Archivi categoria: Novità Normative

Partite Iva, corsa alla flat tax del 15% ma pesano gli ostacoli all’accesso

Aderire o no al regime forfettario: si avvicina l’ora delle scelte per i 909mila contribuenti Iva con un volume d’affari tra i 30 e i 65mila euro. Cifra, quest’ultima, destinata a diventare dal 1° gennaio il nuovo tetto di ricavi e compensi per l’applicazione dell’imposta flat al 15 per cento. Ma una decisione s’impone anche per molti soci di società di persone (circa 830mila tra Snc e Sas) e società di capitali (1,26 milioni tra Srl e Spa). Tutti questi soggetti, per sfruttare la nuova tassazione, possono valutare di liberarsi di quote minoritarie o addirittura – in casi limite – scegliere di operare individualmente.
Proprio per evitare che la cosiddetta flat tax si traduca in un incentivo a far da soli – a danno della crescita dimensionali di microimprese e start-up – si potrebbero introdurre correttivi alla normativa, ma solo dopo l’approvazione della legge di Bilancio (si veda Il Sole 24 Ore di sabato scorso, 15 dicembre).
Sta di fatto che, come riferiscono gli operatori, nei giorni scorsi alcuni titolari di partita Iva che detenevano quote in Srl non in regime di trasparenza hanno iniziato a cederle: infatti, il possesso di tali quote non preclude l’accesso al forfait quest’anno, ma lo farà nel 2019, secondo l’impianto delineato dalla manovra. E allora, meglio non rischiare.
Posto che tutti i forfettari eviteranno l’emissione obbligatoria della fattura elettronica, la valutazione di fattibilità e convenienza è diversa per chi ha già una partita Iva (ma non ha ancora aderito al forfait) e per chi, invece, avvierà l’attività l’anno prossimo. Pensiamo a giovani, disoccupati, dipendenti o pensionati che avviano un secondo lavoro.
Le statistiche dicono che nei primi nove mesi di quest’anno il 39,7% delle nuove partite Iva è stato aperto optando fin da subito per il regime forfettario. In pratica, 160.851 contribuenti, cui corrisponde la percentuale più alta rilevata negli ultimi anni. L’appeal del regime agevolato, insomma, cresce tra i “nuovi”. E nel 2019 non ci si dovrà neppure più preoccupare dei compensi ai collaboratori (oggi il limite è 5mila euro annui) e degli investimenti in beni strumentali (oggi 20mila euro). Né rileverà l’ammontare dello stipendio o della pensione: l’importante è che i compensi sottoposti alla flat tax rientrino nella soglia dei 65mila euro. Ma per chi ha un datore di lavoro – o l’ha avuto nei due anni precedenti – la manovra che in settimana proseguirà l’iter in Parlamento prospetta un vincolo da non sottovalutare: i ricavi ottenuti dal datore non possono essere prevalenti. Una salvaguardia per evitare dipendenti mascherati da partite Iva, che si estende anche ai soggetti riconducibili indirettamente al datore (come società controllate o affiliate).
L’innalzamento del tetto dei ricavi e l’eliminazione degli altri requisiti può rendere il forfait conveniente anche per chi già opera con partita Iva. Ad esempio, il 18,7% degli avvocati e il 23,7% dei commercialisti dichiara a fini previdenziali compensi tra i 30 e i 65mila euro. Tuttavia, al di là delle altre valutazioni di convenienza (si veda l’articolo in basso) va subito stimato l’eventuale rimborso dell’Iva detratta sugli acquisti di beni strumentali effettuati negli ultimi cinque anni e sulle rimanenze. Un fatto che può trasformare un’auto o un furgone in un ticket d’ingresso.

Fonte “Il sole 24 ore”

Scontrini telematici, il fornitore «anticipa» lo sconto fiscale

Nel 2019 non scatta solo l’obbligo di fattura elettronica ma anche quello di trasmissione telematica dei corrispettivi. In questo caso, la prima scadenza sarà il prossimo 1° luglio per commercianti ed esercenti con volume d’affari sopra i 400mila euro e poi dal 1° gennaio 2020 toccherà a tutti gli altri. Un obbligo istituito dal decreto fiscale convertito definitivamente ieri dalla Camera.
Il provvedimento in questione prevede anche un’agevolazione per l’adeguamento tecnologico. Nel 2019 e 2020 verrà, infatti, concesso un contributo complessivamente pari al 50% della spesa sostenuta per un massimo di 250 euro in caso di acquisto e di 50 euro in caso di adattamento per ogni strumento con cui effettuare la memorizzazione e la trasmissione telematica dei corrispettivi. Sarà il fornitore a dover anticipare l’agevolazione che si tradurrà in uno sconto sull’acquisto. A questo punto, come farà il fornitore a recuperare lo sconto concesso? Con un rimborso sotto forma di credito d’imposta da utilizzare in compensazione, a cui non si applica né il limite dei 250mila euro relativo all’indicazione nel quadro RU della dichiarazione dei redditi né quello di utilizzo annuale di 700mila euro.
In sostanza, il fornitore agisce quasi come se fosse un sostituto d’imposta e si limita anche il campo degli eventuali successivi controlli perché la platea degli acquirenti sarebbe comunque più ampia di quella dei fornitori. Ma la questione di fondo è che per la misura sono previste risorse abbastanza limitate: 36,3 milioni per il 2019 e 195,5 milioni per il 2020. Che succede se chi anticipa lo sconto poi non trova “copertura” per il credito d’imposta? E quali sono le modalità per usufruirne? Dubbi a cui dovrà rispondere un provvedimento attuativo delle Entrate. Anche se tra i rumors c’è la possibilità di un correttivo da inserire in manovra che conceda il credito d’imposta direttamente agli acquirenti.
Intanto le categorie interessate stanno già facendo i conti con il cambiamento in arrivo, come è emerso anche dal videoforum online del Sole 24 Ore di ieri. Donatella Prampolini, vicepresidente di Confcommercio, ha messo in risalto come solo i registratori di cassa di ultima generazione potranno essere aggiornati mentre gli altri andranno sostituiti, ma ci sarà anche bisogno di una connessione funzionante. Mauro Bussoni , segretario generale di Confcommercio, plaude all’invio telematico in termini di trasparenza ma non nasconde perplessità, invece, sulla lotteria degli scontrini.

Dal “Il sole 24 ore”

IL CALENDARIO DELLA PACE FISCALE

I principali termini 2018-2019 in base al testo del Dl 119/2018 dopo il via libera definitivo del Parlamento Entrata in vigore della legge di conversione
Liti pendenti
Le controversie tributarie pendenti in Cassazione entro tale data e per le quali l’agenzia delle Entrate risulti soccombente in tutti i precedenti gradi di giudizio potranno essere definite con il pagamento di un importo pari al 5 % della lite

Stralcio delle cartelle fino a mille euro 31 dicembre 2018
Data entro la quale avverrà la cancellazione automatica dei carichi 2000-2010 fino a mille euro

Liti pendenti 1 aprile 2019
Anche gli enti territoriali potranno decidere di aderire alla definizione delle liti pendenti di cui sono parte anche con un ente strumentale

Rottamazione delle cartelle 30 aprile 2019
Il debitore può presentare istanza di adesione alla rottamazione-ter delle cartelle
Sanatoria ruoli tariffe doganali e Iva all’importazione
Dichiarazione all’agente della riscossione per aderire alla sanatoria su tariffe doganali e Iva all’importazione
Sigarette elettroniche
Scade il termine per presentare l’istanza di adesione con il modello che le Dogane metteranno a disposizione entro il 28 febbraio 2019 per aderire alla sanatoria con il versamento del 5% sui debiti maturati fino al 31 dicembre 2018 relativi a imposte di consumo sulle e-cig

Processi verbali di constatazione 31 maggio 2019
Entro fine maggio dovrà essere presentata la dichiarazione per regolarizzare le violazioni constatate nel Pvc Processi verbali di constatazione
Termine per il versamento in unica soluzione o della prima rata delle imposte autoliquidate senza il pagamento di sanzioni e interessi. Le rate successive alla prima devono essere versate entro l’ultimo giorno di ciascun trimestre
Liti pendenti
Ultimo giorno utile per presentare l’istanza di definizione agevolata per ciascuna controversia autonoma e per versare l’unica o la prima rata del dovuto
Errori formali
Si versa la prima delle due rate (la seconda scade il 2 marzo 2020) per la sanatoria degli errori formali con 200 euro per periodo d’imposta 10 giugno 2019
Liti pendenti
Il processo resta sospeso fino al 31 dicembre 2020 se entro il 10 giugno 2019 il contribuente deposita presso l’organo giurisdizionale innanzi al quale pende la controversia copia della domanda di definizione e del versamento degli importi dovuti o della prima rata
Rottamazione delle cartelle 30 giugno 2019
L’agente della riscossione comunica ai debitori che hanno aderito le somme dovute nonché l’importo delle singole rate da saldare e la scadenza di ciascuna di esse
Rottamazione delle cartelle 31 luglio  2019
Pagamento in unica soluzione o della prima rata della rottamazione-ter ma è anche il termine da cui decorre il nuovo piano per i contribuenti rientrati dalle precedenti rottamazioni
Ruoli tariffe doganali e Iva all’importazione
L’agente della riscossione comunica ai debitori che hanno presentato la dichiarazione le somme dovute, le singole rate e le scadenze

Liti pendenti 31 agosto 2019
Scade il termine per la seconda rata della definizione liti pendenti

Ruoli tariffe doganali e Iva all’importazione 30 settembre 2019
Scade il termine per la prima o unica rata della definizione agevolata per i ruoli con tributi doganali
Rottamazione delle cartelle 30 novembre 2019
Seconda rata della rottamazione-ter ma è anche il termine della seconda rata del nuovo piano per chi è rientrato da precedenti rottamazioni

Liti pendenti
Scade il termine per la seconda rata della definizione liti pendenti
Ruoli tariffe doganali e Iva all’importazione
Scade la seconda rata per la sanatoria su tariffe doganali e Iva all’importazione

Fonte “Il sole 24 ore”

Decreto fiscale, ecco tutte le novità introdotte dal Parlamento al testo

Il decreto fiscale è legge. L’Aula della Camera ha infatti definitivamente approvato il provvedimento senza correzioni rispetto al testo votato dal Senato. Il decreto ha ottenuto 272 voti favorevoli e 143 contrari (3 gli astenuti).
In realtà, durante l’iter parlamentare di conversione il Dl 119/2018 ha subito numerose modifiche rispetto alla versione originaria del 23 ottobre. Sul provvedimento, varato senza modifiche rispetto al testo votato dal Senato, il Governo aveva incassato anche il via libera al voto di fiducia con 310 sì, 228 no e quattro astenuti. Da segnalare anche il piccolo incidente “politico” di percorso del governo, battuto su un ordine del giorno. Ma vediamo le principali novità introdotte nell’iter di conversione.

Rottamazione-ter
Numerose le novità della rottamazione-ter delle cartelle esattoriali. Il pagamento potrà essere effettuato in unica soluzione entro il 31 luglio 2019 oppure potrà essere dilazionato fino a 18 (non più 10) rate. Le prime due (di importo pari al 10% del totale dovuto) devono essere versate rispettivamente entro il 31 luglio ed entro il 30 novembre 2019. Le altre, invece, tutte di pari importo, devono essere versate a partire dal 2020 entro il 28 febbraio, il 31 maggio, il 31 luglio e il 30 novembre di ciascun anno.

Definizione agevolata delle liti tributarie
Numerose anche le modifiche introdotte nel corso dell’iter di conversione del provvedimento alla chiusura delle liti pendenti. Intanto, il decreto prevede che le controversie tributarie possono essere definite, e dunque chiuse, con il pagamento di un importo pari al valore della controversia. Ma in caso di ricorso pendente in primo grado, la controversia può essere definita con il pagamento del 90% del suo valore.

Alleggerito, poi, il costo della chiusura in caso di soccombenza delle Entrate. In questi casi, infatti, il decreto legge convertito definitivamente dalle Camere consente la definizione della controversia con il pagamento del 40% del suo valore (anziché la metà, come originariamente previsto) in caso di soccombenza delle Entrate in primo grado; e con il pagamento del 15% del valore (anziché 1/5) in caso di soccombenza delle Entrate in secondo grado. Infine, le liti pendenti in Cassazione possono essere definite con il pagamento di un importo pari al 5% del loro valore.

Irregolarità formali
Il decreto 119/2018 prevedeva la «dichiarazione integrativa» speciale che ora, nel testo convertito dal Parlamento, lascia spazio alla sanatoria sugli omessi versamenti alla quale potrà far ricorso non chi non ha effettuato la dichiarazione dei redditi ma solo chi, pur avendola effettuata, non ha pagato le imposte dovute o per assenza di liquidità o, più in generale, per difficoltà economiche.

Al pari delle infrazioni e delle inosservanze di obblighi o adempimenti di natura formale, che non incidono sulla determinazione della base imponibile, le irregolarità formali commesse fino al 24 ottobre 2018, possono essere regolarizzate mediante il versamento di 200 euro per ciascun periodo d’imposta. Il pagamento deve essere eseguito in due rate di pari importo entro il 31 maggio 2019 e il 2 marzo 2020. La regolarizzazione si perfeziona con il pagamento degli importi dovuti e con la rimozione delle irregolarità o delle omissioni.
La regolarizzazione non può essere utilizzata per gli atti di contestazione o irrogazione di sanzioni emessi nell’ambito della voluntary disclosure, né per l’emersione di attività finanziarie e patrimoniali costituite o detenute all’estero e neppure per le violazioni già contestate in atti diventati definitivi alla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto legge. Infine, con riferimento alle violazioni commesse fino al 31 dicembre 2015 il provvedimento prevede la proroga di due anni dei termini di prescrizione ordinarii (cinque anni).

Definizione agevolata dei Pvc
Per quanto riguarda la definizione agevolata dei processi verbali di constatazione, le novità introdotte nel decreto legge riguardano i termini e le rate dovute per la regolarizzazione. Le rate successive alla prima, in particolare, devono essere versate entro l’ultimo giorno di ciascun trimestre. Sull’importo, inoltre, sono dovuti gli interessi legali che vanno calcolati dal giorno successivo al termine del versamento della prima rata.

Fatturazione elettronica
Tra gli esonerati dall’obbligo della fatturazione elettronica vengono ricomprese anche le associazioni sportive dilettantistiche che applicano il regime forfettario (legge 398/1991) e che nel periodo d’imposta precedente hanno conseguito dall’esercizio di attività commerciali proventi per un importo non superiore a 65mila euro. Per il 2019 sonerati dall’obbligo di fatturazione elettronica.
Per il 2019, in riferimento alle informazioni già trasmesse, sono esonerati dall’obbligo di fatturazione elettronica i medici, i farmacisti, i veterinari e, più in generale, i soggetti che inviano al Sistema tessera sanitaria i dati per l’elaborazione della dichiarazione dei redditi precompilata.
Inoltre, le deroghe previste all’obbligo di fatturazione elettronica (niente sanzioni per il primo semestre 2019 e, a seconda dei casi, riduzione dell’80%) si applicano invece fino al 30 settembre 2019 per i contribuenti che effettuano la liquidazione periodica dell’Iva con cadenza mensile.

Archivio dei rapporti finanziari
In chiave anti evasione cambiano anche le regole relative all’archivio dei rapporti finanziari. Intanto viene stabilito un termine di conservazione dei dati di dieci anni e poi l’accesso ai dati viene consentito anche alla Guardia di finanza e al Dipartimento delle finanze.

Interpello sui nuovi investimenti
Le imprese che vogliono investire in Italia possono sottoporre all’Agenzia delle Entrate il relativo piano di investimento per conoscere il trattamento fiscale cui andranno incontro. La chance, prevista dal decreto internazionalizzazione (Dlgs 147/2015)è ora consentita non anche per investimenti più bassi rispetto a quanto richiesto fino a oggi: 20 milioni anziché 30.

Reverse charge
Prorogata al 30 giugno 2022 l’applicazione del reverse charge (il meccanismo dell’inversione contabile) per alcune operazioni come la cessione di cellulari, dispositivi a circuito integrato, console da gioco, tablet e pc viene prorogata dal 31 dicembre 2018 al 30 giugno 2022.

Rilascio del Durc
La domanda di definizione agevolata non impedisce il Durc. Il Documento unico di regolarità contributiva potrà infatti essere rilasciato anche alle imprese che hanno chiesto la pace fiscale in presenza, ovviamente, di tutti gli altri requisiti di regolarità previsti il rilascio del documento.

Imposta sui trasferimenti di denaro all’estero
Dal 1° gennaio 2019 si pagherà un’imposta sui trasferimenti di denaro (eccetto le transazioni commerciali) effettuati verso paesi non Ue da money transfer. L’imposta sarà pari all’1,5% del valore di ogni singola operazione effettuata, a partire da un minimo di 10 euro.

Fonte “Il sole 24 ore”

Fattura elettronica, moratoria a due vie e allargamento degli esoneri

Avvio morbido della fattura elettronica con moratoria delle sanzioni per ritardata emissione dei documenti estesa fino a settembre del 2019 per i contribuenti mensili, mentre resta ferma a giugno per i trimestrali; ampliamento delle casistiche soggettive e oggettive di esclusione dall’obbligo di emissione della fattura elettronica; previsione dell’obbligo di trasmissione dei corrispettivi telematici a decorrere dal 1° luglio 2019 per i contribuenti con un volume d’affari superiore a 400mila euro, e dal 1° gennaio 2020 per tutti; egualmente dal 2020 debutto delle dichiarazioni precompilate Iva con riduzione degli obblighi di tenuta dei registri Iva.

Vengono, invece, confermate le nuove regole a regime per emissione delle fatture, registrazione delle operazioni e detrazione anticipata delle fatture d’acquisto infrannuali. Queste, sul fronte della fatturazione elettronica, sono le principali novità e conferme contenute nella legge di conversione del decreto legge n. 119/2018, approvata ieri in via definitiva dalla Camera dei Deputati.

Moratoria

Gli operatori che non saranno pronti a gestire dal 1° gennaio 2019 la predisposizione e la trasmissione delle fatture elettroniche allo Sdi in formato strutturato Xml potranno usufruire di un periodo (di sei mesi per i contribuenti trimestrali e di nove mesi per i contribuenti mensili) in cui la fattura elettronica potrà essere emessa in ritardo senza sanzioni, a condizione che l’emissione avvenga entro il termine di liquidazione dell’Iva di periodo. O comunque le sanzioni saranno ridotte al 20 per cento se la fattura, emessa in maniera tardiva, partecipa alla liquidazione periodica del mese o del trimestre successivo.

La moratoria opera naturalmente anche nei riguardi del cessionario/committente che non abbia ricevuto e-fattura o abbia erroneamente detratto l’imposta non procedendo alla regolarizzazione con autofattura-denuncia, in assenza di fattura elettronica o con ravvedimento operoso.

Nuovi esoneri

In sede di conversione del decreto legge 119/2018, è stato anche esteso agli operatori sanitari l’esonero dall’obbligo di emettere fattura elettronica unicamente per le operazioni effettuate nel 2019 ed i cui dati sono inviati al Sistema tessera sanitaria. Gli operatori sanitari non sono comunque esonerati dal ricevere e-fatture dai loro fornitori.

Altra esclusione soggettiva interessa le associazioni sportive dilettantistiche, in relazione ai proventi da attività commerciali laddove non superiori a 65mila euro: oltre soglia, la fattura deve essere invece emessa elettronicamente per loro conto dal cessionario o committente soggetto passivo d’imposta. Infine, gli obblighi di fatturazione e registrazione relativi ai contratti di sponsorizzazione e pubblicità delle associazioni sportive devono essere adempiuti dai cessionari.

Precompilate Iva

Per tutti i soggetti passivi Iva residenti e stabiliti in Italia saranno disponibili, a partire dalle operazioni Iva 2020, in apposita area riservata del sito internet dell’agenzia delle Entrate, le bozze dei registri Iva acquisti e vendite, delle liquidazioni periodiche e della dichiarazione annuale Iva. In caso di convalida delle informazioni proposte o di integrazione dei dati, viene meno l’obbligo di tenuta dei registri Iva acquisti e vendite, ad eccezione della tenuta del registro degli incassi e pagamenti.

Rifiuto fatture Pa

Con decreto ministeriale saranno, poi, stabilite le cause che possono consentire alle amministrazioni pubbliche di rifiutare le fatture elettroniche ricevute, superando così l’attuale meccanismo per il quale, ricevuto il tracciato Xml, le pubbliche amministrazioni hanno quindici giorni di tempo per accettare tramite lo Sdi la fattura elettronica oppure per rifiutarla, non avendo alcun obbligo di indicare la motivazione del rifiuto stesso.

Trasmissione telematica

Altro emendamento approvato riguarda, infine, la trasmissione telematica dei corrispettivi giornalieri obbligatoria dal 1° gennaio 2020, e anticipata al 1° luglio 2019 per i soggetti con volume d’affari superiore a 400mila euro. La trasmissione dei dati dei corrispettivi fa venire meno l’obbligo di tenuta del relativo registro.

Fonte “Il sole 24 ore”

La detrazione anticipata non vale per le fatture 2018 ricevute nel 2019

Anticipata la detrazione Iva per le operazioni infrannuali anche per le fatture ricevute nei primi 15 giorni del mese successivo all’effettuazione dell’operazione. Regola, però, inapplicabile agli acquisti a cavallo d’anno. Il legislatore, dopo oltre un anno dalla modifica del regime della detrazione Iva (Dl 50/2017) e dopo le discussioni scaturite dall’intervento interpretativo sulla circolare 1/E/2018 con il Dl 119/2018, torna sull’argomento correggendo – in parte – il contrasto tra la circolare e il Dpr 100/1998.

In effetti, in base alla circolare 1/E/2018 per le fatture ricevute nei primi giorni del mese successivo a quello di effettuazione non più era più possibile detrarre l’Iva nel mese di competenza pur avendo ricevuto e registrato il documento entro il termine per la liquidazione periodica, posticipando l’esercizio del diritto al periodo successivo e creando un disallineamento tra esigibilità e detraibilità dell’imposta.

Il Dl 119/2018 modifica l’articolo 1, comma 1, del Dpr 100/1998 stabilendo ora che entro il giorno 16 di ogni mese può essere esercitato il diritto alla detrazione relativo anche ai documenti di acquisto ricevuti e annotati entro il 15 del mese successivo a quello in cui è stata effettuata l’operazione. Pertanto, a differenza di quanto accaduto fino a ottobre, con la modifica l’Iva su una fattura relativa ad esempio a un’operazione effettuata a ottobre 2018 (datata 31 ottobre 2018) e ricevuta il 5 novembre poteva essere inclusa nella liquidazione periodica del mese di ottobre e non più in novembre.

Il legislatore si è tuttavia affrettato a specificare, in contrasto con il funzionamento dell’imposta, che tale novella non si applica alle operazioni effettuate nell’anno precedente, vale a dire al caso di una fattura relativa a un’operazione effettuata a dicembre 2018 (data fattura 31/12/2018) ricevuta il 5 gennaio 2019, per la quale non è possibile detrarre l’imposta nella liquidazione del 16 gennaio.

Come districarsi quindi dal complesso intreccio normativo all’approssimarsi di fine anno? Sono quattro i casi in cui le imprese (negli esempi considereremo solo i contribuenti con liquidazione mensile, ma le stesse considerazioni possono essere trasposte ai contribuenti trimestrali) potranno trovarsi: 1) fatture per operazioni effettuate nel 2018 ricevute e registrate entro la fine dell’anno; 2) fatture per operazioni effettuate a dicembre 2018 ricevute nel 2019; 3) fatture per operazioni effettuate a dicembre 2018 ricevute nello stesso mese, ma registrate nel 2019; (4) fatture per operazioni effettuate nel 2019.

Nel primo caso, il diritto alla detrazione potrà essere esercitato nella liquidazione di dicembre 2018 (16 gennaio 2019).

Nel secondo caso, si potrà esercitare il diritto alla detrazione dell’imposta solo nel 2019 anche se le fatture sono state ricevute e registrate entro il 15 gennaio, attesa l’esclusione prevista dalla novellata formulazione dell’articolo 1, comma 1, del Dpr 100/1998. Tale nuova impostazione, peraltro, rischia di avere effetti anche sulle liquidazioni Iva dei mesi successivi, in quanto una fattura 2018 ricevuta e registrata ad esempio il 5 marzo 2019 non potrà concorrere a formare la liquidazione Iva di febbraio 2019, bensì il diritto alla detrazione potrà essere esercitato solo con la liquidazione di marzo.

Nel terzo caso il diritto alla detrazione potrà essere esercitato al più tardi nella dichiarazione annuale Iva relativa al 2018 e si renderà necessaria la predisposizione di un apposito registro Iva sezionale che permetta di escludere queste operazioni dalla liquidazione Iva del mese di registrazione che inevitabilmente sarà il 2019.

Infine, per le fatture relative a operazioni effettuate nel 2019, in un determinato mese si potrà esercitare il diritto alla detrazione relativo anche ai documenti di acquisto ricevuti e annotati entro il 15 del mese successivo a quello in cui è stata effettuata l’operazione. La complessità di gestione operativa è facilmente intuibile perché impone ai contribuenti di effettuare mensilmente un cherry picking delle fatture da inserire o da escludere dalla liquidazione Iva.

Fonte “Il sole 24 ore”

Forfettario aperto anche a chi supera i ricavi-limite nel 2018

L’allargamento delle “porte d’accesso” al regime forfettario a decorrere dal prossimo 1° gennaio è uno dei punti del ddl di Bilancio che hanno suscitato più interesse. Il cambio dei presupposti nel passaggio tra il periodo d’imposta 2018 e quello del 2019 però, pone in diversi dubbi sulla corretta applicazione del regime. Le incertezze, in particolare, riguardano:

– chi nel 2018 ha superato i limiti della precedente normativa, ma non quelli della nuova normativa;

– chi nel 2018 rispetta i requisiti precedenti ma non quelli che saranno in vigore dal 2019.

