai diversi termini di versamento delle imposte sui redditi.

Le istruzioni precisano che la maggiorazione dello 0,40%, prevista per ogni mese o frazione di mese, si applica sulla parte del debito non compensato con i crediti riportati in F24.

I chiarimenti di Telefisco 2018

Durante Telefisco 2018 è stato posto un quesito ai funzionari dell’agenzia delle Entrate relativo al fatto se il saldo Iva per il 2017 possa essere versato entro i 30 giorni successivi alla scadenza del termine per il saldo delle imposte sui redditi del 30 giugno 2018, che slitta al 2 luglio; poiché i 30 giorni successivi scadono il 1° agosto, è stata chiesta la conferma se questa scadenza slitta poi al 20 agosto in quanto beneficia della proroga di Ferragosto.

I funzionari delle Entrate hanno chiarito che, per effetto di quanto disposto dal comma 11-bis, articolo 37, della legge n.223/2006 (introdotto dall’articolo 3-quater, comma 1. D.L. 2 marzo 2012, n. 16), gli adempimenti fiscali (compresi gli obblighi di versamento) che scadono tra il 1° ed il 20 agosto di ogni anno, possono essere effettuati entro il giorno 20 dello stesso mese, senza alcuna maggiorazione.

Di conseguenza, è stato confermato che il saldo Iva 2017 può essere versato entro:

• il 16 marzo 2018, senza maggiorazione;

• il 2 luglio 2018, maggiorando la somma da versare degli interessi nella misura dello 0,40% per ogni mese o frazione di mese successivi al termine di pagamento del saldo dovuto con riferimento alla dichiarazione dei redditi ;

• il 20 agosto 2018, maggiorando le somme da versare dello 0,40%, a titolo di interesse corrispettivo.

Fonte “Il sole 24 ore”

Utilizzo con meno vincoli per l’integrativa a favore

Detrazione dell’Iva solo in presenza dell’effettuazione dell’operazione e della fattura; dichiarazione integrativa a favore sempre utilizzabile per recuperare la detrazione persa, ma utilizzo del maggior credito con ritmi diversi a seconda del momento di invio della integrativa.

Possono essere così sintetizzati i punti salienti del nuovo meccanismo che coinvolge la detrazione Iva, chiariti dall’agenzia delle Entrate con la circolare 1/E del 17 gennaio di quest’anno, che abilmente e in aderenza ai principi europei, è riuscita a dirimere la questione del “poco” coordinamento tra articoli 19 e 25 del Dpr 633/1972, modificati al Dl 50/2017.

L’agenzia delle Entrate è, quindi, arrivata alla condivisibile conclusione che l’imposta sul valore aggiunto diviene esigibile e, quindi, sorge il diritto alla sua detrazione, solo qualora si manifestino contemporaneamente due condizioni: la prima è che l’operazione si consideri effettuata nei termini previsti dall’articolo 6 della legge Iva, e la seconda è che il contribuente, cessionario o committente, sia in possesso della fattura di acquisto.

Tale regola, naturalmente, non vale solo per le operazioni a cavallo d’anno, ossia con operazione effettuata nel 2017 e fattura consegnata al cliente nel 2018, ma anche per quelle avvenute in corso d’anno.

Si pensi ad un’operazione effettuata a febbraio, ma con fattura fisicamente pervenuta al cliente nel successivo mese di marzo, ancorché datata fine febbraio. Guardando ai chiarimenti forniti dall’Agenzia, la detrazione può avvenire solo a partire dal mese di marzo, nel quale si concretizzano le due già menzionate condizioni.

In ogni caso, l’esercizio al diritto alla detrazione può essere esercitato, una volta individuato l’anno in cui esso sorge, al più tardi con la dichiarazione annuale Iva relativa a tale anno. Nel caso in cui, però, la registrazione della fattura avvenga nell’anno successivo, la registrazione va effettuata in un apposito registro sezionale.

Se addirittura la registrazione avviene dopo la data di presentazione della dichiarazione annuale appena citata, allora, al fine di non perdere la detrazione, il contribuente deve presentare una dichiarazione integrativa a favore.

