Archivi categoria: Imposte dirette novità 2018 – 2019- 2020 -2021

Spazio al ravvedimento per i versamenti frazionati

Il ravvedimento parziale diventa ufficiale. A prevederlo è l’articolo 4-decies del decreto crescita (Dl 34/2019) introdotto dalla legge 58/2019 di conversione. Il ravvedimento operoso, anche grazie alle lettere di compliance, è uno degli strumenti deflattivi più sfruttati dai contribuenti, poiché consente di regolarizzare spontaneamente un’irregolarità beneficiando di sanzioni particolarmente ridotte. Tuttavia, l’assenza di una previsione che consenta di dilazionare gli importi dovuti, è certamente uno dei punti deboli dell’istituto. Il contribuente, quindi, privo della disponibilità finanziaria necessaria, non può perfezionare il ravvedimento e quindi, ove attendesse i successivi provvedimenti dell’Agenzia (avviso bonario, cartella e così via) dovrebbe corrispondere sanzioni maggiori.

In sede di conversione del Dl crescita è stato introdotto il nuovo articolo 13-bis al Dlgs 472/97 (l’articolo 13 disciplina il ravvedimento operoso). La norma consentirà espressamente al contribuente di avvalersi dell’istituto del ravvedimento anche in caso di versamento frazionato, purché nei tempi prescritti dal ravvedimento ordinario.

Nel caso in cui l’imposta dovuta sia versata in ritardo e il ravvedimento, con il versamento della sanzione e degli interessi, intervenga successivamente, la sanzione applicabile corrisponde a quella riferita all’integrale tardivo versamento.

La riduzione prevista in caso di ravvedimento è riferita al momento del perfezionamento dello stesso. Nel caso di versamento tardivo dell’imposta frazionata in scadenze differenti è ̀ possibile operare il ravvedimento per i singoli versamenti, con le riduzioni sanzionatorie previste. Gli interessi sono dovuti per l’intero periodo del ritardo. Le nuove disposizioni si applicano però ai soli tributi amministrati dalle Entrate. Il legislatore ha espressamente previsto che la nuova norma sia di interpretazione autentica e quindi applicabile anche per il passato.

In tale contesto, va infatti segnalato che da tempo, un’alternativa all’assenza della rateizzazione fosse rappresentata dal frazionamento degli importi dovuti. Le Entrate, con la risoluzione 67/E/2011, hanno confermato questa soluzione con riferimento al “vecchio” ravvedimento per il quale c’erano cause ostative ormai non più esistenti.

A decorrere dal 2015, infatti, l’istituto è stato completamente rivisitato prevedendo:

la possibilità di regolarizzare fino al termine di decadenza del potere di accertamento dell’amministrazione;

che la notifica di un avviso di accertamento, di liquidazione o di un avviso bonario (articolo 36-bis e 36-ter Dpr 600/1973 o 54-bis Dpr 633/1972) o di una cartella di pagamento, rappresentino cause ostative alla possibilità di ravvedersi.

Di conseguenza, i verbali di verifica, i Pvc, i questionari o atti similari, non costituiscono una causa di esclusione, ma anzi potrebbero rappresentare il motivo perché il contribuente rettifichi la propria posizione. Il ravvedimento frazionato rappresenta quindi una sorta di piano di rateazione creato dal contribuente per regolarizzare dei debiti tributari. Tuttavia, se nel corso della dilazione costruita dal contribuente fosse notificato l’avviso bonario ovvero direttamente la cartella di pagamento, il ravvedimento deve essere sospeso. In proposito, il Mef, in risposta a uno specifico quesito, ha precisato che dinanzi a un ravvedimento frazionato, restano salvi gli effetti di quanto pagato in precedenza: pertanto la notifica di un atto di liquidazione o di accertamento intervenuta successivamente non pregiudica la regolarizzazione già eseguita. Dal tenore letterale della risposta, quindi, l’avviso bonario, la cartella o un avviso di accertamento costituiscono causa ostativa per il proseguimento e pertanto il ravvedimento frazionato deve essere sospeso. In simili ipotesi, quindi, la pretesa erariale dovrà riguardare le somme non ancora corrisposte, mentre sulle precedenti, risultando ormai regolarizzate, non saranno dovute ulteriori sanzioni.

Nel caso in cui il contribuente non ravvedesse integralmente quanto dovuto, potrà dilazionare le somme una volta ricevuti gli atti successivi: per l’avviso bonario in 8 rate trimestrali ovvero per importi superiori a 5mila euro, in un massimo 20 rate trimestrali, per la cartella di pagamento fino a 72 rate o 120 in caso di comprovata situazione di difficoltà.

 Fonte “Il sole 24 ore”

Esenti dall’Iva i professionisti anche non regolamentati

Valutabile sulla base di altri parametri l’attività medica o paramedica

L’esenzione dall’Iva non è limitata solo a chi esercita una professione medica o paramedica regolamentata dalla legislazione nazionale. L’aliquota ridotta per le cessioni di medicinali e dispositivi medici riguarda solo i casi in cui essi sono forniti nell’ambito di interventi o trattamenti di natura terapeutica; lo stesso non vale per le cessioni effettuate nell’ambito degli interventi o trattamenti aventi natura esclusivamente estetica. A queste ultime si applica l’aliquota ordinaria.

La Corte di giustizia europea (causa C-597/17) fa luce su alcuni aspetti delle prestazioni sanitarie che non sono stati sempre del tutto pacifici. La professione del chiropratico e dell’osteopata, oggi ufficialmente riconosciute come sanitarie (legge 3/2018), fino a qualche anno fa aveva generato dubbi quanto all’applicazione del regime Iva di esenzione, escluso sia dalla prassi nazionale che dalla giurisprudenza di legittimità. La sentenza della Corte conferma la bontà della modifica legislativa, anzi sembra fare un passo in più. Secondo i giudici Ue, affinché possa rientrare tra «le prestazioni mediche effettuate nell’esercizio delle professioni mediche e paramediche quali sono definite dagli Stati membri interessati» (articolo 132, paragrafo 1, lettera c della direttiva Iva), è necessario che la prestazione sanitaria sia diretta alla persona e fornita da soggetti che possiedono le necessarie qualifiche professionali. Non occorre, però, che quest’ultimi esercitino una professione medica o paramedica disciplinata dalla normativa dello Stato membro. Ciò in quanto possono considerarsi rilevanti altri parametri per valutare le loro qualifiche professionali (ad esempio, formazione presso istituti di insegnamento riconosciuti dalla Stato).

Il secondo principio espresso dalla Corte nella sentenza di ieri è importante in quanto crea uno stretto legame tra il trattamento Iva da applicare alla cessione di un bene e l’uso che esso mira a soddisfare. L’applicazione dell’aliquota ridotta o dell’ordinaria alla cessione del medesimo bene (medicinali e dispositivi medici) è giustificato dall’utilizzo concreto al quale tali cessioni sono destinate (trattamento di natura terapeutica in un caso, di natura estetica nell’altro). In contesti chiaramente distinti lo stesso bene soddisfa esigenze diverse dal punto di vista del consumatore medio, per cui non viola il principio di neutralità fiscale il differente trattamento a fini Iva, se la normativa nazionale non prevede diversamente.

L’ultimo appunto della sentenza è sull’efficacia delle sentenze della Corte: il giudice nazionale non può mantenere gli effetti di un atto annullato per conservare in via provvisoria – finché il legislatore non intervenga a sanare l’incompatibilità – la disposizione interna incompatibile col diritto dell’Ue.

Fonte “Il sole 24 ore”

Nell’impresa con lavoratori in distacco in bilico la deduzione ai fini Irap

Le istruzioni ai modelli in contrasto con la circolare 22/2015
Lo sconto sull’imponibile dovrebbe seguire il dipendente
Risulta complicato gestire ai fini Irap il distacco di personale. Le istruzioni al modello infatti, pur citando la circolare 22/E/2015, sembrano in aperto contrasto con essa, creando un “corto circuito” difficilmente risolvibile. In particolare non è chiaro chi debba fruire – tra distaccante e distaccataria – delle deduzioni riferite al personale, ed in particolare quella residuale sul personale a tempo indeterminato (comma 4-octies dell’articolo 11 del decreto legislativo 446/1997). Con la circolare (si veda «Il Sole-24 Ore» del 27 maggio 2016), l’Agenzia ha affermato che i costi dei dipendenti assunti a tempo indeterminato e in distacco andrebbero dedotti dall’impresa distaccante «con conseguente rilevanza degli importi spettanti, a titolo di rimborso».
La presa di posizione costituisce un cambio di rotta rispetto al passato, in quanto in precedenza l’amministrazione (risoluzione 2/DPF/2008 e circolare 263/1998) aveva sempre sostenuto una sostanziale neutralità della posizione dell’impresa distaccante (che non deduceva i costi ma non rendeva imponibili i rimborsi) affinché il peso dell’imposta ed eventuali benefici (come il cuneo fiscale) si concentrassero sulla distaccataria (risoluzioni 35/E/2009 e 235/E/2008).
Ciò che non si comprende è come questa presa di posizione si coordini con quanto sostenuto dalle istruzioni ai modelli dichiarativi, le quali affermano che:
gli importi spettanti a titolo di recupero di oneri di personale distaccato presso terzi non concorrono alla formazione della base imponibile. Nei confronti del soggetto che impiega il personale distaccato, tali importi si considerano costi relativi al personale non ammessi in deduzione (salva l’applicazione delle deduzioni per lavoro dipendente previste dall’articolo 11);
le spese per il personale dipendente e assimilato, comprese quelle sostenute per l’impiego di personale dipendente di terzi distaccato presso l’impresa, qualora classificato in voci rilevanti ai fini Irap, vanno indicate tra le “altre variazioni in aumento”;
gli importi spettanti a fronte del distacco del personale dipendente presso terzi, compresa la parte eccedente il rimborso degli oneri retributivi e contributivi, vanno indicati tra le “altre variazioni in diminuzione”.
Premesso che in base al principio contabile Oic12 i costi per il personale distaccato da terzi vanno contabilizzati alla voce B.7 del conto economico, mentre i corrispondenti ricavi sono riportati alla voce A.5, istruzioni e circolare conducono a due comportamenti opposti. Secondo le istruzioni la distaccante storna il provento per il riaddebito (e ha i costi irrilevanti in quanto indicati in B9), mentre la distaccataria storna il costo; secondo la circolare la distaccante deduce i costi (non è chiaro come) e tassa il provento (come suggerito da Assonime, circolari 7 e 21/2015).
Stante questo “pasticcio” è difficile comprendere chi ha diritto alle deduzioni sul lavoro dipendente. Dovrebbe restare il principio che la deduzione “segue” il dipendente, per cui dovrebbero spettare alla distaccataria, o deducendo il costo del personale in distacco senza riprenderlo a tassazione nel modello Irap, ossia disapplicando le istruzioni a favore della circolare; oppure riprendendo a tassazione detti costi, ma poi operando le deduzioni, se vengono invece applicate le le istruzioni.
I chiarimenti dovrebbero anche intervenire su altri aspetti: spettanza delle deduzioni diverse da quella “residuale”; comportamento in caso di distacco di personale a tempo determinato; comportamento quando la distaccante o la distaccataria applicano il metodo retributivo, in quanto, ad esempio, ente non commerciale.
© RIPRODUZIONE RISERVATA Fonte “Il sole 24 ore”
Giorgio Gavelli

La rivalutazione dei beni aiuta a ripianare il patrimonio negativo

Una delle maggiori novità della legge di Bilancio 2019 è rappresentata dall’introduzione della mini Irpef anche per le imprese minori, ivi compresi i soggetti in contabilità semplificata. Tra le variabili richieste dalla normativa vi è la destinazione dell’utile di esercizio ad una voce del patrimonio netto.

A tal fine, il comma 39 dell’articolo 1 della legge 145/2018 prevede che rilevino le riserve di utili disponibili già «accantonati a riserva nel periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2018»: tale parametro dovrà essere considerato al netto di qualsivoglia decremento del patrimonio netto per eventuali attribuzioni effettuate nei confronti dei soci. Si tenga presente, inoltre, in sede di determinazione delle eventuali variazioni non sono considerate le riserve indisponibili e quelle createsi per eventuale differenza valutative.

Da queste considerazioni discendono inevitabilmente alcune osservazioni. In particolare:
1) per il calcolo dell’agevolazione è necessario avere un patrimonio netto positivo, in quanto un valore negativo determinerebbe la necessità del suo ripianamento per poi accedere all’agevolazione in questione;
2) i prelievi effettuati dai soci nel corso dei periodi d’imposta antecedenti all’introduzione del beneficio fiscale in commento, costituiscono un decremento al patrimonio netto (confronta Cassazione 10786 del 9 luglio 2003);
3) le eventuali riserve da rivalutazione dei beni non rientrano nel calcolo della mini Irpef. In questo caso, quindi, anche le imprese minori sono impossibilitate a “utilizzare” il comma 940 e seguenti dell’articolo 1 della legge n. 145/2018 al fine del calcolo dell’agevolazione;
4) infine, non possono usufruire del beneficio, per ratio legislativa e sempreché venga confermata tale interpretazione dall’Agenzia, coloro i quali, quindi, si trovino ad avere un patrimonio netto negativo.

Una delle possibili modalità per beneficiare di tale agevolazione a fronte di un patrimonio netto negativo, specie per le imprese minori (a prescindere dal regime contabile), potrebbe essere rappresentata dal ricorso alla rivalutazione dei beni al comma 940 dell’ultima legge di Bilancio, il quale oltre alla rideterminazione del valore dei cespiti, permette di allocare una riserva da rivalutazione come voce del patrimonio netto. In tal modo è possibile che l’impresa minore ritorni ad avere un patrimonio netto positivo o comunque superiore allo zero.

Per inciso, si ricorda a tal proposito la sentenza n. 23 del 3 gennaio 2017 della prima sezione civile della Cassazione, che ha avuto il pregio di sviluppare talune considerazioni decisamente rilevanti ai nostri fini, e più precisamente:

a) non vi è per le società di persone l’obbligo del ripianamento delle perdite conseguite, potendo le stesse essere riportate a nuovo senza la necessità che la società sia messa in liquidazione od obbligata al ripianamento delle perdite con effetto immediato;
b) pur in mancanza di questa obbligatorietà, non è consentito ripartire utili senza tener conto del disposto dell’articolo 2303 del Codice civile, che consente la distribuzione degli utili solo in presenza di un patrimonio netto effettivo dell’impresa;
c) entrambi questi ragionamenti dovrebbero valere anche per le ditte individuali, relativamente alla necessità di avere quanto meno un patrimonio netto aziendale non negativo al fine di poter accedere all’agevolazione in questione.

Compiute queste debite premesse, è evidente che risulta complementare e di grande interesse poter usufruire della rivalutazione dei beni, così come previsto dalla legge di Bilancio 2019, che consente l’iscrizione come contropartita di una riserva di patrimonio netto. Tale riserva, pur essendo esclusa dal conteggio della mini Irpef, risulta di assoluta utilità ai fini del ripianamento di un eventuale patrimonio netto negativo e/o per elidere perdite pregresse.

La circolare 57/E/2002, che ha interpretato la rivalutazione dei beni ex lege 448/2001 (identica normativamente a quella attuale) ha molto ben identificato il caso rispetto all’impiego della riserva per le finalità di cui sopra. Tant’è vero che a tal proposito la circolare recita che «l’utilizzo del saldo a copertura delle perdite è irrilevante fiscalmente e non determina il riconoscimento dei maggior valori all’attivo». Quindi anche l’Agenzia rileva che «il saldo attivo di rivalutazione può essere liberamente destinato a copertura delle perdite».