Diciamo subito che l’unico requisito che qualificherà i nuovi forfettari nel periodo d’imposta 2019 sarà il rispetto, nell’anno precedente, del limite di ricavi o compensi conseguiti fissato in 65mila euro. Vengono meno gli altri requisiti, quali la detenzione di beni strumentali non superiori a 20mila euro ovvero l’aver corrisposto compensi a personale dipendente o assimilato superiori a 5mila euro.

Sforamento dei vecchi limiti
Dato che l’unico requisito diviene il limite di ricavi o compensi è opportuno capire cosa accade se un contribuente ha superato nel 2018 il vecchio limite ma non quello nuovo, come avviene, ad esempio, per un commerciante che abbia generato, nel 2018, 55mila euro di ricavi, quindi superiori al massimo consentito nel 2018, ma non superiori al nuovo limite di 65mila euro.

Tale soggetto nel 2019 avrebbe dovuto abbandonare il regime forfettario, ma sul punto occorre ricordare che la circolare 10/E/16 ha affermato che il controllo dei ricavi per il periodo successivo va eseguito già considerando i nuovi limiti. Quindi applicando questa tesi, nel caso sopra esemplificato, il contribuente resterà nel regime forfettario anche nel 2019; e questo vale per tutti i requisiti abrogati. Dal che se ne deduce che potrà applicare ancora il regime forfettario nel 2019 il contribuente che, ad esempio, detenga al 31 dicembre 2018 beni strumentali superiori a 20mila euro, che hanno superato il tetto per effetto di acquisti eseguiti nel 2018.

Un altro requisito che viene meno è il tetto di 30mila euro quale reddito da lavoro dipendente, quindi chi ha superato questa soglia nel 2018 potrà restare nel regime forfettario anche nel 2019.

Uno degli emendamenti al Ddl di Bilancio punta a introdurre tuttavia un nuovo requisito: il divieto, per chi vuole entrare nel 2019 nel regime forfettario, di esercitare prevalentemente l’attività nei confronti di datori di lavoro (o di soggetti ad essi riconducibili anche indirettamente) con i quali sia in essere un rapporto di lavoro o lo sia stato nei due periodi d’imposta precedenti.

Applicazione dei nuovi criteri
Ora verifichiamo l’ipotesi contraria, cioè un soggetto forfettario che presenta un elemento inibente l’applicazione del regime di favore in base alle nuove regole.

Pensiamo a un forfettario che partecipa in qualità di socio a una Srl non in regime di trasparenza. La situazione era lecita nel 2018, mentre diventa una causa di esclusione nel 2019. Significa che costui deve abbandonare il regime nel 2019? Il punto è delicato e merita una pronuncia ufficiale, va però ricordato che nella circolare 10/E/16 l’Agenzia ha ammesso l’applicazione del regime di favore per il soggetto che entro il termine del periodo d’imposta ceda la partecipazione societaria che costituisce elemento ostativo. Una soluzione analoga potrebbe essere ragionevole per il caso sopra ricordato, e quindi, cedendo la partecipazione nella Srl entro il periodo d’imposta 2019 potrebbe essere mantenuto il regime di favore nello stesso periodo d’imposta 2019.

Fonte “Il sole 24 ore”

Rottamazione, ultimo appello per pagare le vecchie rate

Oggi è l’ultimo giorno per pagare le rate in scadenza nei mesi di luglio, settembre e ottobre 2018, e “salvare” così le precedenti rottamazioni cartelle. Per i debitori che vi provvedono, così come anche per i contribuenti che hanno pagato le rate nei termini di legge, è previsto il differimento automatico del versamento delle restanti somme. Queste potranno essere pagate in unica soluzione entro il 31 luglio 2019 o nel numero massimo di dieci rate consecutive di pari importo, con scadenza il 31 luglio e il 30 novembre di ciascun anno a decorrere dal 2019, sulle quali sono dovuti, dal 1° agosto 2019, gli interessi al tasso dello 0,3% annuo.

A questo fine, entro il 30 giugno 2019, senza alcun adempimento a carico dei debitori interessati, l’agente della riscossione invia a questi ultimi apposita comunicazione, insieme ai bollettini precompilati per il pagamento delle somme dovute alle nuove scadenze, anche tenendo conto di quelle stralciate in quanto di importo residuo, al 24 ottobre 2018, fino a mille euro, comprensivo di capitale, interessi per ritardata iscrizione a ruolo e sanzioni.

L’articolo 3, comma 21, del Dl 119/2018 (già approvato con modifiche dal Senato e ora all’esame della Camera) rimette in bonis i morosi della rottamazione-bis, e non prevede alcuna penalità per i contribuenti interessati, ma consente di godere delle più comode modalità di pagamento in caso di regolarizzazione dei pagamenti dovuti entro il 7 dicembre 2018. Pertanto, i contribuenti che hanno aderito alla rottamazione -bis, per non perdere i benefici connessi alla rottamazione, dovranno versare entro oggi, 7 dicembre, rispettivamente:
•con riferimento ai ruoli gennaio-settembre 2017, le somme non ancora versate delle rate già scadute nei mesi di luglio 2018 (prima rata) e settembre 2018 (seconda rata) nonché quelle il cui originario pagamento era previsto per il 31 ottobre 2018 (terza rata);
•con riferimento ai ruoli 2000 – 2016, le somme relative alla prima rata con scadenza 31 ottobre 2018.

Ad esempio, un contribuente che, con la rottamazione-bis, ha rottamato le cartelle fino al 2016 non incluse nella prima sanatoria, doveva pagare il debito in 3 rate, scadenti il 31 ottobre 2018, il 30 novembre 2018 e il 28 febbraio 2019. In questo caso, pagando oggi la rata di ottobre 2018, il residuo debito, corrispondente alle rate di novembre 2018 e febbraio 2019, che è il 60 per cento, sarà interessato dalla rottamazione ter e potrà essere pagato in 10 rate consecutive di pari importo, con scadenza il 31 luglio e il 30 novembre di ciascun anno a decorrere dal 2019. Su tali rate saranno dovuti, dal 1° agosto 2019, gli interessi al tasso dello 0,3 per cento annuo.

Resta, tuttavia, salva la facoltà per il debitore di effettuare, entro il 31 luglio 2019, in unica soluzione, il pagamento delle rate residue. Il mancato pagamento entro oggi delle somme dovute sulle rate in scadenza nei mesi di luglio, settembre e ottobre 2018 determinerà una preclusione ai contribuenti interessati, in quanto i debiti afferenti i carichi oggetto della precedente istanza di rottamazione non potranno più essere definiti attraverso la nuova edizione della sanatoria e la dichiarazione eventualmente presentata sarà dichiarata improcedibile. Pertanto, il mancato pagamento precluderà ai debitori la possibilità di ripresentare, con riferimento agli stessi carichi, una nuova domanda di rottamazione.

Fonte “Il sole 24 ore”

Gestione rate residue nella rottamazione ter

Con il pagamento entro il 7 dicembre delle rate di luglio, settembre e ottobre 2018 della rottamazione-bis, le rate residue di novembre 2018 e febbraio 2019 confluiscono d’ufficio nella rottamazione ter. La conferma giunge dal comunicato stampa di agenzia delle Entrate-Riscossione che correttamente non fa alcuna distinzione tra affidamenti ante e post 1° gennaio 2017. La scadenza del 30 novembre dunque è stata superata dalla modifica introdotta dal Dl 119/2018.

La rottamazione ter peraltro si distingue dalle precedenti anche per il trattamento delle dilazioni in corso. Fermo restando che non vi sono ostacoli a rottamare carichi relativi a rateazioni scadute, la novità riguarda i piani di rientro pendenti alla data di presentazione dell’istanza. Nelle prime due edizioni, era precisato che, una volta trasmessa la domanda, tutte le rate in scadenza successivamente erano sospese fino al termine della prima quota di rottamazione. Era inoltre disposto che con il versamento della prima rata la rateazione pregressa era revocata ope legis. Questo significava, come confermato ripetutamente dall’Agenzia, che se non si pagava la prima rata il debitore poteva riattivare il precedente piano di rientro. In tale eventualità, l’agente della riscossione provvedeva a ripartire d’ufficio il debito residuo per il numero di rate non pagate del piano originario.

Nell’attuale versione di legge, si conferma che con la trasmissione dell’istanza le rate, relative a piani in corso, con scadenza successiva sono sospese fino al 31 luglio 2019. Inoltre, diversamente dal passato, è stabilito che tali rateazioni sono sempre revocate ope legis alla data del 31 luglio 2019. La differenza consiste nel fatto che il venir meno dei piani di dilazione non è più correlato al pagamento della prima scadenza di rottamazione ter ma è automatico, sia che si paghi o meno.

Quindi, una volta conosciuto il costo della definizione agevolata con la ricezione della comunicazione dell’Agenzia entro la fine di giugno 2019, il debitore non potrà più ripensarci e riprendere la vecchia rateazione, evitando di versare la prima rata della definizione. L’ulteriore effetto è che se si decade dalla rottamazione-ter, in qualsiasi momento, si perde irrimediabilmente la possibilità di rateizzare il debito residuo e si resta esposti alle azioni di recupero dell’agente della riscossione.

Bisognava infine chiarire perché la norma di legge dispone la mera sospensione delle dilazioni in essere, lasciando così intendere che sia possibile riattivare le stesse. La risposta è nelle Faq dell’Agenzia che ha al riguardo precisato che la ripresa delle precedenti rateazioni è ammessa in due ipotesi:

•in caso di revoca dell’istanza di definizione agevolata, comunicata entro aprile 2019;
• in caso di rigetto dell’istanza da parte dell’agente della riscossione.

La prima ipotesi rappresenta anche un’utile conferma ufficiale. Ader, infatti, rassicura sul fatto che il debitore fa in tempo a ritirare l’istanza entro il termine di legge di presentazione della stessa.

Fonte “Il sole 24 ore”

Liti sanabili se si è in regola con le rate

La scadenza del 7 dicembre è legata anche alla validità della definizione delle liti pendenti. Se nella rottamazione bis, infatti, sono stati inclusi carichi in contenzioso che tuttavia non esauriscono l’ammontare controverso, se si vuole chiudere la lite, in base all’articolo 6 del decreto legge 119/2018, occorre rispettare la scadenza di dicembre.

Si ipotizzi che il contribuente abbia presentato istanza di rottamazione bis includendo una iscrizione a ruolo provvisoria derivante da una controversia avente ad oggetto un avviso di accertamento.

Se vi è stata sentenza di Commissione tributaria provinciale sfavorevole al contribuente l’ufficio ha affidato all’agente della riscossione un importo complessivamente pari a due terzi dell’accertato.

Con il perfezionamento della rottamazione, come chiarito nella circolare 2 del 2017 dell’agenzia delle Entrate, la lite prosegue per la differenza. Se il soggetto passivo intende definire del tutto la controversia pendente, tuttavia, egli dovrà pagare entro il 7 dicembre le rate di rottamazione scadute a luglio, settembre e ottobre 2018. In difetto, la definizione della lite sarà inammissibile (articolo 6, comma 7, del decreto legge 119/2018). Si ricorda peraltro che anche in questo caso troverà applicazione la soglia di tolleranza di cinque giorni approvata in Senato in sede di conversione del decreto.

Sempre secondo la tesi dell’agenzia delle Entrate, inoltre, (circolare 22 del 2017) ai fini della chiusura della controversia non occorrerà portare a buon fine l’intera procedura di rottamazione, pagando anche le somme residue, corrispondenti alle rate di novembre 2018 e febbraio 2019.

Allo scopo, sarà pertanto sufficiente versare la prima rata della definizione ex articolo 6, in scadenza alla fine del mese di maggio 2019.

In presenza di carichi in contenzioso, il contribuente deve valutare bene se aderire alla rottamazione ter oppure alla definizione delle liti pendenti.

In alcuni casi, la scelta è obbligata. Si pensi all’impugnazione di una cartella emessa in base all’articolo 36 bis del Dpr 600/1973, avente ad oggetto il recupero di somme dichiarate e non versate. In tale eventualità, poiché la controversia non ha ad oggetto un atto impositivo, l’unica strada è quella della rottamazione. Lo stesso si dica qualora l’impugnazione della cartella sia stata promossa unicamente nei confronti dell’agente della riscossione e l’agenzia delle Entrate non sia intervenuta in giudizio.

In linea generale, peraltro, la definizione delle liti pendenti è più favorevole rispetto alla rottamazione. Con la prima infatti sono del tutto azzerati sia gli interessi che l’aggio di riscossione, mentre nella rottamazione restano dovuti gli interessi per ritardata iscrizione a ruolo e l’aggio sulle somme liquidate dall’agente della riscossione, oltre alle spese delle eventuali procedure esecutive.

A ciò si aggiunga che le sentenze emesse medio tempore, se favorevoli al contribuente, riducono anche sensibilmente l’importo della sanatoria della controversia mentre sono del tutto irrilevanti ai fini della rottamazione.

D’altro canto, se la lite ha ad oggetto un atto di accertamento ai fini dell’imposta di registro, va ricordato che se il contribuente non ha versato l’importo dovuto in pendenza di giudizio l’ufficio iscrive a ruolo l’ulteriore sanzione del 30 per cento. Secondo quanto affermato nella circolare n. 23 del 2017 dell’agenzia delle Entrate, con la definizione della lite pendente non si ottiene l’azzeramento di quest’ultima sanzione, in quanto non inclusa nell’atto originariamente impugnato. Se però l’intero ammontare preteso dall’ufficio è stato affidato all’agente della riscossione entro la fine dell’anno scorso, la rottamazione determina l’annullamento di tutte le sanzioni, compresa quella aggiuntiva del 30 per cento.

Vale infine ricordare che in entrambe le procedure è possibile chiedere la sospensione dei giudizi in corso, in pendenza del perfezionamento della definizione.

Fonte “Il sole 24 ore”

I paradossi dello Sdi: dall’integrazione due operazioni

La fatturazione elettronica, ai fini dei controlli cui è demandata l’amministrazione finanziaria, altro non è che uno spesometro continuo, con una rilevante differenza. Gli spesometri sono due, quello relativo alle fatture emesse dal fornitore e quello relativo alle fatture ricevute dal cliente, da cui la necessità di incrociare i due elenchi per porre in evidenza eventuali difformità. La fatturazione elettronica, invece, è un flusso univoco generato solo dal fornitore, che – attraverso il passaggio dal sistema di interscambio – viene acquisito dal cliente senza che possano più esistere differenze tra mittente e destinatario. Ne consegue che la fattura emessa indicando un destinatario errato ed estraneo al rapporto con quel fornitore non può – a differenza della procedura verso la pubblica amministrazione – essere respinta dal destinatario, il quale dovrà attivarsi (extra SdI, § 6.2 del provvedimento 30 aprile 2018) con il fornitore, che deve a questo punto emettere una nota di variazione per stornare la fattura errata. Vengono peraltro i brividi al pensiero della veicolazione automatizzata di queste fatture per operazioni di fatto inesistenti, che il sistema carica sulla posizione del destinatario, il quale potrebbe erroneamente esercitare il diritto di detrazione per mera negligenza di non aver controllato il flusso in entrata. La centralità della posizione del fornitore trova il fondamento nell’articolo 26 della legge Iva: solo chi ha emesso la fattura può ridurne l’imponibile e/o l’imposta.

In questo contesto meritano ulteriori approfondimenti alcune recenti affermazioni verbali dell Entrate. La prima riguarda la nota di variazione elettronica emessa nel 2019 a fronte di una fattura tradizionale del 2018. La risposta, pubblicata sul «Sole» il 13 novembre parla del contribuente che «dovesse emettere una nota di variazione nel 2019 di una fattura ricevuta nel 2018». Ma, tornando ai criteri generali e all’articolo 26 legge Iva, la nota di variazione può riguardare solo fatture emesse, cioè può essere fatta e immessa nello SdI solo dal fornitore e non dal cliente. Un analogo problema “direzionale” del flusso riguarda l’integrazione con imponibile e Iva della fattura emessa in reverse charge interno. La circolare 13/E/ 2018, § 3.1, ribadisce la non modificabilità della fattura immessa dal fornitore, così che questi dati ulteriori vanno indicati dal cliente in «un altro documento, da allegare al file della fattura». Questo tema viene ripreso nella risposta pubblicata sempre il 13 novembre, ove si fa richiamo a questa circolare, ma poi si afferma che questo documento, per consuetudine chiamato autofattura, “può” essere inviato allo SdI, anche ai fini di usufruire del servizio gratuito di conservazione elettronica offerto dall’Agenzia. Ma se andiamo al provvedimento del 30 aprile 2018, la causale autofattura “TD20” nei rapporti interni può essere usata solo come autofattura-denuncia, nel caso in cui il fornitore non abbia emesso la fattura entro i 4 mesi successivi alll’operazione. Questo input è di tutta evidenza: il fornitore non ha caricato la vendita nello SdI, lo fa il cliente. Ma se a fronte di una fattura caricata dal fornitore in reverse charge anche il cliente carica una autofattura, il sistema rileva due operazioni.

Fonte “Il sole 24 ore”

Anche per i documenti datati 2018 può scattare l’obbligo di e-fattura

Formato elettronico obbligatorio per le fatture emesse dal 1° gennaio 2019: si potrà quindi continuare validamente a gestire in formato cartaceo eventuali fatture datate 2018 ricevute nel 2019 con canali diversi dal Sistema di interscambio. Al contrario, eventuali note di variazione 2019 relative a fatture del 2018, emesse in formato cartaceo, andranno trasmesse dall’emittente e ricevute dal destinatario in elettronico attraverso il sistema di interscambio in formato strutturato Xml. Il chiarimento di sicuro interesse degli operatori necessita, però, di una attenta valutazione per evitare di registrare un documento analogico che in effetti, doveva essere emesso fin dall’origine in elettronico.

La risposta dell’Agenzia è esattamente la seguente: «L’obbligo di fatturazione elettronica scatta, in base all’articolo 1, comma 916, della legge di Bilancio 2018 (legge 27 dicembre 2017 n. 205), per le fatture emesse a partire dal 1° gennaio 2019. Il momento da cui decorre l’obbligo è legato all’effettiva emissione della fattura. Pertanto, se la fattura è stata emessa e trasmessa nel 2018 (la data è sicuramente un elemento qualificante) in modalità cartacea ed è stata ricevuta dal cessionario/committente nel 2019, la stessa non sarà soggetta all’obbligo della fatturazione elettronica».

Quindi in via generale una fattura datata 31 dicembre 2018 (essendo la data un elemento qualificante) sarà, di per sé, analogica e non elettronica. Però, se la stessa fattura, sempre datata 31 dicembre 2018 viene formata e contabilizzata nel 2018 e poi inviata, ad esempio, via Pec nel 2019 risulterà “emessa” nel 2019 e quindi dovrà essere trattata in elettronico.

Questa situazione, riprendendo un’ulteriore risposta fornita dall’agenzia delle Entrate, per la quale una fattura emessa nel 2019 e non ricevuta in elettronico non consente al cessionario/committente di detrarre l’imposta perché lo stesso non sarebbe in possesso di una fattura fiscalmente rilevante, potrebbe determinare a fine anno qualche problema al contribuente destinatario.

Pertanto, oltre ad auspicare, tenendo conto delle difficoltà che potrebbero scaturire nei primi giorni del 2019, un’applicazione flessibile della norma e della relativa interpretazione, si consiglia ai contribuenti, per quest’anno e per quanto possibile di anticipare la fatturazione di qualche giorno rispetto all’ultimo giorno dell’anno ovvero se a cavallo dell’anno di essere sicuri di trasmettere la fattura entro il 31 dicembre. Al contrario, se la spedizione avverrà i primi giorni del 2019 sarebbe cautelativo adottare fin da subito la fattura elettronica.

L’ulteriore chiarimento contenuto nella stessa risposta relativamente alle note di variazione è confermativo di quanto già indicato nella circolare 1/DF del 31 marzo del 2014 dal dipartimento delle Finanze in occasione dell’entrata in vigore dell’obbligo di fattura elettronica per le pubbliche amministrazioni centrali. Pertanto in caso di emissione di una nota di variazione nel 2019 di una fattura emessa in modalità analogica (su carta) nel 2018, va gestita unicamente in elettronico.

La manutenzione allo Sdi

Sempre a proposito di date, le Entrate hanno reso noto nella serata di ieri che sabato 1 e domenica 2 dicembre Sogei effettuerà dei lavori di potenziamento del Sistema di interscambio, che quindi non sarà disponibile nel week-end. Per questo l’Agenzia «ha disposto il differimento al 4 dicembre dei termini per la trasmissione di fatture e note di variazione dei giorni 1 e 2 dicembre 2018».

Fonte “Il sole 24 ore”

L’e-fattura non elimina l’obbligo di Intrastat

Nonostante l’introduzione della fatturazione elettronica, a partire dal prossimo 1° gennaio 2019, per le cessioni in ambito comunitario resta obbligatoria la presentazione del modello Intra anche nei casi in cui il fornitore italiano emetta una fattura con indicazione della sigla «XXXXXXX» caratterizzante un destinatario non residente. Questa è una delle risposte alle domande più frequenti (Faq) sulla fatturazione elettronica pubblicate dall’agenzia delle Entrate sul proprio sito.

Nel rispondere al contribuente l’Agenzia richiama le novità introdotte nel 2017 alle regole di presentazione e di compilazione dei modelli Intra e afferma che tali “semplificazioni” restano in vigore anche dal 1° gennaio 2019. Dalla lettura del “botta e risposta” del contribuente con l’Agenzia pare di poter concludere che le uniche ipotesi in cui i modelli Intra non devono essere presentati sono quelle già previste dal Provvedimento del 25 settembre 2017 al quale l’ufficio rinvia per maggiori approfondimenti. Più in particolare, sono esonerati dall’obbligo di presentazione dei modelli Intra 2-bis (acquisti di beni) i soggetti passivi che hanno effettuato acquisti di beni intracomunitari per importi trimestrali inferiori a 200.000 euro. Analogamente sono esonerati dall’obbligo di trasmissione dei modelli Intra 2-quater (acquisti di servizi) i soggetti passivi che hanno effettuato acquisti di servizi intracomunitari per importi trimestrali inferiori a 100mila euro.

La trasmissione facoltativa tramite lo Sdi delle fatture relative alle operazioni attive effettuate verso operatori esteri, però, se da un lato lascia immutato l’obbligo di trasmissione degli Intrastat, dall’altro, comporta l’esonero dalla nuova comunicazione (esterometro) con la quale gli operatori economici dovranno inviare telematicamente all’Agenzia i dati presenti in tali fatture transfrontaliere.

Il provvedimento delle Entrate 89757/2018 – relativo alle regole tecniche per l’emissione e la ricezione delle fatture elettroniche – nella parte dedicata alla trasmissione telematica dei dati delle operazioni transfrontaliere, concede agli operatori economici la facoltà di emettere le fatture transfrontaliere in modalità elettronica compilando solo il campo «CodiceDestinatario» con un codice convenzionale indicato nelle specifiche tecniche che risulta essere «XXXXXXX». Nel campo «identificativo fiscale Iva», inoltre, va inserita la partita Iva comunitaria.

Fonte “Il sole 24 ore”

La Guardia di Finanza potrà chiedere ipoteche e sequestri dopo il Pvc

Anche la Guardia di Finanza potrà richiedere alla commissione tributaria l’iscrizione di ipoteca sui beni del contribuente ove ritenga fondato il timore di perdere la garanzia. Lo prevede una delle modifiche al decreto fiscale approvato ieri in prima lettura al Senato.

La norma attuale

In base all’articolo 22 del Dlgs 472/1997, dopo la notifica di un atto di contestazione, di un provvedimento di irrogazione della sanzione o di un Pvc, l’agenzia delle Entrate, se ha il fondato timore di perdere la garanzia del proprio credito, può chiedere, con istanza motivata, al presidente della Ctp, l’iscrizione di ipoteca sui beni del trasgressore e dei soggetti obbligati in solido, e l’autorizzazione a procedere, a mezzo di ufficiale giudiziario, al sequestro conservativo dei loro beni, compresa l’azienda.

Queste misure cautelari possono essere adottate anche prima dell’emissione dell’atto impositivo per impedire che il trasgressore disperda il patrimonio sottraendo in tal modo garanzie reali allo Stato.

La novità

Con una modifica al decreto legge 119/2018, al fine di rafforzare le misure poste a garanzia del credito erariale e a sostegno delle relative procedure di riscossione, viene previsto che le istanze in questione attualmente di esclusiva pertinenza dell’agenzia delle Entrate per la richiesta di ipoteca o sequestro conservativo, possano essere inoltrate anche dal Comandante provinciale della Guardia di finanza, in relazione ai processi verbali di constatazione rilasciati dai reparti dipendenti.

La GdF dovrà dare tempestiva comunicazione alla direzione provinciale dell’agenzia delle Entrate, la quale esaminerà l’istanza e comunicherà le proprie eventuali osservazioni al presidente della commissione tributaria, nonché al comandante provinciale richiedente.

Decorso il termine di 20 giorni dal ricevimento dell’istanza, si intenderà acquisito il parere dell’Agenzia.

In presenza di tali istanze, le Fiamme Gialle dovranno fornire all’Agenzia, ogni elemento utile ai fini dell’istruttoria e della partecipazione alla procedura.

I requisiti

L’istanza di sequestro e/o ipoteca è subordinata sostanzialmente alla sussistenza di due requisiti: il fumus boni iuris ed il periculum in mora.

Il fumus boni iuris si può riscontrare nell’esistenza di un debito tributario a carico del contribuente derivante da un provvedimento dell’amministrazione (atto di contestazione, irrogazione sanzione, Pvc).

Va da sé che se la richiesta sia fondata solo sul Pvc, come accadrà in futuro in caso di proposta della GdF, al fine di giustificare l’entità della garanzia, fin da subito dovrebbero emergere le imposte dovute che saranno poi successivamente indicate nell’accertamento dell’Agenzia. Analoga evidenza dovrà essere data delle sanzioni tenendo presente che in sede di redazione del Pvc non si tiene conto dei vari istituti applicabili primo fra tutti il cumulo giuridico.