Si ricorda che in presenza di una integrativa inviata entro la scadenza dei termini per la presentazione della dichiarazione relativa all’anno successivo a quello integrato, il maggior credito scaturente dalla dichiarazione può trovare utilizzo già nel medesimo anno, mentre in presenza di integrativa che viene presentata oltre tale data, la compensazione, o il rimborso, può avvenire solo dal primo gennaio dell’anno successivo e la compensazione può riguardare solo debiti tributari maturati nel predetto anno successivo.

In occasione di Telefisco 2018, l’agenzia delle Entrate ha confermato che l’utilizzo del maggiore credito, in caso di integrativa ultrannuale, può avvenire già fin dal primo gennaio dell’anno successivo a quello di sua presentazione, ma occorre fare attenzione che tale maggior credito, che deve essere indicato anche all’interno della dichiarazione relativa all’anno in cui l’integrativa è presentata, non sia utilizzato due volte.

È stato anche chiarito che il meccanismo di compensazione dall’anno successivo, per l’integrativa ultrannuale, non può esser superato attraverso la presentazione di una serie di integrative a catena.

Fonte “Il sole 24 ore”

Regime per cassa, rimanenze finali da monitorare in Redditi SP

Il regime di cassa debutta in dichiarazione. Il quadro RG del modello Redditi SP 2018, infatti, recepisce il nuovo regime di determinazione del reddito delle imprese minori all’articolo 66 del Tuir, come modificato dalla legge di Bilancio 2017. Il nuovo criterio è il regime naturale per coloro che adottano la contabilità semplificata e, quindi, non è necessario comunicarne l’adesione.

Ai fini dichiarativi, la società compilerà l’usuale quadro RG ponendo particolare attenzione ai principi di imputazione temporale delle componenti reddituali, considerato che il regime in commento è un “misto” di cassa e competenza. A tal fine, è possibile consultare la circolare 11/E/2017, nella quale l’agenzia delle Entrate individua i corretti criteri per imputare correttamente le principali voci di reddito. Per le operazioni che seguono il criterio di cassa potrebbero emergere alcune criticità qualora vengano eseguite a fine anno, soprattutto nell’individuare correttamente il periodo d’imposta di rilevanza reddituale.

In queste ipotesi, si deve far riferimento allo strumento di pagamento utilizzato; infatti, nel caso di assegno e di carte di credito/debito, i ricavi si considerano percepiti e le spese sostenute nel momento in cui avviene, rispettivamente, la materiale consegna dell’assegno e l’utilizzo della carta di pagamento. Qualora, invece, si ricorra al bonifico bisogna individuare, per i ricavi, la data in cui la somma di denaro può essere utilizzata e, per le spese, il giorno dal quale tale somma non è più nella disponibilità dell’acquirente.

Infine, sono previste delle regole particolari per chi ha optato per il criterio delle “registrazioni Iva” al comma 5 dell’articolo 18 del Dpr 600/1973, considerata la presunzione secondo cui la data di registrazione del documento coincide con quella in cui è avvenuto il relativo pagamento, cosicché la contabilizzazione nell’anno 2018 di un’operazione avvenuta nell’anno precedente, comporta la deducibilità del costo o l’imponibilità del provento nell’anno 2018, come chiarito dall’agenzia delle Entrate in occasione di Telefisco. Per quelle operazioni fuori campo Iva che devono essere rilevate secondo il criterio di cassa, invece, si deve far comunque riferimento alla data di pagamento, considerato che, ai fini della deducibilità del costo, l’operazione deve essere registrata entro 60 giorni dalla suddetta data.

Le modifiche sostanziali del quadro RG, tuttavia, riguardano la gestione delle rimanenze. Innanzitutto, con il nuovo regime, tali componenti non assumo più rilevanza fiscale, tranne nei casi di prima applicazione del nuovo criterio, anche in riferimento al passaggio dalla contabilità ordinaria a quella semplificata. In questi casi, il comma 18, dell’articolo 1 della legge di Bilancio 2017 sancisce l’integrale deduzione delle rimanenze – già imponibili nell’esercizio precedente per competenza – nel primo periodo di applicazione del regime di cassa.

Per tale motivo il rigo RG13 è stato modificato per accogliere le rimanenze finali del periodo di imposta precedente, così da dedurle dal reddito prodotto nel periodo d’imposta 2017. Infine, si segnala che, rispetto al modello pubblicato in bozza, è stato inserito il rigo RG38, nel quale vanno indicate le rimanenze finali dell’anno 2017, avendo cura di segnalare la loro eventuale insussistenza in colonna 1, le quali tuttavia non concorrono alla formazione del reddito, pertanto, si ritiene che il rigo abbia la mera funzione di monitoraggio della movimentazione delle rimanenze.