Fonte “Il sole 24 ore”

Passaggi senza vincoli triennali tra semplificato e forfettario

Chi per il 2019 sceglie di restare semplificato può cambiare dal 2020
Le modifiche al forfettario sono tali da giustificare una nuova decisione
La possibilità di fare ingresso nel regime forfettario, come ridisegnato dalla legge di Bilancio 2019, non attende chiarimenti solo per quanto attiene alle due nuove cause di esclusione costituite dalla contemporanea partecipazione di controllo in una Srl dall’oggetto “riconducibile” e dalla provenienza prevalente dei ricavi/proventi da attuali o passati datori di lavoro.
Ci sono aspetti controversi anche riguardo alle opzioni, tali da condizionare tanto l’ingresso quanto il rientro nel regime. La prima questione degna di nota riguarda i contribuenti che negli ultimi due periodi d’imposta (2017 e 2018), pur avendo i requisiti allora previsti per il regime forfettario, hanno esercitato l’opzione per il regime ordinario o semplificato.
Nonostante si possa ipotizzare un vincolo di permanenza triennale nel regime prescelto, si è dell’avviso che i significativi mutamenti operati dalla legge 145/2018 al regime forfettario siano tali da rappresentare quel «caso di modifica del sistema in conseguenza di nuove disposizioni normative» che, in base all’ultimo periodo dell’articolo 1 del Dpr 442/1997 (disciplina generale delle opzioni), legittima la variazione di qualunque opzione e revoca.
Oggi il regime forfettario è molto differente, sotto più di un aspetto, da quello che molti contribuenti hanno valutato – e rifiutato con opzione – negli ultimi due anni, per cui è più che condivisibile rendere possibile una nuova decisione.
Se questa è l’unica strada percorribile per chi ha optato nel biennio passato per la contabilità ordinaria, altrettanto non dovrebbe essere per i contribuenti che, pur in presenza dei requisiti per il forfettario, hanno preferito scegliere il regime semplificato. Sia la norma di riferimento (articolo 1, comma 70, legge 190/2014) che la prassi (circolare 10/E/16, paragrafo 3.1) fanno riferimento a un vincolo triennale in presenza di opzione per il «regime ordinario» ovvero «per l’applicazione dell’Iva e delle imposte sul reddito nei modi ordinari».
Nonostante inizialmente queste locuzioni siano state lette come riferibili tanto al regime ordinario vero e proprio quanto a quello semplificato, questa interpretazione restrittiva è divenuta minoritaria a seguito della risoluzione 64/E/18 dell’agenzia delle Entrate.
In tale sede l’Agenzia, anche se non in modo cristallino, ha affermato che, relativamente ai contribuenti che presentano i requisiti per entrambi i regimi forfettario e semplificato, i “regimi naturali” sono concretamente due, il che giustificherebbe l’assenza di qualunque vincolo triennale nel passaggio dall’uno all’altro (nonostante tale situazione non sembra prevista al rigo VO33 della dichiarazione Iva).
Questa interpretazione – che le Entrate potrebbero avallare a Telefisco – è importante non solo per “smarcare” i contribuenti semplificati (tali per opzione resa nel 2017 o nel 2018) dalla necessità che l’ingresso nel forfettario sia reso più semplice grazie all’ultimo periodo dell’articolo 1 del Dpr 442/1997 (mutamenti normativi sensibili in grado di azzerare le opzioni precedenti), ma anche per il prossimo futuro.
È evidente che ove venisse confermata questa libertà di passaggio tra regime forfettario e regime semplificato, in presenza dei requisiti di legge, chi per il 2019 sceglie di restare semplificato, può transitare nel forfettario dal 2020 indipendentemente dalle scelte fatte nel triennio, così come chi inizia l’attività nel 2019 può iniziare in regime semplificato (ad esempio per la presenza di una causa di esclusione) salvo poi (eliminata tale causa) transitare dal 2020 nel forfait senza vincoli di durata. Si tratta, pertanto, di una conferma attesa a livello interpretativo da molti contribuenti.
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Giorgio Gavelli

Rettifica Iva per chi aderisce al regime forfettario

Attenzione alla rettifica Iva per i soggetti che «optano» per il nuovo regime forfetario, ampliato dalla legge di Bilancio 2019.

La più rilevante novità introdotta dalla legge di Bilancio 2019, articolo 1, comma 9 della legge 145/2018, per quanto riguarda il regime forfetario, è l’innalzamento della soglia di redditi che permettono l’accesso al regime in parola. Essa, infatti, viene portata genericamente a euro 65mila, eventualmente ragguagliati ad anno, tenuto conto che il nuovo comma 54 dell’articolo 1 della legge 190/2014, come sostituito dalla legge di Bilancio citata, dal primo gennaio di quest’ultimo anno stabilisce semplicemente e letteralmente che «I contribuenti persone fisiche esercenti attività d’impresa, arti o professioni applicano il regime forfetario di cui al presente comma e ai commi da 55 a 89 del presente articolo (sempre della legge 190/2014, ndA), se nell’anno precedente hanno conseguito ricavi ovvero hanno percepito compensi, ragguagliati ad anno, non superiori a euro 65.000».

Al contrario, quindi, di quanto dispone la norma in vigore fino al 31 dicembre dello scorso anno, non è più necessario verificare tutta una serie di condizioni «accessorie» quali, per esempio, il non aver sostenuto spese per lavoro dipendente o assimilato superiore a 5mila euro, e il non sostenimento di costi complessivi, per beni strumentali, non superiore a 20.000 euro, ferme restando, invece, alcune cause di esclusione.

Per quanto riguarda la determinazione del limite dei ricavi o compensi, mentre la norma fino al 31 dicembre 2018 stabilisce che non hanno rilevanza quelli derivanti da adeguamento agli studi di settore, vista la loro sostituzione con gli Isa, indici sintetici di affidabilità, la nuova norma dispone semplicemente che non rilevano gli eventuali «ulteriori componenti positivi, non risultanti dalle scritture contabili», per migliorare il proprio profilo di affidabilità, mentre continuano ad assumere rilevanza l’esercizio di contemporanee attività contraddistinte da diversi codici Ateco.

Per chi decidesse di adire al regime forfetario, è bene far presente che il passaggio da un regime diverso, può far sorgere l’obbligo di effettuare una rettifica «a sfavore» della detrazione dell’imposta assolta a monte, già operata secondo le regole ordinarie.

Passando, infatti, da un regime che vede l’applicazione dell’imposta sulle operazioni attive, a un regime che è escluso dal suo campo di applicazione, la rettifica della detrazione deve essere effettuata sui beni e sui servizi non ancora ceduti o utilizzati e sui beni ammortizzabili.

Più precisamente l’Iva relativa a beni e servizi non ancora ceduti o non ancora utilizzati deve essere rettificata in un’unica soluzione, senza attendere il materiale impiego degli stessi. Di conseguenza, nell’ipotesi in cui un contribuente intenda accedere al regime forfetario dal 2019, esso è tenuto a rettificare l’imposta versando l’Iva detratta a suo tempo con riferimento alle merci in rimanenza al 31 dicembre 2018.

Per i beni ammortizzabili, la rettifica della detrazione va eseguita soltanto se non risultano trascorsi cinque anni dall’acquisto dello stesso ovvero dieci anni per i fabbricati o loro porzioni.

Dal punto di vista operativo, la rettifica deve essere effettuata nella dichiarazione Iva dell’ultimo anno di applicazione delle regole ordinarie ossia, nel caso specifico, nella dichiarazione Iva 2019 relativa al 2018.

Fonte “Il sole 24 ore”

Il bonus dipendenti «a debito» si deduce per competenza

Il bonus riconosciuto ai dipendenti, la cui quantificazione avviene nell’esercizio successivo è fiscalmente deducibile nel periodo di competenza se la contropartita costituisce un debito.

L’agenzia delle Entrate, nella risposta n. 1 a interpello diffusa ieri, conferma che in base al principio di derivazione rafforzata non si applica il comma 1 dell’articolo 109 del Tuir, ma se l’onere ha come contropartita un Fondo la deducibilità è rimandata al periodo successivo.

La stabile organizzazione in Italia di una società estera corrisponde ad alcuni dipendenti una remunerazione costituita da una base fissa e una variabile. Quest’ultima, definita anche “bonus”, è determinata mediante un processo di valutazione condotto nell’ambito del gruppo a livello internazionale, che si conclude in un momento successivo al termine dell’esercizio di valutazione dell’operato dei dipendenti. Pertanto, il bonus è pagato in due diversi momenti: una quota (componente a) entro il termine dell’esercizio di valutazione dell’operato dei dipendenti e la parte restante (componente b) oltre il termine dello stesso, comunicata poi entro marzo dell’anno successivo.

Dal punto di vista contabile, il bonus è un onere di competenza dell’esercizio oggetto di valutazione: tuttavia, sino ad ora, la società ha dedotto nell’esercizio successivo la parte restante (componente b).

La società ritiene che, in base al principio di derivazione rafforzata, l’intero ammontare dei bonus riconosciuti ai dipendenti debba essere fiscalmente dedotto nel periodo di competenza, quello riferito all’esercizio oggetto di valutazione dell’operato dei dipendenti, ovvero il 2017.

L’Agenzia precisa che, alla luce dei chiarimenti forniti dalla parte, sembrerebbe che la componente b) abbia natura di accantonamento dal punto di vista contabile ai sensi dell’Oic 29 e dell’Oic 31: questo lo renderebbe indeducibile dal reddito di impresa nel 2017 perché agli accantonamenti non si applicano le regole della derivazione rafforzata.

Viceversa, nella differente ipotesi in cui la componente b) non avesse natura di accantonamento dal punto di vista contabile, i bonus imputati nel rendiconto chiuso al 31 dicembre 2017 (annualità oggetto di valutazione), sarebbero fiscalmente deducibili nel medesimo periodo d’imposta.

Nel quesito si afferma che il costo relativo ai bonus e ai relativi contributi sociali concorre al risultato dell’esercizio di riferimento tramite l’iscrizione in dare della componente di costo in contropartita ad un elemento di rateo passivo in avere. È anche la citazione del rateo passivo, oltre che l’assenza di ulteriori informazioni, che può avere indotto l’Agenzia a rispondere con prudenza: tuttavia, in base ai principi contabili, si dovrebbe trattare di un debito, non di un rateo.

In genere i premi da corrispondere ai dipendenti in base ad accordi contrattuali, nel bilancio in chiusura, costituiscono debiti (Oic 19): discorso diverso se i parametri di calcolo non sono prefissati e lo saranno nel successivo perché in tale situazione sarà contabilizzato un fondo. In definitiva, ogni situazione deve essere risolta analizzando documentazione e singoli aspetti.

Fonte “Il sole 24 ore”

Per la mini-voluntary versamenti entro il 1° ottobre

Settembre, tempo di dichiarazioni, sebbene quest’anno si possa beneficiare di un altro mese per la presentazione dei modelli Redditi, a seguito della disposizione di cui al comma 932 dell’articolo 1 della legge di Bilancio 2018 che ha spostato al 31 ottobre 2018 la dead line per l’invio delle denunce reddituali.

Per le persone fisiche che detengono redditi all’estero, nel promemoria per il 31 ottobre occorre segnarsi compilazione ed invio sia del modello PF che del quadro RW, la cui disciplina di regolarizzazione della presentazione contiene rilevanti peculiarità.

Anzitutto, l’articolo 5 del Dl 167/1990 stabilisce che se il quadro RW è presentato entro 90 giorni dal termine previsto per l’invio del modello Redditi PF si applica la sanzione di 258 euro. Si tratta di una sanzione che è comunque ravvedibile, stante il principio di carattere generale, più volte ribadito dalla stessa amministrazione finanziaria secondo cui le sanzioni sul monitoraggio fiscale sono sanzioni di natura tributaria.

Per le violazioni degli obblighi sul monitoraggio fiscale è irrogata una sanzione dal 3 al 15% dell’importo non dichiarato. Qualora le attività estere di natura finanziaria o gli investimenti siano detenuti in paradisi fiscali, la sanzione raddoppia ed è fissata nella misura che va dal 6 al 30% degli importi non dichiarati. La grandezza cui occorre riferirsi, quindi, è costituita dal valore indicato nel campo 8 dei righi da RW1 a RW5, vale a dire dal valore dell’intero investimento estero (patrimoniale o finanziario), che risulta al termine del periodo d’imposta oppure, se precedente, del periodo di detenzione.

Rimanendo in tema di regolarizzazione di dichiarazioni per attività detenute al di fuori dei confini nazionali, anche nel 2018 si è potuto parlare di voluntary disclosure, sebbene in versione “mini”. L’articolo 5-septies del Dl 148/2017 ha, infatti, introdotto una procedura ridotta di collaborazione volontaria riservata unicamente ai soggetti residenti in Italia (o eredi), che in precedenza erano iscritti all’anagrafe degli italiani residenti all’estero (Aire) o che hanno prestato la propria attività lavorativa in via continuativa all’estero in zone di frontiera o in Paesi limitrofi (lavoratori frontalieri), che alla data del 6 dicembre 2017 (data di entrata in vigore della legge 172/2017, di conversione del Dl 148/2017) risultano detenere, in violazione degli obblighi di monitoraggio fiscale di cui all’articolo 4 del Dl 167/1990, conti correnti o depositi all’estero derivanti da redditi da lavoro dipendente e autonomo prodotti fuori dal territorio nazionale.

Nel dettaglio, la procedura riguarda i suddetti soggetti che hanno omesso la presentazione del quadro RW, i quali per fruire della regolarizzazione hanno trasmesso l’apposita istanza entro il 31 luglio 2018 (modello approvato con provvedimento 110482/2018). Va segnalato in questa sede che ai fini del perfezionamento della sanatoria, occorre versare entro il 1° ottobre 2018 o in tre rate mensili, il 3% del valore delle attività e della giacenza al 31 dicembre 2016, a titolo di imposte, sanzioni e interessi.

Inoltre, poiché la procedura regolarizza le attività fino al 2016, il contribuente dovrà ricordarsi di compilare anche il quadro RW del modello Redditi PF 2018, entro il prossimo 31 ottobre, considerato che le attività oggetto della procedura sono quelle possedute al 6 dicembre 2017, senza dimenticarsi del pagamento dell’Ivafe dovuta che era da versare, a titolo di saldo 2017 e di primo acconto 2018, entro il mese di giugno, pertanto ravvedibile, e come secondo acconto 2018 entro il 30 novembre.

Si ricorda, infine, che la compilazione del quadro RW non si limita al solo titolare delle attività detenute all’estero, ma riguarda anche coloro che ne abbiano la disponibilità o la possibilità di movimentazione, così sono tenuti agli obblighi di monitoraggio fiscale anche i soggetti delegati al prelievo, tranne nel caso in cui si tratti di delega a operare per conto dell’intestatario.

di Pierpaolo Ceroli e Luisa Miletta

Fonte “Il sole 24 ore”

Ravvedimento per la definizione liti

Accertamento e contenzioso

Ravvedimento per la definizione liti

di Rosanna Acierno

Chiamata al ravvedimento dopo i primi versamenti per la definizione delle liti pendenti. Alcuni uffici delle Entrate stanno telefonando ai contribuenti o ai professionisti che li assistono (laddove nella domanda di adesione sia stato lasciato il recapito telefonico) per segnalare carenti versamenti delle somme dovute. Anche se poi sono i diretti interessati a dover ricalcolare l’importo corretto con il «fa-da-te». Ma vediamo nel dettaglio.

La determinazione

Nella definizione delle liti pendenti prevista dall’articolo 11 del Dl 50/2017, il contribuente interessato ha dovuto provvedere in autoliquidazione al calcolo delle somme dovute, quali le imposte accertate per intero e gli interessi da ritardata iscrizione a ruolo calcolati nella misura del 4% annuo dal giorno in cui la maggiore imposta avrebbe dovuto essere versata fino al sessantesimo giorno successivo alla notifica dell’atto, secondo la seguente formula: tributo dovuto moltiplicato 4 moltiplicato numero di giorni intercorrenti tra la scadenza ordinaria del pagamento delle imposte accertate e il sessantesimo giorno dopo la notifica dell’atto impositivo/36.500.

Sempre poi ai fini del calcolo delle somme dovute per la definizione delle liti, il contribuente ha dovuto scomputare dalla pretesa tributaria originaria (imposte, sanzioni e interessi ricalcolati fino al sessantesimo giorno dopo la notifica dell’atto), le sanzioni e le somme eventualmente già versate in pendenza di giudizio o in caso di rottamazione dei ruoli, e aggiungere le spese di notifica dell’atto.

Pertanto, qualora emergano tali errori, prima di un provvedimento di diniego, gli Uffici comunicano al contribuente il carente versamento e lo invitano a effettuare un’integrazione del versamento con ravvedimento operoso.

Ricalcolo «fai-da-te»

Il contribuente deve comunque rideterminare da solo le somme dovute. A quanto consta, infatti, gli Uffici non provvedono a comunicare l’esatto importo dovuto, limitandosi a rilevare la mera carenza del versamento. E, laddove l’errore commesso abbia riguardato soltanto il calcolo degli interessi secondo l’Ufficio è comunque necessario effettuare il versamento integrativo degli stessi mediante il ravvedimento operoso, applicando così non solo la sanzione del 30% dell’importo dovuto (seppure in misura ridotta pari a 1/8) e calcolando su di essi ulteriori interessi (anche se ciò sembrerebbe contrastare con il divieto di anatocismo).