Il secondo requisito è il periculum in mora, ossia il fondato timore, da parte dell’amministrazione, di perdere la garanzia del credito. Deve trattarsi di un timore attuale e non potenziale desumibile sia da dati oggettivi, come la consistenza e le caratteristiche del patrimonio del contribuente, sia da dati soggettivi valutando cioè la condotta del debitore.

Per quest’ultima, occorre considerare i comportamenti che palesano una costante tendenza a non adempiere agli obblighi tributari. Si pensi, ad esempio, a costanti pregresse situazioni di morosità.

Si tratta pertanto di una analisi complessiva fondata su una pluralità di elementi, anche di carattere indiziario, ma che possono far ragionevolmente presupporre la volontà del contribuente di non pagare ovvero di ridurre le garanzie sulle quali l’amministrazione potrebbe rivalersi.

L’iter procedurale

Il presidente della Ctp decide sulla concessione della richiesta cautelare. Sul punto l’emendamento si limita a prevedere che la Gdf fornisca ogni elemento utile ai fini dell’istruttoria e della partecipazione alla procedura. La rappresentanza in giudizio dovrebbe quindi restare in capo all’agenzia delle Entrate.

La circostanza non è di poco conto. Si pensi al caso, non raro, in cui respingendo la richiesta, la Ctp condanni alle spese l’Ufficio. In questi casi l’istanza proviene direttamente dalla GdF e la difesa sarà contro l’istanza della GdF e non avverso un atto dell’Ufficio (come avviene con gli accertamenti a seguito di Pvc della GdF). Sarebbe singolare, a questo punto, che per una decisione del Comandante provinciale delle Fiamme Gialle rivelatasi non fondata, debba poi risarcire le spese l’Agenzia.

Fonte “Il sole 24 ore”

L’unico sezionale non obbliga a conservare in digitale anche i documenti analogici

La contemporanea registrazione di fatture elettroniche e analogiche in un unico registro sezionale Iva (acquisto o vendite) non obbliga a conservare elettronicamente anche i documenti analogici. A chiarirlo sono le Entrate, con una risposta del 15 novembre scorso, formalizzata nelle Faq pubblicate dall’Agenzia.

Dal 2019, si continueranno inevitabilmente a ricevere ancora fatture non elettroniche (su carta, in pdf, in formato immagine, eccetera), ad esempio, dai minimi, dai forfettari, dai soggetti non residenti o non stabiliti ovvero dai soggetti solo identificati. Già oggi (soprattutto con l’avvicinarsi di fine anno), invece, è possibile ricevere qualche fattura elettronica, assieme alle consuete fatture su carta. In questi casi, di ricezione mista (elettronica e analogica), non è necessario istituire diversi sezionali dei registri Iva, al fine di registrare i documenti analogici con una numerazione diversa rispetto alle e-fatture ovvero per evitarne la conservazione sostituiva prevista per queste ultime. Dal 24 ottobre 2018, peraltro, è stata abolita la registrazione “in ordine progressivo” delle fatture passive e delle autofatture nel registro Iva degli acquisti (articolo 25, comma 1, del Dpr 633/1972).

Anche se i documenti elettronici e quelli analitici vengono registrati in un unico sezionale del registro Iva acquisti, infatti, non è necessario effettuare la conservazione elettronica sostitutiva anche delle fatture analogiche.

Questa regola vale anche per il ciclo attivo. Nel 2019, anche se la fattura elettronica attiva sarà in generale obbligatoria, si dovranno ancora emettere su carta le fatture verso i soggetti non residenti o non stabiliti ovvero i soggetti identificati (identificazione diretta o tramite rappresentante fiscale), a meno che non ci si accordi con loro per l’invio della e-fattura tramite lo Sdi, per evitare l’esterometro, previa richiesta al proprio cliente “estero” (ad esempio, una consociata) del suo indirizzo telematico (codice destinatario o pec). Questa modalità di invio della e-fattura al cliente, tramite lo Sdi (allegato A del provvedimento del 30 aprile 2018, paragrafi 2.1.4), è possibile anche per il ciclo passivo (anche se più complicata) ed è diversa da quella, prevista per il solo ciclo attivo e sempre per evitare l’esterometro, di solo «invio allo Sdi» dell’Xml con il codice destinatario «XXXXXX» (si veda Il Quotidiano del Fisco del 15 novembre 2018).

Anche per il ciclo attivo, quindi, in presenza di un unico sezionale con fatture sia elettroniche che analitiche, la modalità di conservazione può essere sia elettronica (obbligatoria per le fatture elettroniche), sia analitica (per quelle cartacee).

Ad esempio, alla fattura analogica con numero 1, possono succedere le fatture elettroniche con numero 2 e 3, l’analogica con numero 4 e così via, senza necessità di ricorrere a separati registri sezionali, fermo restando il rispetto della conservazione sostitutiva solo per quelle elettroniche.

Anche con l’avvento della fattura elettronica, infine, sarà possibile adottare una numerazione progressiva che, partendo dal numero 1, prosegua ininterrottamente per tutti gli anni solari di attività del contribuente, fino alla cessazione dell’attività stessa (risoluzione 10 gennaio 2013, n. 1/E).

Fonte “Il sole 24 ore”

L’e-fattura dei forfettari resta senza obbligo di conservazione

Gli operatori che rientrano nel regime di vantaggio o nel regime forfettario non hanno l’obbligo di conservare elettronicamente le fatture ricevute, se non comunicano al cedente/prestatore la Pec o un codice destinatario con cui ricevere le fatture elettroniche. Lo ha chiarito l’agenzia delle Entrate con una delle Faq pubblicate ieri.

La legge di Bilancio per l’anno 2018 esclude dalle disposizioni in materia di fatturazione elettronica i soggetti che adottano il regime dei minimi (Dl 98/2011) e quelli che adottano il regime forfettario (legge 190/2014). Pertanto, a partire dal 1° gennaio 2019, questi soggetti saranno esonerati dalla emissione della fattura elettronica; tuttavia, lo stesso esonero non si applica ai loro fornitori, che dovranno emettere fattura elettronica rispettando il formato e il contenuto previsto per qualsiasi altro tipo di e-fattura.

La differenza, rispetto alle fatture elettroniche emesse nei confronti di soggetti passivi, riguarda gli elementi necessari per il recapito della stessa. Lo Sdi, infatti, generalmente recapita la fattura elettronica attraverso la Pec, o tramite applicativi o servizi di trasmissione file; queste due ultime modalità necessitano del preventivo processo di accreditamento, che consente di ottenere un codice destinatario di sette cifre. Pertanto, ai fini del recapito, generalmente nella fattura deve essere indicato il codice destinatario oppure un indirizzo Pec. Quando la fattura è emessa nei confronti di un minimo o forfettario, la fattura non deve però contenere né il codice destinatario né la Pec del cliente secondo l’Agenzia, bensì un codice convenzionale di sette zeri da inserire al posto del codice destinatario.

Questa indicazione permette allo Sdi di recapitare la fattura elettronica al minimo/forfettario mettendola a disposizione nella sua area riservata del sito web dell’agenzia delle Entrate, oltre che rendere disponibile al cedente/prestatore un duplicato informatico della fattura (sempre nella sua area riservata). Il cedente/prestatore, inoltre, ha l’obbligo di comunicare tempestivamente al cessionario/committente, per vie diverse dallo Sdi, che l’originale della fattura elettronica è a sua disposizione nella predetta area riservata.

Dunque, seguendo queste modalità, l’agenzia delle Entrate ha chiarito che non sussiste alcun obbligo in capo ai soggetti minimi e forfettari, nemmeno sul fronte del ciclo passivo, non essendo obbligati alla conservazione dei documenti ricevuti. Minimi e forfetari possono però decidere di ricevere le fatture elettroniche emesse dai loro fornitori anche comunicando una Pec o, in alternativa, un codice destinatario. In questa ipotesi, dalla lettura della risposta alla Faq si desume che scatta l’obbligo di conservazione elettronica.

Sintetizzando: il contribuente minimo o forfettario che comunica un indirizzo Pec o un codice destinatario sarà obbligato alla conservazione elettronica dei documenti ricevuti; chi, invece, fa nulla, quindi non comunica né Pec, né codice destinatario non ha neanche l’obbligo di conservare i documenti elettronici ricevuti; ovviamente in questo caso dovrà conservare le fatture cartacee. Anche se la risposta non lo dice, si ritiene che il medesimo metodo riguardi anche le imprese agricole in regime di esonero (volume di affari inferiore a 7mila euro).

Fonte “Il sole 24 ore”

Nel contratto di conservazione attenzione ai subfornitori

La conservazione della fattura elettronica deve essere garantita per almeno dieci anni. Diventa quindi strategica la scelta del conservatore e importante la capacità di sapersi districare tra i contratti di servizio, diffidando di quelli troppo sintetici. La creazione e gestione della fattura e la sua conservazione sono due passaggi distinti e di norma hanno due contratti diversi, anche se il fornitore è lo stesso.
Il conservatore deve essere valutato in base alla struttura (più è solida, anche finanziariamente, e più dovrebbe essere sicura), alle apparecchiature ma anche al processo di gestione dei documenti. Bisogna, inoltre, tutelarsi nel caso in cui il conservatore che abbiamo scelto fallisca o chiuda. Il contratto deve prevedere, quindi, che i nostri documenti digitali siano riversati presso un altro conservatore. Nel caso di fatture della pubblica amministrazione la legge pone come obbligo che il conservatore sia accreditato Agid (Agenzia per l’Italia digitale), ovviamente conviene verificare che il numero di protocollo sia reale. Anche se non è obbligatoria l’accreditazione Agid nel B2B dà certamente garanzie importanti . «Quasi tutti i conservatori sono accreditati Agid – spiega Bonfiglio Mariotti, presidente di Assosoftware – e si tratta di una certificazione che comporta verifiche semestrali da parte dell’Agid per accertare se si è compliance con la certificazione». Il “bollino” Agid non solo è una garanzia per l’utente, ma fornisce anche una serie di agevolazioni al conservatore grazie agli strumenti e alle competenze che mette a disposizione.
Un’altro elemento che è meglio esplicitare nel contratto riguarda eventuali subappaltatori. Il fornitore a cui ci si rivolge per i servizi che riguardano la fatturazione elettronica deve dichiarare se ricorre a sub-fornitori, sia perché è sempre meglio sapere chi gestisce materialmente i nostri documenti sia perché le responsabilità del fornitore devono essere estese anche al sub fornitore. A questo proposito è già stato approvato un emendamento al Dl fiscale che “vieta” a Sogei (quindi all’agenzia delle Entrate) di affidare a terzi esterni la conservazione.
Con internet si è un po’ persa l’abitudine di leggere i contratti ma nel contratto di conservazione conviene fare uno sforzo. «Il contratto – raccomanda Mariotti – deve essere letto, stampato e, per legge, firmato in originale».

Fonte “Il sole 24 ore”

Dai medici al forfait 5 partite Iva su 10 fuori dalla e-fattura

Anche senza proroga, dal 1° gennaio dell’anno prossimo cinque partite Iva su dieci non saranno obbligate a emettere fatture elettroniche. Tra l’allargamento del regime forfettario, i soggetti che fanno solo scontrini e le esclusioni ora in discussione in Parlamento, l’obbligo riguarderà metà dei 5,8 milioni di titolari di partita Iva (imprenditori individuali, professionisti, società ed enti non commerciali). Gli esclusi, comunque, non dovranno disinteressarsi completamente del nuovo obbligo, perché potranno comunque trovarsi a ricevere fatture elettroniche dai propri fornitori.
I primi a evitare la e-fattura sono i contribuenti che hanno aderito al regime forfettario e i vecchi minimi (circa 935mila titolari di partita Iva, in base agli ultimi dati). Ed è un insieme che potrebbe crescere fino a 1,5 milioni con l’innalzamento della soglia d’accesso a 65mila euro di ricavi, previsto nel disegno di legge di Bilancio per il 2019. Del resto, le ultime statistiche fiscali (anno d’imposta 2016) dicono che nella fascia di giro d’affari tra i 30 e i 65mila euro ci sono 909mila contribuenti.
A questi va poi aggiunto il milione e 732mila esercenti o artigiani che operano solo con consumatori ed emettono scontrini e ricevute fiscali. Per loro, di trasmissione telematica non si parlerà prima del prossimo 1° luglio (grandi operatori) o addirittura del 1° gennaio 2020 (tutti gli altri).
Oggi al voto in commissione al Senato
Il terzo fronte di limitazioni arriverà dal Parlamento. Il primo banco di prova è previsto già oggi, quando la commissione Finanze del Senato è chiamata a completare l’esame degli emendamenti accantonati la scorsa settimana.
Si tratta di modifiche al decreto fiscale (Dl 119/2018) finalizzate a restringere la platea dei soggetti obbligati alla trasmissione della e-fattura: in particolare, escludendo medici e farmacisti che inviano al Sistema tessera sanitaria (Sts) i dati relativi alle spese dei propri clienti per permettere alle Entrate di preparare la dichiarazione dei redditi precompilata. In ballo c’è anche l’esclusione delle associazioni sportive dilettantistiche, su cui però il dibattito è più aperto.
Un altro punto importante su cui i senatori prenderanno già oggi una decisione è l’estensione fino a fine settembre della moratoria sulle sanzioni per chi non si adeguerà all’obbligo di fatturazione elettronica tra privati. Al momento, il periodo di salvaguardia introdotto dal decreto fiscale si ferma al 30 giugno.
Ciò che non pare in discussione, almeno per ora, è la data di debutto del nuovo obbligo (1° gennaio 2019). Anche perché alla fattura elettronica sono legati 1,97 miliardi di euro di maggiori entrate da contrasto all’evasione Iva nel 2019.
Meno «big data» per tutelare la privacy
L’altro fronte caldo per la fattura elettronica è quello con la privacy, dopo la bocciatura di dieci giorni fa da parte del Garante. Che ha evidenziato una raccolta «sproporzionata» di informazioni su cittadini e imprese da parte del Fisco, oltre al rischio che i dati vengano usati in modo improprio da soggetti terzi.
D’altra parte, le fatture sono una miniera di informazioni sul business, oltre che sul Fisco: dai clienti alla marginalità, dai tempi di pagamento al dettaglio di molte operazioni. Proprio sul fronte dell’utilizzo dei big data, la commissione Finanze ha già approvato un emendamento che vieta a Sogei di utilizzare soggetti terzi nella conservazione dei dati delle fatture.
Inoltre, come ricordato dal ministro dell’Economia, Giovanni Tria, durante il question time al Senato, è già partito un tavolo di confronto tra Agenzia e Garante per risolvere le criticità evidenziate dall’authority.
Tra le soluzioni allo studio c’è quella di far sì che l’Agenzia memorizzi i soli dati di rilevanza tributaria. Il Fisco rinuncerebbe ad esempio ad acquisire il dettaglio dei consumi inserito nella fattura emessa da una utility a un’impresa, limitandosi a salvare nei propri database gli elementi chiave.

Fonte “Il sole 24 ore”

Pace fiscale, via al tour de force: tutte le date da ricordare

La maratona dell’Aula di Palazzo Madama – anche se il via libera finale arriverà solo oggi – porta con sé la moratoria delle sanzioni fino a settembre per la trasmissione della fattura elettronica dei contribuenti con cadenza mensile. Mentre sbarra la porta alla possibilità per i sindaci di estendere la rottamazione-ter alle ingiunzioni di pagamento con multe e tributi locali, a partire da Imu, Tasi e Tari. Tra le novità arrivate nel corso dell’esame dell’assemblea di Palazzo Madama sono arrivati anche i ritocchi al Codice del Terzo settore. Con un nuovo assetto anche per le ricadute pratiche delle erogazioni liberali, in base al quale la detrazione del 30% verrebbe limitata esclusivamente a quelle effettuate in natura con il conseguente “taglia-fuori” per quelle in denaro. Ma non solo, perché si modifica la definizione di attività «non commerciale» stabilendo che si consideri tale qualora i ricavi non superino del 5% i costi per ciascun periodo d’imposta e per non più di due periodi di imposta consecutivi.
In un decreto che è sempre di più diventato omnibus nel corso dell’esame parlamentare con la presentazione dell’emendamento sulle concessioni autostradali (al voto oggi) con obbligo di manutenzione anche dopo la fine dell’affidamento, l’asse portante restano le misure della pace fiscale. «Misure come la rottamazione-ter delle cartelle, lo stralcio delle mini cartelle, la definizione agevolata delle liti fiscali e la definizione degli errori formali danno una boccata d’ossigeno ai piccoli contribuenti in difficoltà che meritano di essere rimessi in carreggiata» sottolinea il relatore al provvedimento in commissione Finanze, Emiliano Fenu (M5S), che precisa anche come non ci sia «spazio per sconti agli evasori, né ci sono scappatoie per chi ha portato soldi fuori dal Paese, abbiamo quindi marcato una distanza rispetto al recente passato».
Come anticipato, però, oltre alla pace fiscale c’è molto di più. A cominciare dagli ulteriori ritocchi al capitolo della fattura elettronica. L’ultimo in ordine di tempo ha portato l’Aula a recuperare l’estensione sulla moratoria delle sanzioni fino a settembre. Mentre la commissione aveva già dato il via libera all’esonero per medici e farmacisti che inviano i dati al Sistema tessera sanitaria per la precompilata e alle associazioni sportive dilettantistiche con proventi fino a 65mila euro.
Poi il capitolo sulla lotta all’evasione che è diventato più corposo per effetto della possibilità di utilizzo dei dati della Superanagrafe dei conti estesa anche alla Guardia di Finanza, con i dati di sintesi sui principali rapporti finanziari che potranno essere conservati fino a un massimo di dieci anni.
Ancora, il rifinanziamento del bonus bebè per i figli nati o adottati in tutto il 2019 e con la novità della maggiorazione del 20% per i figli successivi al primo. I 444 milioni spalmati in due anni arriveranno dalla sanatoria degli errori formali, che coprirà con altri 525 milioni sempre per il 2019 e il 2020 la dote del fondo per le calamità con cui il Governo prevede di avviare dall’inizio del prossimo anno un piano di investimenti per fronteggiare il dissesto idrogeologico, per garantire la manutenzione delle reti viarie e dell’edilizia.
Nel giorno in cui la Camera ha votato la fiducia sul decreto sicurezza, il Senato ha “risposto” con l’introduzione del prelievo dell’1,5% sulle rimesse in denaro tramite money transfer verso Paesi extracomunitari per importi superiori a 10 euro. I 63 milioni attesi dalla nuova tassazione saranno destinati alla detassazione delle sigarette elettroniche: una misura considerata da Anafe-Confindustria una vittoria storica per il settore con la riduzione delle imposte dell’80% sui liquidi con nicotina e del 90% per quelli senza nicotina.
Nell’omnibus oggi attesi i voti su mobilità in deroga e cassa integrazione. Sempre in tema lavoro dovrà essere esaminato anche il tavolo per il caporalato.
A tener banco in Aula saranno poi le norme su telecomunicazioni, Bcc, proroga della riforma sulle Popolari e sull’introduzione di uno scudo anti-spread per assicurazioni e imprese con principi contabili nazionali.

La pace fiscale resta a nove corsie. Così era partita a metà ottobre scorso e così è uscita ieri dal Senato dopo il primo passaggio in Parlamento del Dl fiscale. Ma se da una parte ha mantenuto la sua struttura a più vie, le sanatorie sono cambiate molto nella sostanza soprattutto rispetto agli annunci e alle attese dei contribuenti. L’accordo politico tra Lega e M5S ha cancellato l’iniziale articolo 9 sul condono che introduceva una dichiarazione integrativa speciale su importi fino a 100mila euro l’anno con una tassa sostitutiva del 20 per cento. Al suo posto arriva la sanatoria sugli errori formali, che potranno essere corretti versando al Fisco 200 euro per ogni singolo anno d’imposta per le violazioni commesse fino al 28 ottobre 2018. Ma non è il solo cambio di rotta. Nulla da fare per il più volte annunciato «saldo e stralcio» con cui la Lega ha ipotizzato di poter consentire ai contribuenti in difficoltà economica, con un Isee fino a 30mila euro, di saldare il proprio debito versando, a seconda del reddito, il 6, il 10 o al massimo il 25% del dovuto.
Tra le assenze nelle file dei condoni gialloverdi anche l’estensione della rottamazione-ter alle ingiunzioni di pagamento con cui i comuni riscuotono tributi locali, come Imu, Tasi e Tari, o le multe. Un’estensione facoltativa per i sindaci, sempre presente nelle due passate edizioni delle rottamazioni e che ieri, invece, è stata bloccata con il no della Ragioneria, almeno secondo quanto sottolineato dal sottosegretario all’Economia, Massimo Bitonci (Lega). Nessuna possibilità, poi, di sanare gli omessi versamenti pur avendo dichiarato tutto al fisco. Anche qui il rischio di una perdita di gettito sul recupero annuale garantito dalla riscossione spontanea ha prevalso sulla possibilità di condonare le singole posizioni dei contribuenti.
Della pace fiscale resta certamente la filosofia di fondo ossia di una “sanatoria di filiera” che parte dai processi verbali di constatazione, passa agli accertamenti, alle dichiarazioni dei redditi con errori formali, alla rottamazione-ter delle cartelle esattoriali, per chiudere con i maxisconti della definizione agevolata delle liti pendenti. Al fianco di queste sanatorie ce ne sono alcune di “settore”, a partire dallo stralcio delle cartelle fino a mille euro, quella per le società sportive dilettantistiche, nonché quella per le sigarette elettroniche, che potranno chiudere i contenziosi aperti versando soltanto il 5% di quanto contestato dalle Dogane e dai Monopoli.
Per le sanatorie fiscali dai Pvc alle liti due sono i criteri di fondo: l’obbligo di dover versare la pretesa erariale al netto di interessi e sanzioni. La sola eccezione sono gli errori formali per i quali, oltre al versamento forfettario di 200 euro si prevedono specifici termini di versamento in due rate: una al 31 maggio 2019 e l’altra al 2 marzo 2020. Per le altre sanatorie (Pvc, accertamenti rottamazione ter e liti pendenti) la propria posizione si definisce con il versamento in unica soluzione o rateizzando gli importi dovuti fino a un massimo di 5 anni.
Tra le novità introdotte al Senato proprio sui versamenti rateizzati vanno segnalati l’alleggerimento delle rate che, pur restando distribuite in 5 anni, si potranno versare due nel 2019 (31 luglio e 30 novembre) e le altre a scadenza trimestrale nell’anno, passando quindi da 2 a 4 rate all’anno. Non ci sarà poi nessuna sanzione per ritardi nei pagamenti contenuti nei 5 giorni dalla scadenza.
Durante l’esame del Senato la modifica di maggior spessore sul fronte delle nove sanatorie ha riguardato la chiusura delle liti pendenti dove maggioranza e Governo hanno rivisto al rialzo gli sconti concessi a chi chiude in via agevolata, senza versare sanzioni e interessi, il contenzioso avviato con il Fisco. È stato introdotto uno sconto del 10% sulla pretesa erariale per chi ha solo presentato ricorso ed è in attesa della “lite”. È stato previsto, poi, un maxi-sconto fino al 95% (è dovuto solo il 5%) per chi ha una doppia conforme e in attesa del giudizio di Cassazione ha già battuto le Entrate in commissione provinciale e regionale. Il Senato ha aumentato anche l’appeal per chi ha vinto in primo grado riducendo la somma dovuta al Fisco dal 50% iniziale al 40%, così come ha ridotto dal 20% ora in vigore al 15% per chi ha vinto in secondo e non vuole attendere il giudizio della Cassazione.

Fonte “Il sole 24 ore”

Reverse charge su pc e console prorogato al 30 giugno 2022

L’approvazione degli emendamenti al Dl 119/2018 estende al 30 giugno 2022 l’obbligo di applicazione del reverse charge per la cessione di cellulari, tablet, laptop, cessione di gas e elettricità con effetti diretti sulla e-fattura obbligatoria. Per l’e-fattura sono confermate: l’esclusione per gli operatori sanitari che trasmettono i dati al sistema tessera sanitaria, limitatamente alle fatture corrispondenti ai dati inviati a detto sistema, nonché per le associazioni sportive dilettantistiche nel caso in cui i proventi relativi alle attività commerciali siano inferiori nel periodo d’imposta precedente a 65mila euro; le previsioni relative ai fornitori di servizi pubblici (come le imprese telefoniche) per i quali verranno emanate delle specifiche tecniche per l’emissione di fatture verso il consumatore finale per i contratti stipulati prima del 2005; le limitazioni delle cause che consentono a una pubblica amministrazione di rifiutare una fattura Pa.

Viene prorogata al 30 giugno 2022 l’applicazione del meccanismo dell’inversione contabile facoltativa (reverse charge) Iva, in linea con quanto previsto dall’articolo 199-bis della direttiva 2006/112 che ha prorogato il termine per l’applicazione facoltativa del reverse charge al 30 giugno 2022.

La misura allinea al nuovo termine Ue la possibilità di avvalersi dell’inversione contabile per le operazioni elencate all’articolo 17, sesto comma del Dpr 633/1972, alle lettere b), c), d-bis), d-ter) e d-quater). Si tratta quindi delle cessioni di telefoni cellulari, ad esclusione dei componenti e accessori per i telefoni cellulari, delle cessioni di dispositivi a circuito integrato, quali microprocessori e unità centrali di elaborazione, effettuate prima della loro installazione in prodotti destinati al consumatore finale con esclusione dei computer quali beni completi e i loro accessori. Vi rientrano inoltre le cessioni di console da gioco, tablet, pc e laptop oltre ai trasferimenti di quote di emissioni di gas a effetto serra trasferibili, dei certificati relativi al gas e all’energia elettrica e delle cessioni di gas e di energia elettrica a un soggetto passivo-rivenditore.