Fonte “Il sole 24 ore”

Intrastat: sanzioni fino a mille euro ma resta l’opzione del ravvedimento operoso

A seguito delle semplificazioni introdotte agli elenchi Intra, i modelli relativi agli acquisti di beni e alle prestazioni di servizi ricevute, riferite al mese di gennaio 2018, dovranno essere inviati con la compilazione delle sole colonne statistiche entro il 26 febbraio. A partire dai dati di gennaio 2018, dunque, tutte le informazioni contenute negli elenchi degli acquisti sono rese per finalità statistiche e devono essere obbligatoriamente fornite, su base mensile, dai soggetti per i quali l’ammontare totale trimestrale degli acquisti intraunionali di beni sia stato, per almeno uno dei quattro trimestri precedenti, uguale o superiore a 200mila euro per i beni e a 100mila euro per i servizi.

Secondo quanto chiarito nella nota dell’agenzia delle Dogane e dei Monopoli n. 18558/RU dello scorso 20 febbraio, considerato l’interesse statistico del dato raccolto, gli acquisti intraunionali di beni vanno riepilogati nel periodo in cui essi arrivano nel territorio italiano. Sono, pertanto, escluse tutte le operazioni commerciali di acquisto di beni che non entrano fisicamente in Italia come, ad esempio, un’operazione triangolare in cui il soggetto italiano èil promotore dell’operazione.

Sempre entro il 26 febbraio devono essere presentati gli elenchi relativi alle cessioni di beni e alle prestazioni di servizi rese, riferite al mese di gennaio, dai soggetti per i quali l’ammontare totale trimestrale delle operazioni attive intraunionali sia stato, per almeno uno dei quattro trimestri precedenti, uguale o superiore a 50mila euro. Nel caso in cui il valore delle cessioni di beni nel periodo di riferimento abbia superato la soglia di 100mila euro o di 50mila euro per i servizi, nell’elenco dovrà essere compilata anche la parte statistica.

In occasione della prima applicazione delle nuove regole per gli invii degli elenchi Intra è utile riepilogare il regime sanzionatorio previsto per l’omesso invio di tali modelli.

Il mancato invio degli elenchi

Per quanto riguarda l’omessa presentazione degli elenchi Intra, l’articolo 11, comma 4 del Dlgs 471/1997 prevede una sanzione da euro 500 a euro mille euro per ciascuno modello. La sanzione è ridotta alla metà nel caso in cui l’elenco sia presentato entro trenta giorni dalla richiesta inviata dagli uffici abilitati. La sanzione prevista per l’omessa presentazione è applicabile anche al caso di invio tardivo dell’elenco secondo quanto chiarito nella risoluzione 20/2005.

Il ravvedimento operoso

Per sanare in maniera rapida la violazione ottenendo agevolazioni in termini di riduzione delle sanzioni, si può ricorrere al ravvedimento. L’omessa presentazione, infatti, può essere regolarizzata, versando un importo della sanzione ridotto da 1/9 a 1/5 del minimo secondo quanto previsto dall’articolo 13, comma 1 del Dlgs 472/1997.

Operativamente, occorre presentare gli elenchi omessi e versare con il modello F24 (indicando il codice tributo 8911 e l’anno al quale la violazione si riferisce) le sanzioni ridotte entro 90 giorni dalla scadenza di presentazione dell’elenco (per la riduzione a 1/9) oppure entro il termine di presentazione della dichiarazione Iva relativa all’anno in cui la violazione è commessa o agli anni successivi (per le riduzioni da 1/8 a 1/5).

Il termine iniziale per computare i 90 giorni sopra citati coincide con il termine entro il quale si sarebbe dovuto inviare l’elenco Intra, quindi con lo spirare del giorno 25 del mese o del trimestre successivo al periodo di riferimento. Non risulta applicabile la lettera c) dell’articolo 13 del Dlgs 472/97, che prevede la riduzione ad un decimo del minimo, poiché nel caso in esame non si tratta dell’omissione di una dichiarazione.

 Fonte “Il sole 24 ore”