Per poter sostenere un eventuale confronto con gli Uffici sull’errore commesso nella determinazione degli interessi, potrebbe essere opportuno predisporre e conservare una tabella di calcolo, da cui emergano in maniera chiara le modalità di determinazione delle somme autoliquidate.

Un unico codice tributo

A tal proposito sembra che gli Uffici giustifichino la richiesta di ravvedimento con il pagamento di sanzioni e interessi perché, a loro avviso, non sarebbe possibile dimostrare con certezza se il versamento errato abbia riguardato soltanto gli interessi.

La stessa agenzia delle Entrate, infatti, in sede di istituzione dei codici tributo per il versamento delle somme dovute ai fini della definizione delle liti pendenti non ha previsto la distinzione tra le somme da imputare al versamento dell’imposta rispetto a quelle da imputare al versamento degli interessi.

La terza rata

Nel caso di regolarizzazione spontanea dei versamenti già effettuati, occorrerà prestare molta attenzione anche alla terza e ultima rata. I contribuenti che hanno aderito all’istituto della definizione delle liti pendenti e che, dovendo versare importi superiori a 2mila euro, hanno scelto di pagare in tre rate le somme dovute dovranno infatti ricordare di ricalcolare correttamente l’ultima rata (pari al 20% degli importi dovuti oltre agli interessi legali calcolati dal 3 ottobre 2017) e versarla entro il prossimo 2 luglio 2018 (perché il 30 giugno 2018 cade di sabato).

 Fonte “Il sole 24 ore”

Tassazione a tre vie per i dividendi dei soggetti Ires

Regime ordinario di esclusione dal reddito per il 95% dell’ammontare, tassazione integrale o detassazione al 50 per cento. Sono tre i regimi di imposizione dei dividendi per i soggetti Ires previsti a seguito delle modifiche introdotte dalla legge di Bilancio 2018 (legge 205/2017).

Quest’ultima ha modificato le modalità di tassazione dei dividendi provenienti da Stati o territori a regime fiscale privilegiato (che vengono chiamati per semplicità black list anche se la lista nera al decreto 21 novembre 2001 non è più operativa) , stabilendo un regime di esclusione parziale (al 50%) dal reddito della società percipiente a condizione che sia dimostrato l’effettivo svolgimento, da parte della partecipata non residente, di un’attività industriale o commerciale nel mercato dello Stato o territorio di insediamento.

Di fatto è un regime “intermedio” (per i soli soggetti Ires) tra il regime di tassazione integrale che ha finora caratterizzato i dividendi provenienti da Stati a fiscalità privilegiata ed il regime di esclusione al 95% (ovvero tassazione per il 5%) che rappresenta il regime ordinario di tassazione dei dividendi.

Il regime ordinario si applica agli “utili” distribuiti in qualsiasi forma dalle società ed enti residenti, nonché ai proventi derivanti da strumenti finanziari partecipativi, la cui remunerazione sia costituita totalmente dalla partecipazione ai risultati economici dell’emittente o di altre società del gruppo, e alla remunerazione dei contratti di associazione in partecipazione e cointeressenza che prevedono un apporto di capitale da parte dell’associato.

In caso di utili distribuiti da società non residenti è inoltre richiesto che gli stessi siano indeducibili dal reddito estero dell’emittente e che non siano “provenienti” da società in Paesi a fiscalità privilegiata diversi da quelli Ue o See.

Per gli utili di provenienza black list l’integrale imposizione dei dividendi poteva finora essere evitata solo nel caso in cui gli utili stessi fossero stati imputati al socio per trasparenza ai sensi della disciplina Cfc, ovvero a seguito della dimostrazione che «dalle partecipazioni non fosse conseguito l’effetto di localizzare i redditi in Stati o territori a regime fiscale privilegiato» (seconda esimente).

Al contrario, nessuna deroga al regime di integrale imponibilità era finora accordata dimostrando lo svolgimento da parte della partecipata di un’attività industriale o commerciale (prima esimente).

La dimostrazione dell’esimente dell’effettiva attività commerciale consentiva di evitare la tassazione per trasparenza del reddito della partecipata, ma non la tassazione integrale dei dividendi da questa distribuita. In questo caso l’unico correttivo consisteva nel riconoscimento di un credito d’imposta “indiretto” sugli utili maturati durante il periodo di possesso della partecipazione.

In questo contesto interviene la legge di Bilancio 2018, che introduce una detassazione del 50% dell’ammontare dei dividendi provenienti da soggetti residenti in paradisi fiscali che svolgono un’effettiva attività industriale o commerciale. Resta ferma, inoltre, la possibilità di ottenere il credito d’imposta “indiretto” per le imposte estere assolte dalla partecipata nei limiti dell’imposta italiana relativa a tali utili, quindi nei limiti del 50 per cento.

Senza una decorrenza specifica, le nuove regole dovrebbero applicarsi in relazione agli utili percepiti dal 1° gennaio 2018, indipendentemente dall’esercizio di maturazione degli stessi e dalla data della delibera. Il nuovo regime, peraltro, non si estende alla tassazione delle plusvalenze derivanti da cessione di partecipazioni in società operative residenti in paradisi fiscali, che restano pienamente imponibili, salvo che sia fornita la dimostrazione che dalle partecipazioni non sia stato conseguito l’effetto di localizzare i redditi in Stati a regime fiscale privilegiato.

Fonte “Il sole 24 ore”

Licenza del marchio a tassazione differenziata

Il contratto di licenza del marchio, strumento sempre più diffuso per sfruttare economicamente il capitale intangibile, crea una scissione tra la proprietà del bene immateriale (marchio) e il suo utilizzo a fini commerciali; il licenziatario acquista la facoltà di realizzare e mettere in commercio prodotti contraddistinti dal segno distintivo per un dato periodo di tempo mentre il titolare del marchio mantiene la piena proprietà del bene.

Gli aspetti fiscali che attraversano la materia sono molteplici con maggiore impatto nel caso di cessione o concessione della licenza sul marchio tra soggetti business, ma vi sono aspetti peculiari coinvolgenti la tassazione anche con riferimento alla gestione dei marchi da parte di persone fisiche (private) non esercenti attività di impresa o attività libero professionale.

Quando la gestione coinvolge le persone fisiche titolari di partita Iva, risulta fondamentale operare una netta distinzione tra la sfera personale e quella professionale dell’imprenditore o lavoratore autonomo al fine di comprendere a quale compendio patrimoniale afferisce il «marchio». La distinzione più agevole nell’ambito dell’impresa può risultare difficile nell’ambito del lavoro autonomo a causa della maggiore confondibilità tra elementi personali e professionali. Questa è una delle motivazioni che stanno alla base dell’evoluzione legislativa operata dall’articolo 36, comma 29, Dl 223/2006 (decreto Bersani) che ha aggiunto il comma 1-quater all’articolo 54, Tuir . Tale norma tassa come reddito di lavoro autonomo anche i corrispettivi percepiti a seguito di cessione della clientela o di elementi immateriali riferibili all’attività artistica o professionale. La tassazione è subordinata a due precise condizioni: 1) il concedente è un esercente di arti o professioni; 2) il marchio e gli elementi immateriali, in genere, sono riferibili all’attività artistica o professionale svolta da un lavoratore autonomo. Sfuggono, dunque, al reddito di lavoro autonomo le somme percepite da un professionista per la cessione di un marchio che esuli dall’attività artistica o professionale svolta.

Si pensi al caso del geometra che riceve iure successionis il marchio di un prodotto dell’impresa di famiglia acquisito al patrimonio del genitore dopo la liquidazione della predetta impresa: nel caso della cessione del marchio ereditato, il professionista si comporterà esattamente come un soggetto privato, posto che il bene immateriale in esame esula dal novero dell’attività professionale e afferisce, pertanto, a quello personale.

Ulteriore punto da sottolineare è che la lettera dell’articolo 54, comma 1-quater, Tuir si riferisce alla sola cessione del marchio, ma non cita la concessione in godimento o, più in generale, l’utilizzazione di un bene intangibile afferente all’attività professionale. Tale omissione ci pare che non legittimi un’interpretazione che conduca all’esclusione dal reddito professionale dei redditi generati con questi (speciali) beni afferenti la sfera professionale. Sul punto, la risoluzione 255/E/2009, che ha analizzato il caso della cessione dello sfruttamento economico del diritto d’immagine da un professionista dietro costituzione di una rendita vitalizia, ha ricondotto il relativo compenso all’attività professionale e al reddito di lavoro autonomo ex articolo 54 Tuir.

Ove il marchio sia detenuto da un privato, il reddito derivante dalla concessione di un marchio èregolato dall’articolo 67, comma 1, lettera l), Tuir quale reddito diverso, conclusione affermata con la risoluzione 30/E/2006 in cui si analizzava il caso di un contratto di natura obbligatoria nel quale al contribuente si concedeva, verso corrispettivo, l’utilizzo del segno grafico dello studio professionale, al fine di apparire nei confronti dei clienti come uno studio collegato al concedente. Tali dinamiche generatrici di obbligazioni di fare o permettere sono sovrapponibili a quelle rinvenibili nei contratti (atipici) di licenza su marchio. L’orientamento è ancora attuale nell’indagine effettuata sull’oggetto del contratto, pur essendo ormai superata dalla evoluzione normativa per i soli soggetti che applicano l’articolo 54 Tuir.

In relazione ai redditi derivanti dallo sfruttamento del marchio da parte di un contribuente privato, va osservato che la relazione ministeriale all’articolo 49 Tuir (ora trasposto nell’articolo 53 Tuir) aveva esplicitamente chiarito che «(…) ai redditi derivanti dall’utilizzazione economica di marchi di fabbrica e di commercio non si puòriconoscere nénatura di redditi di lavoro autonomo, néquella di redditi diversi dato che l’utilizzazione di marchi d’impresa avviene in sede di trasferimento d’azienda o di un ramo di essa o mediante la concessione di licenze non esclusive, e quindi nell’esercizio d’impresa». Sul punto annotiamo che tali argomentazioni erano valide nel quadro economico-giuridico applicabile allora, quando, per esempio, la normativa nazionale interna impediva la circolazione del marchio disgiuntamente dall’azienda. Nell’attuale quadro normativo, invece, la concessione a terzi di un marchio sconta la tassazione residuale per il privato e quella professionale per i soggetti business.

Al contrario, in caso di cessione a terzi del marchio da parte di un soggetto privato, i proventi derivanti da tale operazione non possono essere attratti tra i redditi diversi che costituiscono categoria reddituale residuale, ma non onnicomprensiva. Nel caso di cessione del marchio, il cedente non assume alcuna obbligazione di fare, non fare o permettere ma attua un trasferimento di patrimonio a titolo definitivo, verso corrispettivo e con trascrizione dell’atto presso un albo pubblico.

Fonte “Il sole 24 ore”

LA DETRAZIONE PER SPESE MEDICHE

Mesoterapia e ozonoterapia detraibili con prescrizione medica

Premessa – Le spese relative ai trattamenti di mesoterapia e ozonoterapia effettuati da personale medico sono ammesse in detrazione. Ai fini della detraibilità occorre che le spese siano correlate ad una prescrizione medica. Non sono, invece, detraibili i trattamenti di “haloterapia” o grotte di sale: il Ministero della Salute sta ancora valutando la possibilità di assimilare questi trattamenti alle procedure sanitarie. 
TUIR – L’articolo 15, comma 1, lett. c), del TUIR, include tra gli oneri detraibili le “spese mediche e di assistenza specifica, diverse da quelle indicate nell’articolo 10, comma 1, lett. b), e dalle spese chirurgiche, per prestazioni specialistiche e per protesi dentarie e sanitarie in genere”. L’articolo 10, comma 1, lett. b), include tra gli oneri deducibili “le spese mediche e quelle di assistenza specifica necessarie nei casi di grave e permanente invalidità o menomazione, sostenute dai soggetti indicati nell’art. 3 della L. 5 febbraio 1992, n. 104.”.
Prestazioni – In termini generali, non tutte le prestazioni rese da un medico o sotto la sua supervisione sono ammesse alla detrazione, ma solo quelle di natura sanitaria, rispondenti a trattamenti sanitari qualificati che, in quanto finalizzati alla cura di una patologia, devono essere effettuati da medici o da personale abilitato dalle autorità competenti in materia sanitaria (cfr. Circolare n. 17/E del 2006). Ad esempio, non sono detraibili le spese sostenute per prestazioni non necessarie per un recupero alla normalità sanitaria e funzionale della persona, ma tese semplicemente a rendere più gradevole l’aspetto personale (cfr. Circolare n. 14 del 1981). In tal senso, la detrazione è esclusa, ad esempio, per le prestazioni di chirurgia estetica o di medicina estetica non conseguenti ad incidenti, malattie, o malformazioni congenite, anche se effettuate da personale medico o sotto la sua supervisione.
Chiropratico – Con riferimento, in particolare, alle prestazioni rese dal chiropratico, figura professionale ad oggi priva di regolamentazione, malgrado l’articolo 2, comma 355, della Legge n. 244 del 2007 preveda l’istituzione del registro dei dottori in chiropratica, la detrazione è stata ammessa sulla base delle indicazioni date dal Ministero della Sanità (oggi Salute), con la Circolare n. 66 del 1984, ove si è riconosciuta la possibilità di eseguire prestazioni chiroterapiche presso idonee strutture debitamente autorizzate la cui direzione sia affidata ad un medico specialista in fisiatria o ortopedia.
Mesoterapia – Per ciò che concerne trattamenti di mesoterapia, ozonoterapia e “haloterapia” (o grotte di sale), il Ministero della Salute, interpellato dall’Agenzia delle Entrate, ha precisato che “le prestazioni di mesoterapia e di ozonoterapia sono ascrivibili all’ambito delle procedure e pratiche di natura sanitaria, per quanto non incluse nei Livelli Essenziali definiti a livello nazionale”. Pertanto, le spese relative ai trattamenti di mesoterapia ed ozonoterapia effettuati da personale medico o da personale abilitato dalle autorità competenti in materia sanitaria, in quanto ascrivibili a trattamenti di natura sanitaria, sono ammesse in detrazione.
Prescrizione medica – Ai fini della detraibilità occorre che le predette spese siano correlate ad una prescrizione medica, idonea a dimostrare il necessario collegamento della prestazione resa con la cura di una patologia (cfr. Circolare n. 17/E del 2006).
Haloterapia – Diversamente, per ciò che riguarda i trattamenti di “haloterapia” o Grotte di sale, il medesimo Ministero sta svolgendo approfondimenti sulla riconducibilità di tale tipo di trattamento all’ambito delle procedure sanitarie. Pertanto, le relative spese non sono allo stato detraibili.
AUTORE: REDAZIONE FISCAL FOCUS

LA FATTURA ELETTRONICA PUÒ ESSERE ANCHE “DIFFERITA”

Premessa – A decorrere dal 31 marzo 2015 (Dl n. 66/2014), tutti gli enti nazionali e le amministrazioni locali non possono più accettare le fatture in formato cartaceo ma sono obbligate alla fatturazione elettronica (per Ministeri, Agenzie fiscali ed enti nazionali di previdenza, l’obbligo già decorreva dal 6 giugno 2014).
Inoltre, a oggi, le pubbliche amministrazioni non potranno procedere al pagamento del fornitore del bene o del servizio, neppure parziale, fino all’invio del documento in forma elettronica.
Si ricorda che, l’obbligo di fatturazione in forma elettronica nei confronti delle Amministrazioni dello Stato è stato introdotto dalla Finanziaria 2008 (Legge n. 244/2007) cui sono succeduti due decreti attuativi:

  • decreto 7 marzo 2008 (Gazzetta Ufficiale n.103 del 03/05/2008) con cui il legislatore ha individuato nell’Agenzia delle Entrate il Gestore del Sistema di Interscambio (SDI) per l’invio e la ricezione delle fatture elettroniche verso la PA, definendone compiti e responsabilità. Con lo stesso decreto è stata Individuata nella SOGEI Spa la struttura dedicata ai servizi strumentali e alla conduzione tecnica dell’SDI;
  • decreto Ministro Economia e Finanze n. 55 del 3 aprile 2013 (Gazzetta Ufficiale n.118 del 22/05/2013) che rende operative le regole tecniche per la gestione dei processi di fatturazione elettronica verso la pubblica amministrazione.