Tra i soggetti esclusi dall’obbligo di e-fattura sono state ricomprese le associazioni sportive che applicano il regime forfettario (opzionale) e che nel periodo d’imposta precedente hanno conseguito dall’esercizio di attività commerciali proventi per un importo non superiore a 65mila euro. Il regime forfettario opzionale trova applicazione nei riguardi delle associazioni sportive dilettantistiche che conseguono proventi da attività commerciali non superiori a 400mila euro e che sono esonerati dagli obblighi di tenuta delle scritture contabili. In caso di conseguimento dall’esercizio di attività commerciali un importo superiore a 65mila euro, le associazioni sportive devono assicurare che la fattura sia emessa dal cessionario o committente soggetto passivo d’imposta. Altra novità riguarda gli obblighi di fatturazione e registrazione relativi ai contratti di sponsorizzazione e pubblicità: tali obblighi, nei confronti di soggetti passivi stabiliti nel territorio dello Stato, dovranno essere adempiuti dagli stessi cessionari.

Fonte “Il sole 24 ore”

La rottamazione delle cartelle ammette ritardi fino a 5 giorni

Aumento del numero delle rate, fermo il limite massimo di 5 anni del periodo di dilazione, introduzione della tolleranza di 5 giorni per tutte le scadenze e rilascio del Durc dopo la presentazione della domanda di sanatoria. Queste sono le modifiche apportate alla rottamazione-ter dalla commissione Finanze del Senato.

Nella versione attualmente in vigore, il pagamento della definizione degli affidamenti all’agente della riscossione può avvenire in un massimo di 10 rate, in scadenza il 31 luglio e il 30 novembre di ciascun anno. Il periodo limite di dilazione dunque è di 5 anni.

Con le modifiche apportate in Senato il numero delle rate aumenta da 10 a 18. Mentre per il 2019, inoltre, restano le rate di luglio e novembre, ciascuna pari al 10% del totale, a decorrere dal 2020 le rate diventano quattro, con scadenza a febbraio, maggio, luglio e novembre di ciascun anno. In sostanza, si riduce l’importo unitario della rata di rottamazione ma resta fermo l’arco temporale di cinque anni per concludere i pagamenti.

L’altra importante modifica riguarda l’introduzione di una soglia di tolleranza nel rispetto delle scadenze di legge. Al riguardo, si ricorda che in tutte le versioni precedenti della rottamazione e anche nella vigente formulazione della definizione ter era sufficiente il ritardato pagamento anche di un solo giorno per decadere irreversibilmente dai benefici di legge. Tanto, perché non risultava applicabile l’istituto del lieve inadempimento all’articolo 15-ter del Dpr 602/1973, che consente di far salvi i ritardi di 7 giorni nel versamento della sola prima rata.

Con l’emendamento approvato si stabilisce che in caso di ritardo non superiore a 5 giorni «l’effetto di inefficacia della definizione non si produce e non sono dovuti interessi». Si tratta, in realtà, di una vera e propria soglia di tolleranza che rende del tutto irrilevanti i ritardi non superiori a 5 giorni, atteso che il debitore non subisce alcuna penalizzazione da essi. Tale soglia trova applicazione per la generalità delle rate della rottamazione ter, ivi inclusa quella in scadenza al 7 dicembre, riferita alle rate della rottamazione bis (si veda l’altro pezzo in pagina).

L’ultima modifica colma una lacuna rispetto alle precedenti rottamazioni. Si ricorda in proposito che in entrambe le precedenti versioni era stabilito che una volta presentata l’istanza di definizione il debitore poteva chiedere ed ottenere il Durc positivo. In base all’articolo 3, comma 10, del Dl 119/2018, una volta trasmessa l’istanza, il debitore non si considera inadempiente ai fini degli articoli 28-ter e 48-bis del Dpr 602/1973. La prima norma citata riguarda il potere dell’agente della riscossione di notificare al soggetto moroso destinatario di un rimborso fiscale una proposta di compensazione volontaria del credito in via di erogazione con le somme a ruolo. In caso di rifiuto, agenzia delle Entrate-Riscossione (Ader) provvede a notificare un pignoramento presso terzi. La seconda disposizione prevede il blocco dei pagamenti maggiori di 5mila euro da parte di enti pubblici qualora il beneficiario degli stessi abbia pendenze almeno pari a 5mila euro verso l’Ader. Con l’emendamento in esame il quadro è completato dalla possibilità di rilasciare il Durc qualora i carichi previdenziali risultino inclusi in domande di rottamazione. In caso di successiva decadenza dalla definizione, l’Inps revoca il documento già rilasciato. In questo modo, si consente pertanto la partecipazione a gare da parte del debitore.

Fonte “Il sole 24 ore”

Sanatoria errori formali, fuori il quadro RW

Escluse dalla sanatoria delle irregolarità formali le violazioni commesse nella compilazione del quadro RW. È questo l’effetto del correttivo che ha ricevuto il via libera della commissione Bilancio e che mira a impedire che con la sanatoria i contribuenti possano far emergere attività costituite o detenute all’estero.

Si intende così porre rimedio a un’eccessiva apertura della disposizione che, come segnalato da Dario Deotto (si veda Il Quotidiano del Fisco del 24 novembre ), sterilizzava gli effetti della regolarizzazione solo in relazione agli atti di contestazione o irrogazione delle sanzioni emessi nell’ambito della procedura di collaborazione volontaria, ma non anche per le violazioni legate al quadro RW. L’emendamento specifica che ciò che è vietato è la bonifica dell’emersione di attività estere, fattispecie che letteralmente sembra diversa rispetto alla correzione di errori nell’indicazione dei valori di attività estere comunque dichiarate nel quadro RW.

La sanatoria desta comunque interesse in un sistema caratterizzato da una gran mole di adempimenti. L’idea di bonificare gli errori formali anche inconsapevolmente commessi pagando 200 euro alletta molti, tanto più che la somma è fissa per ciascun periodo d’imposta e non specifica anche per comparto impositivo. Né rileva la dimensione del contribuente.

La questione centrale resta quella di capire quale sia il perimetro della regolarizzazione, a prescindere dai limiti citati. La bozza fa riferimento a irregolarità, infrazioni e inosservanze di obblighi e adempimenti che abbiano natura formale e che non rilevino sulla determinazione della base imponibile ai fini delle imposte sui redditi, dell’Iva, dell’Irap e dei pagamenti dei tributi. Si tratta di una definizione molto ampia per cui dovrebbero essere sanate non solo le violazioni formali dichiarative, ma anche quelle tributarie pur se correlate ad adempimenti diversi quali, ad esempio, le violazioni commesse nelle comunicazioni periodiche Iva e nei modelli intrastat.

In merito alle violazioni dichiarative, sono molti gli errori che possono non riflettersi su un maggior imponibile o una maggiore imposta. Si pensi al contenuto dei quadri RS (prospetti vari) e RV (riconciliazione dei dati contabili e fiscali). Va però tenuto conto che gli errori formali possono anche declinare in violazioni sostanziali. Due casi sono paradigmatici: gli errori commessi nella compilazione dei modelli studi di settore o nel prospetto delle società di comodo. Se l’errore non si riverbera sul resoconto di congruità o sulla determinazione del reddito minimo, si è in presenza di una violazione formale. Se, invece, l’errore si riflette sul reddito accertabile, la violazione per infedele dichiarazione assorbe quella formale e, quindi, il pagamento dei 200 euro sarebbe inutile.

Fonte “Il sole 24 ore”

Liti pendenti, la doppia vittoria consente la definizione con il 5%

Definizione delle liti fiscali pendenti con più appeal. Gli emendamenti approvati ieri dalla Commissione Finanze del Senato al Dl 119 prevedono che, in caso di ricorso pendente iscritto in primo grado, la lite può essere definita con il 90% delle imposte dovute nell’atto impugnato. Se, invece, è stata depositata una sentenza favorevole al contribuente la definizione della lite avviene con il pagamento del 40% delle imposte se la pronuncia è di primo grado o del 15% se è di secondo grado. Invece, se la controversia è pendente in Cassazione alla data di entrata in vigore della legge di conversione, e l’Agenzia sia risultata soccombente in tutti i precedenti giudizi, la definizione avviene con il pagamento del 5% del valore della controversia.

Nonostante queste favorevoli modifiche permangono vari dubbi. Innanzitutto il riferimento al «ricorso pendente iscritto» potrebbe comportare che si tratta solo di quei ricorsi in primo grado per i quali è stata fatta la costituzione in giudizio e non anche quelli soltanto notificati alla controparte. Se così fosse, bisogna chiarire se la data di riferimento per la costituzione sia l’entrata in vigore della legge di conversione o il 24 ottobre. Poi, non è stato disciplinato il trattamento per le pronunce della Cassazione con rinvio. Nel decreto legge, nelle ipotesi di rinvio, per la definizione della lite è necessario versare il 100% delle imposte pretese con l’atto impugnato. Ora, considerata la modifica intervenuta per i giudizi pendenti in primo grado, l’importo dovrebbe verosimilmente scendere al 90%. La relazione illustrativa al decreto, infatti, precisava che nel caso di sentenza della Cassazione con rinvio, la controversia si considera pendente in primo grado senza decisione. Poiché dopo l’emendamento, per i ricorsi pendenti in primo grado, la definizione potrà avvenire con il pagamento del 90% dovrebbe conseguire che i rinvii della Cassazione potranno essere analogamente chiusi con il 90%. Si tratta comunque di una circostanza singolare, atteso che il contribuente potrebbe aver avuto una sentenza in un grado di giudizio favorevole e non beneficerebbe di tale circostanza.

Quanto alla nuova previsione, secondo cui per un doppio grado di giudizio favorevole è dovuto il 5%, occorre comprendere se per «controversie pendenti innanzi alla Corte di Cassazione» debbano intendersi i ricorsi già notificati ovvero quelli i cui termini di impugnazione della sentenza di appello non siano ancora spirati. Va da sé che prevalendo la prima interpretazione, più aderente alla norma, il nuovo beneficio del 5% sarebbe legato alla tempestività del ricorso dell’agenzia delle Entrate alla data di conversione della legge, in assenza del quale, il contribuente potrebbe beneficiare solo del pagamento del 15%.

Nei giorni scorsi sono stati poi approvati tre emendamenti sulla rottamazione ter che rendono più interessante il meccanismo di definizione. Anziché 10 rate, viene consentito il pagamento in un numero massimo di 18 rate, consecutive, la prima e la seconda delle quali, di importo pari al 10% ciascuna delle somme complessivamente dovute ai fini della definizione, scadenti rispettivamente il 31 luglio e il 30 novembre 2019. Le restanti, di pari ammontare, scadenti il 28 febbraio, il 31 maggio, il 31 luglio e il 30 novembre di ciascun anno a decorrere dal 2020. È stato poi previsto che l’effetto di inefficacia della definizione non si produce nei casi di tardivo versamento delle rate non superiore a 5 giorni e non sono dovuti interessi.

Fonte “Il sole 24 ore”

E-fattura, esonero limitato per medici e farmacisti

Si amplia il numero dei soggetti esclusi dalla e-fattura obbligatoria tra privati, con inclusione tra questi di tutti coloro che trasmettono i dati al sistema della tessera sanitaria e le associazioni sportive dilettantistiche. Inoltre, la moratoria che renderà più soft l’entrata in vigore dell’obbligo si estende da giugno a settembre. Queste sono le ultime novità che sono state inserite tra gli emendamenti approvati nel percorso di conversione del Dl 119/2018. Gli emendamenti sui soggetti esclusi, molto attesi dalle categorie interessate, presentano però delle condizioni che vanno attentamente rispettate per evitare errori e sanzioni.

Operatori sanitari

L’esonero degli operatori sanitari dall’obbligo di emettere fattura elettronica incontra due tipologie di limiti, il primo di ordine temporale in quanto le operazioni che non dovranno essere documentate con tracciato xml attraverso il Sistema di interscambio sono solamente quelle effettuate nel 2019. L’esclusione da un punto di vista oggettivo riguarda inoltre unicamente le fatture i cui dati sono inviati al Sistema tessera sanitaria: tutto ciò che non viene quindi trasmesso tramite questo canale, funzionale alla elaborazione della dichiarazione dei redditi precompilata, va documentato con emissione di una fattura elettronica. L’esonero interessa potenzialmente tutti gli operatori sanitari tenuti all’invio dei dati al Sistema tessera sanitaria ricompresi nell’elenco contenuto all’articolo 3 del Dlgs 175/2014 e, quindi, aziende sanitarie locali, aziende ospedaliere, istituti di ricovero e cura a carattere scientifico, policlinici universitari, farmacie pubbliche e private, presidi di specialistica ambulatoriale, strutture per l’erogazione delle prestazioni di assistenza protesica e di assistenza integrativa, altri presidi e strutture accreditati per l’erogazione dei servizi sanitari e iscritti all’Albo dei medici chirurghi e degli odontoiatri oltre a professionisti sanitari quali psicologi, veterinari, infermieri, tecnici radiologi, ostetrici, nonché ottici.

Sport dilettanti

Le associazioni sportive senza scopo di lucro affiliate alle federazioni sportive nazionali o agli enti nazionali di promozione sportiva che svolgono attività sportive dilettantistiche che hanno optato per il regime speciale Iva e imposte dirette di cui alla L 398/1991:

sono esonerate dall’obbligo della fattura elettronica a condizione che, nel periodo d’imposta precedente hanno conseguito dall’esercizio di attività commerciali proventi per un importo non superiore a 65mila euro;

devono, nel caso i cui i predetti proventi siano superiori a 65mila euro, assicurare che i loro committenti o cessionari soggetti passivi d’imposta emettano per loro conto la fattura elettronica.

Inoltre, gli obblighi di fatturazione e registrazione dei contratti di sponsorizzazione e pubblicità delle predette associazioni nei confronti di soggetti stabiliti in Italia sono eseguiti per loro conto dai cessionari.

Corrispettivi tessera sanitaria

Altro emendamento approvato riguarda la trasmissione telematica dei corrispettivi giornalieri obbligatoria dal 1° gennaio 2020, e anticipata al 1° luglio 2019 per i soggetti con volume d’affari superiore a 400mila euro. Il testo originario del decreto-legge limitava ai soli operatori sanitari che vendono farmaci la possibilità di assolvere all’obbligo avvalendosi di strumenti e canali già utilizzati per l’invio dei dati al Sistema tessera sanitaria. In sede di conversione sono stati ricompresi tutti i soggetti tenuti all’invio dei dati tessera sanitaria. Con decreto del ministro della Salute, di concerto con i ministri dell’Economia e delle finanze e per la Pubblica amministrazione, sentito il Garante privacy, saranno definiti termini, ambiti di utilizzo di tali dati e modalità tecniche di trasmissione.

Fonte “il sole 24 ore”

Fattura elettronica, codici diversi per operazioni esenti e fuori campo

Anche il prossimo anno, non sarà obbligatoria l’emissione delle fatture con Iva esclusa, ad esempio, per addebitare gli interessi di mora, le penalità o i rimborsi spese anticipati in nome e per conto della controparte, ovvero l’emissione di quelle non soggette a Iva o fuori campo Iva (risposte delle Entrate al videoforum del Sole 24 Ore del 12 novembre 2018 ). Se però si decide di emetterle, deve essere indicato il corretto codice natura dell’operazione senza Iva: N1 per quelle escluse da Iva e N2 per quelle non soggette a Iva (ad esempio, le cessioni in regime monofase, ad esempio, di generi di monopolio tabacchi, di quotidiani, periodici, libri o di schede telefoniche prepagate).

Fatture transfrontaliere
Per le fatture attive verso propri clienti non residenti o non stabiliti in Italia ovvero clienti solo identificati, invece, la fattura va sempre emessa e, per evitare l’esterometro, sarà possibile accordarsi con il proprio cliente (ad esempio, società del gruppo) per l’invio allo stesso della e-fattura, in formato xml, tramite lo Sdi (punto 9.2, provvedimento del 30 aprile 2018, che consente questa procedura anche per le fatture da fornitori esteri). Il cliente estero dovrà dotarsi di una pec ovvero del codice destinatario (ad esempio, di un intermediario). In alternativa a questo metodo, per evitare l’esterometro, la fattura cartacea emessa al cliente estero dovrà essere trasformata in fattura elettronica, per essere inviata allo Sdi, indicando nel campo «CodiceDestinatario» il codice «XXXXXXX».
A differenza della prima esenzione dall’invio, questa è possibile solo per le fatture attive e lo Sdi non invia nulla al cliente estero.

Natura dei servizi Ue o extra-Ue
Sia per le fatture attive emesse attraverso lo Sdi che per quelle solo inviate allo Sdi, va prestata attenzione al fatto che, sia i servizi resi a soggetti extra-Ue che quelli resi a soggetti Ue sono operazioni «non soggette» a Iva «per mancanza del requisito territoriale» previsto dall’articolo 7-ter, del Dpr 633/1972, ma solo per le prestazioni di servizi effettuati nei confronti di un soggetto stabilito fuori dall’Unione europea, in fattura deve essere riportata l’annotazione «operazione non soggetta». Per le prestazioni verso soggetti Iva Ue, invece, va riportata l’annotazione «inversione contabile» (articolo 21, comma 6-bis, lettera a, del Dpr 633/1972). Per questo motivo, le e-fatture emesse per i servizi resi a soggetti extra-Ue dovranno avere natura N2 (non soggetti a Iva) – circolare 1/E/2017, paragrafo 4 – , mentre quelle per servizi resi a soggetti Ue avranno natura N6 (inversione contabile). La risposta è contenuta in una Faq dell’agenzia delle Entrate del 2 ottobre 2017, nel portale Fatture e corrispettivi, riferita allo spesometro, ma è applicabile ora anche per le fatture elettroniche.
Secondo l’agenzia delle Entrate, infatti, in linea generale, vale il principio che nello spesometro vada riportata l’imposta o la sua natura così come è riportata nel documento emesso. Ecco che i servizi resi a soggetti extra-Ue, dove le fatture hanno l’annotazione «operazione non soggetta», vanno classificati con la natura N2 (non soggetti a Iva) – circolare 1/E/2017, paragrafo 4 – mentre i servizi resi a soggetti Ue, dove le fatture hanno l’annotazione «inversione contabile», vanno classificati con la natura N6 (inversione contabile).

Autofattura e natura N6
Si segnala che l’allegato A al provvedimento 30 aprile 2018, commentando la natura N6, inversione contabile, riporta ancora le indicazioni che erano state date per la compilazione della sezione Dtr dello spesometro, relativa alle fatture ricevute (allegato al provvedimento 27 marzo 2017, n. 58793), in quanto dice che questa natura dovrà essere utilizzata non solo per le operazioni attive in reverse charge, ma anche per «l’autofatturazione per acquisti extra Ue di servizi ovvero per importazioni di beni nei soli casi previsti». Si ritiene che questa informazione debba essere eliminata, in quanto vige l’esenzione di inviare allo Sdi gli acquisti e i servizi ricevuti da soggetti non residenti o non stabiliti ovvero solo identificati in Italia, ancorché documentati da autofattura.

Fonte “Il sole 24 ore”

Domande esperti – risposte Agenzia Entrate (Fatturazione Elettronica)

Detrazione indebita

Domanda: Il cedente emette il 21 aprile, in luogo della fattura elettronica, una fattura cartacea. Il cessionario per distrazione pur non avendo la fattura elettronica, sulla base della fattura cartacea detrae l’imposta nella liquidazione del 16 maggio. Nel caso in cui il cessionario riceva la fattura elettronica il 13 maggio e provveda entro il 15 maggio a stornare la registrazione precedente ed annotare la fattura elettronica nel registro dell’articolo 25 sarà sanzionabile?

Risposta:Nel caso di specie si ritiene che avendo ricevuto la fattura elettronica entro il termine della propria liquidazione periodica, la sanzione non sarebbe applicabile.Al contrario,se non riceve la fattura elettronica via Sdi entro la liquidazione periodica in cui ha operato la detrazione la sanzione risulterà applicabile, in quanto ha detratto l’Iva in assenza di una fattura regolare (cioè, la fattura elettronica via Sdl).

Sparisce lo spesometro

Domanda: Le fatture emesse da minimi, forfettari nonché in regime di vantaggio, verso operatori Iva residenti e stabiliti non sono più soggette ad alcuna forma di comunicazione (spesometro)?

Risposta: L’articolo 1,comma 3 bis,del Dlgs 127/15 stabilisce un obbligo di comunicazione dei dati delle sole fatture relative ad operazioni transfrontaliere, cioè quelle da o verso soggetti non residenti o non stabiliti nel territorio dello Stato; inoltre la legge di Bilancio 2018 ha abrogato l’articolo 21 del Dl 78/2010 con riferimento alle operazioni di cessione di beni e prestazioni di servizi effettuate a partire dal 10 gennaio 2019 (il cosiddetto “nuovo spesometro”). Conseguentemente, per le fatture ricevute da un soggetto passivo Iva che rientra nel regime forfettario o di vantaggio a partire dal 10 gennaio 2019 non sussisterà più l’obbligo di comunicazione “spesometro”.

Gli omaggi passano dallo Sdi

Domanda: Le autofatture emesse per omaggi rientrano nella fattispecie dell’obbligo di fatturazione elettronica dal prossimo 1° gennaio 2019? Se sì, sono previsti particolari documenti?

Risposta: Sì, le fatture per omaggi vanno emesse come fatture elettroniche e inviate al Sistema d’interscambio.

Autofatture in reverse charge

Domanda: Le autofatture fatte in caso di reverse charge vanno inviate al Sistema di interscambio? Se le autofatture hanno la stessa numerazione delle fatture attive (che invio allo Sdi) posso conservare le autofatture cartacee e le fatture B2B in modalità digitale?

Risposta: Per quanto riguarda le operazioni in reverse charge bisogna fare una distinzione di base. Per gli acquisti intracomunitari e per gli acquisti di servizi extracomunitari, l’operatore Iva residente o stabilito in Italia sarà tenuto a effettuare l’adempimento della comunicazione dei dati delle fatture d’acquisto ai sensi dell’articolo 1, comma 3 bis, del Dgs 127/15. Per gli acquisti interni peri quali l’operatore Iva italiano riceve una fattura elettronica riportante la natura “N6”, in quanto I’operazione è effettuata in regime di inversione contabile, ai sensi dell’articolo 17 del Dpr 633/72, l’adempimento contabile previsto dalle disposizioni normative in vigore prevede una “integrazione” della fattura ricevuta con l’aliquota e l’imposta dovuta e la conseguente registrazione della stessa ai sensi degli articoli 23 e 25 del Dpr 633/72. Al fine di rispettare il dettato normativo, I’Agenzia ha già chiarito con la circolare 13/E del 2 luglio 2018 che una modalità alternativa all’integrazione della fattura possa essere la predisposizione di un altro documento, da allegare al file della fattura in questione, contenente sia i dati necessari per l’integrazione sia gli estremi della stessa. Al riguardo, si evidenzia che tale documento — che per consuetudine viene chiamato “autofattura” poiché contiene i dati tipici di una fattura e, in particolare, l’identificativo Iva dell’operatore che effettua l’integrazione sia nel campo del cedente/ prestatore che in quello del cessionario/committente – può essere inviato al Sistema di Interscambio e, qualora l’operatore usufruisca del servizio gratuito di conservazione elettronica offerto dall’agenzia delle Entrate, il documento verrà portato automaticamente in conservazione.

Fatture per conto terzi

Domanda:  ln presenza di soggetti che emettono la fattura per conto di altri soggetti come nel caso delle cooperative che la emettono per conto dei propri soci (articolo 34, comma 7, Dpr 633/72), i soggetti emittenti sono anche destinatari della fattura. Si chiede se il cedente possa ricevere la fattura emessa per suo conto nella sua area riservata e l’acquirente-emittente glielo comunica con modalità estranee allo Sdl.

Risposta: Lo Sdl consegna la fattura all’indirizzo telematico (Pec o codice destinatario) riportato nella fattura stessa: pertanto, nel caso di fattura emessa dal cessionario/committente per conto del cedente/prestatore, qualora nella fattura elettronica sia riportato l’indirizzo telematico del cedente/prestatore lo Sdl consegnerà a tale indirizzo la fattura, salvo il caso in cui il cessionario/committente abbia utilizzato il servizio di registrazione presente nel portale Fatture e Corrispettivi.

Passaggi interni dallo Sdi

Domanda:  Le fatture relative ai passaggi interni ai sensi dell’articolo 36 del decreto Iva, seguono le regole ordinarie e quindi vengono trasmessi all’emittente mediante SDI?

Risposta: Sì, le fatture relative a passaggi interni devono essere fatture elettroniche inviate allo Sdl.

Niente e-fatture fuori campo

Domanda:  Sono obbligato ad inviare le fatture fuori campo Iva?

Risposta: Perle operazioni fuoricampo di applicazione dell’Iva (ad esempio, le operazioni “monofase” di cui all’articolo 74 del Dpr 633/72), le disposizioni di legge stabiliscono che l’operatore non è tenuto ad emettere una fattura. Tali disposizioni non sono state modificate con l’introduzione della fatturazione elettronica, pertanto l’operatore non sarà obbligato ad emettere fattura elettronica. Per completezza, tuttavia, si evidenzia che le regole tecniche stabilite dal provvedimento del direttore dell’agenzia delle Entrate del 30 aprile 2018 consentono di gestire l’emissione e la ricezione via Sdl anche di fatture elettroniche “fuori campo Iva” con il formato XML: pertanto, qualora l’operatore decida di emettere una fattura per certificare le predette operazioni, dovrà emetterla elettronicamente via Sdl utilizzando il formato XML. In tale ultimo caso, il “codice natura” da utilizzare per rappresentare tali operazioni è “N2”.

Possibile indicare più Pec

Domanda: L’impresa, anziché utilizzare l’indirizzo Pec iscritto al Registro Imprese (che rappresenta l’equivalente “elettronico” dell’indirizzo “fisico” della sede legale) può dotarsi di un altro indirizzo Pec da destinare esclusivamente alla fatturazione elettronica (per tutte le fatture sia da emettere che da ricevere)? E se sì ha lo stesso valore fiscale/legale?

Risposta:  Il provvedimento del 30 aprile 2018 e le relative specifiche tecniche ammettono certamente la possibilità di utilizzare più Indirizzi telematici”, quindi anche più Pec, anche diverse da quella legale registrata in Inipec (indice nazionale degli indirizzi di posta elettronica certificata www.inipec.gov.it).

Peraltro, l’operatore Iva residente o stabilito può scegliere anche di trasmettere e/o ricevere le sue fatture attraverso l’indirizzo telematico (ad esempio Pec) del suo intermediario o di un soggetto terzo che offre servizi di trasmissione e ricezione delle fatture elettroniche, senza necessità di comunicare alcuna “delega” in tal senso all’Agenzia delle entrate. Il Sistema di interscambio, come un postino, si limita a recapitare le fatture elettroniche all’indirizzo telematico (come la Pec) che troverà riportato nella fattura elettronica salvo che l’operatore Iva che appare in fattura come cessionario/committente non abbia preventivamente “registrato” nel portale “Fatture e Corrispettivi” l’indirizzo telematico (Pec o codice destinatario) dove intende ricevere di default tutte le fatture elettroniche trasmesse dai suoi fornitori. Per maggiori chiarimenti si rimanda alla guida sulla fatturazione elettronica pubblicata nell’area tematica della home page del sito dell’agenzia delle Entrate.

Fattura 2018 in ritardo

Domanda: Come dobbiamo trattare le fatture di acquisto datate 2018 ma ricevute nel 2019, non in formato elettronico, ma cartacee oppure via mail?

Risposta: L’obbligo di fatturazione elettronica scatta, in base all’articolo 1, comma 916, della legge di Bilancio 2018 (legge 27 dicembre 2017 n. 205), per le fatture emesse a partire dal 10 gennaio 2019. Pertanto, il momento da cui decorre l’obbligo è legato all’effettiva emissione della fattura. Nel caso evidenziato nel quesito se la fattura è stata emessa e trasmessa nel 2018 (la data è sicuramente un elemento qualificante) in modalità cartacea ed è stata ricevuta dal cessionario/committente nel 2019, la stessa non sarà soggetta all’obbligo della fatturazione elettronica. Ovviamente, se il contribuente dovesse emettere una nota di variazione nel 2019 di una fattura ricevuta nel 2018, la nota di variazione dovrà essere emessa in via elettronica.

Fattura non trasmessa

Domanda: Dal 2019, se un fornitore non invierà la fattura elettronicamente, il contribuente perderà la possibilità di detrarre l’Iva? Sarà comunque tenuto a pagare l’importo pattuito?

Risposta: Se il fornitore non emette la fattura elettronica, trasmettendola al Sistema di interscambio, la fattura non si considera fiscalmente emessa. Pertanto il cessionario/committente (titolare di partita Iva) non disporrà di un documento fiscalmente corretto e non potrà esercitare il diritto alla detrazione dell’Iva. Questo gli impone di richiedere al fornitore l’emissione della fattura elettronica via Sdl e, se non la riceve, è obbligato ad emettere autofattura ai sensi dell’articolo 6, comma 8, del Dlgs 471/97. Con la regolarizzazione potrà portare in detrazione l’Iva relativa.Le disposizioni di cui all’articolo 1 del Dlgs n. 127/15 in tema di fatturazione elettronica hanno rilevanza fiscale. In relazione ai pagamenti, varranno le regole e gli accordi commerciali stabiliti tra le parti.

Possibile la fattura differita

Domanda: Nell’ambito della fattura elettronica è possibile l’uso della fattura differita?

Risposta: L’introduzione dell’obbligo di fatturazione elettronica non ha modificato le disposizioni di cui all’articolo 21, comma 4,del Dpr 633/72 e quindi è possibile l’emissione di una fattura elettronica “differita”. Secondo la norma si può emettere una fattura entro il giorno 15 del mese successivo a quello di effettuazione dell ‘operazione di cessione di beni o prestazioni di servizi. A titolo d’esempio, quindi, per operazioni di cessione di beni effettuate il 20 gennaio 2019, l’operatore Iva residente o stabilito potrà emettere una fattura elettronica “differita” il 10 febbraio 2019 avendo cura di: e al momento della cessione (20 gennaio), emettere un Ddt o altro documento equipollente (con le caratteristiche determinate dal Dpr 472/1996) che accompagni la merce; e datare la fattura elettronica con la data del 10 febbraio 2019 indicandovi i riferimenti del documento o dei documenti di trasporto (numero e data); e far concorrere l’Iva alla liquidazione del mese di gennaio.

Una copia al condominio

Domanda: Dal 1° gennaio 2019 quali sono gli obblighi in termini di fattura elettronica a carico di amministratore e condomini?

Risposta:  Il condominio non è un soggetto titolare di partita Iva e non emette fattura.

Gli operatori Iva residenti o stabiliti che emetteranno fattura nei confronti di un condominio saranno tenuti ad emettere fattura elettronica via Sdl considerando il condominio alla stregua di un “consumatore finale”. Pertanto, come previsto dal provvedimento del direttore dell’agenzia delle Entrate del 30 aprile 2018: e nel compilare la fattura elettronica riporteranno il codice fiscale del condominio nel campo dell’identificativo fiscale CF del cessionario/ committente; e valorizzeranno il campo “codice destinatario” della fattura elettronica con il codice convenzionale “0000000” e invieranno la fattura elettronica al Sdl;

o consegneranno una copia della fattura elettronica trasmessa – in formato analogico o elettronico – al condominio. Nella copia dovrà essere esplicitamente detto che si tratta della copia della fattura trasmessa e che il documento fiscalmente valido sarà esclusivamente quello disponibile nell’area riservata.

L’agenzia delle Entrate metterà a disposizione del condominio la fattura elettronica correttamente elaborata dallo Sdl, in un’apposita area riservata del sito dell’Agenzia.

Si coglie l’occasione per evidenziare che tali regole valgono anche per gli enti non commerciali non titolari di partita Iva.

Privati, documento via mail

Domanda:  I professionisti dal 2019 saranno obbligati ad emettere fatture elettroniche anche ai cittadini senza partita Iva. Il cliente può pretendere di ricevere comunque la versione cartacea o in formato Pdf? Se fornisce la Pec, gli si deve inviare a quell’indirizzo la fattura elettronica oppure è tenuto a scaricarla dallo Sdl?

Risposta: Come stabilito dall’articolo 1 del Dlgs 127/15, l’operatore Iva residente o stabilito è obbligato ad emettere la fattura elettronica anche nei rapporti con i privati consumatori finali (B2C) e a consegnare agli stessi una copia, della fattura elettronica emessa, in formato analogico o elettronico salvo che il cliente non rinunci ad avere tale copia.

La rinuncia della copia analogica o elettronica della fattura potrà più facilmente avvenire se l’operatore Iva ricorderà al cliente che potrà consultare facilmente la fattura elettronica nella sua area riservata del sito dell’agenzia delle Entrate, in una specifica sezione accanto a quella della sua dichiarazione precompilata.

Infine si sottolinea che tanto i consumatori finali persone fisiche quanto gli operatori che rientrano nel regime forfettario o di vantaggio, quanto i condomini e gli enti non commerciali, possono sempre decidere di ricevere le fatture elettroniche emesse dai loro fornitori comunicando a questi ultimi, ad esempio, un indirizzo Pec (sempre per il tramite del Sistema di Interscambio).

Scarto da partita inesistente

Domanda: Nel caso in cui un fornitore invia una fattura verso una partita Iva inesistente o cessata il Sdl scarta questa fattura?

Risposta: Le due ipotesi vanno distinte.

Nel caso in cui la fattura elettronica riporti un numero di partita Iva ovvero un codice fiscale del cessionario/committente inesistente in Anagrafe tributaria, lo Sdl scarta la fattura in quanto la stessa non è conforme alle prescrizioni dell’articolo 21 del Dpr 633/72.

Nel caso in cui la fattura elettronica riporti un numero di partita Iva cessata ovvero un codice fiscale di un soggetto deceduto ma entrambi esistenti in Anagrafe tributaria, lo Sdl non scarta la fattura e la stessa sarà correttamente emessa ai fini fiscali: in tali situazioni l’agenzia delle Entrate potrà eventualmente effettuare controlli successivi per riscontrare la veridicità dell’operazione.

Rifiuto fuori dallo Sdi

Domanda: Nel caso riceva una fattura per merce mai acquistata, cosa devo fare?

Risposta: L’introduzione dell’obbligo di fatturazione elettronica non ha introdotto disposizioni riguardanti il “rifiuto” di una fattura. Pertanto, nel caso in esempio, il cessionario che riceva una fattura per una partita di merce mai ricevuta potrà rifiutarla o contestarla comunicando direttamente con il cedente (via email, telefono eccetera): non è possibile veicolare alcun tipo di comunicazione di rifiuto o contestazione attraverso il canale dello Sdl.

Lo spazio Lettere d’intento

Domanda:  Siamo una società di capitali, fornitrice di un esportatore abituale. Vorremmo sapere dove dobbiamo indicare sulla fatturazione elettronica il numero e la data della dichiarazione d’intento ricevuta.

Risposta: La fattura emessa nei confronti di un esportatore abituale deve contenere, ai fini Iva, il numero della lettera d’intento. Si ritiene che I ‘informazione possa essere inserita nell’XML della fattura elettronica utilizzando uno dei campi facoltativi relativi ai dati generali della fattura (ad esempio, “Causale”) che le specifiche tecniche lasciano a disposizione dei contribuenti.

Il registro delle deleghe

Domanda: Perché e con quali modalità occorre tenere il registro delle deleghe?

Risposta: Il nuovo sistema di comunicazione telematica, direttamente da parte dell’intermediario delegato, dei dati per attivare la delega ricalca sostanzialmente la procedura già in uso per l’accesso alla dichiarazione precompilata da parte degli intermediari, procedura già ritenuta idonea dal Garante della Privacy per la protezione e riservatezza dei dati personali. Anche la tenuta del registro rientra nell’ambito del sistema di garanzie previsto a tutela del delegante: in particolare risponde alla finalità di garantire che la delega sia stata acquisita dall’intermediario prima della sua richiesta di attivazione telematica. Il registro può essere tenuto con qualsiasi modalità, anche in formato elettronico (in forma tabellare o foglio elettronico), e richiede la compilazione dei campi previsti nel provvedimento.

Eventuali moduli già acquisiti dai clienti prima del 5 novembre (data di approvazione dei nuovi modelli) e non ancora presentati possono essere registrati con data g novembre, inserendo nel registro una annotazione sul fatto che l’acquisizione della delega è avvenuta prima della data di emanazione del provvedimento.

Originale all’Agenzia

Domanda: Ho acquisito prima del 5 novembre un modulo contenente il conferimento della delega sia ai servizi di fatturazione elettronica sia alla consultazione del cassetto fiscale. Non potendo comunicare in via telematica con le nuove modalità approvate la delega al cassetto fiscale, in caso di presentazione del modulo in ufficio (per il solo cassetto fiscale) come mi devo comportare in relazione alla conservazione dell’originale?

Risposta:In tal caso, sarà l’ufficio dell’agenzia delle Entrate che conserverà il modulo in originale, rilasciando la relativa ricevuta, e nel registro delle deleghe potrà essere riportata l’annotazione con la quale si evidenzia che il modulo in originale è conservato presso l’ufficio dell’Agenzia dove è stato presentato (riportando il nome dell’ufficio e il numero di protocollo della ricevuta).

Fatture di acquisto senza più numerazione progressiva

Soppressione della numerazione progressiva per le fatture d’acquisto con effetto immediato. L’articolo 13 del Dl 119/2018 ha modificato l’articolo 25 del Dpr 633/1972 con decorrenza già dal 24 ottobre 2018 (data di entrata in vigore del decreto fiscale), sostituendo il primo inciso con la seguente previsione: «Il contribuente deve annotare in un apposito registro le fatture e le bollette doganali relative ai beni e ai servizi acquistati o importati nell’esercizio dell’impresa, arte o professione, comprese quelle emesse a norma del secondo comma dell’articolo 17».

L’abolizione, di fatto, della prassi della protocollazione delle fatture di acquisto è certamente una semplificazione se si considera l’intangibilità della fattura elettronica e la caratteristica propria del suo formato Xml di per sé immodificabile, nonché considerando l’assegnazione da parte del Sistema di interscambio di un hash univoco quale strumento di identificazione della fattura elettronica.

Tuttavia, la nuova norma recita ancora «comprese quelle emesse a norma del secondo comma dell’articolo 17». E questa formulazione sembrerebbe aprire la porta all’eliminazione della numerazione progressiva sia per le autofatture riferite alle cessioni di beni e alle prestazioni di servizi effettuate nel territorio dello Stato da soggetti non residenti nei confronti di soggetti passivi stabiliti nel territorio dello Stato, per cui gli obblighi Iva devono essere adempiuti dai cessionari o committenti, sia per le autofatture per le operazioni effettuate da un soggetto passivo stabilito in un altro Stato membro dell’Unione europea, per cui lo stesso articolo 17 dispone che il cessionario o committente adempia gli obblighi di fatturazione di registrazione secondo le disposizioni degli articoli 46 e 47 del Dl 331/1993.

Per queste operazioni, che richiederanno la trasmissione al Sistema di interscambio dell’autofattura elettronica identificata dalle specifiche tecniche con codice TD20, l’abolizione della numerazione progressiva genera una lacuna nel registro Iva vendite in cui le stesse dovrebbero essere annotate. Peraltro per quest’ultimo registro la numerazione progressiva è ancora obbligatoria, pertanto l’errore generato dalla dimenticanza del legislatore verrebbe colmato dalla disposizione dell’articolo 23 del Dpr 633/1972 che sancisce la progressività della numerazione per il ciclo attivo.

Per di più se si considera che la norma è già in vigore in pieno corso d’anno d’imposta, non si comprende la scelta di far decorrere la modifica sin da subito e non in concomitanza dell’avvio della fatturazione elettronica dal 1° gennaio 2019 a favore di cui la norma sembrerebbe essere stata concepita, ingenerando, di fatto, una discontinuità nelle modalità di tenuta del registro Iva acquisti, il quale si troverebbe ad essere inevitabilmente disomogeneo, essendo obbligatoria l’annotazione progressiva per le fatture registrate fino al 23 ottobre 2018 mentre non più necessaria per quelle registrate dal 24 ottobre 2018.

Fonte “Il sole 24 ore”

Indirizzo da registrare sul sito delle Entrate

di Alessandro Mastromatteo e Benedetto Santacroce

La gestione elettronica delle fatture passive ricevute dai soggetti Iva, anche alla luce delle problematiche sorte dal 1° luglio ad oggi, impone alle imprese e ai professionisti una serie di scelte necessarie, tra l’altro, per semplificare i rapporti con i fornitori, per avere un monitoraggio completo delle operazioni effettuate e per definire le regole per gli acquisti realizzati dai dipendenti nel corso delle trasferte.

Preregistrazione dell’indirizzo

I cessionari/committenti devono far sì che il processo di ricezione delle fatture sia il più semplice e diretto possibile, allo scopo di evitare che le fatture invece di essere automaticamente recapitate rimangano per un certo tempo a disposizione su l’area riservata del sito dell’agenzia delle Entrate. Questa semplificazione deve però rispettare la struttura organizzativa dell’impresa. In pratica l’impresa si deve interrogare se vuole avere un indirizzo telematico unico ovvero se preferisce mantenere distinti punti di accesso delle fatture. In via generale riteniamo che la scelta migliore sia sempre quella di avere un unico indirizzo telematico. Questo perché, oltre ad essere una sicurezza gestionale, consente di superare eventuali comportamenti non coordinati dei fornitori.

La scelta di un indirizzo telematico unico si opera accedendo al servizio di registrazione delle Entrate (nell’area del sito “fatture e corrispettivi”). Questa registrazione consente al contribuente di ricevere la fattura anche nel caso in cui il cedente/prestatore indichi un indirizzo sbagliato ovvero indichi nel codice destinatario, l’indirizzo convenzionale di “0000000”. In tutti questi casi lo SdI si disinteressa di quanto indicato dal fornitore e abbina l’indirizzamento con la partita Iva registrata. Ovviamente la scelta opposta (e necessariamente alternativa) di avere più indirizzi (si pensi, ad esempio nel mondo della moda a due Pec, una per gli acquisti di abiti e una per gli acquisti di accessori) è una scelta a cui deve corrispondere una distinta responsabilità operativa. Lo stesso risultato si può ottenere attraverso la creazione di una codifica direttamente nel Xml.

Comunicazioni preventive

Il rapporto con il fornitore va semplificato attraverso la tempestiva e completa risposta alle comunicazioni che il cessionario/committente riceverà dal fornitore ovvero inviando direttamente a quest’ultimo una comunicazione preventiva. La comunicazione risulterà particolarmente tranquillizzante quando la stessa riporterà un indirizzo telematico unico (dovuto ad una registrazione preventiva presso l’Agenzia) ovvero quando, anche in caso di separazione fornirà dei criteri distintivi molto netti e chiari.

Al fornitore, però, non va indicato solo il mero codice destinatario, ma va sfruttata la comunicazione per aggiornare le anagrafiche, per fornire punti di contatto e specifiche operative.

Monitoraggio delle fatture passive e autofattura spia

Due temi nuovi che derivano dalla presenza tra fornitore e cliente del sistema d’interscambio sono: la necessità di monitorare sul web le fatture ricevute dall’Agenzia e non presenti presso l’indirizzo del cliente; l’obbligo di gestire con maggiore tempestività, attraverso l’emissione di un’autofattura, i casi in cui l’operazione è effettuata ai fini Iva e il cliente non riceve la fattura nei limiti della tempistica di regolarizzazione normativamente prevista (nelle operazioni nazionali dopo 4 mesi dall’effettuazione dell’operazione).

Per questa necessità sembra importante che il cessionario/committente monitori periodicamente le fatture ricevute dallo SdI e riportate nell’area riservata del contribuente. Inoltre, sembra il caso di predisporre dei presidi che impongano delle attivazioni periodiche: per esempio in caso di merci consegnate, il contribuente dovrà monitorare il successivo invio tramite SdI della relativa fattura. Analogamente per le fatture inserite in contabilità come fatture da ricevere il contribuente si dovrà attivare per monitorare l’arrivo delle fatture, non solo per motivi Iva, ma anche di bilancio.

Spese di trasferta

Ulteriore scelta da fare è se imporre al dipendente il ricevimento della fattura nel caso in cui effettui degli acquisti di beni e servizi durante la trasferta. La predetta scelta di imporre le fatture, che sicuramente è più in linea con la normativa vigente, può essere semplificata fornendo ai dipendenti un QRcode creato attraverso il sito dell’agenzia delle Entrate con cui il dipendente è in grado, in modo tempestivo e senza errori, di fornire tutti i dati identificativi al fornitore.

Fonte “Il sole 24 ore”

Il regime semplificato non esclude passaggi al forfettario

di Salvina Morina e Tonino Morina

L’omessa indicazione dell’opzione nella dichiarazione annuale Iva, per l’applicazione del regime semplificato, anche se non è vincolante per l’efficacia del regime scelto, è comunque una violazione sanzionabile. Il contribuente può, però, avvalersi del ravvedimento operoso, riducendo la sanzione. Vale il comportamento concludente del contribuente, che però non è vincolato alla permanenza triennale nel regime, con la conseguenza che la scelta per la contabilità semplificata non preclude il passaggio al regime forfettario, se in possesso dei requisiti di legge. È questa la risposta fornita dall’agenzia delle Entrate, con la risoluzione 64/E di ieri, a seguito di un’istanza di interpello.

Nell’istanza, il contribuente ha specificato che, pur essendo in possesso dei requisiti per accedere al regime forfettario di cui all’articolo 1, commi da 54 a 89, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, fin dall’anno 2015 ha sempre svolto l’attività di parrucchiera in regime di contabilità semplificata, di cui all’articolo 18 del Dpr 600/1973, determinando l’Iva nei modi ordinari, cosiddetto regime normale Iva da Iva, adottando semplicemente un «comportamento concludente».

Nel 2017, il contribuente ha optato per il nuovo regime semplificato, cosiddetto di cassa, di cui al comma 5 dell’articolo 18 Dpr 600/1973 secondo il quale «previa opzione, vincolante per almeno un triennio, i contribuenti possono tenere i registri ai fini dell’imposta sul valore aggiunto senza operare annotazioni relative a incassi e pagamenti (…). In tal caso, per finalità di semplificazione si presume che la data di registrazione dei documenti coincida con quella in cui è intervenuto il relativo incasso o pagamento».

Per l’agenzia delle Entrate, la scelta per comportamento concludente, effettuata a partire dal 2015, di avvalersi del regime semplificato, invece di quello forfettario, non vincola il contribuente alla permanenza triennale nel regime semplificato in quanto si tratta di regime «naturale» per i contribuenti minori. Non rileva nemmeno il fatto che, dal 2017, il contribuente determina il reddito secondo il «criterio di cassa» poiché si tratta, anche stavolta, del regime «naturale» dei contribuenti in contabilità semplificata in presenza dell’opzione di cui all’articolo 18 comma 5 del Dpr 600/1973.

Per l’agenzia delle Entrate, il vincolo triennale rileva solo per i contribuenti che scelgono di rimanere nel regime semplificato di cui all’articolo 18, comma 5, e non anche per quelli che, in possesso dei requisiti di legge, scelgono di accedere al regime forfettario. Ne consegue che il contribuente, in possesso dei requisiti di legge, può transitare dal regime semplificato al regime forfettario senza vincolo triennale di permanenza nel semplificato e, di conseguenza, avvalersi già per l’anno 2018 del regime forfettario. In definitiva, il nuovo regime di contabilità semplificata si rivela sempre più complicato.

Fonte “Il sole 24 ore”

Locazioni brevi, entro il 20 agosto l’invio della comunicazione

Il 20 agosto sarà il primo appuntamento per l’invio della comunicazione relativa ai contratti di locazione breve stipulati a partire del 1° giugno 2017. Inizialmente, infatti, l’adempimento doveva concludersi entro lo scorso 30 giugno; tuttavia, le specifiche tecniche per effettuare l’invio sono state pubblicate solo il 12 giugno 2018; pertanto, al fine di consentire agli operatori di recepire la novità, il termine è stato prorogato di 60 giorni dalla pubblicazione delle suddette specifiche (provvedimento del 20 giugno 2018 ), ma cadendo nel periodo di sospensione feriale, la scadenza è slittata, solo per quest’anno, al 20 agosto.
I soggetti tenuti all’adempimento sono gli esercenti l’attività di intermediazione immobiliare e coloro che gestiscono portali telematici che favoriscono l’incontro tra domanda e offerta. Attenzione, però, che non tutti questi soggetti sono obbligati all’invio in quanto, come chiarito dalla circolare 24/E/2017 , la comunicazione deve essere effettuata solo quando «il conduttore ha accettato la proposta di locazione tramite l’intermediario stesso o aderendo alla offerta di locazione tramite la piattaforma on line. Diversamente, nel caso in cui il locatore si avvalga dell’intermediario solo per proporre l’immobile in locazione ma il conduttore comunichi direttamente al locatore l’accettazione della proposta, l’intermediario non è tenuto a comunicare i dati del contratto in quanto ha solo contribuito a mettere in contatto le parti rimanendo estraneo alla fase di conclusione dell’accordo». Di conseguenza, solo nell’ipotesi in cui gli intermediari siano intervenuti direttamente nella conclusione del contratto dovranno effettuare l’invio. Un’altra ipotesi di esclusione si realizza quando gli intermediari abbiano:

• operato, al momento dell’incasso, la ritenuta del 21%, e
• inviato la certificazione unica, attestante l’effettuazione della ritenuta stessa.

Se, invece, il soggetto deve trasmettere la comunicazione, è tenuto ad indicare, per ogni contratto, le seguenti informazioni:
• il nome, cognome e codice fiscale del locatore,
• la durata del contratto,
• l’importo del corrispettivo lordo,
• l’indirizzo dell’immobile.

Qualora, poi, l’intermediario abbia concluso per lo stesso locatore e in riferimento allo stesso immobile più contratti, la comunicazione dei dati può essere effettuata anche in forma aggregata, non dovendo riportare le suddette informazioni per ciascun accordo concluso. Inoltre, va specificata l’ipotesi in cui una delle due parti recede dal contratto, in quanto occorre distinguere a seconda che la comunicazione non sia o sia già stata inviata, poiché nel primo caso, non è necessario trasmettere la dichiarazione, mentre nel secondo caso si deve effettuare un invio rettificativo.
Infine, si fa presente che per effettuare la trasmissione occorre utilizzare i servizi telematici messi a disposizione dell’agenzia delle Entrate, ricordandosi che in caso di omessa, infedele o incompleta comunicazione si applica la sanzione da 250 ad 2.000 euro (articolo 11, comma 1, del Dlgs 471/1997), ridotta alla metà se la trasmissione è effettuata entro i quindici giorni successivi alla scadenza. Se, invece, la comunicazione si riveli errata a causa dal locatore, non si dovrebbero applicare le sanzioni (circolare 24/E/2017 ).

Fonte “Il sole 24 ore”

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Terzo settore, piccoli rimborsi ai volontari con autocertificazione

di Gabriele Sepio

Rimborsi documentati per i volontari con autocertificazione solo per le spese di minore entità previamente individuate dagli organi sociali. Il Codice del Terzo settore (Cts) riprende e rafforza, dunque, le previsioni della legge 266 del 1991, riferendo le nuove disposizioni a tutti gli enti che sceglieranno di iscriversi nell’istituendo Registro unico nazionale del Terzo settore (articolo 17 del Dlgs 117/2017).

Il Codice distingue in maniera netta la figura del volontario da quella del lavoratore. Il primo presta la propria opera a favore della collettività a titolo personale, spontaneo e gratuito, con diritto al rimborso delle spese effettivamente sostenute e documentate e a un’apposita copertura assicurativa. Il secondo, invece, è legato all’ente da un rapporto di lavoro (dipendente o autonomo), percependo quindi la relativa retribuzione. Non è consentito, pertanto, rivestire entrambe le qualità all’interno del medesimo ente (articolo 17, comma 5, del Cts).