Quando la fattura è elettronica – La fattura elettronica, sostituisce in tutto e per tutto la fatturazione cartacea ma restano tuttavia ferme le regole di fatturazione. Secondo il precedente chiarimento dell’Agenzia delle Entrate, fornito con la circolare n. 18/E/2014, affinché una fattura possa essere definita elettronica e non cartacea, non è rilevante il formato utilizzato per la sua creazione (elettronico o cartaceo), bensì il solo fatto che la stessa sia in formato elettronico quando è emessa o messa a disposizione, ricevuta e accettata dal destinatario.
In particolare, secondo l’amministrazione finanziaria, è elettronica anche la fattura cartacea trasformata in documento informatico per essere spedita e ricevuta dal destinatario via posta elettronica. Non può, invece, essere considerata elettronica la fattura che seppur generata tramite un software di contabilità, è comunque inviata all’ente in formato cartaceo.

La fattura elettronica differita – A oggi, la possibilità di emettere fattura differita cartacea, è prevista sia per le cessioni di beni che per le prestazioni di servizi. Ciò è espressamente previsto dall’articolo 21, comma 4, lettera a), del D.P.R. n. 633 del 1972, in cui è disposto che “per le cessioni di beni la cui consegna o spedizione risulta da documento di trasporto o da altro documento idoneo a identificare i soggetti tra i quali è effettuata l’operazione ed avente le caratteristiche determinate con decreto del Presidente della Repubblica 14 agosto 1996, n. 472, nonché per le prestazioni di servizi individuabili attraverso idonea documentazione, effettuate nello stesso mese solare nei confronti del medesimo soggetto, può essere emessa una sola fattura, recante il dettaglio delle operazioni, entro il giorno 15 del mese successivo a quello di effettuazione delle medesime”.
Per quanto riguarda le prestazioni di servizi individuabili attraverso “idonea documentazione”, l’Agenzia delle Entrate, con la stessa circolare n. 18/E/2014 ha chiarito che per “idonea documentazione” potrebbe intendersi, ad esempio, oltre del documento attestante l’avvenuto incasso del corrispettivo, del contratto, della nota di consegna lavori, della lettera d’incarico, della relazione professionale, purché risultino in modo chiaro e puntuale la prestazione eseguita, la data di effettuazione e le parti contraenti.
Anche la fattura elettronica, così come quella cartacea può essere emessa in modalità “differita” entro il 15 del mese successivo alla consegna del bene oggetto di compravendita o dall’avvenuto incasso della prestazione resa.
Quindi, ciò ad esempio, sta significando che il fornitore potrebbe consegnare all’ente pubblico (esempio Comune) i beni acquistati ed emettere la preventiva bolla di consegna (o DDT) per poi emettere la fattura elettronica (per la quale sussiste l’obbligo) entro il 15 del mese successivo alla consegna con la possibilità di fatturare tutti i beni acquistati e consegnati il mese precedente a condizione che nella fattura siano comunque richiamati il numero e la data della bolla.

AUTORE: PASQUALE PIRONE

 

La convenienza del nuovo forfettario

La convenienza del nuovo forfettario – Agevolato l’avvio di nuove iniziative produttive

Premessa – A seguito dell’abrogazione del regime dei minimi il legislatore ha previsto nel nuovo regime forfettario la riduzione dell’aliquota dell’imposta sostituiva dal 15% al 5% per le start up con l’intento di continuare ad agevolare l’avvio di nuove iniziative produttive. Nel calcolo della convenienza del regime tale riduzione di aliquota va aggiunta alla forfetizzazione dei costi e al regime previdenziale agevolato per artigiani e commercianti.

Start up – La legge di stabilità 2016 prevede per i contribuenti forfettari la riduzione dell’aliquota d’imposta dal 15 % al 5 % per i primi cinque anni, solo nell’ipotesi di inizio di una nuova attività. I soggetti che al termine del quinquennio agevolato con tassazione al 5% possederanno ancora i requisiti richiesti dalla Legge 190/2014 (art. 1 commi da 54 a 89) potranno continuare ad avvalersi del regime di favore transitando attraverso la tassazione al 15%.

Abrogazione – Contemporaneamente viene definitivamente abrogato il regime previsto per l’imprenditoria giovanile ex D.L. 98/2011 per le nuove attività (c.d. “regime dei minimi”), poiché si prevede all’interno del forfettario (L. 190/2014) la suddetta possibilità di tassare in maniera più favorevole le start up ed inoltre viene cancellato il comma 65, art. 1 L. 190/2014 nella parte in cui ammetteva l’agevolazione prevista per i primi tre anni di attività consistente nella riduzione del reddito imponibile per 1/3.

Avvio nuove attività – La norma, dunque, persegue in maniera evidente la finalità di favorire l’avvio di nuove iniziative produttive. Si può infatti ben affermare che il vantaggio potrà essere ancora maggiore rispetto al passato poiché chi parte con una nuova attività dal 01.01.2016 oltre al beneficio legato all’aliquota 5% (già presente nei precedenti minimi) potrà ora aggiungere anche la forfettizzazione dei costi.

Reddito forfettario – Circa la determinazione del reddito forfetario bisogna sottolineare il fatto che la percentuale di costi forfetariamente riconosciuta è variabile in relazione all’attività economica, quindi per ciascuna posizione va verificata l’incidenza dei costi effettivi e confrontata con la percentuale forfetaria.

Carico fiscale – In relazione all’applicazione dell’imposta sostitutiva, invece, va considerato che l’aliquota irpef effettiva non corrisponde a quella nominale applicata in quanto l’imposta netta è influenzata dalla specifica detrazione d’imposta spettante per i possessori di redditi d’impresa/lavoro autonomo. In virtù di ciò l’aliquota al 5% è certamente più conveniente del regime ordinario irpef, al contrario l’applicazione dell’aliquota del 15% deve essere confrontata con l’Irpef ordinaria gravante sul contribuente sulla base del reddito effettivamente conseguito e delle detrazioni a lui spettanti.

Soglie dei ricavi – Anche l’aumento delle soglie dei ricavi avrà una convenienza tangibile per chi è già operativo e sarebbe stato tagliato fuori dalle condizioni più stringenti fissate lo scorso anno per accedere al forfetizzato.

Regime previdenziale – Per i soli imprenditori iscritti alla Gestione IVS va anche valutata la possibilità, in caso di applicazione del regime forfetario, di usufruire, in via facoltativa, di un regime previdenziale di favore consistente nel pagamento dei contributi previdenziali sul reddito in misura ridotta.

Autore: redazione fiscal focus

 

Stabilità 2016: note di variazione e procedure concorsuali

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Con la Legge di Stabilità 2016 è stata ridisegnata la normativa che disciplina l’emissione delle note di variazione in diminuzione (art. 26, D.P.R. 633/1972), prevedendo in primo luogo una distinzione delle cause che legittimano l’emissione della nota di variazione e anticipando di termini di emissione della nota di variazione nei casi di cessionari e/o committenti assoggettati a procedure concorsuali. E’ proprio su quest’ultimo caso vogliamo concentrare l’attenzione in questo intervento.

Nella precedente normativa, ante Legge di Stabilità 2016, si prevedeva che nei casi di cessionari e/o committenti assoggettati a procedure concorsuali la nota di variazione potesse essere emessa esclusivamente alla conclusione infruttuosa di una procedura concorsuale o esecutiva.

La nuova formulazione normativa prevede importanti novità circa la data a partire dalla quale può essere emessa la nota di variazione.

Si prevede infatti che la nota di variazione in diminuzione può essere emessa anche in caso di mancato pagamento, in tutto o in parte, da parte del cessionario o committente:

  • a partire dalla data in cui quest’ultimo è assoggettato a una procedura concorsuale;
  • dalla data del decreto che omologa un accordo di ristrutturazione dei debiti di cui all’articolo 182-bis del Regio Decreto 16 marzo 1942, n. 267;
  • dalla data di pubblicazione nel registro delle imprese di un piano attestato ai sensi dell’articolo 67, terzo comma, lettera d), del Regio Decreto 16 marzo 1942, n. 267;
  • a causa di procedure esecutive individuali rimaste infruttuose.

Nella sostanza la nuova norma autorizza l’emissione della nota di accredito in relazione all’Iva addebitata e mai incassata dal creditore, senza dover attendere i lunghi tempi necessari per la conclusione dell’iter concorsuale. In più vi è un allineamento con la normativa prevista ai fini delle imposte sui redditi (art. 101, co. 5, D.P.R. 917/1986), la quale prevede la deduzione dalle imposte sui redditi delle perdite su crediti vantati nei confronti di soggetti assoggettati a procedure concorsuali già alla data di apertura alle stesse.

Per ciò che riguarda l’assoggettamento a procedure concorsuali, viene precisato che:

  • il debitore si considera assoggettato a procedura concorsuale dalla data della sentenza dichiarativa del fallimento o del provvedimento che ordina la liquidazione coatta amministrativa o del decreto di ammissione alla procedura di concordato preventivo o del decreto che dispone la procedura di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi.

Inoltre, vengono individuate tre fattispecie al verificarsi delle quali una procedura esecutiva può definirsi infruttuosa:

  • nell’ipotesi di pignoramento presso terzi, quando dal verbale di pignoramento redatto dall’ufficiale giudiziario risulti che presso il terzo pignorato non vi sono beni o crediti da pignorare;
  • nell’ipotesi di pignoramento di beni mobili, quando dal verbale di pignoramento redatto dall’ufficiale giudiziario risulti la mancanza di beni da pignorare ovvero l’impossibilità di accesso al domicilio del debitore ovvero la sua irreperibilità;
  • nell’ipotesi in cui, dopo che per tre volte l’asta per la vendita del bene pignorato sia andata deserta, si decida di interrompere la procedura esecutiva per eccessiva onerosità.
Autore: REDAZIONE FISCAL FOCUS

Srl: opzione per il regime di trasparenza fiscale entro il 31 dicembre

Entro il prossimo 31 dicembre i soci di Srl che intendono aderire o prorogare di un ulteriore triennio il regime di trasparenza fiscale (c.d. “piccola trasparenza”) sono chiamati ad effettuare la comunicazione all’Agenzia delle Entrate, da trasmettere telematicamente su apposito modello.

Entro il termine del 31 dicembre 2014 le persone fisiche socie di società di capitali (con soci in numero non superiore a 10) o di società cooperative a responsabilità limitata (con soci in numero non superiore a 20) possono esercitare l’opzione per il regime della cosiddetta “piccolatrasparenza fiscale di cui all’art.116 Tuir con riferimento al triennio 2014 – 2016.

Entro lo stesso termine, va rinnovata l’opzione anche da parte di quelle persone fisiche che hanno aderito per il triennio 2011/2013 e intendono continuare ad applicare tale regime anche per il successivo triennio 2014/2016. L’opzione infatti non si rinnova automaticamente ma è richiesta una specifica conferma.

L’imputazione del reddito ai soci
Il regime fiscale della c.d. “piccolatrasparenza è un regime fiscale applicabile a società (Srl o Scarl) partecipate da sole persone fisiche. Il regime permette di tassare il reddito prodotto dalle Srl e dalle Scarl, con le modalità delle società di persone: in pratica, il reddito determinato in capo alla società viene ripartito e tassato in capo ai soci in relazione alle rispettive quote di partecipazione, mentre l’Irap continuerà ad essere dovuta dalla società.
Al pari delle società di persone, il reddito sarà tassato in capo ai soci indipendentemente dall’effettiva percezione, con riferimento al periodo di competenza; d’altro canto, quando la società distribuirà (anche in periodi d’imposta successivi alla vigenza dell’opzione) le riserve alimentate con utili conseguiti in vigenza dell’opzione per la trasparenza, i dividendi non subiranno alcuna ulteriore tassazione in capo ai soci.

I vantaggi
I principali vantaggi derivanti dall’opzione per questo regime sono i seguenti:

  • se i soci hanno un’aliquota marginale Irpef inferiore a quella Ires (ad oggi il 27,5%) si ottiene una riduzione della tassazione complessiva;
  • si evita di tassare una seconda volta il dividendo in sede di distribuzione (il dividendo distribuito partecipa, seppure parzialmente, al reddito complessivo del socio se la partecipazione qualificata oppure è tassato con una sostitutiva del 26 % se la partecipazione è non qualificata);
  • si migliorano gli indici reddituali della società e quindi le analisi poste in essere dal sistema bancario (non sono accantonate in bilancio le imposte, quindi l’utile risulta formalmente più elevato);
  • incrementando il reddito dichiarato dal socio, si allontanano rischi di eventuali verifiche fiscali legate alle manifestazioni della capacità di spesa del socio stesso (redditometro).

Gli svantaggi
L’opzione per il regime presenta anche degli svantaggi (o, per meglio dire, degli aspetti a cui occorre prestare particolare attenzione):

  • poiché sono i singoli soci a versare le imposte in luogo della società anche senza aver ricevuto alcun dividendo, occorre pianificare con attenzione le risorse finanziarie necessarie per tali pagamenti;
  • sotto il profilo tributario i soci diventano illimitatamente responsabili in solido tra di loro e con la società (al contrario, senza opzione per il regime di trasparenza, solo la società è responsabile per le imposte da questa dovute). Il regime deve quindi essere sconsigliato se esistono rischi fiscali in capo alla società ovvero se non esiste perfetta sintonia tra i soci.

Requisiti e adempimenti per aderire alla trasparenza fiscale
L’articolo 116 del Tuir prevede che per esercitare l’opzione per l’esercizio della trasparenza fiscale siano rispettati i seguenti requisiti:

  • volume di ricavi della Srl non superiore alle soglie previste per l’applicazione degli tsudi di settore;
  • compagine sociale composta esclusivamente da persone fisiche in un numero non superiore a 10 (Srl) o 20 (cooperative);

Per aderire al regime è necessario raccogliere il consenso di tutti i soci, mediante comunicazione da inviarsi alla società, per raccomandata o Pec, ed inviare telematicamente all’Agenzia delle Entrate, entro il 31 dicembre, una comunicazione da parte della società trasparente per comunicare l’adesione o la proroga del regime.

Agevolazioni:immobili destinati alla locazione

 Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Le spese che godono dell’agevolazione

Premessa – E’ stato pubblicato in “Gazzetta Ufficiale” n. 282 del 3 dicembre il decreto 8 settembre che regolamenta la deduzione Irpef del 20% sul prezzo di acquisto degli immobili destinati alla locazione. Secondo quanto previsto per fruire dell’agevolazione le unità immobiliari devono risultare invendute alla data del 12 novembre 2014.

Agevolazione – Come noto, a favore delle persone fisiche (privati) che nel periodo 1.1.2014 – 31.12.2017 sostengono spese per l’acquisto/costruzione di unità immobiliari da destinare a locazione, l’art. 21, DL n. 133/2014 riconosce una specifica deduzione dal reddito complessivo. Con il Decreto 8.9.2015, pubblicato sulla G.U. 3.12.2015, n. 282, il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti (MIT) e il Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF) hanno definito, ai sensi del comma 6 del citato art. 21, “le ulteriori modalità attuative”, stante la “ravvisata necessità di fornire ai contribuenti un’informazione completa sui soggetti legittimati, sui titoli abilitanti, sui termini previsti e sugli adempimenti amministrativi necessari per usufruire della deduzione …”.

Le spese – L’agevolazione in esame spetta per le spese sostenute dall’1.1.2014 al 31.12.2017 in relazione all’acquisto ovvero alla costruzione su un’area edificabile già posseduta. La deduzione è riconosciuta per l’acquisto di unità immobiliari a destinazione residenziale di nuova costruzione ovvero oggetto di ristrutturazione/restauro/risanamento conservativo ex art. 3, comma 1, lett. c) e d), DPR n. 380/2001 cedute dall’impresa/cooperativa edilizia costruttrice o che ha effettuato il predetto intervento.

Unità invendute – Ai fini dell’agevolazione l’unità immobiliare deve risultare invenduta al 12.11.2014 (data di entrata in vigore della legge di conversione del DL n. 133/2014). Come precisato dall’art. 1 del recente DM, è considerata tale quella che a detta data era già interamente/parzialmente costruita ovvero per la quale a tale data era stato rilasciato il titolo abilitativo edilizio, comunque denominato ovvero per la quale a tale data “era stato dato concreto avvio agli adempimenti propedeutici all’edificazione quali la convenzione tra Comune e soggetto attuatore dell’intervento, ovvero gli accordi similari comunque denominati dalla legislazione regionale”.

Soggetti – Come stabilito dall’art. 2 del citato DM la deduzione è riconosciuta ai soggetti titolari del diritto di proprietà dell’unità immobiliare in relazione alla quota di proprietà per l’acquisto di unità abitative per le quali, nel periodo 1.1.2014 – 31.12.2017, è stato rilasciato il certificato di agibilità o si sia formato il silenzio – assenso ex art. 25, DPR n. 380/2001.

Costruzione – L’agevolazione spetta altresì per le prestazioni di servizi, dipendenti da un contratto d’appalto, per la costruzione di unità immobiliari a destinazione residenziale su aree edificabili possedute prima dell’inizio dei lavori o sulle quali sono già riconosciuti diritti edificatori. Come specificato dall’art. 3 del citato DM, le spese devono essere attestate dalle fatture emesse dall’impresa che esegue i lavori di costruzione. La deduzione è riconosciuta per la costruzione di unità immobiliari, da ultimare entro il 31.12.2017, per le quali prima del 12.11.2014 è stato rilasciato il titolo abilitativo edilizio, comunque denominato e per le spese attestate nel periodo 1.1.2014 – 31.12.2017.

Autore: redazione fiscal focus

Forfettari: novità anche per chi ha aderito nel 2015

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Nuovo limite dei ricavi e imposta ridotta per le start up

Premessa – Secondo quanto previsto dal disegno di legge di stabilità 2016 per i contribuenti forfettari dal 2016 sono previsti limiti di ricavi più elevati e per le start up un’imposta sostitutiva del 5 %. Tali nuove norme verranno applicate anche a coloro che hanno aderito a al regime agevolato già dal 2015.

Legge di stabilità 2016 – Come noto il D.D.L. Stabilità 2016 prevede una serie di modifiche al regime forfettario tra cui l’innalzamento delle soglie di ricavi e compensi che consentono di accedere al regime aumentandole di 10.000 euro per tutte le attività ad eccezione delle attività professionali ed equiparate il cui aumento è pari a 15.000 euro portando così il tetto a 30.000 euro.

Limite dei ricavi – La verifica del suddetto requisito va effettuata avendo riguardo all’anno precedente quello di riferimento. Pertanto con riferimento al 2016, le condizioni di accesso vanno verificate nel 2015. Si ritiene, quindi, che i nuovi limiti dei ricavi che entreranno in vigore dal 1.1.2016 si applicheranno per la verifica dei requisiti per il periodo d’imposta 2016 prendendo ad esame il periodo d’imposta 2015. Un libero professionista che nel 2015 ha applicato il regime forfettario conseguendo ricavi per € 20.000 potrà quindi operare nel regime forfettario anche nel 2016 in quanto il limite in vigore al 1.1.2016 corrisponde a 30.000 euro ed il contribuente avendo conseguito nel 2015 ricavi per 20.000 euro può rimanere nel regime agevolato anche nel 2016.

Start up – Altra modifica è data dal fatto che per i contribuenti che rispettano i requisiti per il regime forfettario e che intraprendono un’attività “nuova”, il reddito determinato con le regole previste per il regime forfettario non sarà più ridotto di 1/3 per l’anno di inizio attività e per i due successivi ma al contrario secondo quanto previsto dal testo del disegno di Legge di Stabilità 2016 dal 2016, si applicherà l’aliquota del 5% per i primi 5 anni di attività.

Inizio nel 2015 – Nel comma 3 dell’art. 8 del DDL di Stabilità 2016 è stato espressamente stabilito che i contribuenti che hanno intrapreso una nuova attività nel 2015 avvalendosi della riduzione di un terzo del reddito possono applicare la nuova aliquota del 5% nei successivi 4 anni, cioè dal 2016 al 2019. Al contrario il contribuente che nel 2015 ha operato in regime ordinario qualora nel 2016 transiti al regime forfettario dovrà applicare l’aliquota piena del 15%.

Regime Inps – I commi da 76 a 84, art. 1, Legge di Stabilità 2015, hanno introdotto una misura agevolativa in ambito previdenziale, riservata ai soli contribuenti obbligati al versamento previdenziale presso le gestioni speciali artigiani e commercianti. I soli contribuenti esercenti attività d’impresa, se applicano il regime forfettario, possono usufruire di un regime agevolato contributivo che consiste nel non applicare il minimale contributivo di cui all’articolo 1, comma 3, Legge n. 233/1990.

Modifiche – Il disegno di Legge di Stabilità interviene ora sul comma 77 sostituendolo integralmente. In virtù delle modifiche apportate si prevede che sul reddito forfettario determinato sulla base delle percentuali di redditività come modificate dallo stesso DDL la contribuzione dovuta ai fini previdenziali sia “ridotta del 35 per cento”. Non essendo state apportate altre modifiche, è confermato anche che il regime contributivo in questione potrà essere attivato esclusivamente su opzione del contribuente.

Comunicazione – Dovrà essere chiarito al riguardo se i soggetti che hanno optato nel corso del 2015 per la contribuzione ridotta, versione Stabilità 2015, siano automaticamente attratti dalle nuove modalità di versamento ovvero se si debba in qualche modo confermare l’opzione. Sul punto l’Inps dovrà, eventualmente, fornire istruzioni.

Autore: REDAZIONE FISCAL FOCUS

IMU e TASI in caso di assegnazione “altro immobile” all’ex coniuge

 Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Premessa – L’art. 4 comma 12-quinquies, D.L. 16/2012 dispone che ai fini dell’IMU, l’assegnazione dell’abitazione coniugale a favore di uno dei coniugi, disposta a seguito di provvedimento di cessazione degli effetti civili del matrimonio “si intende in ogni caso effettuata a titolo di diritto di abitazione”.

Con l’art. 1, comma 707, della legge n. 147/2013, il legislatore ha poi espressamente disposto la piena inapplicabilità dell’IMU “sulla casa coniugale assegnata al coniuge, a seguito di provvedimento di separazione legale, annullamento, scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio”.

“Altro immobile” assegnato all’ex coniuge – Dunque, sulla base di quanto appena affermato in premessa, ai fini IMU, la casa coniugale assegnata all’ex coniuge è considerata abitazione principale per il coniuge assegnatario e come tale è esonerata dall’IMU se appartenente alle categorie catastali A2, A3, A4, A5, A6 e A7 e relative pertinenze. Mentre è assoggettata a IMU con aliquote e detrazioni previste per l’abitazione principale se di categoria A/1, A8 e A/9 e relative pertinenze.

In genere, al coniuge, viene assegnata la casa che rappresentava l’abitazione principale dell’intero nucleo familiare prima della separazione.

Tuttavia, potrebbe accadere che, date le necessità, il giudice assegni all’ex coniuge un altro immobile che sia sempre di proprietà del coniuge non assegnatario.

Ad esempio, prima della separazione, marito e moglie vivevano e risiedevano entrambi in un immobile situato nel comune di Roma (di intera proprietà del marito). Il marito lavora a Roma ed anche proprietario di altro immobile situato ad Aprilia. In seguito a separazione, il giudice assegna alla moglie non l’immobile di Roma (in cui il marito continuerà a vivere ed avere residenza), ma quello situato ad Aprilia (la moglie vi trasferisce la residenza con il bambino).

In ipotesi di questo tipo la domanda che è lecito porsi e se entrambi gli immobili possano essere considerati abitazione principale (quello di Roma per il marito e quello di Aprilia per l’ex moglie).

Dal combinato disposto dell’art. 4 comma 12-quinquies D.L. 16/2012 (si intende effettuata a titolo di diritto di abitazione l’assegnazione dell’abitazione coniugale a favore di uno dei coniugi) e dell’art. 1 comma 707 legge n. 147/2013 (inapplicabilità IMU sulla casa coniugale assegnata al coniuge), al precedente quesito deve essere data risposta negativa, con la conseguenza che l’immobile di Roma sconterà l’IMU come abitazione principale (o esonero se di categoria non di lusso) e quello di Aprilia come seconda abitazione.

Non trova, peraltro nemmeno applicazione quanto chiarito con la Circolare 3/Df/2012, secondo cui i coniugi (non legalmente separati) sono legittimati a sdoppiare la residenza qualora gli immobili siano ubicati in comuni diversi.

Riguardo la TASI, invece, poiché si tratta di un tributo dovuto da proprietario e detentore (per quest’ultimo nella misura tra il 10% e il 30%), ne consegue, che sull’immobile di Aprilia, l’ex marito continua ad essere proprietario mentre l’ex moglie diventa detentore. Pertanto, quest’ultima sconta la sua quota TASI in qualità di occupante (se nulla dovesse prevedere la delibera comunale in merito la quota TASI a suo carico è del 10%) e l’ex marito sconta la restante quota in qualità di proprietario.

Autore: Pasquale Pirone

Regimi agevolati e bonus Irpef 80 euro: la verifica del reddito complessivo

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Premessa – Il bonus fiscale di 80 euro mensili, spettante ai soli percettori di reddito di lavoro dipendente ed assimilati è stato introdotto dal Governo Renzi con decreto-legge 24 aprile 2014 n.66 (decorrenza del bonus dal mese di maggio 2014) e reso a regime con la legge di stabilità 2015.

E’ erogato direttamente in busta paga dal sostituto d’imposta e a regime, l’importo è pari a:

  1. 80 euro mensili, se il reddito complessivo del lavoratore non è superiore ai 24.000 euro;
  1. all’importo dato da 960 x [(26.000 – reddito complessivo) / 2.000] se il reddito complessivo del lavoratore è compreso tra i 24.000 e i 26.000 euro.

Al fine di avere il beneficio, tuttavia, è necessario il verificarsi di due condizioni fondamentali:

  1. il reddito complessivo del lavoratore non deve essere superiore ad euro 26.000;
  1. l’Irpef lorda dovuta dal lavoratore (sul reddito da lavoro dipendente ed assimilati) deve essere superiore alle detrazioni d’imposta per lavoro spettanti. In altre parole le detrazioni da lavoro devono trovare capienza nell’Irpef lorda dovuta sul reddito da lavoro dipendente e assimilati (la circolare n. 8/E/2014 ha chiarito che rilevano solo le detrazioni da lavoro e non gli altri tipi di detrazione, come ad esempio, quelle per carichi di famiglia previste dall’art. 12 TUIR).

La condizione di cui al punto 1) si riferisce al reddito complessivo del lavoratore e quindi non solo al suo reddito da lavoro dipendente ma alla somma di tutte le tipologie di reddito conseguite nell’anno (reddito da lavoro dipendente, reddito da fabbricati, redditi diversi, ecc.).

Tuttavia, possono esserci redditi conseguiti dal lavoratore dipendente che siano assoggettati ad imposta sostitutiva (dell’Irpef e delle relative addizionali) e che quindi come tali non concorrono alla determinazione del suo reddito complessivo ai fini IRPEF: in particolare può trattarsi ad esempio del canone di locazione soggetto a cedolare secca o del reddito conseguito nell’esercizio di un’attività in regime fiscale agevolato (es. ex minimi o nuovo forfettario). Si tratta di redditi che sono tassati in maniera “sostitutiva” e che quindi non soggiacciono alle ordinarie regole Irpef.

La domanda che si tende a fare in questo caso è se tali redditi concorrono alla formazione del reddito complessivo del lavoratore dipendente ai fini della verifica della soglia per la spettanza del bonus di 80 euro.

Nessun chiarimento per i regimi agevolati – Con la circolare n. 9/E/2014, l’Agenzia delle Entrate è intervenuta a chiarire il quesito appena esposto in premessa ma limitatamente ai redditi assoggettati a cedolare secca, precisando che, in coerenza a quanto già previsto dal comma 7, articolo 3, D.lgs. sebbene il canone di locazione soggetto a cedolare non concorre alla formazione del reddito complessivo del percettore ai fini del calcolo dell’Irpef, rileva invece per il riconoscimento, o meno, di deduzioni, detrazioni e benefici di qualsiasi titolo (e tra tali benefici rientra anche il bonus fiscale di 80 euro).

Stesse precisazioni non sono state fornite, invece, in merito ai regimi fiscali agevolati che prevedono un’imposta sostitutiva quale ad esempio quello degli ex minimi o nuovo forfettario.

Tuttavia, nella stessa circolare l’amministrazione finanziaria, nel riconoscere che il decreto che ha introdotto il bonus di 80 euro, nello stabilire i presupposti per la sua erogazione, non definisce anche regole volte a differenziarne l’applicazione in funzione delle eventuali disposizioni particolari che interessino determinate tipologie di lavoratori, afferma che “al di fuori dei casi in cui tali altre disposizioni particolari prevedano diversamente (come, ad esempio, nel caso dell’imposta sostitutiva sugli incrementi di produttività), la verifica della spettanza del credito deve essere effettuata in base alle regole generali”.

Ne consegue che, poiché la normativa attuale non prevede uno specifico riscontro come invece previsto per il regime della cedolare secca, è possibile ritenere che un lavoratore dipendente che contestualmente svolga anche attività d’impresa (o lavoro autonomo) soggetta a regime fiscale degli ex minimi (aliquota 5%) o nuovo forfettario (aliquota 15%) ai fini del calcolo della soglia di spettanza del bonus Irpef di 80 euro può escludere dal suo reddito complessivo il reddito derivante da tale attività.

E’ auspicabile, tuttavia un preciso chiarimento dell’amministrazione finanziaria come avvenuto per la cedolare secca.

Autore: Pasquale Pirone

Limite di spesa più alto per il bonus mobili

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Detrazione per chi acquista l’abitazione aumentata a 16.000 €

Premessa – La commissione bilancio del Senato ha modificato il testo del disegno di legge di stabilità 2016 alzando da 10.000 a 16.000 la spesa massima su cui si calcola la detrazione Irpef del 50% per l’acquisto di mobili da parte di “giovani coppie”.

Bonus mobili – Come noto l’articolo 16 co. 2 del D.L. n.63/2013 (più volte prorogato) ha introdotto il “bonus mobili”, che consiste nel fatto che i contribuenti che fruiscono della detrazione per interventi di recupero del patrimonio edilizio possono fruire di un’ulteriore riduzione d’imposta per l’acquisto di mobili e di grandi elettrodomestici di classe energetica non inferiore alla A+ (A per i forni), per le apparecchiature per le quali sia prevista l’etichetta energetica, finalizzati all’arredo di immobili oggetto di ristrutturazione. Tale agevolazione prorogata da ultimo dalla legge di stabilità 2015 fino al 31.12.2015 risulta oggetto di ulteriore proroga fino al 31.12.2016 sulla base di quanto previsto dal disegno di legge di stabilità 2016.

Agevolazione per giovani coppie – Ma la novità sta nel fatto che al “bonus Mobili” tradizionale si aggiunge un nuovo incentivo fiscale, esclusivamente per giovani coppie: una detrazione Irpef del 50% per l’acquisto di mobili (non per i grandi elettrodomestici) ad arredo dell’unità immobiliare, acquistata dagli stessi e “da adibire ad abitazione principale”. Il limite delle spese agevolabili è di 16.000 euro, quindi, la detrazione Irpef massima sarà di 8.000 euro da ripartire in 10 anni.

Scopo – Obiettivo, incentivare il mercato delle compravendite immobiliari dopo quello delle ristrutturazioni edilizie. Per la prima volta questo legame stretto fra le due agevolazioni (lavori e mobili) sarebbe superato e subentrerebbe invece un’altra condizione necessaria per ottenere lo sgravio: l’acquisto di una casa (abitazione principale).

Copertura – Il mancato gettito Irpef dovuto al raddoppio del bonus mobili sarà coperto dal Fondo per interventi strutturali di politica economica. Questo fondo è stato costituito nel 2005 presso il Mef con una dote di 2,2 miliardi di entrate stimate dalla sanatoria edilizia, ora scesa al minimo di 30 milioni (annualità 2016). Per la copertura necessaria al raddoppio del bonus l’emendamento attinge al rifinanziamento del Fondo – per 300 milioni l’anno a partire dal 2016 – previsto dallo stesso ddl Stabilità.

Ambito soggettivo – L’agevolazione spetta alle giovani coppie che costituiscono “un nucleo familiare composto da coniugi”, prima del pagamento della spesa (è sufficiente essere sposati dal giorno prima) oppure conviventi more uxorio che abbiano costituto un nucleo da almeno tre anni. In entrambe le ipotesi uno dei due componenti non deve aver superato i 35 anni.

Ambito temporale – L’acquisto dei mobili deve avvenire dal 1.1.2016 al 31.12.2016 e trattandosi di persone fisiche sarà rilevante il principio di cassa. Non è invece chiaro il momento in cui la coppia deve essere proprietaria dell’immobile, dal testo del disegno di legge non è previsto espressamente che la casa venga acquistata nello stesso periodo d’imposta. Ancora meno chiaro risulta il termine entro cui l’immobile deve essere adibito ad abitazione principale.