Per evitare che dietro alle prestazioni di volontariato possano mascherarsi veri e propri rapporti lavorativi, l’articolo 17 del Codice del Terzo settore vieta la corresponsione ai volontari di rimborsi spese di tipo forfetario. La certificazione del rimborso, pertanto, dovrà essere accompagnata dai documenti idonei a dimostrare l’effettivo sostenimento delle spese da parte del volontario e l’inerenza delle stesse all’attività svolta dall’organizzazione. I limiti massimi e le condizioni del rimborso, inoltre, dovranno essere individuati preventivamente da parte degli dell’ente del Terzo settore. Particolare attenzione andrà prestata al rispetto di queste condizioni: in caso di controlli dell’Amministrazione finanziaria, i rimborsi non documentati o eccedenti i limiti preventivamente stabiliti potrebbero essere qualificati come compensi, con conseguente ripresa a tassazione (si veda, sul punto, l’ordinanza della Cassazione n. 23890 del 2015).

Il Codice del Terzo settore introduce, tuttavia, una semplificazione per le spese di minore entità: se l’importo non supera i 10 euro giornalieri e i 150 euro mensili, è prevista la possibilità di erogare il rimborso a fronte di un’autocertificazione resa dal volontario. In tal caso, l’organo sociale competente (assemblea e/o consiglio di amministrazione) dovrà comunque deliberare in merito all’individuazione delle tipologie di spese e le attività di volontariato per i quali è ammessa questa semplificazione. Il rimborso a fronte di autocertificazione non è consentito, in ogni caso, per le attività di volontariato che hanno ad oggetto la donazione di sangue o di organi (articolo 17, comma 4 del Cts).
L’intento è quello di snellire gli adempimenti per gli acquisti di valore contenuto. Se il volontario spende, ad esempio, per comprare il pranzo, un caffè, o il biglietto del trasporto pubblico, può, in questo modo, evitare di conservare e allegare i relativi scontrini. Resta ferma, in ogni caso, la necessità di indicare nell’autocertificazione il dettaglio delle spese, che dovranno rientrare tra quelle per cui l’ente ha specificamente e preventivamente autorizzato questa tipologia di rimborso.

Fonte “Il sole 24 ore”

Per il redditometro si profila una revisione condivisa con associazioni di categoria e Istat

di Marco Mobili e Giorgio Pogliotti

Non è un vero e proprio addio al redditometro, piuttosto un’ampia revisione dello strumento, condivisa con associazioni di categoria e Istat.

È una delle novità contenute nell’ultima bozza del decreto legge su occupazione, ludopatia e anti delocalizzazione delle imprese, che verrà portato lunedì al preconsiglio per approdare al primo consiglio dei ministri utile, il giorno stesso o martedì, una volta superato il nodo delle coperture, soprattutto per la norma che vieta il gioco pubblico. Nel pacchetto lavoro, dopo il coro di critiche che si è levato dal mondo produttivo contro la stretta sui contratti a termine e la somministrazione, è arrivata la frenata della Lega: «Capisco la voglia del collega Di Maio di limitare il precariato – ha detto il vicepremier Matteo Salvini – ma faremo attenzione che con la lotta al precariato, sacrosanta, non si danneggino gli interessi dei lavoratori e delle imprese costringendoli al nero». Intervenendo al festival del lavoro in corso a Milano, Salvini ha citato i voucher: «Sono stati ipocritamente cancellati, sono fondamentali in alcuni settori, vanno reintrodotti». Il ministro delle Politiche Agricole, Gian Marco Centinaio, ha aggiunto: «Il datore di lavoro potrà beneficiare di prestazioni lavorative in piena legalità e con coperture assicurative in caso di incidenti, il lavoratore riceverà un compenso esentasse e con i contributi pensionistici».

Il testo del Dl è oggetto di limature, ad esempio sembra verrà cancellata l’abolizione dello staff leasing. Fa discutere anche la norma che assoggetta al limite del 20% attualmente previsto per l’assunzione di lavoratori con contratto a tempo determinato, anche i lavoratori somministrati. Così come l’incremento del costo contributivo crescente di 0,5 punti per ogni rinnovo a partire dal secondo, che si applica al contratto a tempo determinato anche in somministrazione. Vengono reintodotte le causali dal primo rinnovo di un contratto a termine, senza che venga previsto alcun periodo transitorio.

Tornando al contrasto alla ludopatia, è previsto lo stop ad ogni forma di pubblicità e sponsorizzazione di giochi e scommesse che potrebbe arrivare a costare per le casse dello Stato 700 milioni in tre anni. La ricerca della copertura sarebbe indirizzata verso il ministero della Salute, mettendo nel mirino il costo che oggi il sistema sanitario nazionale deve affrontare per curare le patologie da gioco compulsivo. Tra gli ultimi ritocchi, c’è la deroga al divieto di pubblicità per le lotterie nazionali a estrazione differita, che salva la lotteria della Befana. Altra deroga riguarda gli stessi spot dei Monopoli che predicano il gioco responsabile e sono fatti salvi i contratti di sponsorizzazione e pubblicitari in essere.

Tornando all’intervento mirato sul redditometro per calibrare meglio la determinazioni sintetica dei redditi verso la cosiddetta economia “non osservata”; viene abolita l’efficacia dell’attuale decreto ministeriale del 2015 che fissa i valori del redditometro e disposta la messa a punto di un nuovo Dm dell’Economia che si applicherà agli accertamenti per l’anno d’imposta 2016 ,la cui prescrizione scade nel 2022. Ancora da stimare, anche se per un valore già noto pari a qualche decina di milioni di euro, l’abolizione dello split payment per i professionisti.

Fonte “Il sole 24 ore”

Formazione 4.0 agevolata solo se i costi sono certificati

di Giuseppe Carucci e Barbara Zanardi

Le imprese che intendono usufruire del credito d’imposta per la formazione 4.0 dei propri dipendenti devono organizzarsi in fretta per soddisfare entro il 31 dicembre 2018 i requisiti previsti dal decreto attuativo pubblicato sulla «Gazzetta Ufficiale» del 22 giugno.

L’agevolazione

La legge di Bilancio 2018 attribuisce infatti a tutte le imprese, indipendentemente dalla forma giuridica, dal settore economico nonché dal regime contabile adottato, un credito d’imposta nella misura del 40% del costo aziendale del personale dipendente per il periodo in cui si è occupato di attività di formazione nell’ambito delle tecnologie previste dal piano nazionale Industria 4.0 (ad esempio, big data e cyber security), a condizione che siano applicate negli ambiti vendita, marketing, informatica, tecniche e tecnologie di produzione.

Il credito d’imposta è riconosciuto, fino ad un importo massimo annuale di 300mila euro in modo “automatico”. L’impresa, dunque, matura il beneficio con il sostenimento delle spese ammesse all’agevolazione senza che sia necessario presentare un’istanza di accesso all’incentivo. Vediamo, quindi, quali sono le azioni da porre in essere per poter usufruire di questa agevolazione in scadenza al 31 dicembre 2018, con riferimento alla quale sono state messe in campo risorse per 250 milioni di euro.

Cosa fare per garantirsi il credito

La prima azione riguarda l’individuazione di un piano di formazione compatibile con l’ambito oggettivo previsto dalla norma, dei soggetti interni od esterni da incaricare, dei dipendenti con contratto di lavoro subordinato – anche a tempo determinato – destinatari delle attività, del loro costo azienda nonché della possibile durata di queste attività formative. Con queste informazioni le imprese dovrebbero essere in grado di stimare il possibile beneficio: un’attività di formazione, ad esempio, in tema di robotica avanzata utilizzata nell’ambito delle tecniche di produzione, da erogare a 50 dipendenti per dieci giorni lavorativi con un costo azienda medio giornaliero di 200 euro, genererebbe un credito di 40mila euro.

Terminata la prima analisi di fattibilità, è necessario avviare le trattative con le organizzazioni sindacali. La legge di Bilancio, infatti, prevede come condizione che le attività di formazione negli ambiti richiamati debbano essere pattuite attraverso contratti collettivi aziendali o territoriali mentre il decreto Mise/Mef ricorda che tali contratti devono essere depositati in via telematica presso l’Ispettorato territoriale del lavoro competente. Inoltre deve essere rilasciata a ciascun dipendente una dichiarazione del rappresentante legale dell’impresa nella quale sia attestata l’effettiva partecipazione alle attività formative agevolabili, con indicazione degli ambiti aziendali nei quali sono applicate le conoscenze e le competenze acquisite o consolidate.

Un altro passo necessario è ottenere la certificazione dei costi di formazione dal soggetto incaricato della revisione legale, o da un professionista iscritto nel Registro dei revisori legali per le imprese non soggette a revisione. Tale certificazione va allegata al bilancio e deve attestare l’effettivo sostenimento delle spese ammissibili nonché la corrispondenza delle stesse alla documentazione contabile predisposta dall’impresa.

Completa il quadro delle azioni da compiere per garantirsi l’agevolazione la redazione di una relazione, prevista dal decreto attuativo, che illustri le modalità organizzative e i contenuti delle attività di formazione svolte. Tale relazione va predisposta a cura del dipendente partecipante alle attività in veste di docente o tutor nel caso di formazione organizzata internamente oppure dal soggetto formatore nel caso in cui l’attività sia stata esternalizzata (a soggetti accreditati o ad Università). Sempre dal punto di vista documentale, l’impresa deve conservare anche i registri nominativi di svolgimento delle attività formative sottoscritti congiuntamente dal personale discente e docente o dal soggetto formatore esterno all’impresa.

Altri adempimenti attengono inoltre la compilazione della dichiarazione dei redditi relativi al periodo d’imposta 2018.

Fonte “Il sole 24 ore”

Delega ampia agli intermediari per la consultazione e l’acquisizione dei documenti digitali

di Michele Brusaterra

Rinvio a gennaio 2019 per l’obbligo di emissione delle fatture elettroniche per la cessione di benzina e gasolio per autotrazione e possibilità di delegare l’intermediario anche per la consultazione e acquisizione delle fatture elettroniche o dei loro duplicati informatici, nonché per la registrazione dell’indirizzo telematico.

Mentre il Dl 79/2018 ha varato il rinvio al 1° gennaio 2019 dell’obbligo di fatturazione elettronica per benzina e gasolio, previsto originariamente per il primo luglio 2018 dalla legge 205/2017, facendo così tirare un sospiro di sollievo ai gestori di impianti di distribuzione, per quanto riguarda gli intermediari il provvedimento 13 giugno scorso ne ha ampliato i «poteri».

È bene ricordare che il provvedimento 30 aprile 2018 , in tema di fattura elettronica e di intermediari, dispone, tra le altre, che il cedente e prestatore può decidere di trasmettere le fatture elettroniche allo Sdi, attraverso un intermediario, così come il cessionario e committente può decidere di ricevere le fatture elettroniche, recapitate dallo Sdi, sempre attraverso un intermediario. In tale ultimo caso deve essere comunicato al cedente e prestatore «l’indirizzo telematico», ossia il codice destinatario o l’indirizzo di posta certificata (Pec) dell’intermediario stesso.

La delega all’intermediario di cui si è detto, può essere conferita e revocata direttamente attraverso le funzionalità rese disponibili nel sito web dell’agenzia delle Entrate ovvero attraverso la presentazione dell’apposito modulo presso un qualsiasi ufficio territoriale della stessa Agenzia.

Con il provvedimento del 13 giugno scorso si prevede che ai soggetti di cui al comma 3, dell’articolo 3 del Dpr 322/1998, può essere delegata anche la «Consultazione e acquisizione delle fatture elettroniche o dei loro duplicati informatici», nonché la «Registrazione dell’indirizzo telematico» del delegante.

Per quanto concerne la consultazione, il provvedimento in commento elenca tutta una serie di azioni che l’intermediario può porre in essere tra cui vale la pena di ricordare la ricerca, consultazione e acquisizione di tutte le fatture elettroniche emesse e ricevute dal delegante utilizzando lo Sdi – che rende disponibili i file fino al 31.12 dell’anno successivo a quello di ricezione – e di tutte le ricevute, la consultazione dei dati delle operazioni transfrontaliere, la consultazione delle comunicazioni delle liquidazioni periodiche Iva, la consultazione degli elementi di riscontro «fra quanto comunicato con i prospetti di liquidazione trimestrale dell’Iva e i dati delle fatture emesse e ricevute dal soggetto delegante» e, ancora, la consultazione delle opzioni, per conto del soggetto delegante di cui al Dlgs 127/2015.

Per quanto riguarda la registrazione dell’indirizzo telematico, l’intermediario può individuare pec o codice destinatario del delegante, nonché generare il codice a barre bidimensionale (QR-Code).

La delega, la cui durata può essere fissata dal delegante all’atto del suo conferimento e ove non indicata ha durata di 4 anni, può essere conferita direttamente attraverso apposite funzionalità che si trovano all’interno dell’area riservata del delegante, Entratel o Fisconline, ovvero tramite delega da presentare all’ufficio competente dell’agenzia delle Entrate. Con tali modalità le deleghe possono anche essere revocate, in qualsiasi momento.

Fonte “Il sole 24 ore”

Acconti e fatture Iva: detrazioni al riparo anche se la data della vendita è incerta

di Matteo Balzanelli, Massimo Sirri e Riccardo Zavatta

È salva la detrazione dell’Iva riguardante il versamento di un acconto eseguito dal potenziale acquirente dei beni se, al momento del versamento, tutti gli elementi relativi alla futura vendita risultano certi, anche se la data della cessione è ancora incerta. È questo in estrema sintesi il principio che emerge dalla recente giurisprudenza, europea e italiana, intervenuta sul tema. Ma vediamo, con ordine, quali sono le indicazioni normative relative all’esigibilità dell’imposta sul valore aggiunto.

La disciplina
La possibilità di riscuotere l’Iva e il correlato diritto di detrazione sono ancorati al momento in cui è effettuata la cessione dei beni o la prestazione del servizio (fatto generatore). Nel caso del pagamento di un acconto opera una deroga rispetto a questa regola generale e l’imposta diviene esigibile (e detraibile) al momento del pagamento, come prevede in linea generale l’articolo 6, comma 4 del Dpr 633/1972 . Affinché operi la deroga, tuttavia, è necessario che tutti gli elementi che qualificano la futura cessione o prestazione siano già noti all’atto del versamento e, in particolare, che i beni e i servizi oggetto dell’operazione siano già specificamente individuati.

La pronuncia europea
Questo principio, già fatto proprio dalla giurisprudenza comunitaria (sentenza C-419/02 ), si arricchisce ora di qualche elemento di dettaglio, grazie a ulteriori indicazioni della stessa Corte di giustizia Ue espresse con la sentenza dello scorso 31 maggio (cause C-660/16 e C-661/16 ).

Secondo la pronuncia europea, occorre porsi nella prospettiva dell’operatore al momento in cui è pagato l’acconto. Se a tale data sono già definite le caratteristiche e il prezzo dei beni, ancorché non sia nota con precisione la data della futura vendita, il diritto di detrazione è salvo, a meno che il cessionario (o committente, per i servizi) sapesse o non potesse ragionevolmente ignorare che l’operazione era incerta.

L’esigenza di provare che, nel momento del pagamento dell’acconto (ma lo stesso potrebbe dirsi in caso di emissione anticipata della fattura), l’operazione è già individuata nei suoi elementi costitutivi e che, pertanto, non sussistono ragionevoli dubbi sulla sua esecuzione nei termini concordati, assume una valenza generale nel meccanismo applicativo del tributo. Non soltanto, quindi, agli effetti dell’esigibilità dell’imposta e del diritto di detrazione, ma anche sulla stessa qualificazione dell’operazione in termini d’imponibilità, non imponibilità, esenzione, eccetera.

L’esempio
Si pensi al caso di un acconto percepito in vista di una successiva cessione all’esportazione. Per emettere fattura non imponibile ai sensi dell’articolo 8 del decreto Iva, è necessario provare non solo che il bene oggetto della vendita è specificamente individuato, ma altresì che è destinato all’esportazione (Cassazione 10606/2015 ).

In assenza di precise indicazioni di fonte ufficiale, si ritiene che l’effettiva destinazione del bene sia comprovabile sulla base di idonea documentazione di corredo e, quindi, innanzitutto, esibendo il contratto di fornitura contenente le indicazioni su termini e modalità di consegna.

In aggiunta, potrebbero essere di aiuto gli accordi con lo spedizioniere incaricato e le pattuizioni relative all’esecuzione delle formalità doganali, così come lo scambio di corrispondenza commerciale fra le parti e, in generale, tutta la documentazione che illustri in modo coerente lo svolgimento dell’operazione.

Le operazioni con l’estero
Analoghe considerazioni valgono in caso di cessioni intracomunitarie, laddove rileva il trasferimento dei beni in altro Stato Ue (fermo restando che l’emissione della fattura su acconto ricevuto rappresenta ora una mera facoltà per il cedente). Nel caso di operazioni con l’estero, del resto, la cautela è più che giustificata, considerato che l’acquisizione dello status di esportatore abituale e il diritto di utilizzare il plafond per eseguire acquisti senza applicazione dell’imposta, si collegano alla registrazione delle fatture, comprese quelle d’acconto (nella prospettiva che l’operazione sia destinata a perfezionarsi), e non più alla materiale esecuzione dell’operazione (circolare 145/1998).

Gli obblighi formali
Infine, è bene fare attenzione anche alla redazione della fattura d’acconto. Innanzitutto va ricordato, come ribadito recentemente dalla Cassazione (ordinanza 13882/2018) allineata alla giurisprudenza Ue (sentenza C-516/14 ), che l’inosservanza di taluni obblighi formali nella compilazione delle fatture non comporta l’automatica indetraibilità dell’imposta (o il diniego del regime di non imponibilità), dovendosi tenere conto anche delle informazioni e degli elementi integrativi e succedanei rispetto alla fattura. Tuttavia, non v’è dubbio che una puntuale descrizione dei beni/servizi sia assai opportuna per far ulteriormente constare la volontà di eseguire la prospettata operazione.

Fonte “Il sole 24 ore”

Noleggio, l’iperammortamento si sdoppia

di Giacomo Albano e Gianluca De Candia

Iperammortamento anche per i beni concessi in leasing operativo o noleggio. È quanto emerge da una lettura sistematica della disciplina dell’iperammortamento e dai chiarimenti finora forniti sulle modalità di fruizione del beneficio.

Va ricordato preliminarmente che, mentre in caso di leasing finanziario la maggiorazione degli ammortamenti (super ed iper) è riconosciuta esclusivamente in capo al locatario, in caso di locazione operativa o noleggio l’agevolazione è fruita dal locatore (circolare 4/E/2017).

A chi spetta il beneficio

La spettanza del beneficio in capo al locatore (non finanziario) in caso di iperammortamento è stata espressamente confermata dalle Faq del ministero dello Sviluppo economico (aggiornamento del 12 luglio 2017), dove è stato chiarito che, in caso di noleggio, i requisiti necessari per la maggiorazione del 150% potranno essere soddisfatti sia internamente che esternamente; pertanto la società di noleggio che acquista un bene iperammortizzabile per locarlo a un terzo potrà garantire l’integrazione/interconnessione del bene, alternativamente, sia con i propri sistemi o con la propria catena del valore che con i sistemi di fabbrica e la catena del valore dell’utilizzatore finale.

In entrambi questi casi il soggetto che ha diritto all’agevolazione fiscale resta il locatore, che dovrà dimostrare il soddisfacimento dei requisiti, anche quelli verificati in capo al locatario.

Le modalità di calcolo

Appurate le condizioni per la fruizione dell’agevolazione per i beni in leasing operativo, non è tuttavia chiaro se le modalità di soddisfacimento del requisito dell’interconnessione (interno o esterno) possano avere impatti sul meccanismo di calcolo.

Va ricordato che la maggiorazione si concretizza in una deduzione extracontabile che deve avvenire in base alle regole fiscali (coefficienti tabellari di ammortamento), a prescindere dai comportamenti di bilancio. Le società di locazione generalmente ammortizzano in bilancio i beni concessi in locazione sulla base della durata del contratto di locazione, scorporando dal costo ammortizzabile il valore residuo al termine del contratto. Questa tecnica di ammortamento non è riconosciuta fiscalmente e, pertanto, l’ammortamento imputato a conto economico è deducibile nei limiti dei coefficienti tabellari (ridotti a metà nel primo esercizio).

Interconnessione interna

Fatte queste premesse, si ritiene che le modalità – interne o esterne – attraverso cui è soddisfatto il requisito dell’interconnessione possano avere effetti solo indiretti sul calcolo dell’agevolazione, considerato che in caso di interconnessione interna il locatore ha maggiori possibilità di locare il bene, anche a locatari diversi, per un periodo pari alla sua vita utile.

Infatti, qualora il bene sia concesso in locazione (anche a soggetti diversi) per un periodo almeno pari alla durata dell’ammortamento fiscale, la società di locazione operativa avrà diritto al beneficio sull’intero costo del bene, in un numero di anni pari al periodo di ammortamento (ovvero alla metà del periodo di ammortamento se la società di locazione acquisisce il bene in leasing finanziario).

Al contrario, se il bene è concesso in locazione per un periodo inferiore alla durata dell’ammortamento fiscale (come è più probabile in caso di interconnessione esterna) il diritto all’agevolazione sarà proporzionale al periodo di durata del noleggio. Anche in tal caso, peraltro, il beneficio spetterà nei limiti dei coefficienti di ammortamento fiscale, a prescindere dalla quota di ammortamento imputata a conto economico.

Va da ultimo ricordato che la circolare 4/E/2017 ha chiarito che l’agevolazione spetta solo se la locazione/noleggio rappresenta l’oggetto principale dell’attività del locatore. Al contrario, qualora l’attività di noleggio sia effettuata «in maniera occasionale e non abituale con società estere del gruppo», è negata la spettanza della maggiorazione.

Il calcolo dell’iperammortamento in funzione delle modalità con cui è soddisfatto il requisito dell’interconnessione

1. L’interconnessione interna

• Alfa Spa ha acquistato un macchinario per la produzione di contenitori in plastica. Il macchinario ha un costo pari a 100 ed un coefficiente di ammortamento fiscale del 25%.

• Il macchinario viene interconnesso ai sistemi di fabbrica di Alfa e concesso in locazione operativa a Beta, che lo utilizza per il packaging dei propri prodotti, pagando un canone composto da una componente fissa ed una variabile (in funzione dei pezzi prodotti).

• Il contratto di noleggio prevede una durata di 36 mesi (dal 1.7.2018 al 30.06. 2021), al termine dei quali si assume che il bene sia concesso in locazione ad un terzo soggetto Gamma per un periodo di 18 mesi.

• L’ammortamento deducibile, considerando la riduzione alla metà del coefficiente di ammortamento per il primo anno, è pari a Euro 12,5 per il 2018, 25 per 2019, 2020 e 2021 e 12,5 per il 2022 (si assume una pari imputazione a conto economico).

• La maggiorazione su cui applicare il beneficio dell’iper-ammortamento, è quantificata in Euro 150 (pari al 150% di 100) e le quote di ammortamento annue incrementali sono pari a 37,5 (25% di 150), ridotte a metà al primo esercizio..

2. L’interconnessione esterna

• Alfa Spa ha acquistato un macchinario per la produzione di laminati. Il macchinario ha un costo pari a 100 ed un coefficiente di ammortamento fiscale del 25%.

• Il macchinario viene concesso in locazione operativa a Beta ed interconnesso ai sistemi di fabbrica del locatario, a fronte di un canone di noleggio.

• Il contratto di noleggio prevede una durata di 36 mesi al termine dei quali il contratto terminerà ed il bene tornerà nella disponibilità di Alfa che lo rivenderà al produttore (in virtù di una clausola di buy-back).

• Il valore residuo del bene al termine del periodo di noleggio è stimato pari a 28; l’ammortamento contabile è parametrato alla durata del contratto di noleggio e tiene conto del valore residuo ottenendo così quote di ammortamento annue pari 24 [(100-28):3], parametrate alla durata della locazione.

• Il coefficiente massimo tabellare è pari al 25% (che corrisponde ad un ammortamento massimo di Euro 25)

• La maggiorazione su cui applicare il beneficio dell’iper-ammortamento, è quantificata in Euro 112,5.

Fonte “Il sole 24 ore”

Perdite su crediti deducibili nell’anno del fallimento

di Luca Gaiani

Bonus variabili a dipendenti o a intermediari di competenza del 2017 deducibili già nel modello Redditi 2018, anche se gli obiettivi a cui sono condizionati vengono riscontrati nei primi mesi del 2018. In presenza di crediti verso debitori in sofferenza al 31 dicembre, con sentenza di fallimento dichiarata nell’anno successivo, la deduzione deve invece essere rinviata a quest’ultimo esercizio. È questa la posizione di Assonime, espressa nella circolare 15 di ieri, relativa alla dichiarazione dei redditi delle società di capitali, sul problema della rilevanza fiscale dei fatti intervenuti dopo la chiusura dell’esercizio.

La circolare Assonime dedicata alla scadenza del versamento dell’Ires e dell’Irap si sofferma sul tema dei costi di competenza che assumono certezza a seguito di eventi verificatisi dopo il 31 dicembre, ma prima della data di redazione del bilancio. L’associazione dichiara di condividere i chiarimenti forniti, prima dall’Oic e poi dalle Entrate nel corso del videoforum del Sole 24 Ore del 24 maggio, secondo cui gli importi per rischi ed oneri di un anno, che diventano costi certi nei primi mesi di quello successivo, mantengono nel bilancio la natura di accantonamenti (e non di debiti) e, anche se già quantificati in modo puntuale in base all’evento post 31 dicembre, diventano deducibili solo nell’anno seguente.

In presenza di una causa legale del 2017, che si definisce con sentenza o transazione nel febbraio di quest’anno, od anche nel caso di un rinnovo contrattuale dei primi mesi del 2018 che riconosce una somma una tantum sull’anno precedente, la deduzione va rinviata al periodo di imposta 2018.

Questi chiarimenti delle Entrate risolvono anche, secondo Assonime, l’ulteriore interrogativo, più volte posto in queste settimane, riguardante la deducibilità di perdite subite su crediti vantati verso debitori falliti dopo il 31 dicembre 2017, ma prima dell’approvazione del relativo bilancio. Trattandosi di perdita che deriva da un atto valutativo, la deduzione fiscale rimane legata ai requisiti sanciti dall’articolo 101, comma 5 del Tuir (non intervenendo la derivazione rafforzata) e dunque può operarsi solo nell’anno di apertura della procedura (2018).