Autore: redazione fiscal focus

Rivalutazione partecipazioni: criticità

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Aumentata l’aliquota per le partecipazioni non qualificate

Premessa – L’imposta sostitutiva per la rivalutazione delle partecipazioni non qualificate sarà pari all’8%, parificata dunque a quella per la rivalutazione delle partecipazioni qualificate e per i terreni. Con un emendamento alla bozza della legge di stabilità 2016 è stata cosi aumentata l’aliquota inizialmente prevista al 4%.

La rivalutazione – Negli ultimi anni è stata più volte riproposta la possibilità di rideterminare il valore di acquisto dei terreni, grazie alla proroga delle disposizioni di cui all’articolo 2, comma 2, D.L. n. 282/2002. Se il contribuente si è avvalso di detta facoltà, ai fini della determinazione della plusvalenza, in luogo del costo d’acquisto o del valore dei terreni edificabili, è possibile assumere il valore ad essi attribuito dalla perizia giurata di stima, necessaria per il perfezionamento della rivalutazione, previo pagamento di un’imposta sostitutiva.
Valore fiscale riconosciuto – I costi sostenuti per la relazione giurata di stima, qualora siano stati effettivamente sostenuti e rimasti a carico del contribuente, possono essere portati in aumento del valore iniziale da assumere ai fini del calcolo della plusvalenza in quanto costituiscono costo inerente del bene. La perizia giurata di stima, nonché i dati dell’estensore, possono essere richiesti dall’Amministrazione Finanziaria; tali documenti vanno quindi conservati.

Ddl stabilità 2016 – Il Ddl di Stabilità ha disposto la riapertura dei termini per effettuare la rideterminazione del valore di acquisto dei terreni edificabili e con destinazione agricola e partecipazioni societarie (qualificate e non qualificate) non quotate nei mercati regolamentati posseduti alla data del 1° gennaio 2016. Il versamento dell’imposta sostitutiva nonché la redazione della perizia giurata di stima, deve essere effettuato entro il 30 giugno 2016. L’imposta sostitutiva può essere versata in unica soluzione o come prima rata di tre rate annuali (sull’importo delle rate successive alla prima, si applicano gli interessi nella misura del 3% annuo).

Imposta sostitutiva – La nuova norma modifica il comma 2 dell’art. 2 del D.L. 282/2002 inserendo solo la proroga dei termini senza inserire alcun cambiamento alla disciplina che rimane invariata. Più precisamente la disciplina viene riproposta totalmente per quanto concerne adempimenti e casistiche, ma inizialmente prevedeva testualmente che “le aliquote delle imposte sostitutive, di cui agli articoli 5 comma 2, e 7, comma 2, della legge 28 dicembre 2001, n. 448, sono raddoppiate”; pertanto, l’imposta sostitutiva applicata sulle partecipazioni non qualificate risultava passare al 4% (dall’originario 2%), e quella applicata alle partecipazioni qualificate e ai terreni risultava passare all’8% (dall’originario 4%).

Emendamento – Con un emendamento è stato previsto che la rivalutazione delle partecipazioni societarie non qualificate sconterà l’imposta sostitutiva dell’8% anziché del 4 per cento. Secondo le modifiche apportate per la rideterminazione del costo fiscale non vi saranno più differenze. Nel caso delle quote, la medesima aliquota si applicherà alle partecipazioni qualificate e non.

Autore: redazione fiscal focus

Omaggi ai dipendenti: trattamento fiscale

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

In occasione delle feste natalizie (ma non solo) è consuetudine “omaggiare” ai propri dipendenti dei beni in natura generalmente non rientranti nell’attività d’impresa.

Come noto, l’art. 19 bis1, co. 1, lett. h), D.P.R. 633/1972, come modificato dall’art. 30 del D.lgs. semplificazioni fiscali), dispone che l’IVA relativa all’acquisto di beni destinati ad essere omaggiati, non rientranti nell’attività d’impresa, ricompresi fra le spese di rappresentanza in base al DM 19.11.2008, :

  • è detraibile se il costo unitario dell’omaggio è inferiore a € 50,00;
  • è indetraibile se il costo unitario dell’omaggio è superiore a € 50,00.

Si ricorda che ai fini IVA (C.M. 34/E/2009), per l’individuazione degli omaggi da ricomprendere tra le spese di rappresentanza, è necessario fare riferimento a quanto disposto dall’art. 1, DM 19.11.2008; in particolare, è necessario che le spese:

  • siano sostenute con finalità promozionali e di pubbliche relazioni;
  • siano ragionevoli in funzione dell’obiettivo di generare benefici economici;
  • siano coerenti con gli usi e le pratiche commerciali del settore.

Per quanto riguarda gli omaggi ai dipendenti, questi ai fini Iva non possono essere considerate spese di rappresentanza, in quanto prive del requisito di sostenimento per finalità promozionali. L’IVA relativa ai beni destinati ai dipendenti è da considerare indetraibile per mancanza di inerenza con l’esercizio dell’impresa.

Gli omaggi ai dipendenti di beni che non rientrano nell’attività dell’impresa ai fini delle imposte dirette sono da ricomprendere tra le erogazioni liberali (spese per prestazioni di lavoro sostenute in denaro o in natura a titolo di liberalità) a favore dei lavoratori concesse in occasioni di festività o ricorrenze alla generalità o a categorie di dipendenti, le quali beneficiano della deducibilità dal reddito d’impresa (art. 95 del Tuir) .

Per i lavoratori autonomi, detti costi sono deducibili ai sensi dell’art. 54, comma 1, Tuir, avente una portata applicativa analoga a quella dell’art. 95 del Tuir.

Ai fini IRAP, le spese per gli acquisti di omaggi da destinare ai dipendenti rientrano nei “costi del personale”, che ai sensi degli artt. 5 e 5-bis, D.Lgs. n. 446/97 non concorrono alla formazione della base imponibile IRAP, ancorché gli stessi siano contabilizzati in voci diverse dalla B.9 del Conto economico. Di conseguenza, le spese in esame sono indeducibiliai fini IRAP indipendentemente dalla natura giuridica del datore di lavoro.

Anche per i lavoratori autonomi, le spese in esame sono indeducibiliai fini IRAP, in quanto gli stessi determinano la base imponibile IRAP ai sensi dell’ art. 8, comma 1, D.Lgs. n. 446/97 quale “differenza tra l’ammontare dei compensi percepiti e l’ammontare dei costi sostenuti inerenti all’attività esercitata … esclusi gli interessi passivi e le spese per il personale dipendente.

Gli omaggi ricevuti dai dipendenti producono, in taluni casi, imponibilità in capo ai dipendenti stessi.

Tale imponibilità va verificata alla luce del disposto dell’art. 51, comma 3, Tuir.

In base alla citata disposizione:

  • le erogazioni liberali in denaro concorrono sempre (a prescindere dall’ammontare) alla formazione del reddito del dipendente e quindi sono assoggettate a tassazione;
  • le erogazioni liberali in natura se di importo:
    • non superiore ad € 258,23 nel periodo d’imposta non concorrono alla formazione del reddito;
    • superiore ad € 258,23 nel periodo d’imposta concorrono per l’intero ammontare alla formazione del reddito del dipendente (non solo per la quota eccedente il limite).
Autore: redazione fiscal focus

Accertamenti definitivi: non opera la sospensione dell’esecuzione forzata

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Il D.Lgs. 159/2015 ha introdotto importanti modifiche in merito alle Misure per la semplificazione e razionalizzazione delle norme in materia di riscossione; le novità riguardano anche la concentrazione della riscossione nell’accertamento. Lo stesso Decreto ha previsto che l’avviso di accertamento diventa esecutivo trascorsi 60 gg dal termine previsto per la presentazione del ricorso, quindi non si considera più invece il termine di notifica dell’avviso di accertamento.

All’art. 5 lo stesso decreto intervenendo sull’art.29, comma 1 del D.L.78/2010 prevedeva che: gli avvisi di accertamento divengono esecutivi (decorso il termine utile per la proposizione del ricorso) e devono espressamente recare l’avvertimento che, decorsi trenta giorni dal termine ultimo per il pagamento, la riscossione delle somme richieste, in deroga alle disposizioni in materia di iscrizione aruolo, è affidata in carico agli agenti della riscossione anche ai fini dell’esecuzione forzata, con le modalità determinate con provvedimento del direttore dell’Agenzia delle Entrate, di concerto con il Ragioniere generale dello Stato. L’esecuzione forzata è sospesa per un periodo di centottanta giorni dall’affidamento in carico agli Agenti della riscossione degli atti di cui alla lettera; proprio in merito all’ultimo punto il D.Lgs 159/2015 ha stabilito invece che la predetta sospensione non opera in caso di accertamenti definitivi, anche in seguito a giudicato, nonché in caso di recupero di somme derivanti da decadenza dalla rateazione“; quindi in questi casi viene esclusa la sospensione della procedura di esecuzione forzata.

Inoltre il Legislatore ha eliminato la lettera e, comma 1, art. 29 del D.L. 78 del 2010 nella parte in cui stabiliva che l’espropriazione forzata, in ogni caso, è avviata, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre 2015 del terzo anno successivo a quello in cui l’accertamento è divenuto esecutivo; da qui, quindi, l’espropriazione forzata è legata ai termini di prescrizione ordinaria quinquennale per le sanzioni, e decennali per i tributi erariali.

Infine è da segnalare che lo stesso decreto ha previsto la possibilità di recapitare al debitore la cosiddetta comunicazione dell’affidamento della riscossione ad Equitalia, oltre che con raccomandata anche con posta semplice, posta ordinaria e certificata.

Autore: redazione fiscal focus

Tardiva dichiarazione sganciata dalle violazioni sui versamenti

Ma la Cassazione ritiene necessario ravvedere sia la tardività che le violazioni sui versamenti

AGEVOLAZIONI PER L’Acquisto di un immobile ristrutturato

 Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

La detrazione è calcolata sul prezzo di cessione

Premessa – Per la cessione degli immobili ristrutturati, il 50% di detrazione Irpef spettante all’acquirente è calcolato sul 25% del prezzo dell’unità immobiliare risultante nell’atto pubblico di compravendita o di assegnazione.

Detrazione – È prevista una detrazione Irpef anche per gli acquisti di fabbricati, a uso abitativo, ristrutturati. In particolare, la detrazione si applica nel caso di interventi di ristrutturazione riguardanti interi fabbricati, eseguiti da imprese di costruzione o ristrutturazione immobiliare e da cooperative edilizie che provvedono, entro 18 mesi dalla data del termine dei lavori, alla successiva alienazione o assegnazione dell’immobile. Questo termine è stato elevato da 6 a 18 mesi dalla legge di stabilità 2015.

Aumento – Anche questa detrazione è stata elevata dal 36 al 50% quando le spese per l’acquisto dell’immobile sono sostenute nel periodo compreso tra il 26 giugno 2012 e il 31 dicembre 2015 e spetta entro l’importo massimo di 96.000 euro (invece che 48.000 euro). Dal 2016 (salvo eventuali proroghe già previste nella bozza della legge di stabilità 2016), la detrazione ritornerà alla misura ordinaria del 36% su un importo massimo di 48.000 euro.

Il calcolo – L’acquirente o l’assegnatario dell’immobile dovrà comunque calcolare la detrazione (del 50 o 36%), indipendentemente dal valore degli interventi eseguiti, su un importo forfetario, pari al 25% del prezzo di vendita o di assegnazione dell’abitazione. Ipotizzando che il 31 dicembre 2014 un contribuente acquisti un’abitazione al prezzo di 200.000 euro. Il costo forfetario di ristrutturazione (25% di 200.000 euro) è di 50.000 euro. La detrazione (50% di 50.000 euro) sarà pari a 25.000 euro.

Ripartizione – La detrazione deve essere sempre ripartita in 10 rate annuali di pari importo. Il limite massimo di spesa ammissibile (48.000 o 96.000 euro) deve essere riferito alla singola unità abitativa e non al numero di persone che partecipano alla spesa. Di conseguenza, questo importo va suddiviso tra tutti i soggetti aventi diritto all’agevolazione. La detrazione si applica quando sono stati effettuati interventi di restauro e risanamento conservativo e di ristrutturazione edilizia di cui alle lettere c) e d) del comma 1 dell’art. 3 del Dpr 380/2001.

Condizioni – Per fruire della detrazione oltre al fatto che l’acquisto o l’assegnazione dell’unità abitativa deve avvenire entro i termini sopra indicati è necessario che l’immobile acquistato o assegnato faccia parte di un edificio sul quale sono stati eseguiti interventi di restauro e di risanamento conservativo o di ristrutturazione edilizia riguardanti l’intero edificio. L’agevolazione trova applicazione, pertanto, a condizione che gli interventi edilizi riguardino l’intero fabbricato (e non solo una parte di esso, anche se rilevante). Si ricorda che il termine “immobile” deve essere inteso come singola unità immobiliare e l’agevolazione non è legata alla cessione o assegnazione delle altre unità immobiliari, costituenti l’intero fabbricato, così che ciascun acquirente può beneficiare della detrazione con il proprio acquisto o assegnazione.

Compromesso – In caso di stipula del compromesso, per fruire della detrazione occorre che il rogito avvenga entro i termini previsti.

Autore: REDAZIONE FISCAL FOCUS

Estromissione immobili impresa individuale: è la volta buona!

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

E’ stata approvata dalla Commissione Bilancio del Senato la proposta di modifica alla Legge di Stabilità che prevede l’estromissione agevolata degli immobili dalle imprese individuali.

La proposta – Viene data in sostanza all’imprenditore individuale, che alla data del 31 ottobre 2015 possiede beni immobili strumentali, la possibilità di optare entro il 31 maggio 2016 per l’esclusione dei predetti immobili dal patrimonio dell’impresa.

Per la determinazione della base imponibile e dell’imposta sostitutiva si rimanda a quanto previsto per l’assegnazione degli immobili ai soci.

Questo significa in termini pratici che la fuoriuscita dell’immobile dal perimetro dell’impresa sconterà una tassazione sostituiva delle imposte sui redditi e dell’IRAP pari all’8%, che dovrà essere applicata sulla differenza tra il valore catastale del bene e il suo costo fiscale.
Estromissione immobili e Finanziaria 2008 – Da evidenziare che questa non è la prima volta che si introducono norme volte a permettere agli imprenditori in crisi la fuoriuscita dei beni dalla sfera d’impresa. In particolare, l’art. 1, comma 37, della Legge 24 dicembre 2007, n. 244 (Finanziaria 2008) dava facoltà agli imprenditori individuali di procedere all’esclusione dei beni immobili strumentali dal patrimonio dell’impresa, mediante il pagamento di un’imposta sostitutiva.
L’esclusione dell’immobile dal patrimonio comportava il pagamento di un’imposta sostitutiva dell’IRPEF e dell’IRAP nella misura del 10% della differenza tra il valore normale dei beni e il relativo valore fiscale. Per gli immobili la cui estromissione rilevava come cessione soggetta a IVA ai sensi dell’articolo 2, secondo comma, n. 5, D.P.R. 633/72 l’imposta sostitutiva era aumentata di un importo pari al 30% dell’Iva calcolata mediante applicazione al valore normale dell’aliquota propria del bene. Il carattere strumentale dell’immobile doveva essere verificato a una certa data e gli immobili potevano essere strumentali per natura o per destinazione. L’opzione per fruire dell’agevolazione doveva essere effettuata entro una data limite e aveva effetto dal 1° gennaio dell’anno successivo a quella data.
Il tentativo andato a vuoto – Altro tentativo di introdurre l’estromissione agevolata degli immobili dall’impresa individuale è stato effettuato nel 2012 (DDL 3375). Le notevoli difficoltà che la crisi economica stava causando a tanti piccoli imprenditori che si trovavano a fare i conti con la possibile chiusura della propria impresa ha portato alla presentazione del disegno di legge D.D.L. 3375 che riguardava l’estromissione agevolata degli immobili strumentali dall’impresa individuale.
Il disegno di legge riproponeva sostanzialmente i precedenti interventi normativi sul tema sennonché mentre i precedenti interventi normativi avevano una durata limitata nel tempo, il disegno di legge in esame garantiva una sorta di continuità nel tempo, cioè l’applicabilità in ogni periodo d’imposta.
La proposta – E’ proprio questo a nostro avviso l’obiettivo che dovrebbe porsi in Legislatore: introdurre una norma “stabile” piuttosto che disposizioni occasionali. Simili obiettivi garantirebbero certezza nella determinazione delle scelte imprenditoriali nel tempo. Al contrario, norme di carattere transitorio non consento all’imprenditore di poter effettuare delle puntuali previsioni di lungo periodo, date le numerose variabili da considerare, in primis quella relativa all’impianto legislativo di riferimento sottoposto a modifiche continue.

Autore: REDAZIONE FISCAL FOCUS

Stabile organizzazione personale: il nuovo indirizzo dell’OCSE

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Nell’ambito del progetto BEPS (Base Erosion and Profit Shifting), l’OCSE propone una definizione più stringente di stabile organizzazione personale, al fine di disincentivare comportamenti elusivi.

Va preliminarmente osservato che la definizione di stabile organizzazione personale è rinvenibile nell’art. 5, par. 5, del modello OCSE, laddove si prevede che affinché si configuri la fattispecie della stabile organizzazione personale, devono verificarsi:

  • il requisito soggettivo: le persone che possono configurare la stabile organizzazione personale sono gli agenti «dipendenti» a prescindere dal fatto che l’agente sia una persona fisica o una persona giuridica;
  • il requisito oggettivo: l’agente dispone di poteri che gli consentano di concludere contratti a nome dell’impresa e tali poteri devono essere esercitati abitualmente. Sono escluse le attività con carattere preparatorio e ausiliario.

Per ciò che attiene il requisito oggettivo, la configurazione della stabile organizzazione personale avviene se l’ agente “dipendente” ha il potere di concludere contratti a nome della stessa e tale potere viene esercitato abitualmente. Il potere di concludere contratti a nome dell’impresa indica il possesso da parte dell’agente del potere di rappresentanza e dunque stipulare atti in nome e per conto del proponente.

Proprio su questo aspetto interviene l’OCSE, precisando che la configurazione di una stabile organizzazione personale avviene ogni qualvolta un soggetto svolga abitualmente il ruolo decisivo nella conclusione di contratti che vengono sistematicamente perfezionati senza sostanziali modifiche da parte dell’impresa estera.

Si tratta di una condizione stringente, in quanto il solo fatto che l’agente dipendente intervenga in modo decisivo nella conclusione di contratti, anche se questi vengono poi sottoscritti dal mandante non residente, è condizione sufficiente per la configurazione della stabile organizzazione personale. Stabilire quando l’agente ha un ruolo decisivo nella conclusione dei contratti è estremamente complicato.

L’attuale versione del Commentario al Modello OCSE non si distacca da tale interpretazione: prevede infatti che il potere di concludere contratti in nome dell’impresa estera non è legato alla sottoscrizione materiale dell’atto, in quanto il potere di negoziare tutti gli elementi e dettagli di un contratto in modo vincolante per l’impresa estera già di per sé costituisce l’esercizio del potere di concludere contratti in nome dell’impresa estera.

In tal senso è opportuno evidenziare che già la Suprema Corte in alcune pronunce ha sancito l’esistenza della Stabile organizzazione personale in presenza di agenti dipendenti che svolgessero un ruolo chiave nella conclusione dei contratti, senza che quest’ultimi provvedessero alla stipula degli stessi.

In particolare, la Corte di Cassazione, Sezione Tributaria, con la sentenza 17.01.2013, n. 1120, ha affrontato lo spinoso tema della c.d. stabile organizzazione personale, con particolare riferimento alle prove necessarie a dimostrare che l’agente dipendente abbia esercitato il potere di concludere contratti in nome e per conto della società estera.

I Giudici di Legittimità hanno affermato il principio secondo cui la configurazione della stabile organizzazione personale in territorio nazionaleavviene quando il fine dei soggetti operanti in territorio italiano è quello di esercitare – in modo non sporadico o occasionale – un’attività economica, che può consistere anche nella sola conclusione di contratti in nome e nell’interesse di una società non residente.

La Cassazione nell’accogliere il ricorso proposto dall’Amministrazione Finanziaria afferma che la rilevante attività negoziale svolta dal legale rappresentate della società estera in territorio italiano, comprovato da elementi probatori a carattere indiziario e presuntivo, considerati globalmente e nella loro reciproca connessione, costituiscono condizione sufficiente per configurare la stabile organizzazione personale.

Nelle conclusioni della Suprema Corte, contrariamente alle indicazioni dell’OCSE, non sono offerti elementi circa l’attività diretta del legale rappresentante della società estera che abbiano contribuito alla conclusione dei contratti stipulati dalla società estera in Italia.

Ciò che si vuole evidenziare è che già ora che le condizioni sono meno stringenti per la configurazione della stabile organizzazione personale, l’indirizzo giurisprudenziale tende a considerare anche solo la partecipazione alla conclusione dei contratti condizione sufficiente per la configurazione della stabile organizzazione personale.

Autore: redazione fiscal focus

Non residenti: la modifica della detrazione obbliga al ricalcolo degli acconti

 Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Situazione tutta da valutare per i non residenti nel versamento del secondo acconto, in scadenza il prossimo 30 Novembre. Ciò deriva da alcune nuove disposizioni normative e dalla mancata proroga di altre disposizioni. Si tratta in particolare:

    • dell’art. 7 della L. n. 161/2014 (Legge Europea bis) che ha introdotto il nuovo co. 3 – bis all’art. 24 del D.P.R. 917/1986, che ha esteso le medesime detrazioni e deduzioni previste per i soggetti residenti nel territorio dello Stato ai contribuenti che, pur residenti fiscalmente in un altro Stato membro o in un Paese dello Spazio economico europeo, producono almeno il 75% del proprio reddito complessivo in Italia, oltreché prevedere la possibilità per i soggetti non residenti di optare per il regime dei minimi;
    • della mancata proroga per il 2015 delle detrazione per carichi di famiglia prevista per la generalità dei soggetti non residenti.

Analizziamo gli effetti delle nuove (o mancate) disposizioni sul versamento del secondo acconto.

Detrazioni per carichi di famiglia – L’art. 24, co. 3, D.P.R. 917/1986 dispone esplicitamente che ai non residenti non spettano le detrazioni per carichi di famiglia. Tuttavia, in deroga alla citata diposizione normativa, nei confronti del cittadino straniero, comunitario o extracomunitario, che assume una soggettività tributaria in Italia, l’articolo 1, comma 1324, della legge 296/2006 (con effetti prorogati fino al 2012 dal D.L. 216/2011, il cosiddetto milleproroghe) ha riconosciuto il diritto alla detrazione per familiari a carico, fra i quali figurano il coniuge e i figli, ancorché residenti all’estero.
La Legge di Stabilità del 2013 (L. 228/2012) aveva prorogato tale beneficio anche per il 2013. Anche per il 2014 è stato prorogato tale beneficio. Infatti, il Decreto Milleproroghe (D.L. 150/2013) ha confermato, anche per il 2014, la spettanza delle detrazioni per carichi di famiglia ai soggetti non residenti.
Niente proroga invece per il 2015, salvo sorprese delle ultime ore. L’immediata conseguenza è il ricalcolo (in aumento) dell’acconto in scadenza il prossimo 30 Novembre, escludendo dal calcolo dell’imposta dovuta per il 2014 (per chi ha adottato il metodo storico) delle detrazioni per carichi di famiglia, come precisato anche nelle istruzioni alla compilazione del modello Unico PF 2015.

Non residenti Schumacker: il ricalcolo degli acconti – L’art. 7 della L. n. 161/2014 (Legge Europea bis 2013) ha introdotto il nuovo co. 3 – bis all’art. 24 del D.P.R. 917/1986, estendendo le medesime detrazioni e deduzioni previste per i soggetti residenti nel territorio dello Stato ai contribuenti che, pur residenti fiscalmente in un altro Stato membro o in un Paese dello Spazio economico europeo, producono almeno il 75% del proprio reddito complessivo in Italia.
E’ stata inoltre prevista la possibilità per i soggetti non residenti di aderire al regime dei nuovi minimi, introdotto dal D.L. n. 98/2011.
Le nuove disposizioni normative rispondono all’esigenza di far fronte alla procedura d’infrazione aperta dalla Commissione UE nei confronti dell’Italia, per la violazione degli articoli 21, 45 e 49 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (Tfue) e dei corrispondenti articoli 28 e 31 dell’accordo See, in virtù del fatto che non si consente ai soggetti non residenti che producono la maggior parte del proprio reddito in Italia di fruire delle deduzioni e detrazioni previste per i residenti nel territorio dello Stato, ed espressamente esclude l’ applicabilità ai non residenti del regime agevolato dei “minimi”.
Da un punto di vista dichiarativo, per i non residenti Schumacker era necessario nella predisposizione del Modello UNICO 2015, periodo d’imposta 2014, oltre a compilare nel frontespizio la parte residente all’estero, barrare l’apposita casella riservata.
Da evidenziare che il Decreto attuativo è stato emanato con notevole ritardo, considerando il fatto che le nuove disposizioni si applicavano già da UNICO 2015 (periodo d’imposta 2014), la cui presentazione era fissata al 30.09.2015. Chi dunque non ha usufruito delle suddette agevolazioni per mancanza dei necessari chiarimenti, dovrà procedere eventualmente alla integrazione della dichiarazione già presentata, ricalcolare le imposte dovute per il 2014 e sul nuovo importo calcolare gli acconti 2015. La differenza tra tale importo e quanto versato in sede primo acconto 2015 costituirà l’importo da corrispondere in sede di versamento del secondo acconto.

Autore: REDAZIONE FISCAL FOCUS

Premi di produttività 2015: addio alla tassazione agevolata

 Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Premessa – L’imposizione fiscale sostitutiva sui premi di produttività era stato previsto dalla legge n. 228/2012, per i periodi d’imposta 2013 e 2014.

In particolare, il legislatore prevedeva un’aliquota del 10%, sostitutiva dell’Irpef e relative addizionali.

Così, per il 2014 al premio di produttività era applicata l’’aliquota agevolata del 10%, per stipendio fino a 40.000 euro l’anno, con un tetto massimo di 3.000 euro lordi annui di premio.

Come dichiarato espressamente dal Ministro dell’Economia e delle finanze, nel corso di un’interrogazione parlamentare, le somme che la stessa legge di stabilità 2013 destinava alla copertura della detassazione dei premi di produttività per il 2015, pari a 200 milioni di euro, non sono destinate a finanziare la proroga dell’agevolazione fiscale ma a coprire gli effetti fiscali delle agevolazioni valide per il 2014.

Niente agevolazione per il 2015 – Per il 2015, dunque i lavoratori possono dire addio alla predetta detassazione dei premi di produttività e di tutte le altre voci di salario legati a incrementi produttivi dell’azienda, salvo un provvedimento del Governo a copertura del relativo fabbisogno (secondo i calcoli del Ministero dell’Economia e finanze servirebbero circa 638 milioni di euro).

Il risultato della mancata proroga per il 2015 della detassazione dei premi produttività è che su di essi e sulle altre voci di salario legate a incrementi produttivi dell’azienda, non si applica la tassazione sostitutiva del 10% ma si applica la tassazione ordinaria con un sensibile impatto negativo sulle tasche dei lavoratori ed in particolare di quelli più bravi (o meglio produttivi).

Il calcolo del taglio che tali soggetti subiscono è molto semplice: un lavoratore con un reddito di 27 mila euro e 2.800 euro di premio, si ritroverà in tasca 1.736 euro (aliquota del 38 %) contro i 2.520 euro (aliquota sostitutiva del 10 %).

Secondo una stima del sindacato Uil, il reddito del lavoratore subirà una perdita media di circa 1.500 euro.

Ed io pago diceva il grande Totò!

Affitto e cedolare secca: ​niente acconti ​se il contratto si risolve

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Premessa – Sono sempre più numerosi i proprietari che optano per il regime della cedolare secca riguardo gli immobili concessi in locazione per uso abitativo.

Si ricorda, che il regime fiscale della cedolare secca si concretizza, per il proprietario, nel versamento di un’imposta sostituiva di Irpef, e relative addizionali, calcolata sul 100% del canone annuo percepito ed applicando su tale canone un’aliquota del 21% o del 10%. Quest’ultima aliquota si applica per i contratti di locazione a canone concordato relativi ad abitazioni ubicate nei comuni con carenze di disponibilità abitative (articolo 1, lettera a) e b) del dl 551/1988) e nei comuni ad alta tensione abitativa (individuati dal Cipe).

Il versamento della cedolare secca segue lo stesso meccanismo di versamento dell’IRPEF (saldo e acconti) ed è eseguito alle stesse scadenze previste per l’Irpef.

L’acconto è pari al 95% dell’imposta dovuta per l’anno precedente. Come per l’Irpef, anche per la cedolare secca, il pagamento dell’acconto è dovuto solo se la cedolare per l’anno precedente supera i 51,65 euro e il suo versamento va effettuato:

  • in un’unica soluzione, entro il 30 novembre, se l’importo da versare è inferiore a 257,52 euro
  • in due rate se, invece, l’importo dovuto è superiore a 257,52 euro, di cui:
    1. la prima, del 40% dell’importo dovuto, entro il 16 giugno (o 16 luglio con maggiorazione dello 0,40%);
    2. la seconda, del restante 60% entro il 30 novembre.

La risoluzione del contratto in corso d’anno – Spesso accade che il contratto di locazione in essere tra le parti si risolva anticipatamente nel corso del periodo d’imposta.

Se il contratto è assoggettato a tassazione ordinaria, per il proprietario non si pongono problemi poiché il canone percepito confluisce nel suo reddito complessivo ai fini Irpef in sede di dichiarazione dei redditi riferita al periodo d’imposta in cui è avvenuta la risoluzione.

Il problema si pone in merito ai contratti soggetti a cedolare secca, per i quali, invece, il canone non confluisce nel reddito complessivo ai fini Irpef del proprietario, ma è tassato a parte, come anticipato in premessa, applicandovi un’aliquota (sostitutiva) del 21% o 10%.

In sede di dichiarazione redditi, dunque, nel caso di cedolare secca il proprietario dell’immobile, è chiamato a liquidare saldo e acconto. Si supponga ad esempio che un contratto di locazione soggetto a cedolare secca si risolva, in anticipo rispetto alla regolare scadenza, nel corso del 2016: il proprietario deve comunque versare gli acconti della cedolare per tale periodo d’imposta?

Certamente, questi è chiamato a versare il saldo per il 2015. In merito invece, agli acconti potrebbe decidere di non versarli, applicando il metodo previsionale, prestando, tuttavia, attenzione al fatto di essere sicuro che per tale anno non stipulerà altri contratti di affitto soggetti a cedolare secca.

Stesso ragionamento è applicabile per eventuali contratti risolti anticipatamente nel 2015.

Autore: Pasquale Pirone

A​cconto Irpef. Importi dovuti e corretta determinazione in Unico

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Il 30 novembre scade il secondo acconto di Unico 2015.

Anche quest’anno contribuenti e i loro consulenti saranno alle prese con i conteggi necessari al fine di determinare correttamente quanto dovuto.
Com’è ormai noto il calcolo dell’acconto dovuto per Irpef, Ires, Ivie ed Ivafe, cedolare secca ed Irap può essere calcolato con il metodo “storico” oppure con quello previsionale.
Vediamo nel caso di specie il corretto trattamento dell’Irpef in relazione alle regole in vigore.
L’indicazione in Unico
L’anticipo Irpef dovuto per l’annualità in corso (prima e seconda od unica rata) deve essere, indicato al rigo RN62 del modello Unico 2015 PF. Il dato è quello determinato con l’utilizzo del metodo storico, calcolato sulla base del debito effettivo maturato nel corso del 2014.
L’acconto è dovuto solo se l’importo di cui al rigo RN34 è pari o superiore ad € 52.
Nell’ipotesi in cui l’importo della prima rata risulti superiore ad € 103 lo stesso va pagato in due tranches:

  • la prima è scaduta con il termine per il versamento a saldo relativo alla dichiarazione dei redditi dell’anno precedente,
  • la seconda va versata entro il 30 novembre 2015.