Per contro, rientrano in una casistica del tutto diversa le ipotesi di oneri di competenza di un anno per i quali, dopo il 31dicembre, viene solo riscontrata o confermata la spettanza, oppure quantificato esattamente l’ammontare. Non si tratta, come indicato nel corso del videoforum con l’agenzia delle Entrate, di oneri che nascono come accantonamenti per poi trasformarsi in costi a seguito di fatti sorti nel nuovo anno, ma di componenti che, sin dall’esercizio di competenza, sono veri e propri costi.

Pertanto, nel bilancio di competenza, l’onere deve essere rilevato tenendo conto non solo dell’importo quantificato post 31 dicembre, ma anche della sua natura certa (debito). Sono quindi immediatamente deducibili nel modello Redditi 2018, conferma la circolare Assonime, i costi di competenza del 2017, che vengono quantificati con fatture pervenute solo nel nuovo esercizio, oppure gli Mbo riconosciuti a dipendenti o manager o ancora i bonus riconosciuti ad agenti, con riferimento a un certo esercizio, la cui spettanza venga riscontrata e il cui importo sia quantificato solo all’inizio dell’anno seguente.

Fonte “Il sole 24 ore”

Compensazione orizzontale con F24 telematico per i titolari di partita Iva

di Pierpaolo Ceroli e Luisa Miletta

Chance compensazione per il versamento degli acconti di imposta in scadenza il prossimo 2 luglio. Ma con limitazioni da rispettare. Le regole da seguire per effettuare correttamente la compensazione si fondano su due norme cardine.

•Articolo 17 del Dlgs 241/1997, modificato da ultimo dalla manovrina dello scorso anno (decreto legge 50/2017), che disciplina la compensazione orizzontale, consistente nella possibilità di compensare debiti e crediti di natura diversa sorti nei confronti di differenti Enti (Erario, Inps, Inail, enti locali).
•Articolo 34 comma 1 della legge 388/2000 che fissa il limite massimo dei crediti di imposta e dei contributi compensabili in base all’articolo 17 del Dlgs 241/1997, ovvero rimborsabili ai soggetti intestatari di conto fiscale, in 5mila euro per ciascun anno solare.

L’articolo 17 del Dlgs 241/1997 stabilisce che i debiti tributari possono essere saldati con eventuale compensazione dei crediti, dello stesso periodo, nei confronti dei medesimi soggetti, emergenti dalle dichiarazioni e dalle denunce periodiche. Tale compensazione deve essere effettuata entro la data di presentazione della dichiarazione successiva.

In tema di compensazione l’Iva presenta delle peculiarità in quanto la compensazione del credito annuale o relativo a periodi inferiori all’anno di tale imposta, per importi superiori a 5mila euro annui, può essere effettuata a partire dal decimo giorno successivo a quello di presentazione della dichiarazione o dell’istanza da cui il credito emerge.

Inoltre, a seguito delle disposizioni contenute nel decreto legge 50/2017, le aziende e i professionisti sono obbligati a presentare il modello F24 tramite la procedura Entratel o Fisconline, in caso di utilizzo in compensazione di credito con un debito di natura fiscale. Ciò scaturisce della modifica apportata dall’articolo 3, comma 3, del Dl 50/2017, all’articolo 37, comma 49-bis, del Dl 223/2006, che estende l’obbligo di presentazione telematica della delega a tutti i titolari di partita Iva che utilizzano in F24 un credito relativo a Iva, ritenute alla fonte, imposte sui redditi, imposte sostitutive, addizionali, Irap e crediti d’imposta esposti nel quadro RU del modello Redditi. A differenza del passato, questo avviene indipendentemente dal saldo finale della delega stessa, che può pertanto essere anche positivo, mentre prima della modifica l’obbligo era limitato al caso di importo finale pari a zero.

Resta escluso dalle nuove regole l’utilizzo in compensazione dei crediti di natura non erariale (per esempio Inps e Inail), per i quali non vi è l’obbligo del canale telematico dell’agenzia delle Entrate. L’esclusione dai nuovi obblighi sussiste anche per i crediti rimborsati dai sostituti a seguito di liquidazione del modello 730 e le somme erogate in base all’articolo 1 del Dl 66/2014 e dell’articolo 1, commi 12 e successivi, della legge 190/2014 («bonus 80 euro»). Tuttavia, nell’ipotesi in cui la medesima delega di pagamento accolga anche altri crediti utilizzati in compensazione «orizzontale», allora risulta necessario ricorrere ai servizi telematici dell’Agenzia. Si possono utilizzare i servizi di internet banking messi a disposizione dagli intermediari della riscossione convenzionati con le Entrate quando nello stesso F24 vi è una compensazione verticale parziale, con chiusura a debito.
Si segnala a tal fine la risoluzione 68/E/2017 che individua i codici tributo da utilizzare in sede di compensazione di crediti tributari (allegati 1, 2 e 3).

Fonte “Il sole 24 ore”

Quello spiraglio per il ravvedimento sulle operazioni soggettivamente inesistenti

di Antonio Zappi

Se un cessionario/committente assume consapevolezza che un’operazione economica è stata posta in essere da una controparte diversa da quella indicata in fattura come fornitore, ma se ne accorge solo dopo aver presentato la dichiarazione, incappa in una operazione accertabile come soggettivamente inesistente e rischia di vedersi contestare la falsità documentale.

Molto spesso, allora, il contribuente, nella difficoltà di provare con elementi oggettivi la propria buona fede, preferirebbe rinunciare a difendere la detrazione del tributo ed a ravvedere un’indebita detrazione dell’Iva, ante-accertamento, per evitare ogni contaminazione da illecito altrui e non subire conseguenze penali, nonché anche per evitare il rischio della sanzione per infedele dichiarazione (aumentabile anche della metà per violazioni da falsa fatturazione, ex articolo 5, comma 4-bis, del Dlgs 471/1997, ovvero dal 135% al 270% dell’imposta). Detta sanzione, peraltro, assorbe anche quella per l’utilizzo in compensazione del credito illecito, giusto quanto chiarito con la risoluzione 36/E/2018, con la quale le Entrate hanno illustrato il trattamento sanzionatorio da adottare nei casi di detrazione e/o di utilizzo di crediti Iva derivanti da falsa fatturazione, ma nella quale, per ovvie ragioni, non hanno fatto alcun cenno all’ipotesi di poter anche ravvedere infrazioni alla normativa tributaria suscettibili di fraudolenza, in quanto è ben nota la netta chiusura espressa sul tema nel corso del Telefisco 2018, sia dalle Entrate che dalla Guardia di finanza.

Tuttavia, se già l’impossibilità di ravvedere gli effetti delle fatture false inserite in dichiarazione è alquanto controversa, poiché la posizione del Fisco (circolare 180/E/98) non per tutti coincide né con la formulazione dell’articolo 13 del Dlgs 472/1997, né con quella dell’articolo 13-bis del Dlgs 74/2000 (Cassazione, sentenza 5448/2018), in un caso come quello prospettato, anche a voler aderire alla tesi erariale secondo cui il concetto di «errore od omissione» va escluso per le violazioni connotate dalla fraudolenza, un ravvedimento operoso sarebbe difficilmente sindacabile anche dal Fisco, perché l’erronea identificazione in buona fede della controparte di una operazione economica realmente avvenuta integra un errore qualificabile come colposo, ovvero, mutuando le stesse parole espresse dalle Entrate per giustificare le inibizioni dal ravvedimento, un’infrazione non considerabile come “caratterizzata da un grado di intrinseca antigiuridicità”, al punto che, in assenza di ravvedimento, per il contribuente estraneo alla frode la detrazione del tributo sarebbe anche ammessa.

Proponendo, quindi, una resipiscenza dall’errore originario con una dichiarazione a sfavore non appena si assume consapevolezza della diversità anagrafica del reale fornitore, un ravvedimento operoso per escludere fatture includenti un elemento antigiuridico, ma avente origine in un errore/omissione, appare perfezionabile, mentre risulterebbe illegittimo far derivare solo da una non adeguata verifica della controparte di un’operazione economica (oggettivamente esistita) un’ipotesi preclusiva del ravvedimento operoso di un’indebita detrazione ed infedele dichiarazione (sanzione base 90%): perché finché c’è inconsapevolezza non può esserci frode.

Fonte “Il sole 24 ore”

Integrativa sprint per usare il credito in F24

di Giorgio Gavelli e Riccardo Giorgetti

 

Termini ristretti per presentare una dichiarazione integrativa “a favore” sul periodo d’imposta 2016, almeno se si vuole usare subito il credito emergente da tale modello. L’approssimarsi delle scadenze dei versamenti (2 luglio per le imposte sui redditi e l’Irap senza maggiorazione, oggi – 18 giugno – per Imu e Tasi) rende opportuno affrettarsi nelle correzioni di eventuali errori commessi nelle dichiarazioni presentate nel 2017 (dal modello 730 al modello Redditi, sino a quello Irap), nel caso in cui la rettifica consenta di maturare un credito compensabile. Infatti, come affermato dalle Entrate a Telefisco 2018 , «il credito derivante dalla dichiarazione integrativa a favore presentata entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa all’anno d’imposta successivo, può essere utilizzato in compensazione già a partire dal giorno successivo all’integrazione».

L’ESEMPIO

Quindi, ad esempio, trasmettendo l’integrativa entro il prossimo 30 giugno, si può “monetizzare” il 2 luglio in F24 il credito così maturato (e non chiesto a rimborso con l’integrativa), utilizzandolo in compensazione. Si tratterà di integrative “entro l’anno”. Quindi nel compilare il modello 2018 per il periodo d’imposta 2017:
• non va compilato il quadro DI;
• occorre inserire, quale «eccedenza di imposta risultante dalla precedente dichiarazione», l’importo che emerge tenendo conto anche dell’integrativa (l’importo influirà sul risultato della dichiarazione e potrà anche essere rimborsato dal sostituto per chi presenta il 730 o chiesto a rimborso per chi presenta Redditi);
• se al momento di presentazione della dichiarazione 2018 tale credito è già stato utilizzato, anche solo in parte, in F24 (indicando come anno di riferimento il 2016), andrà compilato anche il rigo successivo, che ha lo scopo di impedire che il credito già compensato venga fruito anche in dichiarazione.

Le limitazioni
Una procedura solo in parte simile è riservata ai soggetti tenuti alla contabilità, nel caso in cui la correzione tramite integrativa abbia riguardato un errore commesso a proprio danno nell’ambito delle rilevazioni contabili.

Facciamo l’ipotesi del contribuente che si è dimenticato di annotare un costo di competenza o ha sbagliato per eccesso nel riportare un ricavo. In questo caso, la compensazione immediata in F24 (indicando come anno di riferimento quello dell’errore commesso) del credito emergente dalla dichiarazione integrativa “a favore” può riguardare due tipi di correzioni:
• le integrative “entro l’anno” (ad esempio per il periodo d’imposta 2016 entro il prossimo 31 ottobre);
• le integrative “ultrannuali”, cioè gli aggiustamenti pro contribuente nei modelli presentati oltre il termine di invio della dichiarazione relativa all’anno d’imposta successivo.

Tuttavia, nella seconda delle situazioni appena menzionate, va compilato il quadro DI del modello Redditi (o del quadro IS, sezione XVII, del modello Irap), attraverso il quale il credito viene automaticamente riportato come «eccedenza» della dichiarazione precedente ed è possibile inserire l’utilizzo nel frattempo avvenuto in compensazione. Il modello da usare è quello relativo al periodo in cui è stata presentata l’integrativa (perciò, ad esempio, dopo la presentazione nel 2017 di un Unico 2016 integrativo per l’anno d’imposta 2015, va compilato il quadro DI di Redditi 2018).

Inoltre, per i soggetti tenuti alla contabilità, va rilevata una limitazione in più. Le istruzioni ai modelli, infatti, affermano che il credito così maturato «può essere utilizzato dal giorno successivo a quello di presentazione della dichiarazione integrativa ed entro la fine del periodo d’imposta oggetto della presente dichiarazione per compensare importi a debito». Si delineano perciò due situazioni:
1. se l’integrativa è presentata quest’anno, la compensazione può subito avvenire, ma non può andare oltre il 31 dicembre, e verrà formalizzata con il modello Redditi (o Irap) 2019;
2. se la correzione è stata effettuata lo scorso anno (2017), in base alle istruzioni – che in ogni caso non risultano in linea con il dettato normativo del legislatore (si veda l’altro articolo) – l’importo a credito poteva essere utilizzato liberamente entro il 31 dicembre 2017, mentre l’eventuale eccedenza non ancora compensata entro questa data, di fatto non può essere utilizzata prima di cumularsi al saldo di periodo, configurando una compensazione che è prima di tutto “verticale” (si veda Il Sole 24 Ore del 26 febbraio ).

Nell’ipotesi di errore contabile “ultrannuale” corretto nel 2017, il contribuente dovrà far transitare il credito emergente dall’integrativa, al lordo delle compensazioni eventualmente già effettuate, nel quadro DI del modello Redditi 2018. In particolare, l’ammontare del credito da errori contabili va indicato nella colonna 4 e non nella colonna 5 destinata, invece, ad accogliere i crediti derivanti da errori diversi da quelli contabili.

Fonte “Il sole 24 ore”

Il mancato versamento del saldo mette a rischio il superammortamento

di Pierpaolo Ceroli e Luisa Miletta

Calcolo degli acconti influenzati dai maxi-ammortamenti sui beni materiali strumentali nuovi. Le norme che regolano le proroghe del super e dell’iper ammortamento infatti risultano disallineate sotto molti punti di vista e quando si tratta di calcolare gli acconti da versare entro il prossimo 2 luglio (il 30 giugno cade di sabato) gli operatori economici incontrano non poche difficoltà.

Nel calcolo degli acconti un difetto di coordinamento per il mancato richiamo del comma 94 della legge di stabilità 2016 nell’analoga disposizione della legge di bilancio 2017, creava come conseguenza che l’acconto 2018 va determinato senza tenere conto delle norme sulla proroga del super ammortamento, sull’iperammortamento e sulla maggiorazione relativa ai beni immateriali, diversamente dalla regola generale prevista dalla legge che impone di non considerare gli effetti delle agevolazioni (si veda Il Quotidiano del Fisco dell’8 maggio 2018 ).

Ebbene i problemi di disallineamento normativo non terminano qui. Occorre prestare attenzione anche al caso in cui per lo stesso bene si voglia beneficiare sia dell’iper che del super ammortamento. In tale ipotesi l’articolo 1, comma 8, della legge 232/2016 sancisce, per quanto riguarda il super ammortamento, che «le disposizioni dell’articolo 1, comma 91, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, si applicano anche agli investimenti in beni materiali strumentali nuovi, esclusi i veicoli e gli altri mezzi di trasporto di cui all’articolo 164, comma 1, lettere b) e b-bis), del Tuir, effettuati entro il 31 dicembre 2017, ovvero entro il 30 giugno 2018 a condizione che entro la data del 31 dicembre 2017 il relativo ordine risulti accettato dal venditore e sia avvenuto il pagamento di acconti in misura almeno pari al 20 per cento del costo di acquisizione».

Il comma 9 stabilisce per l’iperammortamento che «la disposizione … si applica agli investimenti effettuati entro il 30 settembre 2018, a condizione che entro la data del 31 dicembre 2017 il relativo ordine risulti accettato dal venditore e sia avvenuto il pagamento di acconti in misura almeno pari al 20 per cento del costo di acquisizione».

Lo slittamento del termine ultimo, ad opera del Dl 91/2017, non è stato esteso anche al super ammortamento, cosicché la data del 30 settembre 2018 quale termine di ultimazione degli investimenti opera solo con riferimento a quelli iperammortizzabili. Infatti, un bene iperammortizzabile è sempre anche soggetto al super ammortamento, crescendo di livello nella deduzione (da 40% a 150%) solo per via della interconnessione (che può avvenire anche in anni successivi). Ciò significa, permanendo questa doppia data limite, che un bene, ordinato entro il 2017 con il versamento del 20% del costo di acquisizione, ultimato oltre il 30 giugno 2018, ma entro il 30 settembre, non sarà mai super ammortizzabile, ma potrebbe godere dell’iper-ammortamento se e in quanto diverrà interconnesso.

Pertanto, si suggerisce di ultimare gli acquisti dei beni materiali strumentali nuovi di cui all’allegato A della legge di bilancio 2018 entro la data del 30 giugno 2018, altrimenti non sarà possibile tener conto dell’agevolazione al 40% ma soltanto di quella al 150 per cento.

Fonte “Il sole 24 ore”

Concordato, resta il nodo della falcidia dell’Iva

di Paolo Moretti

La crescita economica del nostro Paese dipende, soprattutto, dalla “buona salute” delle imprese, le quali, in una economia ormai completamente globalizzata, si trovano spesso in difficoltà a fronteggiare una concorrenza “senza frontiere”.

Non a caso, il legislatore è intervenuto più volte per aiutare le imprese in crisi, con provvedimenti volti ad a far superare le difficoltà economiche derivanti dalla crisi che ha investito il nostro Paese, con sostanziali modifiche alla legge fallimentare (regio decreto 267/42), al fine di permettere alle stesse la continuazione dell’attività oppure liquidare il patrimonio mettendolo a disposizione dei creditori, evitando così il fallimento.

Tra i vari provvedimenti, il legislatore, con la legge di stabilità 2017, è intervenuto sostituendo l’articolo 182-ter sulla «Transazione fiscale» con una nuova versione e denominazione «Trattamento dei crediti tributari e contributivi» (articolo 1, comma 81, legge 232/2016 ). L’intento è quello di chiarire le numerose incertezze interpretative che la precedente disposizione aveva determinato per gli operatori e la stessa amministrazione finanziaria.

Sono stati rafforzati gli strumenti riguardanti il concordato preventivo (articolo 160, legge fallimentare), l’accordo di ristrutturazione dei debiti (articolo 182-bis) e le crisi da sovraindebitamento (legge 3/2012).

La nuova disposizione rappresenta una particolare procedura transattiva tra Fisco e contribuente, avente ad oggetto la possibilità di pagamento, in misura ridotta e/o dilazionata, il credito tributario privilegiato, oltre di quello chirografario.

Contenuto principale del nuovo articolo 182-ter è la possibilità, per il debitore, di proporre nel concordato preventivo e, negli accodi di ristrutturazione, il pagamento e la dilazione dei debiti privilegiati (Iva, ritenute, contributi previdenziali).

La nuova disciplina ha, tra l’altro, recepito i principi espressi dalla Corte di giustizia europea in tema di falcidia dell’Iva nonché di ritenute operate e non versate.

La Corte di giustizia ha definitivamente chiarito che la procedura di concordato preventivo costituisce una rinuncia generale e indiscriminata alla riscossione dell’Iva. Inoltre, secondo la Corte Ue, tale procedura è compatibile con il sistema comune dell’Iva.

Pertanto, sulla base del nuovo comma 1 dell’articolo 182-ter così come modificato dalla legge 232/2016, l’Iva è ora falcidiabile nell’ambito del concordato preventivo e degli accordi, oltre alle ritenute operate e non versate.

Di parere opposto è, però, attualmente l’amministrazione finanziaria e, pertanto, sono iniziati i contenziosi.

Al riguardo, proprio in merito all’infalcidiabilità dell’Iva, si è espresso il tribunale di Udine con ordinanza del 14 maggio 2018. Il Tribunale ritiene che, la non falcidiabilità dell’Iva comporterebbe la violazione degli articoli 3 e 97 della Costituzione, oltre al non rispetto dei principi della Corte di giustizia Ue.

A parere dei giudici del tribunale di Udine, l’articolo 7 della legge 3/2012 contempla un’eccezione ingiustificata alla regola della generale falcidiabilità dei crediti privilegiati nel settore concorsuale e, in particolare, nell’omologo comparto del concordato preventivo. Da ciò deriva che il tutto è rimesso al parere della Consulta.

Fonte “Il sole 24 ore”

Commesse pluriennali, derivazione rafforzata solo in casi limitati

di Luca Miele

In caso di commesse pluriennali, la rilevazione nel bilancio redatto secondo gli standard nazionali dei relativi componenti positivi con il sistema delle rimanenze comporta l’applicazione delle norme fiscali relative alle valutazioni e, nello specifico, dell’articolo 93 del Tuir. Non trova, quindi, riconoscimento il principio di derivazione rafforzata che riguarda le qualificazioni, classificazioni e l’imputazione temporale ma non, in linea generale, le valutazioni.

Il documento della Fondazione nazionale commercialisti (Fnc) di ieri fa il punto della situazione sulla disciplina contabile e fiscale delle opere ultrannuali,sia per i soggetti Ias adopter che per quelli Oic adopter.

Secondo l’articolo93 del Tuir, le rimanenze finali delle opere con tempo di esecuzione ultrannuale concorrono alla formazione del reddito, non al momento della loro definitiva ultimazione,bensì in misura proporzionale alla percentuale di avanzamento dei lavori misurabile al termine di ciascuno degli esercizi interessati. In sostanza, trovano applicazione il criterio della competenza economica e il principio della correlazione costi-ricavi. Questa previsione normativa trova applicazione anche quando le commesse pluriennali sono rilevate contabilmente secondo il criterio della commessa completata che riconosce i ricavi e i margini di commessa solo quando il contratto è completato, ossia alla data in cui avviene il trasferimento dei rischi e benefici connessi al bene realizzato o i servizi sono resi. Tale modalità di rilevazione contabile non trova riconoscimento fiscale, non applicandosi il principio di derivazione rafforzata, e quindi si genera un doppio binario civile e fiscale, in quanto contabilmente ricavi e margini di commessa sono riconosciuti quando il contratto è completato mentre fiscalmente rilevano gli stati di avanzamento al termine di ciascun esercizio.

Campo ristretto

Il documento della Fondazione pone in evidenza come, invece, il principio di derivazione rafforzata all’articolo 83 del Tuir trova applicazione in caso di adozione del combining/segmenting nella contabilizzazione della commessa, modalità contabile che influenza la determinazione del margine economico attribuibile ad ogni attività per la durata della commessa stessa.

Le microimprese

L’Oic 23, al ricorrere di determinate condizioni, consente infatti di segmentare la contabilizzazione di una commessa in più fasi o di raggruppare più commesse trattandole come un’unica commessa. In tali fattispecie si verte in tema di qualificazioni e non di valutazioni e quindi l’articolo 93 del Tuir troverà naturale applicazione alla commessa così come contabilizzata. Ciò, tuttavia, non è vero per le micro imprese ex articolo 2435-ter del Codice civile per le quali non valgono le diverse qualificazioni (classificazioni e imputazioni temporali) previste dagli standard nazionali. Ciò determina, per queste imprese e con riferimento alle commesse ultrannuali, il mancato riconoscimento fiscale dei criteri di individuazione della commessa indicati dall’Oic 23 diversi da quelli previsti dall’articolo 93 del Tuir.

I soggetti Ias

Il documento della Fondazione evidenzia altresì che il principio di derivazione rafforzata trova invece diretta applicazione per i soggetti Ias adopter in quanto, in tal caso, le commesse ultrannuali sono rilevate con una modalità di contabilizzazione fondata sulla immediata e diretta rilevazione dei ricavi al conto economico degli esercizi in cui il lavoro è svolto, abbandonando la logica propria della valutazione delle rimanenze. Pertanto, la contabilizzazione secondo lo Ias 11 e, dal 2018, secondo l’Ifrs 15 assume rilievo ai fini Ires, salvo deroghe specifiche, e non trova applicazione l’articolo 93 del Tuir.

Fonte “Il sole 24 ore”

Da acquisto a cessione, così la Ue cerca il cambio di passo sull’evasione Iva

di Benedetto Santacroce

In quattro mosse l’Unione europea cerca di semplificare l’applicazione delle regole Iva che disciplinano gli scambi intraUe rafforzando le misure antifrode.

In particolare, il regime delle transazioni tra Stati membri proposto dalla Commissione supera l’impianto «dell’acquisto intracomunitario» e lo sostituisce con la disciplina della «cessione intraunionale». Il nuovo regime si baserà sul principio dell’imposizione nello Stato di destinazione della cessione di beni, con luogo di tassazione nello Stato di arrivo dei beni stessi. Il fornitore sarà tenuto al versamento dell’Iva sulla «cessione intraunionale» a meno che l’acquirente non sia un soggetto certificato e, in quanto tale, affidabile. Qualora l’operatore obbligato al pagamento dell’imposta non sia stabilito nello Stato in cui l’imposta è dovuta, potrà assolvere agli obblighi di dichiarazione e versamento con il sistema dello sportello unico (one shop stop, Oss). Con ogni probabilità, il nuovo regime consentirà l’abolizione dell’elenco Intrastat.

La cessione intraunionale potrà rimanere esente da imposta solo nel caso in cui il cessionario sia un soggetto certificato dall’amministrazione quale soggetto affidabile Iva (Ctp, certified taxable person). Inoltre, in caso di consignment stock intraunionale, l’operazione sarà considerata unica nel caso in cui sia il cedente che il cessionario siano Ctp. Infine, le nuove regole prevedono che per l’esenzione delle cessioni unionali il codice identificativo attribuito dallo Stato membro di arrivo delle merci sia considerato un elemento essenziale.

Fonte “Il sole 24 ore”

Tre strade differenti per gli affitti brevi in dichiarazione

di Mario Cerofolini, Lorenzo Pegorin e Gian Paolo Ranocchi

Le locazioni brevi entrano a pieno regime nei modelli dichiarativi 2018 con tutte le novità approvate nel 2017. Di fatto, i contribuenti si trovano di fronte a tre possibili percorsi dichiarativi:

le locazioni stipulate prima del 1° giugno 2017, che seguono le vecchie regole;

le locazioni brevi stipulate dal 1° giugno 2017 sottoposte a ritenuta da parte dell’intermediario;

le locazioni brevi non sottoposte a ritenuta.