Percentuale

In relazione alla percentuale da determinare a titolo di acconto Irpef si ricorda che l’articolo 11 commi 18 e 19 del DL 76/2013 ha disposto l’aumento dal 99% al 100% dell’acconto Irpef dovuto in relazione all’anno 2013 e a quelli successivi.
Pertanto l’anticipo IRPEF per l’annualità 2015, pari come detto al 100% dell’imposta dovuta, va segnalato rispettivamente in colonna 1 ed in colonna 2 del rigo RN62 applicando le percentuali del 40% e del 60% sull’importo di cui al rigo RN34 (denominato “Differenza”) di Unico.
Il calcolo previsionale
Se il contribuente si avvale del cd “metodo previsionale” nel calcolo dell’acconto da versare all’Erario, gli importi da determinare in RN62 devono essere sempre quelli definiti utilizzando il “metodo storico” secondo le regole sopra indicate e non i minori importi versati o che si intendono versare.
Con il metodo previsionale ai fini del calcolo si deve fare riferimento all’imposta che si presume sarà dovuta per l’anno. In questo caso per non incorrere in sanzione occorre che l’imposta versata a titolo di acconto non sia poi a consultivo inferiore al 100% di quella determinata a saldo in Unico 2016.
L’eccezione
A tale regola fa eccezione, da quest’anno, l’ipotesi in cui si rende necessario il ricalcolo dell’acconto su base storica nel caso in cui ai soli fini della maggiorazione dell’acconto dovuto, è imposta la rideterminazione dell’Irpef per il 2014. Tale casistica passa attraverso la compilazione del rigo RN61 del modello.
Al ricorrere delle ipotesi di seguito indicate sarà, quindi, necessario proseguire con la compilazione del rigo con il quale rideterminare il cd “Rigo differenza” poiché, in questi casi l’acconto da indicare nel modello su base storica (RN62) non troverà più la sua base di calcolo nel rigo RN34, ma bensì nel nuovo Rigo RN61 (colonna 4).
In particolare si tratta delle seguenti casistiche:

  • redditi derivanti dall’attività di noleggio occasionale di imbarcazioni e navi da diporto,
  • redditi dei terreni,
  • redditi dei fabbricati locati a soggetti in condizioni di disagio,
  • deduzione forfettaria in favore degli esercenti impianti di distribuzione di carburante,
  • soggetti non residenti in relazione alla possibile detrazione per carichi di famiglia (salvo quanto previsto con riferimento ai contribuenti “non residenti Schumacker”),
  • titolari di determinate obbligazioni (irrilevanza parziale delle ritenute subite).

Si tratta, generalmente, di ipotesi peggiorative per il contribuente, poiché di norma l’importo di cui al rigo RN61 risulta sempre maggiore del rigo RN34.

Nello specifico occorrerà quindi compilare il rigo RN61 del Modello Unico PF 2015 barrando colonna 1 ed indicando a colonna 2 il reddito complessivo rideterminato applicando le disposizioni che ne hanno imposto la rideterminazione. Infine a colonna 3 andrà segnalato l’importo dell’imposta netta ricalcolata e come detto a colonna 4 il nuovo ammontare dell’importo “differenza” (ovvero il rigo RN34 rideterminato).
Pertanto in ipotesi di rideterminazione dell’Irpef 2014 (poiché si rientra in una o più delle casistiche sopra elencate) l’acconto Irpef sarà dovuto se l’importo indicato a colonna 4 del rigo RN61 è pari o superiore ad € 52.
Anche in queste ipotesi, se il contribuente si avvale del cd “metodo previsionale” nel calcolo dell’acconto da versare all’Erario, gli importi da determinare in RN62 devono rimanere sempre ancorati al “metodo storico” secondo le regole sopra indicate non dovendosi mai indicare i minori importi versati o che si intendono versare .

Fonte: redazione fiscal focus

Statuto del contribuente e ruling interno

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

La Legge 11 marzo 2014, n. 23, rubricata “Delega al Governo recante disposizioni per un sistema fiscale più equo, trasparente e orientato alla crescita” prevedeva, tra l’altro, la revisione della disciplina degli interpelli in materia fiscale.

In particolare, l’art. 6, comma 3 della citata legge, delegava il Governo ad introdurre disposizioni per la revisione generale della disciplina degli interpelli, allo scopo di garantirne una maggiore omogeneità, anche ai fini della tutela giurisdizionale e di una maggiore tempestività nella redazione dei pareri, procedendo in tale contesto all’eliminazione delle forme di interpello obbligatorio qualora costituenti un inutile aggravio per il contribuente, senza significativi benefici per l’Amministrazione.

L’approvazione del D.Lgs n. 156/2015. In ottemperanza a quanto stabilito dal Legislatore delegante, il Governo ha ricondotto nell’ambito dello Statuto dei diritti del contribuente l’intera disciplina degli interpelli (prima distribuita su diverse norme, non perfettamente coordinate), mediante la radicale riformulazione dell’art. 11 della Legge n. 212/2000.

In particolare, il D.Lgs 24/09/2015, n. 156, che entrerà in vigore dal 1° gennaio 2016, ha nel contempo:

  • riformulato l’art. 11 dello Statuto del contribuente che ora contempla ben cinque diverse tipologie di ruling;
  • disciplinato in modo omogeneo e razionale le varie tipologie di interpello introdotte;
  • abrogato le disposizioni non più compatibili.

La disciplina, in realtà, non è ancora completa nei dettagli; l’art. 8 del citato D.Lgs n. 156/2015 demanda, infatti, alla pubblicazione di appositi provvedimenti dei Direttori delle Agenzie fiscali, da emanare entro il 30 gennaio 2016, la previsione delle modalità di presentazione delle istanze, l’individuazione degli uffici cui inviare le medesime istanze e quelli da cui dovranno pervenire le relative risposte, comprese le modalità di comunicazione; i medesimi provvedimenti dovranno inoltre stabilire ogni altra regola di dettaglio concernente la procedura.

Viene, infine, precisato nella citata ultima norma che per le istanze di interpello presentate prima dell’emanazione dei provvedimenti esecutivi, restano applicabili le disposizioni procedurali in vigore al momento della presentazione dell’istanza.

Le nuove tipologie di interpello. Come innanzi accennato, l’art. 1 del D.Lgs n. 156/2015, riformula in toto l’art. 11 della Legge n. 212/2000, rubricato “Diritto di interpello”, prevedendo cinque diverse tipologie di ruling interno, a ciascuna delle quali, peraltro, corrispondono tempi specifici di riposta.

Interpello ordinario. L’istituto, previsto dal comma 1, lettera a), dell’articolo 11 Legge 212/2000, mantiene sostanzialmente la struttura dell’”interpello ordinario” di cui al vigente art. 11. L’istanza è volta ad ottenere un parere quando sussistano obiettive condizioni di incertezza sull’interpretazione di disposizioni tributarie, in relazione alla loro applicazione a casi concreti e personali. Tale tipologia di interpello, in sostanza, può essere attivata in relazione a qualsiasi disposizione tributaria che si presenti obiettivamente incerta nella sua applicazione alla fattispecie concreta e personale; l’amministrazione risponde in 90 giorni.

Interpello qualificatorio. La nuova tipologia di ruling, ugualmente prevista dal comma 1, lettera a) dell’art. 11, si presenta in via complementare rispetto all’interpello ordinario, da cui differisce per il rilievo che assume la valutazione della fattispecie obiettivamente incerta rispetto all’interpretazione delle norme di legge invocate dal contribuente nel caso concreto. Con tale strumento, il contribuente potrà chiedere all’Amministrazione finanziaria un parere non tanto in relazione all’applicazione delle disposizioni, quanto in ordine alla “corretta qualificazione delle fattispecie”, anche in tal caso quando sussistano obiettive condizioni di incertezza alla luce delle disposizioni tributarie applicabili alle medesime. Anche la risposta a tale tipologia di interpello è prevista in 90 giorni.

Interpello probatorio. Lo strumento, previsto dalla successiva lett. b) del medesimo comma 1, si rende applicabile ad una categoria molto ampia di situazioni, andando a sostituire, di fatto, diverse istanze attualmente previste dall’ordinamento tributario (come ad esempio quelle previste dall’art. 11, comma 13 della Legge n. 413/1991 e l’istanza di interpello delle C.F.C.); la richiesta è finalizzata ad ottenere un parere sulla sussistenza delle condizioni o sull’idoneità degli elementi probatori offerti dal contribuente, ai fini dell’adozione di un determinato regime fiscale. La risposta dell’Amministrazione, in tal caso, è prevista in 120 giorni.

Interpello anti-abuso. Tale forma di ruling, prevista dalla lett. c) del comma 1 in commento, è destinata ad assorbire le principali fattispecie ricomprese nel campo di applicazione dell’interpello antielusivo di cui al vigente art. 21 della Legge n. 413/1991; costituisce, peraltro, il nuovo strumento, già previsto nel nuovo art. 10-bis dello Statuto dei diritti del contribuente1, che ha codificato la controversa fattispecie dell’abuso del diritto, attraverso il quale il contribuente può chiedere all’Amministrazione se le operazioni che intende realizzare costituiscano fattispecie di abuso del diritto. Tale istituto può essere attivato dal contribuente anche per conoscere il parere dell’Amministrazione in relazione alle ipotesi di interposizione, ai sensi dell’art. 37, comma 3 del D.P.R. n. 600/1973. La risposta dell’Amministrazione a tale tipologia di interpello deve arrivare entro 120 giorni.

Interpello disapplicativo. L’ultima forma di interpello, disciplinata dal comma 2 dell’art. 11 in argomento, corrisponde a quella attualmente disciplinata dall’art. 37-bis, comma 8 del D.P.R. n. 600/1973, il quale consente al contribuente di chiedere all’Amministrazione un parere in ordine alla sussistenza delle condizioni che legittimano la disapplicazione di norme tributarie che, allo scopo di contrastare comportamenti elusivi, limitano deduzioni, detrazioni, crediti d’imposta o altre posizioni soggettive del soggetto passivo. Nello stesso comma viene riportata la precisazione che la presentazione o la mancata presentazione dell’istanza de qua non pregiudicano, in nessun caso, la possibilità per il contribuente di fornire la dimostrazione della spettanza della disapplicazione anche nelle successive fasi dell’accertamento amministrativo e del contenzioso. Peraltro, in caso di risposta negativa è prevista la possibilità della sua impugnazione “differita”, ossia unitamente al ricorso avverso l’avviso di accertamento. La risposta dell’Amministrazione a tale tipologia di interpello deve arrivare entro 120 giorni.

[1]Inserito dall’art. 1 del D.Lgs n. 128/2015, con decorrenza dal 1° ottobre 2015.

Autore: Marco Brugnolo

Bonus mobili per giovani coppie

Allargata la possibilità di fruire della detrazione Irpef del 50%

Premessa – Il disegno di legge di stabilità 2016 riconferma per il 2016 il bonus mobili, che premia con uno sgravio fiscale del 50% (su un tetto agevolabile di 10 mila euro) chi, beneficiando già della detrazione per interventi di recupero del patrimonio edilizio, acquista mobili e grandi elettrodomestici di classe energetica non inferiore alla A+ (A per i forni). Ma la novità spuntata nelle ultime ore riguarda le giovani coppie che potranno fruire della detrazione anche senza l’intervento di ristrutturazione.

Bonus mobili – Come noto l’articolo 16 co. 2 del D.L. n.63/2013 (più volte prorogato) ha introdotto il “bonus mobili”, che consiste nel fatto che i contribuenti che fruiscono della detrazione per interventi di recupero del patrimonio edilizio possono fruire di un’ulteriore riduzione d’imposta per l’acquisto di mobili e di grandi elettrodomestici di classe energetica non inferiore alla A+ (A per i forni), per le apparecchiature per le quali sia prevista l’etichetta energetica, finalizzati all’arredo di immobili oggetto di ristrutturazione.

Detrazione La detrazione, che va ripartita tra gli aventi diritto in dieci quote annuali di pari importo, e secondo le norme attualmente in vigore spetta sulle spese sostenute dal 6 giugno 2013 al 31 dicembre 2015 ed è calcolata su un ammontare complessivo non superiore a 10.000 euro. Per l’esattezza, i contribuenti ammessi a beneficiare del bonus arredi sono gli stessi che fruiscono della detrazione con la maggiore aliquota e con il maggior limite di 96.000 euro di spese ammissibili; quindi, le ristrutturazioni edilizie con spese sostenute dal 26 giugno 2012.

Legge di stabilità 2016 – Tale agevolazione prorogata da ultimo dalla legge di stabilità 2015 fino al 31.12.2015 risulta oggetto di ulteriore proroga fino al 31.12.2016 sulla base di quanto previsto dal disegno di legge di stabilità 2016.

Agevolazione per giovani coppie – Ma la novità sta nel fatto che al “bonus Mobili” tradizionale si aggiunge un nuovo incentivo fiscale, esclusivamente per giovani coppie: una detrazione del 50% fino a 8.000 euro (le prime bozze circolate del disegno di legge indicavano 20.000 poi abbassato) per acquisto di arredi destinati all’abitazione principale appena acquistata. Obiettivo, incentivare il mercato delle compravendite immobiliari dopo quello delle ristrutturazioni edilizie. Per la prima volta questo legame stretto fra le due agevolazioni (lavori e mobili) sarebbe superato e subentrerebbe invece un’altra condizione necessaria per ottenere lo sgravio: l’acquisto di una casa (abitazione principale). Si evidenza che sulla base del testo del disegno di legge si deve trattare di “acquirenti” e non già proprietari dell’abitazione.

Giovani coppie – Per giovani coppie si intende un nucleo familiare costituito da coniugi o da conviventi more uxorio che abbiano costituto un nucleo da almeno tre anni in cui almeno uno dei due componenti non abbia superato i 35 anni.

Ripartizione – Anche tale detrazione sarà distribuita in dieci quote annuali di uguale importo e dovrà essere ripartita tra gli aventi diritto. Trattandosi di una spesa con limite massimo di 8.000 la detrazione sarà quindi pari a 400 euro annuali.

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

730 precompilato. Lettere bonarie mettono al riparo dai controlli

Le lettere bonarie – 220mila contribuenti sono stati raggiunti dalle lettere bonarie emesse dall’Agenzia delle Entrate volte ad avvisarli circa la possibilità di anomalie relative alla dichiarazione dei redditi. I contribuenti destinatari delle missive sono stati invitati a verificare le rispettive posizioni e a provvedere a sanare le eventuali anomalie senza che si imponga la necessità di ricorrere ai controlli. Questo avviso a tappeto condotto dalle Entrate è stato attuato soprattutto alla luce degli ottimi risultati ottenuti con la dichiarazione precompilata, oltreché grazie ai dati trasmessi dai datori di lavoro e dagli enti previdenziali.

Controlli addio? – Dunque, queste lettere bonarie rappresentano un’alternativa ai controlli, ossia un’esortazione a regolarizzare la propria posizione innanzi al Fisco meno radicale rispetto a quello che potrebbe essere un controllo vero e proprio. È per tale ragione che negli ultimi giorni l’Agenzia si è presa la briga di inviare tali comunicazioni esortando i contribuenti a verificare in maniera autonoma la propria posizione, in genere qualora si presenti una situazione con più redditi (senza conguaglio) per i quali non siano stata presentata la dichiarazione per il periodo d’imposta 2014. Le anomalie alle quali le Entrate fanno riferimento nelle missive, in genere emergono dopo diversi anni dalla presentazione della dichiarazione e implicano l’applicazione di sanzioni e interessi in misura piena. La precompilata ha rivoluzionato l’intero contesto, permettendo l’individuazione in tempo reale e garantendo ai contribuenti un avviso preventivo grazie al quale è possibile porre rimedio avvalendosi del ravvedimento operoso, senza passare dunque per la via dei controlli.
Chi sono i destinatari – A chi è arrivata la lettera dell’Agenzia? Queste lettere bonarie hanno raggiunto tutti i contribuenti che non hanno provveduto a effettuare la presentazione della dichiarazione nonostante abbiano “percepito più redditi da lavoro dipendente o da pensione da diversi sostituti (datori di lavoro o enti previdenziali) i quali non hanno effettuato il conguaglio delle imposte. Chi riceve la lettera può presentare il modello Unico Persone Fisiche entro il 29 dicembre 2015 (entro 90 giorni dalla scadenza ordinaria del 30 settembre) beneficiando con il ravvedimento operoso di una significativa riduzione delle sanzioni dovute per la tardiva dichiarazione e per gli eventuali versamenti”, come spiega la stessa Agenzia in una nota diffusa ieri.Contatti e assistenza – L’Agenzia delle Entrate ha altresì diffuso i contatti e i numeri ai quali i contribuenti potranno rivolgersi per ottenere assistenza e maggiori informazioni. Seguendo le indicazioni, questi potranno rivolgersi agli uffici territoriali delle Entrate sul sito internet dell’Agenzia – nella sezione Contatta l’Agenzia > Assistenza fiscale > Uffici Entrate) oppure chiamare il call center al numero 848.800.444 dal lunedì al venerdì, dalle 9 alle 17, e il sabato, dalle 9 alle 13, al costo della tariffa urbana a tempo.
Autore: Redazione Fiscal Focus

A cura di Antonio Gigliotti