La nuova disciplina è contenuta nell’articolo 4 del Dl 50/2017 , che ha ridisegnato l’intero regime fiscale delle locazioni brevi, con modifiche che interessano i proprietari, gli inquilini e anche le agenzie immobiliari. I chiarimenti dell’agenzia delle Entrate su questo tema sono stati forniti con la circolare 24/E/2017.

I contratti e la tassazione

A partire dal 1° giugno 2017 è stata introdotta una disciplina fiscale ad hoc che permette l’esercizio dell’opzione relativa alla cedolare secca (con aliquota al 21%) per i contratti, stipulati da persone fisiche, di locazione, sublocazione e le concessioni in godimento oneroso a terzi da parte del comodatario, che hanno a oggetto immobili a uso abitativo, situati in Italia. Si tratta dei contratti di durata complessiva non superiore a 30 giorni, il cui limite si determina computando tutti i rapporti di locazione – di durata inferiore a 30 giorni – intercorsi nell’anno con lo stesso conduttore (circolare 12/E/1998 ).

Peraltro, nel caso delle locazioni di durata non superiore a 30 giorni la cedolare era già applicabile fin dal 2011: l’innovazione del Dl 50 sta nella possibilità di applicarla anche quando, insieme alla messa a disposizione della casa, vengano rese altre prestazioni.

Resta inteso che, in caso di mancato esercizio dell’opzione per la cedolare secca, il contribuente dovrà assoggettare ordinariamente a Irpef i relativi redditi.

Le nuove regole si applicano sia nel caso in cui i contratti siano stipulati direttamente tra chi detiene l’immobile (proprietario o titolare di altro diritto reale, sublocatore o comodatario) e il conduttore, sia quando intervengono i soggetti che esercitano attività di intermediazione immobiliare (anche attraverso portali online). In quest’ultimo caso, l’ulteriore novità (si veda l’altro articolo) è costituita dall’introduzione di una ritenuta del 21% da applicare a cura dell’intermediario.

Il contratto di locazione breve può avere a oggetto, unitamente alla messa a disposizione dell’immobile abitativo, anche la fornitura di biancheria e la pulizia dei locali e di altri servizi che corredano la messa a disposizione dell’immobile, come ad esempio, la fornitura di utenze, wi-fi, aria condizionata.

La disciplina delle locazioni brevi non è invece applicabile se insieme alla messa a disposizione dell’abitazione sono forniti servizi aggiuntivi che non presentano una necessaria connessione con la finalità residenziale dell’immobile, quali ad esempio, la fornitura della colazione, la somministrazione di pasti, la messa a disposizione di auto a noleggio o di guide turistiche o di interpreti.

La natura del canone

Il reddito conseguito dalle locazioni brevi può assumere una diversa natura, in relazione al soggetto titolare dello stesso.

Se l’immobile è concesso in locazione da parte del proprietario o dal titolare dell’usufrutto si dovrà compilare nel modello Redditi il quadro RB, tassando il corrispettivo pattuito per competenza (secondo le logiche che governano i redditi fondiari), anche se questo non è stato interamente percepito nell’anno.

Laddove il canone di locazione sia assoggettato a Irpef (in assenza di opzione per la cedolare), questo risulterà imponibile nella misura del 95%, ovvero con abbattimento del 35% per gli immobili di interesse storico, o del 25% per Venezia centro e isole limitrofe.

In caso di opzione per la cedolare secca sarà invece l’intero canone di locazione a essere assoggettato all’imposta sostitutiva nella misura del 21%, che andrà poi successivamente liquidata nel nuovo quadro LC. L’opzione per la tassazione piatta, non essendoci l’obbligo di registrare il contratto, va fatta direttamente in dichiarazione dei redditi e si esercita singolarmente per ciascuno dei contratti stipulati nell’anno. Per lo stesso immobile è, infatti possibile nei singoli periodi, con i diversi conduttori “brevi” optare o meno per la tassa piatta.

Nel caso in cui il contratto venga volontariamente registrato, la scelta viene fatta in sede di registrazione.

In caso, invece, di locazione breve dell’immobile da parte del comodatario (o sublocatore), il reddito sarà tassato in capo a quest’ultimo come reddito diverso e dovrà essere indicato obbligatoriamente nel quadro RL (rigo RL10).

In questa ipotesi il reddito da dichiarare sarà quello riferibile ai soli canoni incassati nell’anno (principio di cassa), senza tenere conto di quando effettivamente il soggiorno ha avuto luogo. Le istruzioni opportunamente segnalano che, laddove si sia optato per la tassazione in cedolare secca non sarà possibile compilare la colonna 5 «Spese» (rigo RL10) poiché dovrà essere tassato l’intero canone da contratto.

In questo caso, il proprietario dell’immobile dovrà indicare nel quadro RB solamente la rendita catastale dell’immobile concesso in comodato gratuito.

Fonte “Il sole 24 ore”

Spese fuori bilancio da recuperare

di Giorgio Gavelli

Le spese di pubblicità e di ricerca eliminate nello scorso esercizio dal bilancio in applicazione delle nuove regole contabili vanno anche quest’anno fiscalmente recuperate in dichiarazione, tanto ai fini Ires quanto ai fini Irap.

L’eliminazione contabile intervenuta nello scorso esercizio per effetto del Dlgs 139/2015 non deve far dimenticare la deduzione del costo ammessa in ambito fiscale, anche per dare continuità ai comportamenti dichiarativi assunti nello scorso periodo d’imposta.

La modifica contabile

A partire dai bilanci 2016, per effetto del nuovo testo dell’articolo 2426, comma 1, numero 5), Codice civile , non è più consentita la capitalizzazione delle spese di ricerca e di pubblicità, che vanno quindi spesate a conto economico nell’esercizio di competenza. Poiché tali regole si applicavano retroattivamente, le spese in corso di capitalizzazione alla chiusura del bilancio precedente a quello di prima applicazione andavano eliminate contabilmente, con contropartita preferibile sugli utili portati a nuovo o ad una riserva libera di utili presente nel patrimonio netto. Tutto ciò a meno che:

i costi di pubblicità precedentemente capitalizzati non soddisfacessero i requisiti stabiliti per i costi di impianto e ampliamento (paragrafi 41-43 del principio Oic 24), nel qual caso la riclassificazione evitava l’eliminazione (ipotesi non ricorrente);

i costi di ricerca precedentemente capitalizzati non soddisfacessero i criteri per essere riclassificati tra i costi di sviluppo (paragrafo 49), mantenendo, quindi, la propria iscrizione tra le immobilizzazioni immateriali (caso piuttosto frequente).

Le ricadute tributarie

Fiscalmente, i costi cancellati contabilmente non cessano di essere deducibili, in quanto l’articolo 13-bis, comma 7, del Dl 244/2016 prevede che per i costi imputati a conto economico in precedenti esercizi e non più capitalizzabili «resta ferma… la deducibilità sulla base dei criteri applicabili negli esercizi precedenti». Ciò significa che, per le poste in questione, la deduzione fiscale prosegue secondo la ripartizione temporale precedente. Quindi, in presenza delle condizioni richieste dal principio contabile Oic 25 (ragionevole previsione di redditi imponibili capienti), all’eliminazione dei costi non più capitalizzabili si affianca l’iscrizione delle relative imposte anticipate.

Tuttavia, la cancellazione in bilancio rende necessario, ai fini della deducibilità, il “ripescaggio” delle quote di ammortamento di queste spese in dichiarazione dei redditi, tramite variazione in diminuzione da effettuarsi sia ai fini delle imposte sui redditi che ai fini Irap.

Dove fare le variazioni

Diversamente dallo scorso anno, quest’anno i modelli dichiarativi sono più chiari nell’indicare dove effettuare le variazioni in esame:

rigo RF55 (codice 22) per la dichiarazione Ires;

rigo IC56, colonna 2, per il modello Irap.

Inoltre, le istruzioni richiedono (già dallo scorso periodo d’imposta) che si proceda, nel caso di specie, alla compilazione del quadro RV, per monitorare il disallineamento tra valore contabile e valore fiscale dell’elemento patrimoniale.

La colonna 3 dei vari righi, che sino al 2015 era riservata ai soggetti Ias, dal modello 2016 è riferita anche ai soggetti cui si applica il Dlgs 139/2015 (va riportato il codice 3), e le istruzioni avvertono che «l’eliminazione nell’attivo patrimoniale di costi iscritti e non più capitalizzabili, genera un disallineamento tra il valore civile (non più esistente a seguito dell’eliminazione) e quello fiscale». In questa ipotesi, proseguono le istruzioni, «in colonna 1, va indicata la descrizione della posta eliminata dal bilancio a seguito dell’applicazione dei principi contabili; in colonna 4, va indicato il corrispondente valore contabile risultante dal bilancio prima della transizione ai principi contabili» (2015).

Nella colonna 10, va, invece, indicato il valore fiscale esistente alla data di apertura del primo bilancio di esercizio redatto secondo i principi contabili della voce di bilancio eliminata (2016). Nelle colonne 11 e 12, vanno indicati gli incrementi/decrementi rilevanti ai fini fiscal, mentre, nella colonna 13, va indicato il valore fiscale esistente alla data di chiusura dell’esercizio.

Invece, il modello Irap – piuttosto curiosamente – chiede di monitorare i disallineamenti solo in caso di operazioni straordinarie e non di modifiche ai principi contabili.

Fonte “Il sole 24 ore “

Il professionista deduce il leasing immobiliare

di Gian Paolo Tosoni

I professionisti possono dedurre i canoni di leasing immobiliare ma non l’ammortamento del fabbricato strumentale. La conferma da parte dell’Agenzia in occasione dello speciale L’esperto risponde era scontata, ma ha consentito di aprire il dibattito su una delle tante anomalie del nostro sistema tributario, sottolineata nell’occasione dal consigliere delegato alla fiscalità del Cndcec Gilberto Gelosa.

L’articolo 54, comma 2, del Tuir in tema di deducibilità del costo dei beni ammortizzabili prevede fra l’altro che la deduzione dei canoni di locazione finanziaria è ammessa per un periodo non inferiore alla metà del periodo di ammortamento corrispondente al coefficiente stabilito dall’apposito decreto; in caso di beni immobili la deduzione è ammessa per un periodo non inferiore a dodici anni. Tale modifica è stata introdotta dal dall’articolo 1, comma 162, della legge 147/2013 con effetto dai contratti di locazione finanziaria stipulati a decorrere dal 1° gennaio 2014. In quella occasione il legislatore aveva fissato il limite minimo di deducibilità per i canoni di leasing immobiliare nella misura di dodici anni prevedendo la modifica anche per il reddito di lavoro autonomo, senza considerare che per tali soggetti la deducibilità non era ammessa. Però introducendo una norma che stabiliva il nuovo limite di deducibilità temporale, ha legittimato la rilevanza fiscale del costo anche per i professionisti.

Mentre la deducibilità dell’ammortamento dei fabbricati strumentali per l’esercizio di arti e professioni si è fermata agli acquisti effettuati fino al 31 dicembre 2009 relativamente agli immobili acquistati nel periodo dal 2007 al 2009.

Quindi durante il forum, l’Agenzia ha ricordato che in mancanza di una espressa previsione normativa, resta invece a tutt’oggi preclusa la possibilità di dedurre gli ammortamenti relativi ai beni immobili strumentali acquistati dal professionista a partire dal 1° gennaio 2010.

Per questi immobili si applica la disposizione contenuta nell’articolo 43 del Tuir la quale afferma che il fabbricato strumentale posseduto e utilizzato esclusivamente per l’esercizio della professione, non produce reddito fondiario e quindi non deve essere assolta l’Irpef sulla rendita catastale.

Inoltre la risposta dell’Agenzia ricorda che la indeducibilità del costo sostenuto dal professionista per l’acquisto diretto dell’immobile strumentale è contemperata dalla irrilevanza delle eventuali plusvalenze prodotte dal medesimo bene (risoluzione 13/E/2010) le quali sono imponibili solamente per gli immobili acquistati nel periodo 2007/2009 per i quali sono state dedotte le quote di ammortamento. Nella fattispecie la vendita non genera plusvalenza, anche se il fabbricato viene ceduto entro cinque anni in quanto l’articolo 67 del Tuir, in materia di redditi diversi colpisce le plusvalenze realizzate al di fuori dell’esercizio di arti e professioni e di impresa.

Per gli immobili acquisiti mediante contratti di leasing, con canoni dedotti, si porrà il problema della plusvalenza quando saranno ceduti tenuto conto che l’articolo 54 del Tuir contempla anche per i professionisti la tassazione delle plusvalenze e deduzione delle minusvalenze dei beni strumentali. Verosimilmente il fabbricato strumentale riscattato dal professionista e poi ceduto o destinato all’uso personale, rientrerà in questa fattispecie.

Invece l’articolo 54 del Tuir per i professionisti non contempla la rilevanza fiscale della sopravvenienza attiva costituita dal valore normale del bene che si verifica in presenza di cessione del contratto (articolo 88 del Tuir). Non convince la tesi che la sopravvenienza venga inquadrata fra gli elementi immateriali riferibili alla attività professionale e quindi tassabili analogamente alla cessione della clientela (comma 1-quater, articolo 54 del Tuir).

Fonte “Il sole 24 ore”

Professionisti, sgravio sulle spese «separate» per alberghi e ristoranti

di Nicola Forte

Approdano in dichiarazione le agevolazioni fiscali per le spese alberghiere e di ristorazione dei professionisti, contenute nella legge 81/2017 (il cosiddetto Jobs act dei lavoratori autonomi).

Dal 2017, è infatti possibile superare i limiti alla deducibilità di queste spese stabiliti dal Tuir (articolo 54, comma 5 ) e, al verificarsi di determinate condizioni, le spese saranno integralmente deducibili.

La novità è stata inserita nell’articolo 54, comma 5 del Tuir (dall’articolo 8 della legge 81/2017). La nuova disposizione prevede la possibilità per il professionista di fornire la prova dell’inerenza delle spese. In buona sostanza, è ammessa la possibilità di dimostrare che le spese alberghiere e dei ristoranti siano state sostenute nell’esercizio dell’attività di lavoro autonomo. La prova può essere fornita esclusivamente con le modalità indicate dal comma 5, cioè addebitando analiticamente al committente gli oneri anticipati tramite l’esposizione distinta degli stessi nella fattura emessa.

Il legislatore ha di fatto spostato l’onere del controllo sulla riconducibilità degli oneri così sostenuti nell’attività professionale, in capo al committente dell’incarico professionale. Infatti, si parte dal presupposto che laddove le spese in questione fossero sostenute a titolo personale (al di fuori dell’attività), il committente rifiuterebbe il pagamento delle stesse unitamente ai compensi relativi all’incarico. Viceversa, in mancanza di una formale contestazione, resa possibile in seguito all’esposizione analitica degli oneri nella fattura emessa, gli stessi non potranno che essere considerati inerenti e quindi integralmente deducibili. Per questa ragione non si applicherà il limite generale alla deduzione delle spese alberghiere e di ristorazione, fissato al 75% degli importi, e, in ogni caso, per un ammontare non superiore al 2% dei compensi incassati nel periodo d’imposta.

La regola generale
In base alla regola generale, se un professionista fa una trasferta per seguire il contenzioso di un cliente, le spese alberghiere e per i ristoranti non sono completamente deducibili: se le spese ammontano a 1.000 euro la quota deducibile è di 750 euro (il 75%). L’importo così determinato deve essere capiente rispetto al 2 per cento dei compensi incassati nell’anno. L’importo eventualmente eccedente risulterà comunque indeducibile. Se i compensi incassati nell’anno sono di modesta entità, è possibile che anche una parte della spesa, pari nell’esempio a 750 euro (dopo aver applicato la prima limitazione), sia indeducibile.

La deroga
Nel nuovo assetto normativo, che consente la deduzione integrale delle spese, «addebito analitico» vuol dire che queste spese devono essere indicate distintamente nella fattura rispetto ai compensi. Se questi oneri fossero compresi nell’unica voce «compensi», il committente non sarebbe infatti in grado di riscontrarne l’inerenza rispetto all’espletamento del mandato professionale. Senza una preventiva attività di controllo, si rischierebbe dunque di consentire al professionista di considerare illegittimamente in deduzione anche gli eventuali costi sostenuti a titolo personale.

La novità è in vigore dal periodo di imposta 2017. È stato dunque modificato il modello «Redditi» 2018. Il professionista deve indicare separatamente, a seconda dei casi, le spese non addebitate rispetto a quelle “ribaltate” sul cliente. Ciò per consentire all’agenzia delle Entrate di controllare la spettanza o meno del beneficio integrale della deduzione in sede di determinazione del reddito.

Se paga il committente
È possibile poi che le spese solitamente a carico del professionista per l’esecuzione dell’incarico siano sostenute direttamente dal committente. In questa ipotesi, l’articolo 54 del Tuir prevede che questi oneri non costituiscano compensi in natura per il lavoratore autonomo.

Si consideri ad esempio il caso in cui una società che organizza un master in diritto tributario paghi direttamente le spese alberghiere e di viaggio del professionista che interviene come docente. L’operazione è perfettamente neutrale per il professionista, dal momento che questi oneri, che rimangono esclusivamente a carico della società, non hanno natura di compensi. È un’opportunità prevista dall’articolo 54 che consente, anche questa, di evitare le limitazioni della deducibilità delle spese alberghiere e di ristorazione.

Le spese di viaggio
La previsione del Tuir (articolo 54, comma 5 ) ha una portata molto ampia ed è riferibile anche alle spese di viaggio e più in generale alla trasferta effettuata dal professionista. Nello specifico, si prevede che «tutte le spese relative all’esecuzione di un incarico conferito e sostenute direttamente dal committente non costituiscono compensi in natura per il professionista».

Per le spese di viaggio, a parte il requisito dell’inerenza, l’articolo 54 non ha previsto specifici limiti quantitativi alla deducibilità. Pertanto, anche se questi oneri fossero sostenuti direttamente dal professionista, concorrerebbero integralmente alla deduzione in sede di determinazione del reddito di lavoro autonomo. Tuttavia, se anche tali spese fossero anticipate dal committente, non costituirebbero mai compensi in natura per il soggetto che ne beneficia. In questo caso, sarà il committente che potrà considerare in deduzione i costi sostenuti per conto del professionista relativi al mandato a lui conferito. La deducibilità spetta. L’inerenza, infatti, sussiste in ogni caso, trattandosi di spese funzionali all’espletamento del mandato professionale. Se è legittimamente deducibile il compenso professionale, anche le spese sostenute dall’impresa committente per conto del lavoratore autonomo possono essere considerate in deduzione.

Fonte “Il sole 24 ore”

Fattura elettronica, ok alla copia in pdf

di Benedetto Santacroce

 I contribuenti potranno continuare a portare in conservazione il pdf della fattura e non saranno obbligati a conservare l’xml, questo a condizione ovviamente che il contenuto dei documenti sia identico. Questa è una delle prime risposte dell’agenzia delle Entrate al videoforum dell’Esperto risponde che sarà visibile gratuitamente online da oggi dalle ore 12 sul sito del Sole 24 Ore. L’Agenzia, dando prevalenza alla sostanza e non alla forma consente la conservazione della copia della fattura elettronica che in originale rimarrà custodita presso lo SdI.

La posizione delle Entrate, che va accolta con pieno favore perché risponde alle esigenze operative manifestate da imprese e professionisti, consente di gestire in modo semplificato i due momenti: quello della formazione del documento e della gestione dello stesso presso l’impresa emittente e presso il cliente e quello di trasmissione e gestione del documento presso il sistema d’interscambio.

Più in dettaglio, ad esempio, un’impresa che si avvale di un intermediario potrebbe continuare ad operare all’interno con le proprie modalità e con i formati più consoni al gestionale utilizzato, inviando un flusso informativo all’intermediario. A sua volta l’intermediario potrebbe elaborare il flusso ricevuto, trasformandolo in xml e provvedendo alla trasmissione dello stesso tramite il sistema d’interscambio e inviando in allegato la fattura in formato pdf. Il destinatario potrebbe acquisire sia il formato xml che il pdf e conservare solo quest’ultimo formato.

Ovviamente, per dare esatta corrispondenza tra il primo e secondo file è necessario gestire e conservare gli esiti o le ricevute che vengono inviate dallo SdI al momento della presa in carica del file ovvero al momento della consegna al destinatario. In queste ricevute lo SdI inserisce un codice alfanumerico che caratterizza univocamente il documento (vale a dire l’impronta del documento stesso attraverso un hash calcolato con algoritmo SHA-256) per ogni file fattura elaborato.

L’Agenzia sottolinea che il documento conservato in pdf è una copia informatica dell’originale che resta pur sempre il file xml trasmesso allo SdI.

La conformità normativa della copia è garantita dalle regole imposte dall’art. 23bis del Codice dell’amministrazione digitale (Dlgs 82/2005 e successive modifiche) che al comma 2 prevede espressamente che «le copie e gli estratti informatici del documento informatico, se prodotti in conformità alle vigenti regole tecniche di cui all’art. 71 (dello stesso Cad), hanno la stessa efficacia probatoria dell’originale da cui sono tratte se la loro conformità all’originale, in tutte le sue componenti , è attestata da un pubblico ufficiale a ciò autorizzato o se la conformità non è espressamente disconosciuta. Resta ferma, ove previsto, l’obbligo di conservazione dell’originale informatico».

Nel caso della fattura elettronica, per il quale non si evidenziano particolari regole di obbligo di conservazione dell’originale, è chiaro che l’adozione da parte dell’emittente del documento o del ricevente che è in possesso dell’originale di un processo di conservazione a norma della copia di tale originale che rispetti tutte le regole imposte ai fini civilistici dal Dpcm 3 dicembre 2013 e, ai fini fiscali, dal Dm 17 giugno 2014 soddisfa pienamente gli adempimenti di conservazione della fattura nel tempo.

Proprio per questo l’Agenzia conclude affermando che l’operatore potrà decidere di portare in conservazione anche la copia in pdf, formato considerato idoneo dal citato Dpcm 3 dicembre 2013.

Fonte “Il sole 24 ore”

Tassazione dei dividendi, soci qualificati penalizzati dal nuovo regime

di Giorgio Gavelli

In queste settimane le società presentano i bilanci ai soci riuniti in assemblea e, quando i risultati sono positivi, viene spesso assunta la delibera di distribuzione dei dividendi. Quest’anno, tuttavia, alcune questioni di natura fiscale e contabile meritano un approfondimento.

Sul piano tributario, l’attenzione è puntata sulle controverse disposizioni contenute nella legge di Bilancio 2018 e, in particolare, sulla norma transitoria di cui all’articolo 1, comma 1006 della legge n. 205/2017. Se, in linea generale, l’intento delle nuove disposizioni è quello di assimilare il trattamento dei soci (persone fisiche) qualificati e non, prevedendo in entrambi i casi l’applicazione della ritenuta secca del 26%, viene contestualmente statuito che alle distribuzioni di utili derivanti da partecipazioni qualificate in società ed enti soggetti Ires formatesi con utili prodotti fino all’esercizio in corso al 31 dicembre 2017, deliberate dal 1° gennaio 2018 al 31 dicembre 2022, continuano ad applicarsi le regole previgenti.

È facile verificare che, nella stragrande maggioranza dei casi, il socio qualificato è penalizzato dal nuovo regime, anche per il fatto che la ritenuta alla fonte (o l’imposta sostitutiva) non permette di sfruttare deduzioni e detrazioni per abbattere l’imponibile. Ne consegue che, in prima approssimazione, si potrebbe pensare di risolvere subito il problema deliberando in questi giorni la distribuzione di tutte le riserve divisibili ante 2018 presenti in bilancio, lasciando poi alle possibilità finanziarie della società la materiale liquidazione di quanto deliberato.

Tuttavia, a ben vedere, un simile comportamento appare del tutto sconsigliabile, per più di un motivo. In effetti, la scrittura contabile conseguente ad una simile delibera (dare Riserve avere Debiti verso soci per dividendi) ridurrebbe drasticamente il patrimonio netto, con effetti pressoché immediati su rating e rapporti bancari. Inoltre, qualora successivamente la società realizzasse perdite di esercizio, l’assenza di un patrimonio netto capiente indurrebbe i soci a rinunciare al proprio credito per dividendi, innescando così il rischio di vedersi imputare dall’amministrazione finanziaria il cosiddetto incasso giuridico, atteso che il dividendo è un reddito tassato per cassa come il compenso amministratore, il Tfm, gli interessi attivi e via dicendo (risoluzione n. 124/E/2017, circolare n. 73/1994, Cassazione n. 1335/2016 e n. 26842/2014).

Ma gli effetti negativi non finiscono qui, se si pensa che una scrittura quale quella sopra riportata ha anche l’effetto di ridurre per un pari importo la base Ace sin dall’inizio del periodo d’imposta (circolare n. 12/E/2014) e con analogo impatto sui periodi successivi, nonostante la liquidità permanga in società, anche se non più nell’ambito del netto patrimoniale.

Delicate conseguenze potrebbe anche avere la permanenza del debito verso i soci per un lungo periodo. Infatti, da un lato i diritti che derivano dai rapporti sociali si prescrivono in cinque anni (articolo 2949 Cc), dall’altro non si può escludere che, sulla scorta di alcune discutibili sentenze della Cassazione (10030/2009 e 17839/2016), qualche verificatore trasformi questi importi in finanziamenti fruttiferi da socio a società, inventando interessi e (omesse) ritenute.

A ben vedere, considerato anche l’evidente errore commesso nei confronti di chi aveva già deliberato ma non distribuito, alla data di entrata in vigore della legge n. 205/2017, gli utili realizzati (si veda Il Sole 24 Ore del 14 aprile scorso), la norma transitoria andrebbe riscritta completamente, prima che si concretizzino tutte le situazioni negative a cui può portare. Perché appare scontato che l’erario non vedrà applicato il 26% sugli utili ante 2018 dei soci qualificati, tanto vale stabilire sin d’ora che l’assimilazione con la disciplina dei soci non qualificati (ove ritenuta necessaria) entri in vigore direttamente con la distribuzione degli utili realizzati dall’esercizio successivo a quello in corso al 31 dicembre 2017.

Fonte “Il sole 24 ore”